Right here waiting for you.

di Human_
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Right here waiting for you.




Aspettava in silenzio che l'autobus arrivasse.
Niente iPod, niente telefono, niente ginocchia al petto, niente.
Stava semplicemente in piedi accanto alla pensilina ad attendere un autobus, uno qualsiasi. Le bastava che la portasse lontano da lì.
Fissava il largo viale praticamente deserto alternando gli sguardi lanciato alle montagne alla sua destra a quelli lanciati al mare, alla sua sinistra. Si chiedeva, così, ingenuamente, per occupare la mente, dove l'avrebbe portata, l'autobus che attendeva, se al mare o in montagna, se alla felicità o meno, se alla vita o all'esistenza. Sperava che, quantomeno, un'eventuale esistenza fosse migliore di quella che già stava provando sulla sua pelle.
Qualche respiro più tardi, l'autobus arrivò. Vi salì sopra senza sbirciare la destinazione, perché semplicemente non voleva saperla. Preferiva abbandonarsi nelle mani del destino; volendo scegliere da sola aveva provocato troppi danni.
Si sedette in fondo, e si perse ad osservare i quattro passeggeri. Le piaceva, osservare le persone. Amava guardarle e cogliere negli occhi ogni singola sfumatura, cercare nelle parti visibili cicatrici e fantasticare sulla loro origine, studiare le loro espressioni per cogliere i loro sentimenti e immaginare, così, guardandoli, come sarebbe stata la sua vita se le loro l'avessero incrociata.
E si ritrovò quindi a pensare, così, senza un apparente motivo se non appunto quello meraviglioso e più logico di tutti di non averne, di motivi, che sarebbe stato bello, e forse anche più che bello, ascoltare le storie che sicuramente avrebbe da raccontare quell'anziano signore seduto in prima fila, quello con tutte quelle rughe a segnargli il viso abbronzato, e quella grande cicatrice che gli percorreva la guancia sinistra. Chissà che storia aveva, quella cicatrice. Chissà che storia aveva, quell'uomo. Chissà che bello sarebbe stato, ascoltarla.
Sorrise, uno di quei sorrisi che nascono da soli e in silenzio, di quelli che neanche te ne accorgi, perché magari tu sei concentrato, come lei lo era ad immaginare storie su storie, tutte di quell'uomo, tutte di quelle cicatrice, ma insomma tu sorridi, e appunto non te ne accorgi, fatto sta che gli angoli della tua bocca si sollevano, e gli occhi, un po', anche loro, sorridono. E quindi, lei, sorrise, e continuò a sorridere per ogni singola storia che riusciva ad immaginare su quell'uomo, e anche sulla donna incinta che sedeva due posti più indietro, che chissà se era felice, chissà se era amata da qualcuno o se aveva trovato nel suo bambino, quello che ancora non c'era, quello che tuttavia c'era più che mai, più di chiunque altro, quel qualcuno per cui vale la pena combattere, contro il mondo, contro se stessi, contro tutti. Continuò il suo gioco, il suo passatempo, il suo diversivo, che dir si voglia, fino al capolinea, finché anche l'ultimo dei suoi inconsapevoli compagni di viaggio non abbandonò il mezzo, finché lei, finalmente, non arrivò là dove aveva voluto il suo destino.
Pioveva, lì, ma non le importava. Sollevò il cappuccio della felpa grigia e scese, e si trovò sul lungomare, sotto ad un albero e alla pioggia che, dolce, l'accarezzava, l'alleggeriva.
Si voltò, e vide l'autobus ripartire, vuoto. Era solo suo, quell'autobus, se lo sentiva.
Con lo sguardo fisso nel solito punto, quasi ipnotizzata, aspettò che l'autobus le permettesse di vedere cosa c'era, là. Che le permettesse di vedere quale fosse, il suo destino.
E il suo destino, lì per lì, pensò fosse il mare, perché, di fatto, tutto ciò che vedeva era il mare. E capì, solo in quel momento, solo sotto quella pioggia d'autunno, solo ferma, in piedi, davanti al mare, quello che Plasson ci trovava, nel mare, e quello che tutti alla locanda Almayer ci trovavano, nel mare. Capì, solo in quel momento, solo in quell'esasperante momento d'attesa, attesa del proprio destino, perché Bartleboom non lo capisse, dove finiva il mare, e perché Plasson, per l'appunto, non lo capisse, dove sono gli occhi del mare. Capì. In quel momento capì.
Ma non tutto, no. Perché tutto, ma proprio tutto, tutto quello di cui aveva bisogno, lo capì qualche istante dopo, quando, spostando lo sguardo, vide una figura dall'altro lato della strada che, immobile, la fissava.
Si guardò alle spalle, tanto per essere sicura, che non si sa mai, a volte la prospettiva inganna, ma dietro di lei c'era solo la pensilina ed un muro di cemento, senza scritte, e allora pensò che forse non è vero che la prospettiva inganna. La prospettiva non inganna, è che ognuno ha la sua.
Alzò la mano, timidamente, e accennò un saluto. E ottenne un sorriso. Un sorriso.
E lei non lo sapeva se qualcuno, a raccontarlo, l'avrebbe potuto immaginare, cosa significa quando, in un giorno in cui tu sei scappata dalla tua vita, incontri il tuo destino, e quello ti sorride. Lo sa, la gente? Lo sa?
A lei non importava, cos'avrebbe pensato la gente, cos'avrebbe detto sua madre, anche se le sembrava di sentirla. Non ti avvicinare, potrebbe essere un maniaco. Ma no, mamma, è il mio destino.
E con quella consapevolezza che neanche sapeva da dove venisse, attraversò la strada. Magari veniva dal suo lato da minorata mentale, pensò.
Un passo. Due. Tre. Il mio destino, ci pensi? Quattro. Cinque. Sei. E se non lo fosse? Sette. Ma sì che lo è. Otto.
E il destino, a meno di mezzo metro da lei, sorrideva.
Sorrideva.
«Aspetti da tanto?» chiese. E neanche capì perché, con tutte le cose che avrebbe potuto chiedere, se ne uscì con quella di domanda. Ma la fece.
«Quanto basta, e ne è valsa la pena».
Sorrisero, insieme.
E capì, capì. Capì che se Plasson e Bartleboom avessero guardato gli occhi verdazzurri di quel ragazzo, forse, avrebbero risolto tutti i loro problemi, probabilmente.
Capì, e quello le entrò proprio dentro, non se lo dimenticò mai, e lo disse anche l'ultimo dei suoi giorni, proprio quell'esatta frase, prima di addormentarsi, quell'ultima volta, lo sussurrò.
Si spense sussurrando una sola semplice frase.
“Bisogna andarci incontro, al proprio destino. Non è che può fare tutto lui”.


















Allora, non credo ci sia un granché da dire su questa shot, se non che, insomma, se non ci fossero state due sante ragazze -che tra l'altro amo alla follia, tutt'e due- che m'han detto che un po' decente -almeno il minimo sindacale- lo è, non sarebbe qui. Sul 'Come mi sia uscita', non lo so. Io credo che fossi sotto ipnosi, anche perché non è propriamente il mio stile, questo, ma tant'è. Ah, e tra l'altro non so neanche se questa sia la sezione giusta. Ero parecchio ma parecchio indecisa. In caso io debba spostarla, ditemelo.
Bòn. Un grazie immenso già da adesso a chi leggerà e a chi, magari, verrà un minimo di voglia di farmi sapere cosa ne pensa (:
Un abbraccio grande,

Human_ (che ha un orribile raffreddore e parla come una congolese D: )





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