Il porto di Londra, gelido nella sua
tormentata solitudine
di mezzanotte, sibila nel vento. Ogni folata s’infiltra fra
il legno scricchiolante,
fra i barili accasciati nell’ombra. Io, bambina, canto una
sorda nenia nei
pressi della nebbiosa luce di un lampione. Io, finché
qualcuno ne porterà
memoria, ancora me stessa, fantasma degli anni.
La porta della baracca sul porto
s’apre, e una donna
m’invita ad entrare. Le mie ballerine non fanno suono
sull’impiantito: è strano
sapere che nessuno saprà mai del mio passaggio.
Spazzerà via domattina, il
mozzo, queste mie lacrime amare?
«Ann, sai cosa sono i
ricordi?» M’accoglie nell’astruso
rifugio.
Fuoco.
Fiamme nel
camino. Fuoco caldo che non riscalda, fuoco ardente che non brucia.
È ghiaccio
oltre i mattoni cotti delle pareti. Sono lunghe stalattiti che pendono
dal
soffitto, sfiorano le teste lasciando scivolare gocce d’acqua
pura, il
risveglio di un’armonia d’argento.
«Sono ciò che mi
tengono in vita.»
«È vero,
sì. Niente ricordi, niente Ann.»
La
dama bianca indossa
abiti leggeri, veli che coprono il suo pallido corpo, ricamati con
fiori di
giglio. Sul polso, ha legata una benda rossa e umida. Mi ha richiamato
dalla
mia dimora di assenze e rinunce, siamo ospiti entrambe del tempo
fugace. Ha
promesso che mi racconterà una storia.
«Però non sono
solo questo. Dimmi, Ann, cos’altro sono i
ricordi?» I suoi occhi sono immobili, di un azzurro polare e
cieco.
«Sono… non
sono…»
Il
rollare della
barca, la tempesta. La pioggia che s’abbatte continua sul mio
volto, quasi mi
ferisce. La odio. Odio mio padre, che mi ha gettato in mare per poi
riprendere
la via del Tamigi. L’aria che diventa solo un sogno, il sale
che mi brucia i
polmoni e che è incubo insano. Le ventole del motore
incredibilmente vicine,
ruotano, ruotano, come un girasole macchiato di rosso, è la
cromoterapia
dell’inferno. I miei capelli corvini s’impigliano
fra i petali cremisi, la mia
mano li carezza. Ma la mia mano va oltre, troppo lontana per essere
ancora la
mia, e io che la inseguo, che mi frammento come uno specchio pugnalato
da una
regina gelosa.
«Giusto.»
Sorride, riportandomi al presente. È inquietante.
«I ricordi… sono e non sono. Sono fogli rinchiusi
nelle pareti dell’oblio,
magici, deturpati dal tempo e da chi sfrutta i loro poteri. Non hanno
ali, strisciano
nel fango della nostra memoria.
«C’è
una vergine senz’occhi e bendata da nastri di seta
imbevuti nel sangue, che spesso li afferra e ghermisce; non sazia, li
strappa
dal loro languire nei bizzarri recessi delle loro stanze oblunghe,
lascia
affiorare i più antichi da quella che è una vasca
piena di un liquido che
contrasta la pur lenta decomposizione, affoga quelli più
brillanti di un
passato recente e lieto. Strattona i reduci dal buio, rompe i legami di
una
carcere forzata. Il suo è il sorteggio nelle mani stordite
del male e del caso
infausto.»
«Voglio ucciderla. Se
è lei che mi fa così male… la voglio
morta.» Se è lei che riprende lo spasimo della
fustigazione e me lo imprime
nell’iride spenta, allora la riporterei in quel mare per
trucidarla io stessa.
Tacqui quest’ultimo pensiero.
«Non puoi, Ann. Anche se
tutti vorreste rinchiudere la
vergine dei ricordi… nessuno può. Rivive in ogni
volto conosciuto, è il foglio,
carta scritta dalle menti, è sciocco e futile fior di giglio
di un’odiata
realtà.»
Fa
male sapere di
essere legata a un filo così sottile. Fa male essere
impotente, così
dannatamente in preda al destino. Fa male sapere di non poter
più esistere.
«Maledetta» urlo.
Lei
ride, e la sua
bocca d’infame s’apre in un oscuro abisso, quindi
ingoia anche l’ultimo
brandello di me.
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