aprire gli occhi - 1
Aprire
gli occhi
**Capitolo
uno – Signora Mamma**
Well I keep my eyes open
I worry for nothing
And all the sweet things
I don't say
are gonna get me in
trouble some day
And the harder that I
try, I know
The harder I push you
away
And I’ll,
I’ll admit that I’m scared(*)
Hinata chiuse la portiera della propria macchina con mala grazia,
lasciandola scivolare dalle dita senza poterla fermare in tempo.
Così, non poté fare altro che deprimersi
all’idea della carrozzeria color rosso fiammante –
nuovamente – danneggiata dalla sua inesplicabile goffaggine.
Schiacciò il bottone del proprio portachiavi, facendo
scattare ogni sicura con un brillio dei fari e rendendo così
inaccessibile la vettura. Sorrise, allontanandosi infine con passo
lesto.
Attraversò velocemente la strada di cemento, facendo appena
rallentare una macchina impaziente, scusandosi alzando la mano al
conducente abbastanza irritato. Si ritrovò quindi davanti al
grande ingresso della Konoha Gymnasium, l’unica palestra nel
giro di due quartieri e mezzo sufficientemente attrezzata per fare del
lavoro fisico degno di chiamarsi tale.
Appoggiando la mano bianca alla maniglia, spinse l’anta di
vetro ed entrò dentro, lasciandosi investire
dall’aria decisamente più calda
dell’ingresso. Sorrise a Sakura quando si avvicinò
alla cassa, fermandosi quando lei fece un cenno di saluto.
Si sistemò la borsa sulla spalla mentre percorreva i
corridoi fino agli spogliatoi femminili, fermandosi a qualche metro di
distanza dal loro ingresso. Lasciò che alcune ragazze
uscissero – felici, sudate, soddisfatte o meno: tutte
ugualmente rumorose – prima di prendere coraggio e superare
la porta.
L’odore di bagnoschiuma le arrivò subito al naso,
assieme al vapore e a quello vago di sudore. Muovendo piccoli passi,
riuscì ad addentrarsi a sufficienza per scorgere i camerini
e i vari armadietti per le cose personali. Si guardò attorno
un poco nervosamente, controllando l’ora
all’orologio al polso.
Che avesse sbagliato ad andare lì così presto?
-Hinata, sono qui…-
La Hyuuga voltò la testa di scatto, trovando finalmente
ciò che cercava: Kurenai sorrideva, anche se era
evidentemente spossata. Seduta com’era sopra una panca di
legno, prese l’asciugamano poggiato sulle gambe e lo
portò ai capelli scuri, cominciando a strofinarli con
energia.
Sorrise dolcemente, lasciandosi andare ad un sospiro liberatorio.
-Sono venuta a prenderti, Kurenai…-
*******
La donna si accarezzava il ventre mentre la città scorreva
al di fuori dei finestrini della macchina.
Lo sguardo vagava sul grigio delle case, su un vuoto informe che
correva assieme all’acceleratore stimolato dal piede di
Hinata.
Sul sedile posteriore, in una delle due borse da passeggio gettate in
fretta, c’era una busta di carta semitrasparente, i cui bordi
ancora testimoniavano la fretta brutale con cui era stata aperta.
Hinata si costrinse a non guardare Kurenai cercando di non metterle
addosso troppa pressione. Sorrideva, ma si poteva notare quanto il suo
sorriso fosse falso e dettato dalla circostanza. Specialmente quando un
imbecille le tagliò di netto la strada costringendola a
frenare di colpo, ribaltando quasi il passeggero per la sorpresa.
Kurenai aveva sputato parole velenose, irritata come poche altre volte.
Eppure, in quel momento, a parte qualche sguardo fugace, pareva che
nessuna delle due fosse davvero intenzionata ad iniziare il discorso.
Un semaforo fornì l’occasione giusta: il momento
di pausa in cui il conducente aveva la concentrazione libera da ogni
impegno puramente meccanico. Ma neppure in quel frangente si
riuscì a dire nulla. E la casa di Kurenai si faceva sempre
più vicina.
La Hyuuga alla fine prese coraggio, attardandosi più del
necessario ad uno stop.
-Senti, Kurenai, vorrei sapere… Com’è
andata la mattinata?-
La donna sorrise, socchiudendo gli occhi e voltando appena il viso.
Era sempre stata così, Hinata. Aveva sempre trattenuto ogni
emozione compromettente per puro scrupolo verso le persone che la
circondavano – troppo scrupolo, in alcuni casi.
Così, le dava ancora l’occasione di fuggire
dall’argomento, senza obbligarla ad affrontarlo e
specialmente non con lei. Dopotutto, era una faccenda sua privata.
Ma Kurenai non era tipo da farsi troppi riguardi, specialmente quando
non ce n’era alcuna ragione. Bisognava semplicemente prendere
le cose come stavano, e non parlarne certo non portava alcuna soluzione.
Guardò la strada, col sorriso sulle labbra sereno.
-Sono incinta. Le analisi hanno dato la conferma…-
Hinata ripartì, fissando a sua volta la strada avanti a
sé – l’acceleratore fu abbassato troppo,
per distrazione, tanto che sia la conducente che il passeggero furono
schiacciati contro i rispettivi sedili.
Tentò di sorridere, con evidenti scarsi risultati.
-Beh, è bene, no? Insomma, è… bene?
Era ciò che doveva succedere! Bene! Bene?-
La giovane sobbalzò quando sentì la mano della
donna accarezzarle dolcemente il viso, passando il dito sulla guancia e
attraverso i fini capelli scuri.
-Sì, è certamente bene…-
Hinata si girò qualche istante a sorriderle, un poco
più sollevata – finendo quasi per investire in
pieno un povero micio capitato sulla strada per caso.
La donna sospirò, tornando a guardare nel vuoto.
Conosceva Hinata da circa tre anni, poco più poco meno.
Trentasei mesi di convivenza ravvicinata, a causa del lavoro che
entrambe svolgevano. Una, ingegnere aziendale; l’altra,
proprietaria dell’azienda in questione. Una, che continuava a
chiamarla “signora Sarutobi” nonostante fossero
entrate più che in confidenza ormai da tempo;
l’altra, che tentava invano ogni volta di spiegarle quanto
non ci fosse niente di male se le loro mani non si toccassero sempre e
solo casualmente.
Stretto contatto, voluto o meno.
Pian piano, padrone e dipendente si erano ritrovate più
spesso a condividere momenti, chiacchiere, risa, intere giornate
l’una accanto all’altra.
Lavoro, certo, ma non si poteva parlare di lavoro quando Hinata veniva
sorpresa a fissare Kurenai per minuti interi senza avere la minima
intenzione di dire qualcosa, così come non si poteva parlare
di lavoro quando Kurenai si avvicinava alla Hyuuga per farle vedere da
vicino cosa in un dato progetto andasse o non andasse bene.
Tutti particolari che alla mente attenta e severa della Sarutobi non
sfuggirono a lungo.
Forse era stato il suo bisogno mai totalmente sopito di sentire una
spalla su cui appoggiarsi nel momento del pianto, forse era stata la
solitudine di una casa così vuota e fredda da far male il
cuore ad averla spinta a prendere l’iniziativa.
Forse, ma Kurenai si rifiutava di dare la colpa a certi fatti
– le sembrava di svilire di altri, ben più
importanti.
Se quel lontano pomeriggio aveva deciso di baciare Hinata, invece che
lasciarla parlare di gravità e di masse e pesi specifici, lo
attribuiva solamente al desiderio che in quel momento aveva provato.
Non se n’era mai pentita, dopo. Neppure un solo istante.
La macchina si fermò, costeggiando il marciapiede.
Hinata sporse il busto verso il cruscotto, guardando con occhi attenti
le case dall’altro lato della strada: non pareva esserci
nessuno.
-Non ce n’è bisogno…-
La giovane si voltò a guardare Kurenai, con un sorriso un
poco preoccupato sulle labbra.
Sempre, sempre accomodante – sempre avendo paura di ferire.
-Scusa…-
La vide sorridere, prima si avvicinarsi al suo viso e a posarle un
ultimo bacio sulle labbra.
-Ci si vede domani, Hinata.-
La donna scese in fretta, prendendo la propria borsa e sbattendo con
una certa forza la portiera, ma senza però dimenticare di
voltarsi e rispondere al saluto della sua mano mentre con la macchina
si allontanava sempre più velocemente.
*******
Hinata si era fermata qualche casa prima della sua, sapendo bene chi
avrebbe potuto vederla e non gradire affatto la sua presenza in quei
luoghi.
Ci impiegò cinque minuti netti, picchiettando nervosamente i
tacchi sul marciapiede sporco.
Si ritrovò di fronte a una casa modesta, dal piccolo
giardino curato e dalle finestre grandi e serrate. Con un sospiro, le
bastò abbassare la maniglia della porta per ritrovarsi
dentro casa.
La prima cosa che sentì fu uno strillo acuto e pieno di
entusiasmo.
-Mamma!-
Quando vide il piccolo – il suo piccolo – Asuma
correrle incontro, non poté che sorridergli di rimando.
Appoggiò in fretta la borsa sul tavolino vicino alla porta,
si accucciò e lo prese in braccio, coprendo il suo viso di
baci. Il piccolo la abbracciò, felice e festante come sempre.
Un’altra voce la raggiunse, quando era ancora impegnata a
dare retta al piccolo che le stava affannosamente raccontando come il
suo amico dell’asilo avesse tentato di soffocarlo mettendogli
la testa dentro la sabbia del giardino.
-Sei arrivata presto, vedo…-
Kurenai riservò solo un’occhiata sfuggente alla
donna che le stava innanzi, ritta e rigida in volto. La stava
squadrando con fare fin troppo accusatorio.
Ma piuttosto che rispondere piccata a sua madre preferiva concentrarsi
sul sorriso privo di malizia di Asuma, baciandolo e baciandolo ancora.
La signora Yuhi guardò sorridendo il nipote, mentre veniva
lasciato a terra e correva ancora una volta ai suoi giochi. Poi,
rivolse un’occhiata severa alla figlia.
-Almeno nel tempo libero, dovresti badare tu a tuo figlio. Non puoi
scaricarlo a me ogni volta che ti fa comodo!-
Kurenai sapeva dove la donna volesse andare a parere, sapeva delle
insinuazioni di fondo che quella frase nascondeva. Quel discorso le era
stato rivolto fin troppo spesso, in quegli ultimi tempi.
-Se ti scoccia così tanto badare a tuo nipote, la prossima
volta chiamo una babysitter…-
-Potresti semplicemente non accampare impegni inesistenti per farmi
correre qui!-
-Potresti smettere di rimproverarmi ogni passo che faccio fuori da
questa casa!-
Silenzio, persino Asuma si era zittito nel sentire il tono irato delle
due donne. Le stava spiando con aria vagamente preoccupata da dietro il
divano.
Kurenai se ne accorse, gli sorrise e andò da lui, lasciando
così cadere ogni eventuale discussione.
-Mi vergogno di te!-
La prima volta che Kurenai aveva avuto l’ardire di portare
Hinata a casa propria, per farle conoscere il figlio avuto dal suo
defunto marito, aveva visto sua madre furente come mai lo era stata in
tutta la sua vita.
L’aveva chiamata svergognata, l’aveva chiamata
traditrice, l’aveva chiamata in mille altri modi diversi che
lei preferiva molto di più dimenticare.
Aveva detto che una simile donna non poteva essere madre –
una donna da una morale tanto distorta da tradire il marito in quella maniera.
Perché un bimbo ha bisogno di un padre e di una madre, e se
lei aveva così urgenza d’entrare nel letto di
qualcun altro che almeno fosse del sesso giusto.
Aveva quasi gridato che non poteva, non poteva essere così.
Era infinitamente sbagliato.
Aveva insinuato il dubbio che non fosse mai stata innamorata di Asuma.
Kurenai non aveva sentito neanche il dovere di risponderle, a quel
punto. Si era limitata a dire di avere abbastanza ragione e
maturità da poter fare quel che la mente e il cuore le
suggerivano.
Il piccolo Asuma non aveva avuto modo di sentire le parole terribili
della nonna, così preso a giocare con la nuova amica che
proprio non aveva altre attenzioni da distribuire. Hinata,
però, ben udì. In quella casa non si fece
più vedere.
Andava a trovare Asuma quando sapeva per certo che la signora Yuhi non
si trovasse in città, o quando Kurenai portava il figlio al
parco o a fare una passeggiata. Altri contatti non aveva col bimbo.
Ma la situazione era ancora di più degenerata quando, per un
motivo o per un altro, la signora Yuhi aveva scoperto il progetto
ultimo di Kurenai.
-Hanno telefonato…-
Kurenai si voltò a guardarla, aspettando il resto della
frase.
-Loro. Lui
e l’altro. Kaguya.
Mi hanno chiesto di te…-
La giovane donna stette un attimo in silenzio, cominciando a temere
seriamente la successiva parte del racconto. Lo poteva immaginare fin
troppo bene.
Ma la donna non continuò, lasciando intendere le proprie
azioni con un silenzio eloquente e un’occhiata raggelante.
In compenso, sputò acredine dalle labbra.
-È la cosa più vile e meschina che tu avessi mai
potuto fare, Kurenai!-
Ecco, appunto.
Kurenai riprese a fare quel che stava facendo prima, senza aggiungere
ulteriori commenti alla cosa. Avrebbe chiamato Kimimaro più
tardi, quando sarebbe stata sola e senza orecchie indiscrete a
registrare ogni sua singola parola.
Ma la donna persistette, senza lasciarle scampo.
-Come puoi fare una cosa del genere? Non pensi all’anima del
povero Asuma?-
La guardò un’ultima volta, cercando di reprimere
la voglia di darle una sberla – e un dolore allucinante per
essere costretta dall’orgoglio a dire una simile cattiveria.
-Asuma è morto. Non mi curo di quel che ora è
polvere!-
*******
Il piccolo Asuma beveva avidamente il suo succo di frutta alla pesca,
facendo dondolare le gambette sull’orlo della sedia.
Era felice, lo si poteva intuire dal sorriso aperto sul suo viso. Non
si sentiva spaesato neppure in mezzo a tanti sconosciuti, neppure in
quel bar del centro commerciale della città, così
grande e immenso, pieno di luci, colori e suoni nuovi.
Pareva piuttosto assai eccitato.
Hinata cercò di allontanargli il bicchiere dalla bocca,
temendo per qualche assurdo motivo che soffocasse per la
quantità di liquido ingerito tutt’assieme.
-Fai con calma! Nessuno ti corre dietro! Bevi tranquillo!-
Gli accarezzava i capelli neri, scompigliandoli e pettinandoli assieme.
Lui le sorrideva, continuando imperterrito in quel che stava facendo.
In questa sua testardaggine cocciuta, assomigliava fin troppo alla
madre.
La Hyuuga sorrise al pensiero, tenendogli fermo il bicchiere mezzo
vuoto per non farlo cadere.
Senza rendersene conto, si era trovata a provare più che
affetto verso quel bimbo dal viso paffuto. Forse per quel suo modo di
fare tanto intransigente e imperioso da scaldarle il cuore, forse per
il semplice pensiero che quello era il figlio di Kurenai –
forse, ancora, perché quello sguardo scuro le ricordava
troppo la sua donna.
Ponderò sulle sensazioni che la sua presenza le causava.
Inconsciamente, dentro il cuore pensava quanto bene potesse fare la sua
presenza all’interno delle loro vite.
Kimimaro Kaguya non dava l’aria di essere un uomo molto
paterno. Tutt’altro, aveva lo sguardo spento e
un’espressione in viso che sembrava voler esprimere quanta
indifferenza un essere umano potesse provare.
Era la prima volta che Hinata vedeva il padre effettivo del figlio di
Kurenai, e la prima occhiata non fu molto gradevole.
-Piacere, Hinata Hyuuga!-
Lui si limitò ad allungare la mano e a stringere la sua,
dopodichè si sedette al tavolino e si rivolse
all’altra donna.
-Fammi vedere le analisi che hai fatto…-
Kurenai gli rivolse un’espressione professionale, prendendo
dalla propria borsa la busta bianca.
Hinata, a quel punto, fu quasi obbligata a rivolgersi
all’altro uomo lì presente – un tizio
dalla corporatura robusta e dagli improbabili capelli arancione
– sorridendo mesta.
Lui, dopo averla guardata un attimo titubante, le porse a sua volta la
mano e si presentò.
-Mi chiamo Juugo…-
-Il sesso del bambino
non si sa quale sia, è ancora troppo presto per saperlo.
Quel che però è certo è che
è sano, completamente sano. Dovrebbe nascere a Novembre,
verso la metà del mese. Non vi pare fantastico?-
*******
Mi è stato
chiesto il perché io facessi tutto questo.
Perché crescessi un bimbo nel mio grembo per darlo a qualcun
altro.
Forse è stato il fatto che Kimimaro mi ha ricordato la
stessa desolazione in cui ero io prima della nascita di Asuma, prima di
scoprire la gioia di tenere una creatura tra le proprie braccia.
È egoistico – forse – chiedere di avere
qualcosa di piccolo e tenero da proteggere, coccolare e cullare. Forse
lo è, forse è puro e semplice istinto.
Ma la cosa che più mi renderebbe felice sarebbe vedere lei
con Asuma in braccio – come una mamma all’interno
della nostra famiglia.
Si amano, lo vedo nei loro occhi. Lo vedo nel riflesso dei loro sguardi.
Non voglio chiedere il permesso a nessuno per amarli a mia volta.
Sono miei, entrambi.
Apro gli occhi e vedo lui – il mio piccolo Asuma.
Apro gli occhi ancora e vedo lei, Hinata.
Li apro una terza volta e li vedo assieme, tra le mie braccia.
Sorridono entrambi.
Lui mi bacia la guancia, lei mi bacia la bocca.
Non c’è una sola ombra che ci oscura, non la
parvenza di qualche tristezza.
Dio, è così difficile vedere quello che vedo io?
(*)Eyes Open, Gossip
Note pre-risultati:
Kurenai viene definita “signora Sarutobi”, dal primo
capitolo in poi, in quanto moglie effettiva di Asuma Sarutobi. E questo
per differenziarla dalla signora Yuhi, ovvero sua madre, comparsa
all’interno della storia.
Se da una parte vorrei far vedere le difficoltà che una madre,
così come una figlia o una donna, può provare nel vivere
la sua omosessualità, dall’altra vorrei anche far vedere
la “normalità” di una famiglia omosessuale, che
niente – dal mio punto di vista – ha di diverso da una
qualsiasi altra famiglia. Per questo, le scene di Juugo e Kimimaro sono
decisamente meno tese e più tranquille rispetto a quelle di
Hinata e Kurenai.
Un’altra cosa. Non mi soffermo molto su alcuni dettagli, come
può esserlo la procedura di matrimonio tra Kimimaro e Juugo
semplicemente perché non è propriamente quello di cui
intendo parlare. Non è che mi sono dimenticata di descriverlo,
non l’ho fatto per scelta mia personale e stilistica.
Poi, per quanto questa fan fiction peccherà –
perché di sicuro sarà così – io mi sono
ritrovata, grazie a questo contest, ad amare un’altra coppia.
Indi, come dire, sono grata di avere avuto la possibilità di
scriverla. Mi ha aperto un piccolo, nuovo mondo *-*
Note post- risultati:
Questa fan fiction si è classificata PRIMA al contest
"Gossip e omosessualità", indetto da reki chan e Kei_Saiyu
sul forum di EFP - come immagino si capisca dal banner posto
lassù in alto, in bella vista XD
Che dire? Diciamo subito con il fattore sorpresa: non me l'aspettavo,
sinceramente XD Avevo il terrore di essere andata fuori traccia e di
aver trattato argomenti come questi in maniera non efficace. Cosa che,
a conti fatti, mi avrebbe abbastanza orripilato.
Poi, era la prima volta che trattavo personaggi e pair simili. Avevo
fatto un cambio, prima avevo coppie decisamente più abbordabili.
Diciamo che mi sono scavata la fossa da sola X°D però, come
ho già detto nelle altre note, in realtà sono felice sia
di aver conosciuto questi personaggi sia di esserne riuscita, in
qualche modo, a coglierne la psicologia.
E niente, in realtà sono davvero felice che, nonostante tutto,
io sia riuscita a esprimere quanto volessi e sia riuscita anche a
parlare di tutto ciò in maniera coerente ed efficace. Sì,
è per me un motivo di orgoglio <3
Spero che il primo capitolo della mia brevissima Long fic vi sia piaciuto *O*
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