Era
Ottobre, quel periodo dell'autunno che cominciava già a
rendere
l'Inghilterra un luogo desolato e cupo, che la copriva di nuvole
più
di quanto non lo fosse già a che portava via le foglie da
una parte
all'altra, intristendo i giardini già troppo abbandonati,
perché i
loro padroni non avevano più il tempo di prendersene cura,
dato che
erano troppo impegnati a pregare per i loro figli coinvolti in una
guerra che sembrava non finire più.
La pioggia picchiettava
contro i vetri della camera d'ospedale e Arthur sentiva le sue ossa
scricchiolare e provocargli un dolore atroce che nessun medico pareva
saper curare, sostenendo che quel dolore era soltanto nella sua testa
e non nel suo corpo. Eppure Arthur lo sentiva, sentiva la sua schiena
andare a fuoco e una sensazione di schiacciamento sulle gambe, che lo
faceva agitare nel letto (per quanto ci riuscisse) e restare con gli
occhi spalancati rivolti al soffitto e il sapore amaro della
frustrazione nella bocca. A volte piangeva come un bambino, a volte
pregava Dio affinché lo uccidesse nel sonno e ponesse fine a
tutta
quella sofferenza.
Aveva anche la vaga impressione che si stesse
rimpicciolendo, come se il mondo avesse giustamente deciso di non
aver più bisogno di lui e quindi che fosse necessario
soltanto
cancellarlo. Se ne accorgeva grazie alla camicia da notte
dell'ospedale, che diventava di giorno in giorno più larga.
Le sue
ossa erano sempre più piccole, malgrado fosse poco
più che
ventitreenne e avesse almeno altri trent'anni di vita davanti, come
aveva detto il medico, e la notizia lo aveva sconvolto,
perché non
aveva affatto voglia di passare altri trent'anni su una sedia a
rotelle.
Arthur Kirkland era stato un pilota fortunato, a detta di
molti, ma secondo la sua opinione era stato il più
disgraziato di
tutti. Il suo atterraggio di emergenza non l'aveva ucciso, come
spesso accadeva a tutti gli altri, nemmeno l'esplosione del suo
aereo, quando si era allontanato solo di pochi metri ci era riuscita.
Arthur era stato sbalzato in avanti, e forse per una fortuita serie
di coincidenze non era morto. La sua schiena però si era
rotta, e
Arthur era stato costretto a dover aprire gli occhi davanti a un
futuro di invalido, quando era ancora molto giovane.
Da quel
giorno in poi, la sua vita era stata completamente stravolta. Non
doveva più svegliarsi ogni mattina alle cinque, correre
verso gli
aerei e pregare di tornare a casa vivo o almeno intero. Arthur
passava tutta la mattina nel suo letto d'ospedale, finché
l'aiuto
infermiere non lo lavava e lo aiutava a mettersi seduto sulla sua
carrozzina. Era un destino triste e umiliante, e lui doveva cercare
affrontarlo a testa alta.
Le uniche volte in cui si sentiva
felice, in cui aveva la vaga impressione che valesse la pena di
continuare a lottare contro la morte, era quando l'aiuto infermiere,
un ragazzone che stava meglio su un campo di battaglia che in un
ospedale, lo portava fuori a fare una passeggiata. In quei momenti
Arthur cercava di ricordare la sua infanzia, le sue corse nella
tenuta che suo padre aveva in Texas e che gli aveva lasciato in
eredità, dimenticava il rimbombare delle esplosioni, il
frastuono
degli aerei e dei proiettili che tagliavano l'aria. La villa dei
Kirkland in Texas era un luogo fiorente che suo padre aveva usato per
farsi fortuna e ci era riuscito. Arthur la ricordava ancora
perfettamente, ricordava come quel luogo primitivo si fosse
trasformato in pochi anni in una delle terre più fertili,
lui e suo
fratello passavano giornate intere a girovagare in quei territori,
alla scoperta di luoghi nuovi.
In quel momento, mentre l'aria
umida gli faceva dolere le ossa e lui chiudeva gli occhi cercando di
non pensarci, qualcuno bussò alla porta e pensò
che fosse Alfred,
l'aiuto infermiere, che gli portava da mangiare. Gli era capitato
spesso di perdere la cognizione del tempo in ospedale, giorni in cui
era convinto che fosse Giovedì e invece andavano a dirgli
che era
Sabato, giorni che chiedeva di partecipare alla messa della Domenica
e invece gli riferivano che mancavano ancora quarantotto ore.
«Sei
già in piedi!», strillò Alfred,
entrando nella stanza con un
vassoio in mano.
Probabilmente non si era nemmeno reso conto di
quello che aveva detto, dato che “in piedi” era un
concetto un
po' troppo esagerato per Arthur.
Aspettò che si avvicinasse a
lui, senza spostare la sedia a rotelle dalla finestra. Alfred sapeva
come comportarsi, anche se spesso doveva avere a che fare con il suo
carattere burbero, che peggiorava con il passare del tempo e con
l'aumentare della sua depressione.
«Oggi non possiamo uscire a
fare una passeggiata, hai visto che tempo? Ho telefonato i miei
genitori, e dicono che lì c'era il sole. Arthur, dovresti
pensarci
seriamente, comunque.»
Arthur gli rivolse un'occhiataccia e poi
guardò di nuovo fuori dalla finestra, evitando di
rispondere. Alfred
gli aveva chiesto almeno un milione di volte di andare con lui in
America e lui aveva sempre rifiutato. Non voleva essere un peso per
nessuno, non voleva vivere come un povero invalido. Eppure sapeva
bene che non c'era altra soluzione, che nella tenuta dei Kirkland
vicino Houston non c'era posto per un malato in carrozzina che aveva
bisogno di cure infinite e di una veglia continua. Alfred
però non
si stancava mai di chiederglielo da quando era arrivato, almeno un
mese prima, in quell'ospedale.
Era una giovane leva volontaria,
arrivata in Inghilterra per poter pilotare un aereo e ammazzare
qualche tedesco, come aveva detto lui, ma che si ritrovava a dover
badare ad un malato dato che, a causa della sua vista, non aveva
avuto il brevetto. Alfred giurava ogni giorno che prima o poi si
sarebbe fatto militare e se ne sarebbe andato in Francia a
combattere, però era ancora lì, ad imboccarlo o a
leggere per lui
quando Arthur non aveva abbastanza forza per tenere un libro tra le
mani.
«Dicono che la guerra stia finendo, sai? Ovviamente il
merito è tutto nostro», disse Alfred, sedendosi
sul letto e tirando
verso di sé la sua sedia a rotelle.
«Non dire sciocchezze, lo
sbarco in Normandia non avrebbe avuto successo se oltre a quel branco
di idioti americani non ci fosse stato il supporto della nostra
aviazione.»
«Non è vero! Comunque senza di noi potevate
soltanto sognare di andare in Francia!»
Arthur borbottò qualcosa
di incomprensibile, probabilmente che Alfred aveva ragione,
accompagnando la sua frase con un paio di insulti che interessavano
lui quanto tutto il resto del suo esercito. L'aiuto infermiere
sorrise vittorioso, continuando a dargli da mangiare e notando che
l'appetito di Arthur era sempre di meno, nonostante spesso Alfred
preferisse farlo spostare da solo durante le loro passeggiate,
piuttosto che spingere la sua carrozzina, in modo che si stancasse a
avesse più fame.
Il suo rapporto con Arthur era piuttosto
controverso. Alfred sentiva di doverlo aiutare, in quanto eroe, ma
non appena entrava nella sua camera d'albergo veniva colto
dall'angoscia più totale. Vedeva il volto apatico di Arthur
che
guardava fuori dalla finestra, con la speranza che ci fosse il bel
tempo per poter uscire a fare una passeggiata, lo vedeva chino nella
sua carrozzina a fissarsi le gambe in silenzio, senza degnare lui di
un solo sguardo. A volte era più scontroso del solito, e
spesso il
suo caratteraccio coincideva con qualche temporale, e in quelle ore
Alfred poteva sentirlo gemere in silenzio per un dolore che la
morfina non riusciva ad alleviare.
«Guarda Alfred, ha smesso di
piovere!»
In quelle parole riuscì a cogliere l'atteggiamento di
un bambino, e poggiò il piatto sul vassoio per accertarsi
che
fossero vere.
Arthur si rifiutò di finire il suo pranzo, dicendo
che se perdeva tempo a mangiare magari il tempo si sarebbe rovinato
di nuovo e la loro passeggiata sarebbe andata a farsi benedire, e
promise che avrebbe finito dopo, una volta tornati.
Il cielo
era ancora nuvoloso, ma lungo la linea delle colline in lontananza
cominciava a schiarirsi. Londra intorno a loro era diventata una
città un po' tetra, nonostante fino a pochi anni prima fosse
una
delle più fiorenti di tutta l'Europa. Entrambi avevano
conosciuto la
Londra di un tempo, quella organizzata talmente bene da non dover
fare mai la fila, in cui le macchine dei ricchi sfilavano
ordinatamente tra le strade, la Londra splendente che aveva
cominciato ad avere peso dalla rivoluzione industriale e che aveva
finito per essere una delle città più importanti
del mondo in una
delle Nazioni più importanti del mondo. Dall'inizio della
guerra
Londra era cambiata completamente, e se prima questo cambiamento
poteva essere notato soltanto da un occhio esperto e abituato, ora
era praticamente impossibile non accorgersene.
Durante il primo
anno di guerra Londra era diventata la città in cui cercare
fortuna.
Le donne migravano dalla campagna assieme ai figli ancora piccoli,
perché non aveva più senso mantenere una famiglia
con la sola forza
della sua terra se i mariti erano a combattere, né loro
stesse ne
avevano la forza. I poveri avevano cominciato ad ammassarsi agli
angoli delle strade e a chiedere l'elemosina in silenzio e in
ginocchio, oppure a fare la fila per mangiare patate in umido e il
pane mezzo secco delle mense.
Arthur li aveva osservati uno per
uno da dentro la sua automobile nuova di zecca, mentre il suo autista
lo portava a casa, fino a che un giorno non gli aveva chiesto
gentilmente di fare un percorso alternativo, perché gli dava
fastidio dover guardare quello spettacolo. Alla fine non gli era
più
toccato vederlo, perché era partito per combattere, aveva
venduto
alcuni averi, come gioielli di famiglia e vecchi abiti a prezzi
miseri, e aveva usato i soldi guadagnati per pagare il viaggio di sua
madre e di suo fratello verso Houston, dicendogli che allontanarsi
dall'Europa fosse la soluzione migliore. I tedeschi però
cominciarono ad attaccare anche le navi dei civili, oltre a quelle da
guerra e ai sommergibili, il caso della nave Louisiana ne fu
l'esempio eclatante, e quindi la partenza si ritrovò ad
essere
annullata. Alla fine anche l'auto venne venduta, e l'autista
licenziato, Arthur pensò sempre che quello fu un errore
madornale,
perché con ogni probabilità ora quell'uomo era a
fare la fila alla
mensa come tutti gli altri miserabili senza lavoro.
Arthur aveva
spiegato a sua madre che a quel punto la soluzione migliore fosse
quella di lasciare Londra, perché tutte le industrie e tutti
gli
aeroporti della Raf erano un bersaglio facile e anche abbastanza
ambito dall'aviazione nemica. Comprarono una villa malmessa nello
Yorkshire e lei e Peter si trasferirono lì assieme a un paio
di
servitori che preferivano lavorare gratis piuttosto che restare in
quella città infernale. Infatti, così come Arthur
aveva previsto,
pochi mesi dopo cominciò.
La prima bomba colpì una fabbrica di
pentole, che al momento era stata adibita alla costruzione di pezzi
di ricambio per aerei e carri armati. Fu distrutta completamente e
non ne rimase che un vago ricordo. L'esplosione uccise circa
cinquanta dipendenti e ne ferì molti altri, ma fu soltanto
un
inizio. Gli attacchi si susseguirono per circa un mese e mezzo, fino
a fermarsi definitivamente per una settimana. A quel punto, il grosso
delle industrie e degli stabilimenti militarsi era stato raso al
suolo, e l'Inghilterra poteva considerarsi una Nazione militarmente
finita.
Fu il peggio a concedergli di risollevarsi. Quando i
bombardamenti su Londra cessarono, la gente cominciò a
uscire per
strada e a cercare qualcosa da mangiare, perché molti di
loro si
erano chiusi nelle cantine di corsa, senza immaginare di dover
procurare i viveri necessari per poter rimanere lì dentro
per così
tanto tempo.
Nel frattempo sua madre morì di febbre alta, senza
riuscire ad avere cure immediate perché il medico
più vicino si
trovava a chilometri di distanza, e Peter rimase nello Yorkshire,
nonostante avesse pregato Arthur di riportarlo a Londra. In cuor suo,
Arthur poteva immaginare cosa potesse provare un bambino
completamente solo, ma glielo impedì comunque, convinto che
tornare
in città sarebbe stato come mettere un piede nella tomba,
nonostante
la maggior parte della popolazione escludeva l'idea che i tedeschi
potessero tornare ad attaccare.
Nessuno infatti immaginò che,
durante la notte, la città potesse essere bombardata di
nuovo.
L'aviazione tedesca lasciò perdere industrie e stabilimenti
militari
e mirò ai quartieri dei civili. Fu un'azione tanto barbara
quanto
avventata e sbagliata. Arthur si trovava in Inghilterra in quel
periodo, dopo essere tornato vivo da una spedizione in Francia
assieme ad un pilota di Parigi che non aveva dove andare e che
preferiva morire per difendere la Nazione che più odiava al
mondo,
che era appunto l'Inghilterra, piuttosto che consegnarsi ai tedeschi
ormai insediati nella sua terra.
Si chiamava Francis, e Arthur
non parlò mai di lui con Alfred, sebbene Alfred lo avesse
sentito
nominare ogni tanto.
Lui e Francis, e tutti gli altri piloti
rimasti sull'isola, rischiarono la vita andando in contro agli aerei
tedeschi. Era il periodo che seguiva l'invenzione del radar, il che
permise loro di poter anticipare parecchie mosse e di avere la
meglio, perché mentre i tedeschi facevano strage di inglesi,
sorprendendoli e distruggendo le loro case e tutti gli altri edifici,
gli inglesi rimettevano insieme la Raf e si prepararono al
contrattacco. Durante la battaglia d'Inghilterra morirono
più civili
che soldati, ma contro ogni previsione fu vinta da una Nazione che
era stata apparentemente messa in ginocchio.
A quel punto si
diffuse anche la voce dell'olocausto, che fino a quel momento era
stato solo un eco lontano che non veniva menzionato più per
paura
che per disinformazione. Arthur ne sentì parlare per la
prima volta
grazie a Francis, che aveva conosciuto un prigioniero francese che
era riuscito ad uscir vivo da un campo di concentramento.
Praticamente, gli aveva detto, in Europa gli ebrei venivano stipati
in grandi treni merci o in vecchi camion, e più lo spazio
non
bastava, più i treni e i camion venivano riempiti. Se
qualcuno non
riusciva ad infilarsi tra la calca e a prepararsi a un viaggio di
giorni, veniva fucilato sul momento, perché ai tedeschi non
piaceva
il disordine. Il pilota francese aveva anche raccontato che loro,
prigionieri di guerra delle forze alleate, potevano ritenersi
fortunati, perché rispetto agli ebrei era come se vivessero
nel
lusso. Avevano meno ore di lavori forzati e pasti migliori e
più
abbondanti, vestiti pesanti per sopportare gli inverni polacchi o
austriaci, dipendeva da dove ti portavano. Inoltre i treni di ebrei
arrivavano ogni giorno, aveva detto Francis, ma il numero non
cambiava mai, quindi i tedeschi dovevano aver escogitato un modo per
ammazzarne tanti in una volta sola.
Quando finì di parlargliene,
Arthur aveva un colorito giallastro, e giurò a se stesso che
si
sarebbe sparato in testa prima di assistere a uno spettacolo del
genere. Dopo la battaglia tutto cambiò, gli ebrei non furono
più
una realtà così lontana e si cercò di
porre un freno alla follia
tedesca.
Dopo la battaglia, Londra era mezza distrutta e
irriconoscibile, ma nessuno se ne preoccupò,
perché il problema
principale fu quello di far cessare la guerra anche in Europa.
Il
risultato fu chiaro, il quartiere fantasma che c'era attorno a un
ospedale insediato in quella che prima era una grande chiesa, i resti
dilaniati degli edifici e le rovine che si stagliavano contro la luce
del sole. Nessuno si era preoccupato di ricostruire Londra, in
compenso però la Francia era stata liberata. Eppure Arthur
non aveva
mai più rivisto Francis.
Alfred notò il suo sguardo
malinconico e girò la carrozzina, spingendo Arthur verso
l'ospedale.
Stranamente, lui non protestò. Quel pomeriggio si era
completamente
rifiutato di muoversi da solo, dicendo di avere le braccia troppo
stanche e di volersi godere il paesaggio, per una buona volta, invece
di affannare dietro ad Alfred che camminava fischiettando. Ma Alfred
sapeva quale fosse il vero motivo, perché ricordava
chiaramente i
singhiozzi che sentiva attraverso la porta chiusa della camera di
Arthur ogni volta che pioveva e che lui si lamentava delle sue ossa
che facevano male, come se qualcuno stesse provando a
spezzargliele.
«Qualche volta devi spiegarmi tutta questa voglia
che hai di uscire», disse Alfred, mentre spingeva la sedia a
rotelle
attraverso il viale dell'ospedale, «qui in Inghilterra il
tempo fa
schifo! Non è come in America, lì potresti uscire
tutti i giorni,
perché piove molto meno.»
Arthur aveva le braccia appoggiate ai
braccioli della sedia a rotelle e muoveva la testa da un lato
all'altro, guardandosi intorno. La natura gli era piaciuta sin da
quando era un bambino, ricordava che nella loro tenuta c'era sempre
suo padre che non si faceva problemi a designare come capo temporaneo
uno dei mezzadri pur di prendere il suo bambino tra le braccia e
mostrargli i nuovi trionfi dell'agricoltura. Arthur a quei tempi era
un ragazzino viziato, che non si faceva problemi a storcere il naso
davanti ai lavoratori sporchi di terra o a allontanarsi di corsa
quando qualcuno entrava in casa loro scalzo perché voleva
parlare
con il padrone, né aveva mai voluto provare ad aiutare suo
padre nel
suo lavoro, dicendo che lui non era portato per queste cose,
semplicemente perché non aveva voglia di sporcarsi le mani.
La
stessa storia si era ripetuta di anno in anno, durante ogni singola
estate che lui passava a Houston, Arthur aveva sempre denigrato gli
uomini chini sui campi e le donne sfiancate dal loro lavoro di
tessitura della lana, e invece aveva ammirato suo padre, che
lentamente era diventato un padrone sempre più ricco.
Lui morì
da solo, in un letto d'ospedale, quando i tedeschi cominciarono ad
arrivare in Inghilterra via cielo e a far strage come solo loro erano
in grado di fare. Arthur non ebbe nemmeno il tempo di accusarne il
colpo perché fu chiamato a combattere. Gli eventi della
Seconda
Guerra Mondiale sembravano susseguirsi velocemente, e al tempo stesso
non passare mai. Arthur ricordava almeno una dozzina di battaglie in
cielo nelle quali aveva rischiato la vita e infine l'incidente che lo
aveva costretto per terra.
Non era ancora stato dimesso
dall'ospedale, perché spesso accusava qualche attacco di
depressione
che lui stesso si rifiutava di accettare, ma ormai era più
che certo
che tra circa un mese o poco più gli sarebbe toccato
andarsene. Ma
dove? Non poteva di certo prendere una nave e andare a Houston da
solo, sia perché la tenuta era mezza abbandonata e lui non
aveva la
forza di rimetterla in piedi, sia perché si rifiutava
categoricamente di dover dipendere da qualcuno. Spesso, durante le
sue veglie notturne, si era ritrovato a pensare che forse l'unica
soluzione era veramente quella di partire con Alfred e di accettare
il suo destino o, come aveva pensato un paio d'anni prima, quella di
sparsi un colpo alla testa. La seconda opzione sarebbe stata
fattibile se solo Arthur non fosse stato controllato ventiquattr'ore
su ventiquattro... E se solo avesse avuto una pistola, giustamente.
Quindi si ritrovò a scartarla e a riflettere sulla prima.
In
fondo Alfred gli proponeva di partire ogni giorno e sembrava
parecchio entusiasta all'idea di tenerlo con sé, anche se
Arthur non
aveva mai dimostrato di voler andare con lui.
«L'Inghilterra non
fa schifo», disse all'improvviso, rompendo il silenzio che si
era
creato tra loro, «E in America ci sono stato, ho una bella
tenuta in
Texas.»
«Veramente?!», domandò Alfred dietro di
lui, «E
perché non me lo hai detto prima?!»
Arthur si limitò a
scrollare le spalle e non rispose.
«Potresti andare a vivere lì,
sai? E io potrei aiutarti, sono sicuro che con un eroe come me al tuo
fianco non avrai nessun problema! Posso portarti fuori ogni volta che
vuoi, senza che il cattivo tempo ce lo impedisca, e posso darti una
mano in tutto, come faccio qui!»
Non aveva mai pensato a
quell'opzione, quella di portare Alfred con sé, come una
specie di
cane, di grosso e rumoroso cane da guardia, invece che partire con
lui. L'idea non era poi così male, in fondo lui avrebbe
ospitato
Alfred in una villa magnifica e Alfred avrebbe ricambiato il favore
accudendolo.
Arthur rimase ancora il silenzio, godendosi i pochi
raggi dell'ultimo sole di Ottobre sulla pelle.
Lo
spunto iniziale per questa FanFiction è ripreso dal libro
“Il
diario di mia madre” di Penny Jordan. La trama d'ora in poi
però
si differenzierà molto, anche perché la storia
non mi era piaciuta
moltissimo (^^;;;) e perché comunque mi sono resa conto che
il ruolo
dei due protagonisti somigliasse a quelli della Jordan solo dopo aver
scritto. D:
Anyway, ho da preparare già un appello di anatomia
umana (io che volevo fare lettere classiche), se mi volete bene
recensite e auguratemi in bocca al lupo. Ewe
Alla prossima <3
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