1
Faceva terribilmente freddo. Il
piccoletto avvolto nel
cappotto pesante tremava senza sosta mentre delicati fiocchi di neve
gli
cadevano sulle guance, sui capelli neri, sulle spalle, ovunque. Gli
piaceva la
neve ma doveva ammettere che portava con se un freddo micidiale.
Tirò su col naso,
stancamente. Odiava aspettare l’autobus,
la mattina, talmente rincoglionito da non riuscire nemmeno a leggere
l’ora sul
cellulare.
Suo fratello gli diede una botta
sulla spalla.
“Che hai da essere
così abbattuto? Oggi è la tua grande
giornata!”
Bill storse le labbra.
“Vorrei ricordarti che sono
le cinque del mattino, Tom.”
In realtà la voce stranita
era tutta una finta. Nascose il
volto nella sciarpa enorme che lo avvolgeva per non mostrare a suo
fratello il
sorrisino compiaciuto che gli disegnava le labbra rese pallide dal
gelo. Le
morse, con i denti, mentre una terribile agitazione prendeva il pieno
possesso
della sua pancia.
Odiava quei crampi eppure al tempo
stesso li adorava. Lo
facevano sentire vivo come non mai. E sperava che dopo quella giornata
avrebbe
potuto sentirsi ancora meglio.
A dire il vero, non riusciva ad
immaginare di poter essere
più felice di quanto già non fosse. Era riuscito
a passare il provino per la
trasmissione “Star Search”, le cose in famiglia
andavano bene, lui Tomi Georg e
Gus non facevano altro che provare e, in più,
c’era lei.
Avevano passato quasi ogni pomeriggio
libero insieme
nell’ultimo mese, grazie al fatto che lei frequentava un
corso di canto alla
scuola di Gordon. Un giorno lei l’aveva sorpreso ad ascoltare
rapito la sua
splendida voce e da li avevano cominciato a parlare, e poi lui si era
innamorato come una pera cotta. Non le aveva ancora confessato i propri
sentimenti, ma… c’era una buona
possibilità che lei ricambiasse, ecco.
Il suo stomaco fece un salto mortale
a quel pensiero e lui
sprofondo ancora di più nella sciarpa.
L’autobus arrivò
puntuale come al solito e lui e Tom
salirono in fretta, sbrigandosi per accaparrarsi i posti migliori.
Bill si guardò intorno e
trattenne un sussulto. C’era Mark
Biar sull’autobus, quella mattina. Strano, di solito
c’era solo il venerdì, visto
che era il giorno in cui andava a stare dal padre e gli toccava
prendere “quel
fottuto autobus”, così come diceva lui.
Lui e Mark non erano mai stati in
buoni rapporti, sia perché
Bill si distingueva palesemente dalla massa, sia perché era
considerato uno
sfigato totale e in più una checca, sia perché,
un giorno, per sbaglio, aveva
assistito allo schiaffone che il padre aveva mollato a Mark.
Il biondino non glielo aveva mai
perdonato, ma lui non
c’entrava nulla. E poi non sarebbe sicuramente andato a fare
la spia, fatto che
sospettava fosse fonte di puro terrore per quell’odioso
ragazzino viziato.
Probabilmente temeva che Bill rivelasse la condizione di estrema
povertà in cui
si trovava il padre del ragazzo e che inevitabilmente si scoprisse che
la vita
di Mark non era tutta rose e fiori e venisse fuori la
verità, ossia che l’altra
metà della sua famiglia non indossava vestiti firmati e non
provava un piacere
ossessivo a spettegolare su tutto e tutti e ad andare ai party
più esclusivi
che la loro stupida città ogni tanto organizzava.
“Guardate chi
c’è… il frocetto!”
squittì Mark con quella sua
odiosissima voce nasale.
Tom gli mostrò il dito
medio. “Sono le cinque di mattina,
Mark, hai già intenzione di cominciare a scassare le palle a
quest’ora del
mattino? Se non ti dispiace sono troppo rincoglionito per ascoltare la
tua
vocetta da verginello.”
Mark si azzittì,
fulminando Tom con lo sguardo.
Era noto a tutta la scuola che il rasta aveva perso la
verginità da quasi un
anno e cambiava ragazza ogni settimana. Beh, a dire il vero, non ce
n’era una
che non cadesse ai suoi piedi.
Tomi aveva una reputazione da duro
dal cuore di pietra e si
dicesse che potesse pestarti di pugni fino a farti svenire se solo ti
azzardavi
ad offendere quella checca di suo fratello davanti ai suoi occhi.
Questo
aiutava Bill, ma solo quando erano insieme. Il resto del tempo era un
inferno.
Conosceva il fondo del cesso come le
sue tasche, ormai. Aveva
perso il conto di tutte le volte che gli avevano ficcato la testa
dentro. Ma
Tom c’era sempre stato. Era sempre stato al suo fianco,
consolandolo,
asciugando le sue lacrime e pestando di pugni tutti quanti.
Bill si accaparrò il posto
vicino alla finestra ed osservò
suo fratello sedersi vicino a lui, dopodiché gli diede un
bacio sulla guancia.
“Grazie.” Gli disse in un sussurro.
Tom si ritrasse e gli diede una
spinta. “Grazie lo dico io.
Non farlo mai più, grazie.”
Bill ridacchio, perché
sapeva che davanti agli altri Tom
metteva su una maschera. Suo fratello amava le coccole molto
più di chiunque
potesse anche minimamente sospettare.
Il moretto si adagiò
contro lo schienale, chiudendo gli
occhi. Magari sarebbe riuscito a dormire un po’, prima di
arrivare a scuola.
Sarebbe sicuramente servito a renderlo un pochino più
presentabile.
Certo, come no, come se con quei
maledetti crampi d’emozione
fosse riuscito a prendere sonno.
L’autobus partì
e, dopo circa tre quarti d’ora di viaggio,
finalmente si fermò. Tom e Bill aspettarono che il grosso
dei ragazzi scendesse
e poi li seguirono, scendendo nella piazzetta.
Passarono a prendere la colazione
come tutte le mattine e,
poi, si avviarono a scuola.
Il cuore di Bill non smetteva di
battere all’impazzata. Non
sapeva se volesse rendere il tempo più veloce oppure
rallentarlo. L’unica cosa
che sapeva era che voleva fermare il suo stupidissimo cuore.
Tom lo occhieggiava da circa dieci
minuti e la cosa buffa
era che suo fratello non se ne era minimamente accorto. Ok che era il
“glorioso
giorno della sua dichiarazione d’amore finale”,
come aveva detto lui, ma non
andava bene che fosse così agitato. Avrebbe fatto qualche
figura del cavolo e
sarebbe andato nel panico.
Lo afferrò per una manica
e lo fece voltare.
“Oh, e datti una calmata,
mi fai agitare anche a me.”
Bill sgranò gli occhi.
“Cosa?”
“Sei assurdo, se fossi un
dottore e ti ascoltassi il cuore
con quell’aggeggio che non mi ricordo come diavolo si chiama
sono sicuro che
diventerei sordo. Devi darti una calmata!”
Bill chiuse finalmente la bocca e poi
sorrise, emettendo un
gridolino eccitato terribilmente imbarazzante.
“Ok, non farlo mai
più.”
Il moro batté le mani
freneticamente e poi le riunì tra di
loro, avvicinandole alle labbra ed abbassando il capo.
“Aiuto! Hai ragione, sono
troppo agitato.”
“Ecco.”
Sbuffò Tom, distogliendo lo sguardo.
Bill increspò le
sopracciglia. Il suo cuore non ne voleva
sapere di rallentare e lui non aveva la minima idea di come fare per
acquietarlo. Cosa doveva fare? Cosa doveva dire? Qual’era il
suo nome? Stava
letteralmente entrando nel panico.
“Tomi… mi viene
da vomitare…”
Il rasta portò gli occhi
al cielo e, dopo aver afferrato
saldamente il braccio di suo fratello, lo trascinò via dalla
strada principale,
imboccando una via un poco più discreta e, soprattutto,
deserta.
“Senti, è una
femmina. Non devi agitarti così per le
femmine. Sono solo… femmine.”
Bill lo guardò confuso,
non capiva. Cosa diavolo voleva dire
che erano solo femmine? Lui era agitato proprio perché si
trattava di una femmina!
Di lei, più precisamente.
Tom increspò le labbra e
assunse un’aria pensierosa.
“Insomma”
cominciò, prendendo il mento tra l’indice e il
pollice. “Non va bene se sei così agitato.
Altrimenti poi vai nel panico e fai
figure di merda. E poi vai ancora più nel panico. E poi
è una femmina, Bibi,
sveglia. Non si deve far capire alle femmine che si da loro tanta
importanza,
altrimenti siamo fottuti.”
“Hai… ragione!
E’ una femmina! Che mi frega!” esordì
Bill ad
alta voce, alzando entrambe le braccia.
“Ecco! Bravo, cominci a
ragion- oh, no, oh, ma che schifo!
Bill!”
Fortunatamente c’era un bar
li vicino, ed era riuscito a
ripulirsi dal vomito e a non far tardi alle lezioni. Ma tutta la
mattinata era
stata un inferno.
Primo, gli sembrava ancora di avere
addosso l’odore
nauseante del vomito e probabilmente era semplicemente una sua
fantasia, visto
che nessuno aveva fatto commenti. Perlomeno riguardo alla puzza.
Secondo, non era riuscito nemmeno a
salutarla. A scuola non
parlavano mai tanto, ma di certo non la biasimava. Lui era considerato
un po’
come… il pazzo del paese? Ecco, il pazzo del paese. E lei
invece era… stupenda,
la più stupenda di tutte, ai suoi occhi.
Non la biasimava di certo.
Però ci era rimasto ugualmente
malissimo. In fin dei conti che cosa le costava rivolgergli un semplice
saluto?
O magari uno di quei bellissimi sorrisi dei quali nell’ultimo
mese aveva fatto
il pieno.
Bah. Appoggiò pesantemente
la testa al banco e si disse che
non importava. Quella sera ci sarebbe stato il ballo scolastico e lui
ci
sarebbe andato, anche se era una cosa che odiava terribilmente.
L’avrebbe fatto
per lei, per vederla e per metterla a suo agio. Li avrebbero
sicuramente
trovato un posticino tutto loro in cui parlare e avrebbe potuto portare
a
compimento il glorioso giorno della dichiarazione finale. Dopo tutti i
pensieri
che ci aveva fatto gettare la spugna era proprio da scartare, come
ipotesi.
E poi, era il ballo…
andiamo, moriva dalla voglia di vederla
avvolta da uno splendido vestito. Temeva che il suo cuore non avrebbe
retto.
Aspettò pazientemente che
la campanella suonasse e poi corse
via, veloce, evitando i commenti di cattivo gusto dei vari bulli in
circolazione.
“Allora, come
sto?”
Bill continuava ad agitarsi dentro a
quel completo bianco
panna, con una rosa rossa appesa sul taschino. Gli stava un
po’ grande,
evidentemente la mamma non aveva preso bene le misure e a dirla tutta,
suo
fratello sembrava una specie di alieno.
Ma lui sembrava piacersi e quindi Tom
fece spallucce,
annuendo semplicemente. A volte gli sembrava di avere a che fare con
una
ragazzina, quando parlava con Bill. Certe volte si comportava proprio
come una
di loro. Gli scappò una risatina al pensiero.
“Che hai da
ridere?!” lo aggredì Bill, con un tono di voce
estremamente acuto “lo sapevo, faccio schifo!” e
poi affondò il capo tra le
mani.
Tom reagì prontamente e
gli si avvicinò, alzandogli
delicatamente il viso. Suo fratello si era truccato davvero bene,
sembrava un
po’ la mamma.
“Sei bello come una
ragazza, quindi piantala di lamentarti.
Andrà tutto bene, vedrai.”
Bill inaspettatamente sorrise e poi i
due gemelli si
strinsero in un dolce abbraccio. Erano l’uno parte
dell’altro. Avevano bisogno
l’uno dell’altro e, forse, Bill questa sera un
pochino di più di quanto ne
avesse normalmente.
Bill si lasciò sfuggire un
sospiro scoraggiato. Aveva
cercato di parlare con lei tutta la sera, ma non era mai riuscito a
beccarla da
sola.
Era comunque una bella festa,
pensò. Erano tutti vestiti
eleganti a parte suo fratello che, come unico cambiamento al suo
normale
abbigliamento aveva semplicemente raccolto i rasta biondi in un piccolo
codino.
Già, che bello. La
verità era che non era per niente una
bella festa, se non poteva stare con lei. Voleva colorare di nuovo le
proprie
giornate con i suoi sorrisi ma era andato tutto a monte.
Perché doveva essere
sempre così sfigato?
Con il capo basso si diresse verso il
giardino della scuola,
illuminato da un lampione leggermente difettoso. Uscì dalla
palestra e, quando
alzò lo sguardo, il cuore gli rimbalzò in gola.
Era lei. Ne era certo. Sarebbe
riuscito a riconoscerla
ovunque, era quasi la sua specialità. Persino quando era di
schiena ed era…
oddio, era così bella. Indossava un vestito bianco - anche
lei! - con un’ampia
scollatura sulla schiena pallida e i capelli nerissimi erano stati
legati in
una sofisticata acconciatura.
“Maigo?” la
chiamò Bill, con la voce che gli tremava.
Lei si girò e, come
predetto, il suo cuore non resse. Era
davvero troppo bella. Truccata un pochino più di lui, gli
occhi grigio chiaro
dalla forma affusolata, il nasino delicato, le labbra appena carnose.
Era bella da morire.
“Bill!”
Maigo gli sorrise e lui come ogni
dannata volta che
succedeva, si sciolse. Dimenticò il fatto che non
l’aveva nemmeno salutato, a
scuola, e le si avvicinò in fretta, trattenendo il respiro
mentre le baciava
una guancia.
“Stai benissimo”
disse, cercando di imitare il tono di quei
galantuomini che si vedono di solito nei film classici americani.
“Anche tu.”
Replicò lei, sorridendo ancora ed inclinando il
volto verso destra.
“Tu di
più.”
Bill abbassò il capo,
imbarazzato e sorridente. Era la
verità, era davvero uno spettacolo. Troppo, per un tipo come
lui. Eppure… erano
li, insieme.
“Scemo!”
Maigo gli diede una spinta sulla
spalla e lui si imbambolò a
fissarla, contento come non mai.
“Eddai, non fissarmi
così! Mi imbarazzi!”
“Hai ragione, hai
ragione” gracchiò Bill “ehm, che ne dici
di fare due passi?”
Maigo annuì e
così si avviarono lungo il vialetto della
scuola.
Camminavano vicini, il volto di lei
illuminato dalla luce
chiara della luna, il cuore di Bill che stava per scoppiare. Passarono
dei
minuti, forse ore, Bill aveva perso la cognizione del tempo. Ma una
cosa era
certa: non poteva più rimandare.
“Maigo, io…
devo… insomma…”
Lei si fermò a fissarlo.
Era seria. Bill deglutì. Ecco, come
non detto, stava entrando nel panico.
“Sì?”
chiese lei, abbozzando un sorriso dolcissimo che
riuscì a metterlo un pochino più a suo agio.
Forse Tomi intendeva che non
bisognava agitarsi tanto. Insomma, se si sta bene con una persona non
c’è il
bisogno di entrare nel panico.
“Tu… ecco,
tu…” si schiarì la voce, col panico
alle
calcagna. “Tu mi piaci da morire!” disse infine,
terribilmente veloce e con una
voce parecchio strana.
La ragazzina sorrise. Il moretto
aveva il volto abbassato e
lei glielo alzò delicatamente, portandolo
all’altezza del proprio sguardo.
Restarono a fissarsi per qualche
secondo, gli occhi di Bill
erano lucidi, emozionati. Non riusciva a credere nemmeno lui a quello
che stava
succedendo.
“Beh, io sto aspettando il
mio bacio.”
Dio, se vuoi
farmi
morire, ti prego, aspetta almeno che la baci.
E poi accadde. Le loro labbra soffici
si sfiorarono e,
lentamente, Bill fece sfiorare la propria lingua contro la sua. Il
tempo parve
fermarsi, le mani si mossero da sole e si ritrovarono abbracciati
l’uno
all’altra.
“Ma guarda un po’
qui chi c’è…! Maigo, Maigo, da te
proprio
non me lo aspettavo, non credevo che alla fine l’avresti
fatto…”
Si staccarono subito. Bill si
guardò intorno e finalmente
individuò Mark Biar. Alle sue spalle il solito gruppetto di
ragazzacci.
Ridevano tutti e Maigo era diventata tutta rossa.
Bill cercò la sua mano ma
la ragazza si ritrasse.
Mark si avvicinò a Maigo e
le appoggiò un braccio sulle
spalle.
“Lasciala stare,
Mark.” Ringhiò Bill, aggrottando le
sopracciglia.
Perché doveva rovinare
tutto? Non era giusto, dannazione.
“Sei tu che devi lasciarla
stare, Maigo è la mia ragazza.”
A Bill si fermò il cuore.
“Cosa?”
“Già, le ho
chiesto io di farti credere di piacerle. Beh,
che vuoi, pensavo fossi gay. Non credevo che ci saresti
cascato!” il ragazzo
biondo scoppiò in una risata fragorosa e, nel frattempo,
Maigo abbassò lo
sguardo.
“Maigo… non
capisco…”
La ragazza rimase a fissarsi i piedi. “Io… non è andata proprio
così, insomma, non l’ho fatto perché me
lo aveva chiesto lui.”
“Pensavi che fossi gay?
Eri… Eravate… tutti d’accordo?! Mi
hai preso in giro per tutto il tempo?!” cominciò
ad urlare Bill, le lacrime gli
cadevano a fiotti sulle guance.
“No, Bill, non è
andata così! Lascia che ti spieghi, per
favore!” lo implorò lei, con gli occhi lucidi.
Bill si voltò. Non
riusciva a smettere di piangere.
Perché? Perché
Maigo?!
“Ma che fai, piangi? Ma non
mi dire che… sei una ragazza! Ma
si, magari sei una lesbica di merda! Mi dispiace sfigatella, hai fatto
cilecca!
Maigo è tutta mia!”
Bill corse via. Corse, corse, corse,
fino a quando non gli
fece male la milza e cadde per terra, nel fango.
Tom non riusciva più a
trovare Bill. Se ne erano andati
quasi tutti e di lui nemmeno l’ombra.
Sorrise tra se e se al pensiero di
quello che magari stava
facendo. Finalmente anche suo fratello avrebbe scoperto i piaceri del
pomiciamento sfrenato al chiaro di luna. Si sentiva quasi orgoglioso.
Sensazione che durò
nemmeno due minuti visto che lo sguardo
gli cadde su Maigo, mano nella mano con quel coglione di Mark.
Tom si avvicinò ai due a
grandi passi e si piazzò davanti a
Maigo. Mark indietreggiò, spaventato.
“Che diavolo hai
fatto?!” le sbraitò il rasta, a pochi
centimetri dal suo volto.
La ragazza scosse il capo.
“Mi dispiace.”
Aveva la voce rotta, sembrava avesse pianto,
o che stesse per farlo. Beh, in ogni caso, non erano affari suoi.
“Dov’è
lui?”
“E’ corso via.
Penso sia ancora nel giardino, non l’ho visto
rientrare.”
Tom fece per andarsene ma la ragazza
lo bloccò,
afferrandogli la manica.
“Per favore, digli che non
è come pensa. Digli che ho
bisogno di parlargli e che ha capito male. Per
favore…”
“Scordatelo,
puttana.” Troncò Tom con tono freddo,
allontanandosi dai due e cominciando a correre verso il giardino.
Forse, se
tutto gli andava bene, non ci avrebbe messo tutta la notte a ritrovare
Bill.
Gli aveva detto spesso quanto amava
quell’albero, era il più
bello della scuola, concordava anche lui. Era diverso da tutti,
però era tanto
bello.
E infatti eccolo li. Bill se ne stava
tutto rannicchiato ai
piedi dell’albero. Tom provò una fitta al cuore.
Che cosa aveva fatto? Non era
riuscito a proteggerlo… eppure avrebbe dovuto immaginare che
quel cretino di
Mark gliene avrebbe tirata una delle sue. Maledizione.
Si avvicinò a suo fratello
con cautela e gli si accucciò
davanti.
“Bill… Ehy,
Bill…”
Nessuna risposta. Suo fratello
continuava a piangere,
incessantemente.
“Bill…”
“Tomi…”
fu un sussurro, ma bastò per prenderlo tra le
braccia e stringerlo fortissimo.
“Maigo…”
“Shh, lo so, non
c’è bisogno che ne parli
adesso…”
Come risposta Bill
singhiozzò più forte e, poi, si
allontanò
dal fratello.
“Io la odio, Tomi. La odio
così tanto che non riesco a
smettere di amarla.”
Tom lo abbracciò. A quel
Mark non sarebbe rimasto nemmeno un
osso sano, quando avrebbe finito con lui.
***
Erano passati anni da quei terribili momenti. Bill non ne
aveva più fatto parola e lo stesso aveva fatto lui. Si erano
inventati quella
stupida storia dell’aver baciato la stessa ragazza e
chissà che diavolo aveva
pensato il primo bacio di Tom.
Magari aveva confermato la loro
versione, insomma, baciare
sia il chitarrista che il cantante dei Tokio Hotel non gli sembrava poi
così
malaccio.
Oppure aveva negato, ma tanto, chi le
avrebbe dato ascolto?
A Tom non importava. Fece spallucce e
lanciò un’occhiata a
suo fratello.
Era stupido presumere che a Bill,
ogni tanto, capitasse di
pensasse ancora a quella spiacevole vicenda? Eppure non era riuscito a
non
provare un pizzico di inquietudine quando, tra gli invitati alla loro
diciottesima
festa di compleanno, sua madre aveva fatto il nome di Maigo.
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