That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Storm in Heaven - III.008
- Cuor di Coniglio
Orion Black
Herrengton Hill, Highlands - 21/22 dicembre 1971
Il maniero di Herrengton era un pullulare di Maghi e Streghe operose:
solo pochissime famiglie, per lo più quelle con i figli
piccoli, decisero di seguire l'esempio del Ministro e andarsene,
aiutate dai Warrington che, presidiando i Camini, permettevano di
prendere in sicurezza la via di casa e controllavano che nessuno
approfittasse della confusione per fuggire con un ostaggio. La maggior
parte degli altri invitati si rese utile, le Streghe stringendosi
attorno a Deidra per farle coraggio e cercare di prestare le prime cure
ad Alshain, gli uomini prendendo parte alle ricerche, guidati dagli
Aurors, che non vedevano l'ora di ficcare il naso in giro, e dai Maghi
del Nord, ormai consapevoli di dover cercare anche Rigel: le altre
squadre di ricerca si dispersero un po' ovunque, soprattutto
nell'immenso giardino in cui si era tenuta la festa e nel dedalo di
corridoi che portavano ai sotterranei, senza tenere in alcuna
considerazione le indicazioni di mio figlio. Noi quattro, al contrario,
ci lasciammo condurre da Sirius direttamente alla porta che dava sul
giardino posteriore: ci aveva detto di aver ammirato i fuochi con
Meissa dalla terrazza aperta sul mare, che da lì avevano
intravisto due persone che duellavano sulla torre più alta e
a quel punto erano tornati indietro, non dal percorso appena fatto, ma
attraverso i corridoi interni che collegavano le torri, glieli aveva
mostrati Rigel durante l'estate. Fear ci convinse che era meglio
dividerci e controllare i due percorsi separatamente, per non perdere
tempo e rilevare le tracce prima che si cancellassero: Kelly doveva
esaminare con lui il giardino, nell'eventualità che il
rapitore avesse preso Meissa nei corridoi e fosse fuggito nella
direzione opposta a quella di Sirius, Emerson, mio figlio ed io
dovevamo rifare il tragitto di ritorno, alla ricerca di vie di fuga
alternative, per poi incontrarci nel luogo del rapimento. Emerson non
sembrava molto convinto del piano o per lo meno della divisione dei
compiti, si capiva che voleva andare con Kelly, forse
riteneva il freddo dei giardini meno pericoloso del buio dei corridoi;
io, disgustato da tanta vigliaccheria che si tramutava in
un'inopportuna perdita di tempo, mi avviai di corsa con mio figlio
senza attenderlo, tanto che fummo raggiunti dal Corvonero,
probabilmente costretto dal vecchio con le minacce, solo dopo un bel
pezzo. Esplorammo con cura tutti gli accessi che si aprivano
via via lungo il percorso, senza scorgere segni di Magia o di un
recente passaggio, finché Sirius, cautamente, mi fece cenno
che eravamo prossimi al punto in cui aveva visto del sangue sul
pavimento, ed io, con ancora più attenzione, controllai
l'intorno, senza però trovare tracce di alcun genere,
né a terra né altrove. Lo guardai
perplesso: se non si fosse trattato di Meissa, se non avessi saputo
quanto ci teneva a lei, avrei pensato a uno dei soliti stupidi scherzi
di mio figlio, fin da piccolo, infatti, nonostante la
severità mia e di sua madre, quel furfante ne aveva
combinate di cotte e di crude, soprattutto ai danni di Regulus, ed era
quello il sospetto che mi sembrava di scorgere anche negli occhi
esasperati di Emerson, che pure non lo conosceva. Al contrario, io non
riuscivo a considerarlo responsabile né di un dispetto fatto
a Meissa, né di uno scherzo rivolto a noi, a conferma della
sua sincerità, anzi, sentivo qualcosa
d’inquietante e oscuro tra quelle pareti, che mi faceva
gelare il sangue: c'era il Male attorno a noi, ne sentivo l'odore, ne
sentivo il respiro, come quando, poco più che bambino, in un
bagno di Hogwarts... Deglutii a stento, scacciai certi penosi
ricordi dal mio cervello e mi concentrai: dovevo trovare Meissa, non
dovevo cedere alla paura e allo sconforto, dovevo resistere per Deidra
e per Alshain, perché lui era ancora con me, con tutti noi,
doveva ancora rompermi le scatole a lungo con i suoi discorsi assurdi,
i suoi piani sconclusionati, le sue lezioni di vita, dovevo ancora
sopportare i suoi insulti, la sua sincerità molesta, quel
suo modo spesso grossolano ed esagerato di scherzare. Ad ogni
passo, cercavo di convincermi che l'indomani, alla fine di
quell'orrendo incubo, ci saremmo ritrovati tutti insieme a ridere di
fronte a un caminetto acceso, una Gillywater e un Firewhisky in mano,
com’era sempre stato, perché non poteva essere
altrimenti, perché quello appena trascorso era stato un
giorno di festa, un giorno dedicato all'amore, all'amore
vero. Cercavo di illudermi che Sirius si fosse sbagliato, che
al buio si fossero entrambi smarriti e non si fossero più
ritrovati; quanto alla spilla, magari Meissa l'aveva solo persa
correndo.
E Meissa, allora, che fine ha fatto? E quel sangue?
Magari il sangue non è di Meissa... Magari mio figlio si
è punto con la spilla, senza nemmeno accorgersene... Magari Meissa è
caduta, si è ferita, si è slogata o rotta una
caviglia e non può muoversi, magari è svenuta dal
dolore, per questo non chiede aiuto...
Sì, era così, doveva essere
così: sicuramente ci stavamo preoccupando tutti per niente,
Sirius si era sbagliato, non c'era nessuno sulla torre, e Rigel si era
nascosto da qualche parte con una ragazzina, infondo era il degno
figlio di suo padre! Quanto ad Alshain, nessuno l'aveva avvelenato, era
solo svenuto, era stato un collasso, sì, dopo tutta la
tensione e la fatica di quegli ultimi giorni… non poteva
essere altrimenti, per quanto si ritenesse invincibile, era un essere
umano anche lui, non era un dio e stavolta aveva
esagerato! Sì, era stato solo uno stupido collasso
ed io, l'indomani, gli avrei dovuto rifondere il prezzo del Bezoar,
sopportando pure tutta la sua immancabile derisione, per essermi
spaventato a morte.
Bastardo di uno scozzese!
Me lo vedevo già, con quel sorrisetto sornione e irridente
sotto i baffi curati, gli occhi luminosi e canzonatori, gli stessi di
quando eravamo solo due ragazzini piantagrane e trafugavamo dagli
schedari della scuola le note su di noi, dando alle fiamme tutto il
resto. Sì, mi conosceva, lo sapeva che pur di non
perdere la sua amicizia, pur di vederlo in piedi e farmi rompermi le
scatole da lui come sempre, avrei dato quanto di più
prezioso possedessi. Esclusi i miei figli, s'intende!
Sei patetico, Orion! Cerchi solo di illuderti e infonderti coraggio!
Sono solo stupide fantasie, inutili tentativi di sfuggire alla
realtà!
Sì, solo fantasie, solo stupidi sogni: avevo toccato anch'io
la spilla e la rosa che Sirius ci aveva riportato indietro, avevo visto
con i miei occhi il sangue, era ancora vivo e caldo. Non era
di Sirius quel sangue: anche se non lo davo a vedere, me ne accorgevo
sempre se mio figlio era ferito o malato, e in quel momento lui non
aveva addosso nemmeno un graffio. Perciò era
inutile fingere: la mia non era una paura irrazionale, sentivo
veramente, tutto attorno a me, il gelido respiro di morte che conoscevo
già, non l'avevo dimenticato mai, avevo imparato fin da
ragazzino a temerlo, a mettere in conto che dovevo essere pronto a
tutto, a cedere tutto, a vendermi tutto, anche l'anima, pur di non
farmi prendere e portare via. E questo significava anche che
avevo commesso un errore, sì, un terribile errore: Sirius ed
io non potevamo restare in quel luogo oscuro, non potevamo e non
dovevamo restare, nessuno dei due. Dovevo riportarlo indietro, dovevamo
ritornare a casa, al sicuro! In fondo non erano nemmeno affari
nostri: era colpa di Alshain, sì, era colpa sua, io avevo
fatto già tutto il possibile, glielo avevo ripetuto mille
volte che stava tirando troppo la corda, che era un errore invitare
quel dannato Ministro! E lui? Mi aveva forse dato ascolto? Che
cos'altro avrei potuto fare, ormai? Quale vantaggio potevamo
riceverne ora, sia io sia lui, se mi fossi lasciato coinvolgere? Non
aveva senso correre un rischio simile, assurdo e mortale, trascinando
fin lì mio figlio! Dovevamo tornare a casa,
perché se quel respiro era penetrato così in
profondità tra quelle mura, nonostante la protezione di
Habarcat, non c'era più niente da fare per Alshain e per i
suoi!
“Era qui, ho trovato qui la
spilla e la rosa! Esattamente qui!”
“Non c'è nulla qui,
lo vedi da te! Ti stai sbagliando, ragazzo, al buio questi corridoi
sembrano tutti uguali: eri spaventato, eravate spaventati, vi sarete
sicuramente persi, e... ”
“No, era qui vi dico! Era qui!
Non posso sbagliarmi, ricordo benissimo quella colonna!”
“Ha ragione, il ragazzo non
mente e non si sbaglia! Guardate!”
Il battibecco tra Emerson e mio figlio mi ridestò dai miei
fantasmi, stavo già per ribattere che era inutile restare,
che dovevamo andarcene, quando improvvise, dall'oscurità
davanti a noi, emersero la voce e la luce azzurrina scaturita dalla
bacchetta di Fear: sentendoci arrivare, aveva lasciato a Kelly il
compito di perlustrare l'ultimo tratto di corridoio, poco lontano, per
raggiungerci, ma alla fine si era fermato, preoccupato, per analizzare
lo stipite di una porta. Sirius mi fissò con occhi
angosciati, carichi di domande, poi di corsa si avvicinò al
vecchio, io sentii il gelo prendermi il cuore e strizzarlo quasi a
morire: lo seguii riluttante, vidi una traccia di sangue sullo stipite
della porta, le impronte di almeno tre dita, dita adulte, forse
maschili, non le impronte piccole e delicate di una bambina, poste
inoltre troppo in alto per essere di Meissa. Mi sentii girare la testa
e cedere le gambe, al pensiero di cosa significasse: tutti gli orrori,
finora solo immaginati, diventarono di colpo reali e possibili, avevo
ormai la certezza che qualcuno l'aveva attesa lì in agguato,
l'aveva colta di sorpresa, le aveva fatto del male e l'aveva portata
via. Lei era veramente in pericolo: sì, lei, la
figlia dei miei migliori amici, quella che avevo visto nascere e
crescere, quella su cui riversavo da sempre le attenzioni e l'affetto
che mi ero imposto di non dimostrare mai ai miei figli, per punirmi
degli errori commessi. Lei, che timidamente sognavo di poter
accogliere con gioia, un giorno, nella mia famiglia, legata al mio
sangue per amore, non solo per convenienza, era in balia di un
vigliacco criminale. Ed io... io stesso ero un mostro,
sì, ero un mostro perché avrei voluto dare
ascolto alla voce che mi suggeriva di fuggire, contribuendo
così, in prima persona, al tradimento e allo scempio.
Che cosa mi è preso? Dove ho
il cuore e il sangue?
Vidi gli occhi di Deidra stampati sul volto della bambina, la risata di
Alshain, su quel musetto impertinente. No, non potevo farlo, Sirius
doveva andarsene, certo, ma io... io non potevo. Non potevo permettere
che le accadesse qualcosa di male... mai... a costo pure di...
“E il sangue a terra? Il
ragazzo ha parlato di sangue, per terra non c'è! Io non
capisco... ”
“Forse il sangue non era
molto, Kenneth, e quel poco è già stato assorbito
dalla porosità della pietra, questo potrebbe significare che
la bambina non si è ferita gravemente e... ”
Ascoltavo assorto la discussione dei due Maghi del Nord, concitata,
serrata, confusa, io mi avvicinai, sollevai cauto la bacchetta,
raccolsi un po' di sangue dal legno: era già secco, era
già passato troppo tempo da quando si erano allontanati, non
potevamo indugiare, dovevamo trovarli. E Sirius... non poteva
restare lì con noi.
“Qui qualcosa non torna, Fear.
Sulla rosa c'era molto più di “un
po’” di sangue, ha ragione Emerson, a terra
dovrebbe essercene rimasta traccia, quindi o chi l’ha presa
non è stato accorto a pulire dappertutto con la Magia, o
siamo di fronte a una messinscena. Forse Meissa non si è
ferita qui, ma qualcuno vuole che seguiamo una falsa pista, per avere
il tempo di nascondersi e fuggire, portandosela via, oppure vuole che
varchiamo questa porta perché ci ha preparato un
trabocchetto.”
“Io non ci credo, Black! Non
può essere stata rapita! Andiamo! Persino i bambini sanno
che non ci si può materializzare e smaterializzare da
Herrengton a piacimento, e di certo Deidra non concederà il
permesso ora che... e un rapitore non cerca di passare per i camini con
l'ostaggio!”
“Black invece ha ragione,
Kenneth: tutti voi partite dall'ipotesi che l'abbiano presa per
portarla via. E se invece le volessero solo fare del male? Dobbiamo
muoverci e trovarla... Fear?”
Kelly ci aveva finalmente raggiunto, confermandoci che, dalla terrazza
al punto di ritrovo, non c'erano tracce distinguibili, ma solo residui
confusi di Magia recente, e questo, insieme alle sue ipotesi sulle
reali intenzioni del rapitore, fecero piombare Emerson, Sirius e me
nell'angoscia: il nostro nemico aveva fatto un lavoro perfetto,
depistandoci e nascondendoci la sua vera direzione e ora anch'io
dubitavo dei suoi veri intenti. Guardammo tutti Fear: raggelai
scorgendo la sua espressione seria e allarmata, non mi era mai capitato
di vederlo così, scosso, preoccupato, lui che, arrogante,
rideva sempre in faccia al destino, sicuro di essere più
forte e invincibile della Morte stessa. Sperai che Sirius non
avesse compreso fino in fondo di cosa stesse parlando Donovan, io
stesso rabbrividivo, comprendendo che qualcuno poteva aver preso i
figli di Alshain per ucciderli, non per rapirli e chiedere un riscatto,
come avevo immaginato dall'inizio: sapevo che non sarebbe stata la
prima volta che gli uomini di Milord arrivavano a colpire brutalmente
le famiglie degli avversari per piegarli, eppure io... io ero
annichilito, sconvolto, confuso, terrorizzato...
“WINGARDIUM LEVIOSA!”
Il vecchio, cercando di riprendere un minimo di controllo su se stesso
e far ordine tra tante ipotesi, fece levitare di là della
porta un vaso di ceramica che abbelliva il corridoio, dopo pochi metri
lo sentimmo esplodere in mille frammenti, vittima di un trabocchetto
destinato a noi.
“FLAGRAMUS!”
Fear segnò con una potente croce di fuoco la porta che
indicava una direzione fasulla poi, mentre noi quattro eravamo ancora
tutti assorti, spaventati e prossimi alla disperazione, si
allontanò per marchiare anche le altre porte e i bivi
più prossimi in cui non sentiva tracce di Magia, infine ci
spiegò il suo piano, ripetendo più volte
l'espressione “bisogna fare in fretta”.
“Black, tu e tuo figlio
tornate indietro, avvertite Crouch che abbiamo bisogno di tutti i suoi
uomini qui, a te darà ascolto, non sei dei nostri. Donovan,
tu finisci di controllare qui attorno; Kenneth, vieni con me al
braciere: se questo è un attacco, come temeva Alshain, e
come credo anch’io, per fuggire o per entrare, devono
impedire all'Elfo di tenere acceso il fuoco.”
“Posso rimane io a cercare qui
intorno, Fear, sono bravo con le tracce, mentre Donovan può
venire con te al braciere, è di sicuro più abile
di me nei duelli... ”
Rivolsi a Emerson un'occhiataccia disgustata: con la sua vigliaccheria,
di nuovo, ci faceva perdere tempo prezioso, mi chiesi come facesse
Alshain a fidarsi di un codardo simile e spingere perché
guidasse lui la Confraternita, al proprio posto; l'espressione di Fear
non fu meno scandalizzata della mia, quanto a Kelly, dimostrandosi
responsabile e razionale, confermò che in passato aveva
avuto più occasioni di Emerson di combattere, pertanto si
disse pronto a sostituirlo. Stavo guardando con gratitudine
quel gigante dall'aspetto burbero che ancora conoscevo poco, quando mi
sentii tirare per la manica da mio figlio, infuriato: dovevo aspettarmi
una reazione simile da parte sua, e vista la mia abituale tendenza a
contraddirlo, anche lui doveva aspettarsi la mia, sperai solo che quel
nuovo fronte di polemiche non ci rubasse altro tempo.
“Alshain ha dato un compito
anche a me, padre! Io non torno a casa, finché non ci torna
anche Meissa! Potrebbe avere bisogno di noi, potremmo essere la sua
unica salvezza!”
“E di che aiuto le saresti se
fossi rapito a tua volta? Tu torni a casa senza discutere, Sirius, e
non credere di poter fare scherzi! I tuoi capricci possono solo
rallentarci e di tempo Meissa potrebbe averne poco! Hai già
fatto il tuo dovere portandoci qui, te ne siamo grati, ora lascia fare
a noi!”
Capì subito, dalla mia espressione, che non era il momento
di contrattare, e probabilmente il timore che col suo comportamento
potesse mettere ancora più a rischio Meissa, lo fece
desistere dall'opporsi ancora, ma lo vidi depresso e mortificato, molto
di più del solito, allora, pensando a cosa avrebbe fatto
Alshain, cercai di affiancare al rimprovero un segno reale di
gratitudine, perché aveva davvero fatto molto di
più di quanto si potesse chiedere a un ragazzino:
così, usai il tono meno duro di cui fossi capace e indugiai
con la mano sulla sua spalla, in una specie di
carezza. Guardavo mio figlio, sentivo il suo calore sotto le
dita, il suo respiro teso e accelerato e iniziavo a capire fin troppe
cose: il Cappello pulcioso di Godric non aveva sbagliato con lui, quel
ragazzino, che tanto mi assomigliava nel fisico, il cui sangue
doppiamente Black era persino più puro e perfetto del mio,
era diverso da me nell'anima, nell'ardore che custodiva nel
cuore. Mi era stato insegnato a giudicare quel coraggio un
risibile segno di debolezza, d’inferiorità, di
stupidità, eppure ora, vedendolo davanti ai miei occhi, non
mi sembrava più qualcosa di vergognoso e immondo come diceva
mio padre, come avevo sempre creduto, persino i macchinosi discorsi di
Alshain sul colore del cravattino ora sembravano quasi legittimi e
degni di rispetto. No, coraggio non era sempre sinonimo di
stupidità, mio figlio era tutt'altro che stupido, ero io la
nullità di fronte a lui, perché non avrei mai
avuto la sua stessa forza, quella necessaria a dirgli quanto in
realtà fossi orgoglioso di lui; ero io lo stupido,
perché mi ero condannato da solo, nascondendomi persino a me
stesso, illudendomi di agire così per il bene e la salvezza
di tutti, spinto invece solo dalla mia codardia e dall'orgoglio.
Forse,
però, oggi… almeno per oggi, Orion...
“Emerson gode di maggiore
credito presso Crouch, tornerà indietro lui per avvisare e
scorterà mio figlio da sua madre; Donovan ha già
perlustrato la zona, sa già dove approfondire le ricerche,
non perderà tempo ripassando negli stessi punti; posso
venire io al braciere con te, Fear, è lì che
troveremo i problemi: sono un Serpeverde, se fosse necessario agire,
non avrei scrupoli!”
“Molto generoso, Black, ma non
credo tu ti renda conto di quello che dici: potrebbe esserci davvero
qualcuno laggiù, potrebbero essere molti e molto cattivi! A
me serve qualcuno di cui possa fidarmi, qualcuno che al dunque non
scapperà via per salvarsi la pelle. Tu ne saresti
capace?”
Repressi la voglia di Schiantarlo, lo odiavo da sempre, per quel suo
atteggiamento irridente nei miei confronti, ma annuii sicuro, mi sarei
vendicato in seguito, in un momento più adatto: tutti
dicevano che non ero un campione di coraggio, infondo era vero, inoltre
sapevo da me che era rischioso, ma la vita dei figli di Alshain
dipendeva dalla riuscita della missione e probabilmente avevo
più motivazioni io di tutti loro messi insieme, avrei tratto
da questo il coraggio necessario.
“Allora sta bene,
distribuiremo così i compiti; quanto a te, ragazzo, non
volermene, per prima, avrei maltrattato chiunque, Meissa è
troppo importante per la Confraternita, al momento giusto, la mia
gratitudine ti ripagherà dell'offesa subita... Ora,
muovetevi... Black, seguimi... ”
Lanciai un'occhiata minacciosa a Emerson per ricordargli che avrebbe
subito il mio furore e la mia vendetta se si fosse fatto sfuggire mio
figlio in quel dedalo di buio e minacce nascoste, e continuai a
fissarlo finché non scomparve nei corridoi con Sirius, poi
ci dividemmo anche da Kelly, allontanandoci per direzioni opposte,
sparendo nell'oscurità rischiarata dalle croci del
Flagramus. Fear non si meravigliò più di
tanto della sicurezza con cui lo anticipavo e gli facevo strada,
c’eravamo conosciuti lì, in quel maniero, in
un'estate di quasi trenta anni prima, e ci eravamo scontrati fin da
subito, lui, il temibile e arcigno Maestro di Arti Proibite, io,
inglese viziato e senza doti particolari, migliore amico e compagno di
baldoria del giovane secondogenito di casa
Sherton. Conoscevamo entrambi molto bene, per motivi diversi,
quella parte del castello, sapevamo entrambi che lì c'era
l'accesso al deposito delle derrate, collegato attraverso un dedalo di
cunicoli alle cucine e per vie traverse alla base della torre
principale, quella che custodiva gli alloggi della famiglia Sherton:
durante il mio primo soggiorno a Herrengton, più volte con
Alshain eravamo scivolati via dalle nostre stanze, in piena notte, per
rubare cibo e tabacco dalle scorte. Era la via più
breve e nascosta per raggiungere la torre e il braciere, e
benché non riuscissi a capire come facesse a conoscerla - o
meglio, avevo dei sospetti, ma mi ostinavo a non voler credere al
tradimento di Mirzam -, ero convinto che anche il Mangiamorte l'avesse
usata per dileguarsi. Perché in quella sporca
faccenda potevano entrarci solo i Mangiamorte. E
perché, come Fear, anch'io credevo che fosse diretto
laggiù: solo dal cortile era possibile abbattere la barriera
che proteggeva Herrengton, per poi fuggire, o unirsi agli altri e
attaccare.
***
Rodolphus Lestrange
Herrengton Hill, Highlands - 21/22 dicembre 1971
Bruciava il Marchio Nero sul mio braccio, bruciava la mia carne, come
fossi all'inferno. Mi fermai su uno dei pianerottoli che si aprivano
lungo la ripida scalinata della torre, nel punto che dava su un piccolo
terrazzino, depositai il “fardello” a terra, per
poi uscire a controllare di nuovo il cielo: socchiusi gli occhi, il
vento mosse furioso il mio mantello e mi scompigliò i
capelli, respirai a pieni polmoni l'aria salmastra, nera figura che si
stagliava sullo sfondo cupo della notte. Osservai spazientito le scie
luminose che ancora solcavano rosse il cielo sopra la foresta.
Perché non erano ancora entrati? Perché non era
ancora possibile smaterializzarsi dalle Terre? Secondo il piano, con
Mirzam che se n'era andato già da un pezzo, in tutto il
castello in quel momento dovevano ormai sentirsi solo boati e urla di
terrore, passi affrettati dei Mangiamorte per i corridoi oscuri, le
maledizioni, gli scontri, i pianti e i lamenti, avevo persino
immaginato che l'attacco fosse già iniziato, quando avevo
visto i duellanti sulla torre.
Che cosa è andato storto?
Io stesso non dovevo più trovarmi lì, dovevo
già essere a Little Hangleton, di fronte all'Oscuro Signore,
per offrirgli il più prezioso dei doni: Lui mi stava
chiamando, impaziente, iroso per il mio ritardo, ma io non riuscivo a
raggiungerlo, non avevo modo di raggiungerlo. Un atroce sospetto mi
colse ma lo scacciai subito: no, non poteva essere colpa
mia. Avevo lasciato fuggire il ragazzino, vero, ma non poteva
essere stato Sirius Black a mandare a monte il piano: quando avevo
catturato Meissa, i miei compagni dovevano già essere dentro
Herrengton, qualcuno perciò doveva aver commesso un errore,
prima, giù al braciere. Che cosa potevo
fare? Se non fossi riuscito a rapire la ragazzina, potevo
salvare comunque la missione? Riflettei: non potevo tornare da
Milord a mani vuote, perché se il piano fosse saltato, non
si sarebbe presentata più la possibilità di
avvicinarci a Meissa, gli Sherton l'avrebbero difesa come tigri e
Milord non avrebbe avuto pietà per me, considerandomi
responsabile di una catastrofe simile. No, dovevo fare
qualcosa, dovevo portare a Milord tutto quanto potesse essergli utile,
al limite dovevo prendere l'anello, obliviare la ragazzina e
abbandonarla lì, da qualche parte, per poi mischiarmi di
nuovo tra gli ospiti, raggiungere mia moglie e partire con lei, come se
nulla fosse. Era l'unica possibilità, a quel punto:
rinunciare al rapimento, prendere l'anello e fuggire; se invece la
situazione fosse cambiata, se, mentre curavo quegli aspetti essenziali,
fosse stato possibile smaterializzarsi, avrei proseguito con il
progetto originale, portando anche la bambina via con me.
Benché la soluzione fosse ragionevole, non riuscii a
trattenermi e diedi un calcio, iroso, a un vaso che stava
lì, presso la porta del terrazzino: quella notte avremmo
dovuto trionfare e invece... Ancora una volta c'era il rischio
di doversi accontentare di un progetto riuscito solo in parte. Avevamo
voluto strafare, era questa la verità; il piano,
già difficile e ambizioso, prelevare la bambina per ottenere
l'anello, approfittando della confusione della festa, si era arricchito
e complicato quando i Rookwood ci avevano assicurato l'inaspettata
presenza di Longbottom al matrimonio, così avevamo deciso di
portare avanti tre azioni distinte, scollegate tra loro: eliminare il
Ministro e cercare di far ricadere la colpa sugli Sherton,
così da isolarli dai Purosangue moderati che vedevano in
loro una possibile guida, alternativa a Milord, per riformare il
Ministero; rapire Meissa per mettere le mani sul suo anello, o
costringere suo padre a scendere a patti e dirci dove fosse la vera
fedina di Salazar; infine, sottrarre un cimelio degli Sherton per
Milord, perché la spada di Godric, l'incomprensibile
fissazione del Signore Oscuro, restava inaccessibile a
Hogwarts. Avevamo deciso di agire quel giorno, uno dei
pochissimi in cui Herrengton era aperta agli estranei, approfittando
degli inviti al matrimonio per penetrare nel maniero, e della
confusione, della sorpresa, dell'incapacità di reagire dopo
i bagordi di quella lunga giornata, per colpirli. L'effetto
sorpresa, però, non sarebbe durato a lungo e i Maghi della
Confraternita erano più numerosi di noi, erano
perciò necessari dei rinforzi, che invece non riuscivano a
penetrare.
Maledizione!
Respirai a fondo, dovevo calmarmi, non era ancora tutto perduto, magari
il Ministro era già morto e i Maghi del Nord erano bloccati
e interrogati dagli Aurors, magari avevano già perquisito la
nicchia di Habarcat, e Sherton doveva rispondere di accuse ai suoi
occhi prive di senso, quindi erano tutti presi da altre questioni;
forse nessuno prestava credito al giovane Black, in fondo era solo un
ragazzino, per giunta Grifondoro, ed io potevo avere ancora molta
libertà di azione. Inoltre, se non potevano entrare
i miei compagni, forse non potevano arrivare nemmeno altri Aurors,
quindi potevamo ancora farcela: se avessi preso l'anello e fossi
riuscito a svignarmela, via camino, mischiato agli ospiti atterriti,
Milord sarebbe riuscito a entrare a Herrengton prima dei Ministeriali,
superando tutte le barriere, facendosi riconoscere come
l’Erede di Salazar, e a quel punto, oltre a travolgere Crouch
e i suoi, si sarebbe messo alla guida, dalle Terre del Nord, di tutti i
Purosangue, per riconquistare il potere e il Ministero, in un momento
di tragico smarrimento. Sì, potevamo ancora
farcela, purché non perdessi la calma: avremmo sistemato in
seguito, con calma, i dettagli secondari lasciati in
sospeso. Già vedevo i Maghi della Confraternita
usati come esempio per tutto il Mondo Magico: chi si fosse piegato
sarebbe stato ricompensato, gli altri sarebbero andati incontro a una
morte certa, perché non riconoscere in Milord l'Erede di
Salazar, una volta insediato a Herrengton, avrebbe costituito la
più alta forma di tradimento, agli occhi di tutti gli
Slytherin, non solo dei Suoi seguaci. Nell'esaltazione del
momento, speravo che gli Sherton si mostrassero ragionevoli e accorti,
volevo che si piegassero volontariamente, senza inutili spargimenti di
sangue: al contrario di altri, infatti, non avevo motivi seri per
volerli morti, anzi, ritenevo fosse un vero spreco disperdere quel raro
Sangue Puro, invece di sfruttarlo per il bene della nostra comune
causa. Se non fossero stati tanto stolti da farsi uccidere,
inoltre, una volta catturati, mi sarei potuto offrire come tramite, in
virtù dell'antica amicizia che mi legava a Mirzam,
così da ottenere da Milord ulteriore consenso, appena li
avessi spinti a collaborare attivamente: sapevo bene quali fossero i
tasti giusti, tanto nel padre quanto nel figlio; e soprattutto, se mi
fossi fatto garante della salvezza dei suoi familiari, sarei riuscito a
ottenere la preziosa, eterna, riconoscenza di Alshain Sherton, che
già in passato aveva messo da parte la diffidenza nei miei
confronti, dovuta agli antichi screzi tra le nostre famiglie, per
l'aiuto che avevo prestato a Mirzam. Sì, se avessi
giocato bene le mie carte, mi sarei ritrovato in una posizione
doppiamente vantaggiosa: l'esperienza mi dimostrava che le alleanze
spesso sono soggette a mutamenti, che il favore si può
incidentalmente perdere, perciò era vitale godere sempre di
sostegni alternativi. Un brivido di eccitazione mi percorse la
schiena. Fremevo, e non solo per i benefici che presto avrei
colto: fremevo all'odore del sangue, al pensiero stesso dell'inferno
che avremmo scatenato impunemente, ovunque avessimo deciso di posare
gli occhi, a partire dall'indomani; riuniti e più forti, non
ci sarebbe stata pietà per la lurida feccia, i traditori del
Sangue Puro sarebbero stati spazzati via, i Purosangue avrebbero
riconquistato il proprio posto, il Ministero sarebbe stato ricreato
dalle fondamenta, il teschio di Dumbledore, infine, avrebbe fatto bella
mostra di sé, come soprammobile, davanti alla mia
alcova. Ed io, Rodolphus Lestrange, avrei finalmente ottenuto
ciò che più desideravo: avrei fatto vedere a mio
padre quanto rispetto meritassi, quanto rispetto mi dovesse, quanto
onore e lustro potesse ricadere sulla nostra pigra famiglia grazie al
mio operato!
Deve riconoscerlo, sì, stavolta deve riconoscerlo, e se non
lo farà con le buone...
Ghignai tra me: davanti al mondo nuovo che stava avanzando grazie a
noi, era necessario e giusto che anche una famiglia importante,
com’era quella dei Lestrange, fosse finalmente guidata con
fermezza da forze giovani, ambiziose, capaci di guardare al futuro,
senza più i tentennamenti, le debolezze, le stupide antiche
ripicche, che la caratterizzavano ormai da troppo tempo. A
quel punto, anche Bella avrebbe dovuto fare la sua parte, consacrando
il nostro potere e la nostra unione con l'erede che mi doveva: io ero
stato ai patti, l'avevo introdotta nella cerchia dei più
devoti di Milord, ora toccava a lei mostrarmi la riconoscenza che mi
aveva promesso. Eravamo alla resa dei conti, infine,
sì, eravamo davvero alla resa dei conti. A quel
giro, nonostante tutto, sotto qualsiasi aspetto la considerassi, ero io
ad avere la mano vincente, bastava solo sapersela
giocare. Guardai la figura stesa a terra, simile a un fagotto:
era lei la chiave per realizzare tutti i miei desideri, ed era
lì, a un passo da me, dovevo solo tendere la mano e
prenderla, lucido e calmo. Milord considerava quella parte della
missione la più delicata, quella cui teneva di
più: quando mi ero offerto di occuparmi personalmente del
Ministro, perché desideravo essere lì, mentre
quel cane traditore si contorceva a terra, preda di violenti spasmi,
Milord mi aveva fissato inquietante e aveva detto che dovevo occuparmi
solo dell'anello e della bambina, senza curarmi di nient'altro, neppure
delle sorti dei miei compagni, dovevo solo ritornare da lui, rapido e
vittorioso. Era stato categorico persino nel non dirmi nomi e
incarichi degli altri due Mangiamorte coinvolti, “per non
distrarti” mi aveva detto, sebbene io mi fossi fatto subito
l'idea che fosse Augustus a doversi occupare del Ministro, mentre ad
Abraxas spettasse il furto del cimelio. Naturalmente non ero
d'accordo sulla scelta, volevo per me il sangue di Longbottom, ma avevo
ubbidito, come sempre, consapevole di non poter fallire ancora: era
stato chiaro con me, Milord, non avrebbe ammesso altri errori, era
rimasto deluso perché anche l'anello dei Black, su cui io
puntavo tanto, si era rivelato solo un altro buco nell'acqua, pertanto
era giusto che rimediassi. Capivo da solo che quella storia
stava andando troppo per le lunghe, e questo era un altro motivo che
doveva spingermi a non dare peso a niente che si frapponesse tra me e i
miei obiettivi. Rientrai; per rubare l'anello e i ricordi alla
mocciosa, in fretta e senza correre rischi, dovevo renderla docile e
collaborativa, il che significava spaventarla o provocarle del dolore:
mi augurai che fosse sufficiente approfittare del danno già
fatto, del naso già rotto, senza dover infierire
ancora. All’inizio, mi ero ripromesso di
aggiustarglielo io, per non portarla davanti a Milord malconcia, per
fortuna non l'avevo fatto: se dovevo lasciarla lì, non aveva
senso attardarsi a curarla, anzi, quella ferita mi consentiva di non
perdere tempo a fargliene altre.
Non ho più tempo, devo agire subito, in fretta, con cautela,
ma in fretta!
Il fatto che non avessi alcuna intenzione di farle del male, anzi,
fossi turbato al solo pensarci, era completamente secondario, oltre
che, naturalmente, assurdo… per uno come me. Non avevo fatto
che ripetermelo, mentre salivo per quelle scale infinite, eppure non
ero riuscito a convincermene, non riuscivo a dimenticare la
disavventura del pomeriggio. Non solo, ma più
pensavo a quello che andava fatto, meno sentivo in me la pulsione
potente, la sete di sangue, che mi animava di solito in quel genere di
missioni: a parte il timore per la reazione di Milord se avessi
fallito, non provavo niente, non riuscivo a esaltarmi, anzi, trovavo
solo motivi razionali per non esagerare. Per quanto cercassi, non avevo
ragioni per odiarli, non credevo che Sherton fosse veramente un
traditore, era un rompipalle e un guastafeste, quello sì, ma
il suo aiuto, più o meno volontario, mi era già
stato utile, in più di un'occasione, e poteva esserlo
ancora. Da parte mia, ero un bastardo e me ne ero sempre
vantato, vero, ma seguivo sempre un fine, il piacere e il vantaggio
personale, in qualsiasi cosa facessi: in quella circostanza, invece,
l'uso della violenza non era stato richiesto da Milord, né
io vedevo come ricavarne benefici o soddisfazione. La fissai,
dandomi del codardo: era solo la paura e il turbamento che mi mettevano
in testa tutti quegli scrupoli, ed io non dovevo lasciare campo libero
a quei pensieri, o sarei diventato come tutti, un debole, senza spina
dorsale! Se ero arrivato tanto in alto, in pochissimo tempo, era stato
proprio perché non mi ero mai fermato di fronte a niente,
non avevo mai tenuto conto di chi o di cosa fossero le mie vittime,
ciò che per me contava, in certi momenti, era solo il senso
di feroce libertà ed esaltante potere che provavo vedendo le
mie vittime perdute, tremanti, disperate, strette all'angolo. Ogni
volta che avevo avuto di fronte una giovane donna, anche di poco
più grande della preziosa sorella di Mirzam, ero andato ben
oltre quanto mi fosse richiesto, quando ne avevo avuto tempo e
occasione, non mi ero mai tirato indietro, avevo sempre unito il
piacere personale al dovere imposto da Milord,
“convincendo” le mie vittime persino a
“divertirci” un po' insieme. Per molto
tempo, soprattutto all'inizio di quella mia vita folle e sfrenata,
quelle occasioni erano state uno degli aspetti più
divertenti e appaganti dei miei incarichi, i miei compagni ridevano
riconoscendo che ero un maestro nel far scoprire alle giovani Streghe
il piacere di diventare vere femmine, e per me era diventata una
missione: mi esaltava essere la prima e ultima forma di piacere che
conoscevano, l'unica della loro misera vita, prima di andare incontro
alla morte. Mi ritrovai a vibrare di lussuria ed eccitazione
ripensando a quegli istanti, a come il fuoco e il furore del piacere si
stemperassero rapidamente nell'oblio finale, poi di colpo quelle
immagini di lussuria e morte si confusero, diventarono un magma
indefinito, da cui emerse nitida solo lei, la mia indomabile Bella, i
suoi occhi, la sua pelle profumata, la nera seta dei suoi capelli, il
ricordo della sconvolgente notte in cui l'avevo finalmente posseduta,
scoprendola solo ed esclusivamente mia... Da quella notte,
però, il vecchio, sano divertimento con cui mi ricompensavo
per le mie imprese vittoriose, aveva smesso di essere attraente e
appagante come prima: ora, quando mi deliziavo di quei corpi ignoti e
plagiati, mi coglieva, soffocante e spaventoso, solo un gelido senso di
vuoto; non riuscivo mai a trovare il fuoco, la vita, il piacere e il
dolore che mi trasmetteva solo lei! Quella maledetta Strega mi
rendeva pazzo, mi aveva irretito, imprigionato, mi aveva vinto e
derubato della mia stessa essenza, della mia forza, della piena
soddisfazione della mia malvagità; da quando avevo
assaporato lei, il suo sangue, il suo veleno, il suo odore, non vedevo
nient'altro, non sentivo nient'altro, nulla era più
attraente, desiderabile, vivo, non bramavo più nulla con la
stessa selvaggia, violenta fame che mi era propria, sempre, prima di
possedere lei: ero completamente preso da lei, solo ed esclusivamente
da lei, tutto il resto veniva dopo di lei. Di
Bellatrix. Persino Milord.
Chissà dov'è... con chi è...
Mi stavo conficcando a sangue le unghie nella carne senza quasi
accorgermene, solo a pensarci; rabbrividii, feci un respiro profondo,
cercando di placare la mente, di riprendere il controllo: non potevo
distrarmi, e non c'era nulla che mi distraesse più del
pensare a mia moglie. Da un debole lamento
nell'oscurità, compresi che l'ostaggio stava per
riprendersi, era il momento, non dovevo indugiare: se non potevo far
conto sul desiderio di fare del male, non dovevo dimenticare almeno il
mio tornaconto e il rischio che correvo in prima persona, se avessi
fallito. Non sapevo se i miei depistaggi avessero avuto
successo, se fossero davvero tutti presi dalla morte del Ministro o
qualcuno avesse invece compreso che la ragazzina era sparita, non era
perciò il caso di indugiare oltre: richiusi la porta che
dava sul terrazzino, mi voltai, mi avvicinai rapido, avendo cura di non
fare rumore, alzai la bacchetta e feci riapparire la maschera che avevo
indossato durante la fuga per i corridoi, fino a quella specie di
nicchia, individuata durante il giorno. C'era stata una tale
confusione, con tutti quegli invitati, che non mi era stato difficile
allontanarmi e perlustrare persino quella parte del castello, la torre
principale, avevo studiato alcuni particolari persino nelle precedenti
occasioni, sicuro che, prima o poi, si sarebbero rivelati
utili. Inoltre erano stati preziosi alcuni dettagli di cui mi
aveva parlato Mirzam, da ragazzino: povero stolto, era un bravo
ragazzo, ma di un'ingenuità così spaventosa! Non
si rendeva mai conto di quante indicazioni riuscissi a carpirgli anche
partendo da frasi innocenti, soprattutto quando mi fingevo sbronzo e
facevo discorsi senza capo né coda! Milord accarezzava da
anni l'idea di metterlo a capo della Confraternita, proprio per la sua
ingenuità, perché con lui al posto di suo padre,
non sarebbe stato necessario nemmeno usare la violenza o perdere tempo
per sottomettere quella gente, avremmo potuto sfruttare tutto il loro
potenziale senza difficoltà, diventando ancora
più forti; per convincere Mirzam, lo sapevamo, non ci voleva
molto, a frenarlo erano solo l'orgoglio e la paura, non un'ideologia
opposta alla nostra. Speravo per la ragazzina che fosse
altrettanto ingenua e facile da manovrare, speravo che non facesse
più stupidi scherzi come quello del pomeriggio: forse non
sarebbe accaduto l'indomani, com'era previsto, ma presto sarebbe finita
al cospetto dell'Oscuro Signore e se avesse preso, anche in sua
presenza, certe stupide iniziative, si sarebbe giocata l'unica
possibilità che aveva di salvarsi. Conoscevo
Milord, conoscevo il suo modo di ragionare, la sua mancanza di scrupoli
e di clemenza, non avrebbe mai apprezzato un atto del genere, non si
sarebbe fermato a pensare di avere davanti solo una stupida bambina,
ingenua, preda della paura, incapace di controllare la
Magia. Alzai la bacchetta, cacciai l'inquietudine e gettai un
potente Muffliato tutto intorno a noi, poi attesi che i suoi occhi si
aprissero completamente sulla mia figura oscura che incombeva su di
lei: la sorpresa e il dolore l'avrebbero resa debole ed io avrei
approfittato del suo smarrimento per vedere con chiarezza nella sua
mente, di nuovo, cercando senza sosta, fino a scoprire la
verità. No, stavolta non sarei stato io a cedere.
“Sirius... ”
Ghignai, udendo l'invocazione inutile e sottile che usciva debole dal
corpicino sofferente. La prima cosa che volevo scoprire era
perché mai Sherton avesse messo la sua preziosa figlia nei
guai, consegnandole un anello tanto pericoloso: si diceva che fosse
disposto a morire per lei, e invece... era solo colpa sua, della sua
ostinazione, se eravamo arrivati a tanto! Attraverso l'argento
della maschera, in quell'oscurità ovattata, lacerata solo
dalla luce della luna, percepii all'improvviso il verde scuro dei suoi
occhi, occhi che si aprivano a stento, mettevano a fuoco il pericolo
con difficoltà e si riempivano lentamente di confusione,
sorpresa, timore. Non aspettai oltre, distolsi lo sguardo, la mia voce
uscì metallica, inesorabile, imperiosa:
“LEGILIMENS!”
***
Orion Black
Herrengton Hill, Highlands - 21/22 dicembre 1971
Quand’è
che avresti fatto il tuo ultimo vero duello, Orion?
Avanzavo con passo rapido, a breve distanza da Fear, pensieroso, il
bavero alzato a nascondere un lieve tremore del mento, la mano serrata
sulla bacchetta, le nocche sbiancate, un senso di vertigine, di
soffocamento, di nausea, che riuscivo a controllare a stento.
Non
te lo ricordi vero?
Sospirai, avanzavo recitando tra me e me una canzoncina sconcia che
conoscevo da ragazzo, ripensai a un paio di affari che mi erano stati
proposti quella mattina, tutto, pur di distrarmi da quella voce molesta
che mi trapanava la mente, senza lasciarmi un momento in pace.
Te
lo dico io il perché... Tu non hai mai fatto un vero duello
in vita tua, pezzo di un idiota!
Sì, non c’erano dubbi, quelli erano i miei
pensieri, i pensieri della parte di me che ancora manteneva un minimo
contatto con la realtà e voleva mettersi in salvo, ma la
voce non era per niente la mia, la voce aveva la tipica cadenza nordica
e divertita di Alshain.
Se
ci provi adesso che Fear è distratto, fai ancora in tempo a
scappare!
Allungai il passo e mi affiancai a Fear, per evitare altre imbarazzanti
tentazioni, lui non parve nemmeno accorgersi che mi ero avvicinato,
rimasi in silenzio, rispettando il suo mutismo e ripromettendomi di
smetterla, di concentrarmi, non era quello il momento delle stronzate,
e ancor meno dei dubbi e dei ripensamenti. Avevamo lasciato la
scorciatoia e ora ci trovavamo nella parte terminale del corridoio
percorso appena poche ore prima, mi guardai attorno, stravolto,
confuso, spaventato, sembrava passata una vita intera: dov'erano finite
le chiacchiere futili, i sorrisi e le battute cariche di licenziosi
sottintesi, l'atmosfera festosa? Sembrava sparito tutto in un
soffio, mentre attorno a noi, fuori del maniero, s'infittiva sempre
più una notte spaventosa e oscura e la stanchezza
s’impossessava dei nostri corpi, facendosi infine sentire:
ero in piedi da oltre una giornata intera, giornata in cui non mi erano
certo state risparmiate le più violente emozioni, la
condizione peggiore per affrontare l'ignoto, il pericolo.
Quel
preciso pericolo...
Già non ero portato per situazioni simili, in quelle
condizioni poi... Solo in quel momento, mentre il corridoio stava per
immettersi nel portico del cortile, mi rendevo conto di quanto il mio
scellerato atto di coraggio si scontrasse con le mie reali
capacità: come avevo fatto a essere così stupido
e sconsiderato, come avevo fatto a offrirmi e buttarmi in prima
persona, io, proprio io, da tutti chiamato a ragione Orion
“Cuor di Coniglio” Black? Potevo essere
molto più utile accanto a Deidra, in quel momento, potevo
aiutarla, sostenerla, potevo conoscere la verità su Alshain,
potevo assicurarmi che i miei figli fossero in salvo! Invece?
Invece mi ero messo a giocare alla guerra, come un ragazzino stupido e
incosciente! Mi ero dato dell'idiota da solo per tutto il tragitto,
rimanendo muto e concentrato, sicuramente pallido e disperato, davanti
a quel malefico vecchio che aveva già messo in conto, molto
prima di me, che alla fine avrei provato a fuggire, alla vana ricerca
di una via di fuga, che sapevano entrambi, non avrei più
trovato. L'aria tiepida del corridoio, carica
d’incensi ed erbe bruciate, lasciò all'improvviso
il posto all'odore fresco e salmastro che saliva dal mare, avvolgendoci
come un respiro gelido; la luminosità intensa, rossastra dei
bracieri, a sua volta, si stemperò via via fino a
estinguersi nell'oscurità rotta da qualche fiaccola e dalle
lingue verdi azzurrine che si specchiavano sull’antica pietra
millenaria. Cercai di nascondere il tremore ossessivo che
ormai mi dominava la mano destra, ma intanto il cuore si era fatto
più leggero, riconoscendo in quel chiarore la luce fredda
della Fiamma alta e vivida del braciere: se era ancora acceso, nessuno
poteva ancora entrare o uscire, nessuno aveva... Mi voltai verso Fear,
con un sorriso timido e speranzoso, pronto a cogliere anche il suo
sollievo, invece vidi il vecchio serrare la bacchetta in modo ancora
più saldo, il volto contratto e gli occhi allucinati, feci
per parlare, ma lui m’impose il silenzio con un cenno secco
del capo, poi si acquattò a terra, in una posizione strana
per chiunque, figurarsi per un uomo della sua età; mi
guardò furioso mentre, come un idiota, lo osservavo
immobile, in piedi, m'impose con un sibilo di abbassarmi a mia volta,
poi si mosse straordinariamente felino tra le ombre delle colonne,
guardandosi le spalle, gli occhi da pazzo di chi è pronto a
tutto pur di portare a casa, intatta, la pelle. L'adrenalina
mista al terrore s’impossessò di nuovo del mio
cuore malandato, lo seguii, imitandolo, riparandomi tra pietre e
colonne, fissando perplesso quella luminosità strana,
affascinante e al tempo stesso malata: conoscevo quella manifestazione
della Fiamma di Habarcat, il padre di Alshain l'aveva alimentata anche
per me, quando ero stato loro ospite nelle Terre del Nord, da ragazzo,
e Alshain aveva fatto lo stesso, quell'estate, per i miei
figli. Habarcat era stata donata da Salazar alla famiglia
Sherton, per garantire ai discendenti di Hifrig, sempre ed
esclusivamente all'interno di Herrengton, una protezione valida persino
contro le maledizioni più potenti, ma quella difesa non era
estesa a quanti non fossero legati a loro da stretti vincoli di sangue;
per questo, quando avevano degli ospiti, era evocata, nel braciere al
centro del cortile, una manifestazione della Fiamma, che era alimentata
con erbe magiche e rafforzata con incantesimi oscuri e potenti, capace
di innalzare su Herrengton una barriera che proteggesse a lungo
chiunque, permettendo a tutti, in caso di attacco, di mettersi in
salvo. L'avevo vista molte volte, in quegli anni, durante le
cerimonie e le riunioni della Confraternita o durante le mie visite, ma
non era mai stata di una tonalità così accesa, e
mai aveva toccato quelle dimensioni: di certo, quel mattino, non
raggiungeva quell'altezza.
Che significa? Habarcat sente forse il pericolo incombente?
Mi ero lasciato distrarre dai miei pensieri quando, dall'alto, il vento
ci portò il suono confuso di voci e grida, di boati soffusi,
simili a quelli che annunciano l'arrivo di un temporale lontano: poteva
essere il suono di esplosioni, contenuto in qualche modo da un
Muffliato gettato all'aperto? Il duello era dunque ancora in
atto? Quanti erano? Contro chi combattevano i Mangiamorte,
lassù? Chi poteva essere in grado di resistere agli
uomini di Milord così a lungo? E perché
i Mangiamorte si erano ritirati sulla torre, lasciando accesa la Fiamma
nel braciere? Fear mi fissò, forse capì i miei
pensieri, ma non mi rispose, anzi si portò l'indice al naso,
per farmi tacere ancora, rimase in attesa, come un lupo che ascolta i
pensieri della luna e del vento, poi si alzò e, mantenendosi
nell'ombra finché fu possibile, uscì infine dal
portico per dirigersi al centro del cortile deserto, fino al braciere,
controllando furtivo delle tracce a terra; lo seguii, a poca distanza,
notando solo uno strano avvallamento tra i blocchi di pietra, che il
mattino non c'era.
“Fear... ”
Sussurrai appena, ma il vecchio non si voltò, né
rispose, rimase in piedi, impietrito, poco lontano da me: lo guardai,
c'era il terrore nel suo sguardo, lo sgomento, il dolore, la
disperazione, qualcosa che in un vecchio bastardo come lui non mi era
ancora mai capitato di vedere.
“Fear... ”
Continuò a non rispondermi, mi avvicinai e seguii il suo
sguardo, puntato verso il basso, dentro il braciere: trattenni a stento
un gemito di orrore quando la mia mente riuscì a
interpretare, a dare un significato a quell'immagine, una nuova
immagine che non avrei mai voluto vedere. Mi guardai attorno,
cercando un dettaglio che mi dicesse che era solo un incubo, quando
invece, poco lontano da lì, notai un altro corpicino scuro
abbandonato a terra, un fagottino immobile, sicuramente privo di vita:
quella vista mi fece perdere del tutto il senno, i miei occhi
terrorizzati cercarono inesistenti spiegazioni, consolazione, patetiche
bugie, finché Fear, senza emozioni, riuscì a
spiccicare poche sillabe, in un sussurro debole, inadatto a lui.
“Deluin... L'Elfo...
”
Sollievo e disperazione si mescolarono, confondendosi in una sensazione
di vertigine, il cuore si fece lento, fino quasi a fermarsi, per poi
esplodere in un nuovo breve guizzo di gioia immotivata, che
morì definitivamente quando rivolsi ancora l'attenzione allo
spettacolo del braciere. Cercai di cogliere un pur minimo dettaglio che
mi confermasse che Rigel, in parte riverso all'interno del braciere,
fosse ancora vivo: accucciato a terra, sembrava svenuto, l'espressione
tormentata di chi ha lottato a lungo e aveva infine perso contro
un'indicibile sofferenza. Scivolai con gli occhi dal suo volto fino al
braccio, quasi completamente avvolto dalla Fiamma verde azzurra di
Habarcat che si levava alta, troppo alta, e ormai lambiva la Runa sul
suo collo, fissai il suo petto, con difficoltà notai che,
pur debole, si alzava e abbassava ancora, ritmicamente; il colorito
appariva rossastro, nonostante la luminosità azzurrina che
lo pervadeva. Non esitai oltre, mi fiondai su di lui, cercando di
prendergli le gambe e trascinarlo fuori, ma Fear, contenendo la mia
irruenza, si frappose, spingendomi via, puntandomi la bacchetta in
pieno petto, lo sguardo disperato ma sempre implacabile e deciso.
“Sei pazzo? Vuoi che Habarcat
ti uccida? Dobbiamo andare! Meissa non è qui: Li hai sentiti
anche tu, prima, sono in cima alla torre, aspettano di potersi
smaterializzare! Svelto, seguimi!”
“Che cosa? Vorresti lasciare
Rigel lì? Sei tu il pazzo, Fear! Non... Noi non possiamo
lasciare così il ragazzo, dobbiamo aiutarlo, dobbiamo fare
qualcosa, qualsiasi cosa, per salvarlo!”
“E cosa vorresti fare? Non
possiamo toccare la Fiamma, la maledizione non perdona, e non possiamo
toccare lui, per lo stesso motivo! Non possiamo fare più
niente, per Rigel, Black, perciò non ha senso restare qui,
mentre chissà cosa stanno facendo alla bambina!”
“Io... Come sarebbe niente,
Fear? Io non ti credo! Rigel non può, non... Tu sei un Mago
del Nord, sei un Mago Oscuro, conosci di sicuro qualche trucco, devi
conoscere un trucco! Non puoi permettere che un ragazzino di tredici
anni... Non... Non puoi fare questo a Deidra... Non puoi!”
“Lui non ce la
farà, Black, non può più farcela! Vedi
il suo colore? Deve avere un'emorragia interna, il suo sangue si sta
disperdendo nel suo corpo, non potrà nutrire ancora a lungo
la Fiamma... È stato colpito da una fattura che non conosco,
non credo di sapere come porci rimedio! Restare qui, adesso, significa
solo togliere speranze alla bambina, Black... Se tu vuoi assumerti la
responsabilità di sacrificare anche Meissa, fallo! Se tu
vuoi dire a sua madre, che per la tua stupida commozione non siamo
riusciti a salvarle nemmeno la figlia, resta qui e fallo! Io non posso,
io devo andare, altrimenti Rigel sarà morto per niente! Qui
non siamo di nessun aiuto, Black... lassù, possiamo ancora
determinare la vita o la morte di quella bambina!”
“Hai ragione, e insieme hai
torto... Io sono inutile, qui, ma tu no! Io sono inutile qui, ma non
lassù! Non capisci? È lui, è Rigel che
sta impedendo loro di entrare o uscire da Herrengton! Se non lo aiuti,
Rigel morirà, la barriera cadrà e sarà
una strage: non c'è solo Meissa da salvare, ci sono gli
altri figli di Alshain in quella torre, e non c'è nessuno
abbastanza vicino da proteggerli tutti; molti invitati, tra i quali uno
dei miei figli, sono ancora nel salone e non sanno che devono andarsene
in tutta fretta, non sanno che i Mangiamorte stanno per entrare, fanno
tutti conto sulla protezione della Fiamma, anche Deidra…
Dobbiamo impedire il disastro, Fear... Se l'aiuti, Rigel può
ancora farcela, lo so che è possibile, troverai una
soluzione: tu conosci tutte le tradizioni e i trucchi, hai le Rune, hai
persino, in parte, il loro sangue... Chiama gli altri, chiedi a tutti i
vecchi e ai Medimaghi di aiutarti, insieme troverete la soluzione! Io
vado lassù, tu cerca le erbe, Deluin dovrebbe ancora averle
addosso... Distrai la Fiamma con quelle. Quando arrivano gli altri,
mandami qualcuno in aiuto...”
“Tu non capisci, Black...
io... io non posso restare qui... io...”
Lo guardai disgustato, come poteva rifiutarsi? Come poteva, lui, dopo
quanto Alshain aveva fatto per proteggerlo da tutto e da tutti?
Estrassi la bacchetta, spazientito, avevamo perso fin troppo tempo
dietro a chiacchiere e farneticazioni, evocai il mio patrono, guardai
materializzarsi il grosso cane nero e gli diedi il messaggio da
trasmettere agli altri, ponendo l’accento su quanto fosse
urgente che si sbrigassero, poi, senza aggiungere altro, diedi le
spalle al vecchio, pronto a proseguire, pazzo ed esaltato, ma Fear mi
afferrò per un braccio e mi costrinse a guardarlo di nuovo,
mi fissava con occhi vividi, quasi fiammeggianti, le rughe da tartaruga
millenaria ancora più profonde, a scavargli il volto.
“Lassù ci sono gli
uomini di Colui-che-Non-Deve-Essere-Nominato, Black, te ne rendi conto,
stupido pazzo? Come pensi di riuscire a salvarti, affrontandoli da
solo?”
“Dobbiamo rendere a Deidra i
suoi figli, Fear... E dare tempo agli altri di mettersi in salvo, ora
conta solo questo! Fai la tua parte, pensa al ragazzo e lasciami
andare!”
“Saresti sul serio capace di
fare tutto, tutto quello che è necessario, fino in
fondo?”
“Che domande mi fai? Conosci
già la risposta! C'è anche mio figlio, qui,
stanotte... Non farmi perdere altro tempo! Pensa a Rigel!”
Fear sospirò, era stranamente combattuto, lui che sapeva
sempre quale fosse la scelta più conveniente, la migliore
per se stesso, mi scrutò, sembrava soppesarmi, guardarmi
come se mi vedesse per la prima volta, come se dovesse prendere una
decisione vitale, quindi si tolse l'anello e lo rigirò tra
le dita: era una fedina d'argento antico, molto simile a quella che
avevo rubato a casa di Lestrange, la fissai, mentre il vecchio, per una
volta, lasciò da parte l'espressione arrogante che gli avevo
sempre visto addosso, per rivolgersi a me quasi implorante.
“Se Alshain morisse...
”
Sobbalzai, non avevo avuto il coraggio di chiedergli di Alshain, in
quell'ora concitata; e lui me lo diceva così: Alshain non
era morto, stava male, rischiava di morire, ma non era
morto! Eppure non riuscivo a essere felice, perché
intuivo già, dalla gravità della sua espressione,
che c'era un inferno forse più orrendo, che ignoravo, le cui
fiamme presto mi avrebbero travolto.
“... se Alshain morisse, i
suoi incantesimi cadrebbero con lui e uno dei suoi figli, forse
addirittura una bambina di pochi mesi, diventerebbe il nuovo erede di
Hifrig! Tutti, noi, le Terre, Habarcat, saremmo nelle mani di qualcuno
incapace di proteggere se stesso, figuriamoci gli altri... e Meissa...
Meissa... credo che lei sia stata presa perché...
perché ha... ha lei l'anello di Salazar...”
“Se era questo che ti turbava
dirmi, ti sei preoccupato per niente, so tutto Fear, c'ero quando
Alshain ha ricomposto la fedina, so che cosa accadrebbe se il Signore
Oscuro trovasse quell'anello: volevi salire per recuperarlo, per
impedire a Milord di prenderselo? Posso tentare di farlo io al tuo
posto, ho le tue stesse motivazioni, ne ho persino di più...
c'è anche mio figlio di là...”
“Non puoi solo tentare, ci
devi riuscire, Black! É vitale che tu ci riesca! Prendi!
È l'anello del Custode di Herrengton... ti
aiuterà a smaterializzarti all'interno della torre e fuori
di qui...”
“Non ho le Rune, Fear! E mi
starebbe troppo largo… Non farmi perdere altro tempo!
”
“Funzionerà lo
stesso, te l'ho dato spontaneamente! Ma non farti vedere mentre lo usi:
potrebbero ucciderti per averlo, anche se nelle loro mani sarebbe
inutile… Ascolta: non combattere, sfrutta la loro
distrazione, prendi Meissa e nasconditi nella stanza del padre di
Alshain, è l'unica che si affaccia verso oriente, al
penultimo piano, i figli più piccoli sono già
lì. Devi smaterializzarti con tutti loro, portarli in salvo!
Non devono finire nelle mani del Lord! Non rifugiarti a Grimmauld
Place, potrebbero cercarti, nascondili tra i babbani, il più
lontano possibile da qui! Vai svelto!
“E se... se...”
“Se ci hai ripensato, corri,
torna al camino e vattene con tutti gli altri, porta via anche Deidra!
Se invece sei deciso a farlo, non pensare a niente, Black! Non
c'è più tempo!Vai... Corri!”
Lo guardai sconvolto: presi l'anello, continuando a ripetermi che non
poteva essere vero. Con la mente confusa, in cui migliaia di
pensieri sconclusionati e terribili si dibattevano senza tregua, mentre
il vecchio Fear, piegato dalla fatica degli anni e dal dolore, annuiva
e si chinava su Deluin alla ricerca delle erbe magiche, iniziai a
correre come un forsennato verso l'antro oscuro che si apriva alla base
della torre, là dove c'era il salone da cui aveva avuto
inizio la festa e dove ora, surreale, vedevo innalzarsi su, fino al
cielo, solo una scalinata maligna e mortale. Poi mi concentrai
sulla mia destinazione e, turbato, mi smaterializzai.
***
Rodolphus Lestrange
Herrengton Hill, Highlands - 21/22 dicembre 1971
La bambina, sfinita per il Legilimes, scivolò di nuovo
nell'incoscienza, io a mia volta, rimasi spalle al muro, le gambe che
quasi non mi reggevano, non tanto per lo sforzo di mantenere a lungo la
mia concentrazione, quanto perché la mente, bramosa, mi
turbinava via, dietro mille riflessioni. Estrassi dal mantello
una provetta che avevo portato con me, previdente, infilai
lì i filamenti argentei che avevo appena rubato a Meissa,
lasciandola definitivamente priva di forze: li osservai adagiarsi
leggeri nel contenitore, mentre continuavo a rimuginare su quanto avevo
appena appreso. Entrare nella sua mente era stato di nuovo
semplice, non avevo sentito alcuna resistenza, nessuna, troppo debole
il suo corpicino per opporsi, troppo acerba la sua Magia per
contrastarmi. Appena le avevo imposto il Legilimens, avevo
guidato la sua memoria verso quel giorno di fine estate, quello che
avevo percepito iniziando a sondarle la mente nel pomeriggio: mi ero
ritrovato di nuovo nello studio di Alshain, in mezzo alle sue carte e
ai suoi libri di Erbologia, con la vista sul mare e i quadri degli
antenati che lo fissavano imperiosi dalle pareti di pietra
millenaria. Meissa era seduta su una poltroncina accostata
alla scrivania, di fronte a suo padre, al suo fianco c'era Mirzam:
sembrava emozionato come un bambino la mattina di Natale, al tempo
stesso, però, ne percepivo la preoccupazione, forse non era
sicuro della riuscita dell'esperimento. A un cenno di suo
padre, il giovane Sherton aveva estratto dalla tasca un sacchettino di
morbido velluto borgogna, mentre Alshain si era alzato, era andato
presso il caminetto e aveva mosso un paio di pietre alla base,
prelevando da lì una scatolina di legno, antica, intarsiata
con Rune e simboli cabalistici: la fedina di argento, che tutti
cercavano ossessivamente, era lì dentro. Ritornato
alla scrivania, il volto disteso in uno dei suoi soliti sorrisi
incoraggianti, Sherton aveva dato l'anello a sua figlia: da quelle
immagini non ero riuscito a risalire all'origine dell'anello, non
sapevo se fosse nascosto da sempre tra le pietre del camino, o ne fosse
entrato in possesso in tempi più recenti, in tutto il
ricordo non si era fatto cenno a questi aspetti; al contrario, avevo
sentito Mirzam dire di aver acquisito la pietra, contenuta nel
sacchettino, da un commerciante irlandese, ed io ricordavo che durante
l'ultima estate aveva fatto un breve viaggio nell'Irlanda meridionale,
con Warrington, quindi potevo collocare il ricordo a poco prima della
partenza di Meissa per Hogwarts. In seguito, era arrivata la
parte interessante: avevo visto la verghetta non subire alcun tipo di
trasformazione né nelle mani di Alshain, né in
quelle di sua figlia; al contrario, Mirzam era stato capace di
completarla con la pietra, l'aveva indossata, i dentini dei serpenti
d'argento l'avevano morso e alcune stille del suo prezioso sangue erano
cadute sul tavolo: era stato allora che l'anello aveva leggermente
mutato forma, il tanto da permettere che dalla pietra cadesse qualcosa,
una piccola pagliuzza che, piano piano, aveva assunto le forme di un
libriccino. Arrivati a quel punto, Meissa aveva cercato di
ribellarsi alla mia invadenza, ma io avevo forzato la sua
volontà con ancora più tenacia, volevo vedere che
cosa aveva letto quando Mirzam le aveva offerto il libro aperto:
attraverso i suoi, i miei occhi avevano così ammirato la
firma inconfondibile e inaspettata del grande Salazar Slytherin, sulla
prima pagina dell’antico libercolo, ed io avevo quasi perso
il controllo di me per l’emozione e il senso
d’imminente vittoria. I ricordi che avevo prelevato
per il Signore Oscuro confermavano che era quello l'anello cercato da
Milord, non avevo invece prova che Sherton l'avesse rubato alla mia
famiglia, né che i Black fossero responsabili del furto, ma
quelle erano questioni che finivano col perdere del tutto d'importanza,
soprattutto in virtù di quanto avevo visto dopo. La
verità, celata nelle successive immagini, era che Alshain
Sherton, al contrario di quanto tutti noi sospettavamo, aveva
intenzione di consegnare subito l'anello, per liberarsi finalmente del
peso di Herrengton e vivere la sua vita, chiedendo in cambio solo di
poter essere lasciato in pace con la sua famiglia; era stato suo figlio
Mirzam a suggerirgli di muoversi con prudenza, di prendere tempo per
studiare il libro, da cui trarre informazioni utili per restare sempre
in una posizione di vantaggio, così da avere qualcosa da
contrattare con Milord, anche dopo avergli ceduto
Herrengton. Mi aveva turbato scoprire che Mirzam, mosso da
un'ambizione che non gli conoscevo, voleva tenere l'anello per
sé, sostenendo di essere il discendente del discepolo
prediletto, e che dopo suo padre, sarebbe stato lui stesso il nuovo
erede di Hifrig, secondo lui, infatti, la reazione dell'anello faceva
intendere questo; Alshain gli aveva risposto che l'erede non si
decideva per ordine di nascita, ma aveva rapidamente chiuso
quell’interessante questione, estromettendo anche me da altre
utili informazioni, aveva deciso di prendere tempo, aveva consegnato
l'anello non al figlio, ma a Meissa, perché lo tenesse con
sé a Hogwarts, almeno fino a Hogmanay, data in cui l'avrebbe
donato a Milord, in cambio del Marchio Nero e della promessa
dell'incolumità per la sua famiglia.
Che cosa penserà Milord di tutto questo? Sono veri questi
ricordi? O la mente infernale di Alshain Sherton è
arrivata a immaginare che uno di noi potesse sondare la mente di sua
figlia, decidendo di recitare davanti a lei a nostro uso e consumo? No,
non avrebbe mai giocato con la via della bambina, forse avrebbe
alterato i propri ricordi, o quelli di Mirzam, ma non quelli di
Meissa... No, sarebbe stato troppo, anche per uno come lui!
Nel dubbio, decisi di non indugiare in quegli indovinelli, avrei
lasciato a Milord il compito di capire se fosse tutto vero o solo
l'ennesimo inganno, al momento dovevo solo sbrigarmi: dovevo uscire da
lì, andarmene prima che gli Sherton si rendessero conto di
cosa avessi fatto. Mi fermai: cosa sarebbe successo se i ricordi
fossero stati veri? Se Sherton era deciso a consegnarci
Herrengton senza opporsi, in cambio della salvezza dei suoi cari, come
avrebbe reagito, rendendosi conto di cosa avevamo intenzione di fare
quella notte? Dovevo impedire agli altri di continuare qualunque azione
avessero intrapreso, e andarcene, prima che qualcuno si facesse del
male: ormai, infatti, era impossibile portare avanti il piano nella sua
interezza, i rinforzi non ci avrebbero mai raggiunto, era meglio
ritornare a Little Hangleton, rimettere a Milord la decisione finale e
comportarci secondo i suoi ordini. Guardai di nuovo la
ragazzina: e l'anello? Era fattibile portare a Milord almeno
l'anello? Di sicuro l'avrebbe placato perché altrimenti, per
quanto avessi delle buone intenzioni, la sua accoglienza non sarebbe
stata affettuosa, vedendomi ritornare senza aver eseguito tutti i suoi
ordini. Sì, potevo prenderlo senza problemi: era la
figlia di Alshain Sherton, vero, ma aveva undici anni, e a
quell'età, anche alle bambine di buona famiglia capitava di
perdere per sbaglio un anello! Mi chinai su di lei, le presi la mano e
le sfilai delicatamente la preziosa fedina: rimirai quell'anellino con
sguardo cupido, era finalmente nelle mie mani, nelle mie, non riuscivo
a crederci! Chissà che faccia avrebbe fatto
Bellatrix se mi avesse visto in quel momento! E mio
padre? Facevo fatica a respirare, immaginando quale ricompensa
mi spettasse per quel cimelio!
Salazar!
Con le preziose informazioni che avevo ottenuto e quell'anello, mi
aspettavano potere e gloria, dovevo solo rimettere tutto a posto, fare
in modo che nessuno credesse alle stupidaggini di quel piccolo
Grifondoro impiccione, se avesse iniziato a starnazzare in giro di
rapimenti e sangue: nessuno doveva credergli, avrei convinto tutti che
Meissa era ritornata da sola nella torre, per chissà quale
motivo, e preda della stanchezza si era semplicemente addormentata
lungo i corridoi. In fondo aveva undici anni, se era stata una
giornata pesante per me che ne avevo il doppio... Appena le
avessi sistemato quel suo bel nasino, nessuno avrebbe mai sospettato di
niente! Presi la bacchetta e la agitai con un po' di cautela,
ero diventato abile negli ultimi anni, ero sempre io a sistemare ferite
e fratture ai miei uomini, al termine delle nostre imprese, fatte di
follia e sangue: avevo fatto sparire lividi e segni di pestaggi a
esponenti rispettabili dell'alta società magica, uomini che
l'indomani dovevano lavorare accanto al Ministro stesso, come se nulla
fosse! Ghignai, osservando il mio capolavoro, dopo alcuni
minuti di pratica e concentrazione, non c'erano più
differenze, il naso era il solito, un naso inconfondibilmente Sherton,
identico a quello del suo adorato paparino, e con tutte le lentiggini
della mamma, di nuovo al posto giusto. Non c'erano dubbi: ero
il migliore, sia se mi abbandonavo alle più crudeli
meschinità, sia se mi dilettavo in azioni degne
dell'importante e rispettabile nome della mia austera
famiglia. Scoppiai a ridere: sì, definirci
rispettabili mi faceva sempre ridere di cuore.
E
se trovassero il sangue giù, nei corridoi?
Non c’era più tempo per scendere e sistemare quel
dettaglio, e nemmeno per togliere i trabocchetti, ma infondo potevano
sempre passare per scherzi e giochi di ragazzini: stando a Rabastan,
Rigel per esempio era un vero piantagrane, poteva essere opera sua;
quanto al sangue, poteva essersi divertito con qualche ragazzina,
infondo era molto più sveglio del fratello
maggiore! Sì, andava bene così, dovevo
muovermi: mi caricai di nuovo in braccio la ragazzina, avvolta nel suo
mantello, uscii dalla nicchia e mi aggirai per un po'
nell'oscurità dei corridoi del penultimo piano, lasciandomi
attrarre dalla luminosità soffusa di alcuni candelabri dalle
forme più strane. Quando individuai, nella
penombra, un comodo divanetto, proprio di fronte a una bifora da cui si
poteva ammirare il cortile sottostante, in cui brillava ancora, della
sua malefica luce verde azzurra, quella dannata Fiamma, che nessuno si
era ancora deciso a spegnere, mi avvicinai e l'adagiai lì,
presi il suo mantello e glielo appoggiai vicino, come se le fosse
scivolato un po' di dosso durante il sonno, avendo cura di pulire via
qualsiasi traccia di sangue e di polvere. La guardai a
distanza di pochi passi, mi riavvicinai, le spostai un braccio
così che la posa sembrasse più naturale: la
guardai di nuovo, sì, ora sembrava addormentata,
forse lo era davvero.
“Grazie per l'aiuto,
mocciosa... ora sarà più facile per Milord
decidere se risparmiarvi o non avere pietà di voi... Ci
rivedremo molto presto, aspettami, mi raccomando... Intanto, facciamo
in modo che tu non possa ricordare niente del nostro interessante
incontro... Oblivion!”
Mi allontanai soddisfatto, deciso a raggiungere la terrazza sulla torre
e vedere cosa stesse accadendo, quando sentii un rumore strano,
lì, nel buio, a pochi metri da me, da dietro alcune colonne
che, poco prima, mi avevano mascherato la vista di quel
divanetto. Mi guardai attorno: che cos'era, un rumore di
passi? Era forse arrivato qualcuno? Avevano iniziato
a cercare la bambina ed erano già lì? Mi
allontanai da Meissa e, con cautela, silenzioso, percorsi il corridoio,
sentivo leggeri i passi di qualcuno che si aggirava furtivo poco
lontano, ma non riuscivo a vederlo, finché un raggio di luna
colpì all'improvviso una figura nei corridoi davanti a me:
non aveva gli abiti da Ministeriale, ma una lunga tunica tradizionale,
scura, e portava i capelli molto più corti di un Mago del
Nord.
Chi
diavolo sei?
Decisi di seguirlo: dovevo assolutamente capire chi fosse e che cosa
stesse cercando, non potevo permettergli di mandare tutto a monte, non
adesso che ero a un passo dalla mia vittoria.
***
Orion Black
Herrengton Hill, Highlands - 21/22 dicembre 1971
Senza nemmeno il “bop” della materializzazione
tradizionale, mi ritrovai nella torre: stando a quel poco che riuscivo
a vedere del cortile e dai rumori che scendevano dall'alto, vere
esplosioni, non tuoni di un lontano improbabile temporale, compresi di
essere proprio al penultimo piano. Non ero mai stato
lì, nemmeno da ragazzo quando avevo esplorato in lungo e in
largo con Alshain il maniero, perché quello era il regno di
suo padre, come mi ricordava, ancora, a distanza di tanti anni, il
volto di Ryanna Meyer che occhieggiava da ogni quadro, da ogni parete,
da ogni cornicetta posta su tutte le consolle lungo i
corridoi. Erano passati tanti anni, ma Alshain evidentemente
non aveva intaccato in alcun modo il ricordo della dedizione del
vecchio Sherton, uomo austero e spigoloso, per la bella moglie
Corvonero, né, per pudore, aveva voluto prendere possesso di
quella zona del castello. Quanto si assomigliavano, lui e suo
padre, in quella capacità di amare senza
condizioni! Eppure non si erano mai capiti,
mai... Anch'io stavo percorrendo una strada simile, con i miei
figli, la stessa strada che aveva fatto soffrire tanto Alshain, per
tutta la sua giovinezza. Avrei avuto ancora modo di rimediare?
Sarei stato mai capace di rimediare? Cos'era davvero il bene
di un figlio? Mostrargli e insegnargli a difendersi dai mali
del mondo con una corazza impenetrabile, o far sapere loro di poter
sempre fare conto sul sostegno di un padre, non solo su se stessi?
Sentii un fruscio dietro di me, tornai rapido a concentrarmi, mi
fermai, mi voltai, feci luce con la bacchetta: non c'era niente,
assolutamente niente, non c'era nessuno, ero io che
m’immaginavo le cose nella mia mente, perché ero
un fascio di nervi e avevo una paura fottuta. Dovevo respirare, solo
respirare a fondo e fare pulizia nei miei pensieri. Dietro di
me non c'era nessuno, il pericolo era solo davanti a me... solo davanti
a me. Passai davanti a una porta: i bambini dovevano essere
lì, era l'unica che si aprisse sulla parete ovest, quindi
l'unica che si affacciasse a est; annusai appena l'aria: sì,
era quella, si sentiva ancora, in quel corridoio chiuso, il profumo
intenso che si era messo addosso Alshain, un odore carico di spezie,
che detestavo con tutte le mie forze. Lui lo sapeva, mi
derideva per questo, arrivava addirittura a versarsene addosso il
doppio del necessario se sapeva che dovevamo incontrarci, solo per
farmi dispetto. Feci una smorfia di disgusto, appoggiai appena
la mano sulla porta e ascoltai: sentivo la sua Magia, era ancora
intatta, nessuno si era avvicinato a quella porta da quando era
uscito. Mi fermai ancora un po’, mi guardai attorno,
era tutto tranquillo, silenzioso, c'ero solamente io, i bambini erano
al sicuro, perciò decisi di dirigermi verso la scalinata,
per vedere se riuscivo a trovare Meissa e portare anche lei dentro
quella stanza; mossi un passo e subito sentii di nuovo il fruscio,
sembrava ancora più impercettibile di
prima. Possibile che fosse tutto nella mia
testa? Tornai qualche passo indietro, feci luce nel corridoio
buio e deserto: non c'era nessuno; forse era il gatto di Meissa che,
libero per il castello, vedendo qualcuno dopo tante ore, aveva deciso
di seguirmi: mi ripromisi che, appena l'avessi trovato, l'avrei chiuso
da qualche parte, perché non mi distraesse
ancora. Raggiunsi l'arco che immetteva nel pozzo delle scale
e, dopo un po’ di esitazione, mi avviai, la mente che era
stravolta da mille pensieri, mille tattiche, mille paure e altrettante
speranze: mi chiedevo come dovessi comportarmi, da dove fosse meglio
studiare la situazione, capire come e dove fossero disposti i
contendenti e perlustrare la zona in cui non stavano duellando,
perché, di sicuro, avevano lasciato Meissa in un punto
riparato, per recuperarla quando fosse tutto finito. Mi chiesi
chi potesse essere l'avversario dei Mangiamorte: non credevo fosse un
Mago del Nord, li avevo visti tutti nel salone e non c'era motivo
perché vagassero in quella zona del castello. Forse
un Auror: di sicuro Crouch aveva mandato i suoi uomini a ficcare il
naso in giro, e magari uno di loro aveva intercettato uno o
più Mangiamorte mentre s’introduceva nella
torre. Iniziai a fare due conti: il Ministro era arrivato con
una dozzina di Ministeriali come scorta, ma quando Sirius aveva fatto
irruzione nel salone, non li avevo visti tutti, ne mancavano almeno
tre.
E i Mangiamorte, invece?
Senza invito non c'era modo di entrare a Herrengton, quindi gli uomini
di Milord erano alcuni degli invitati: quanti e chi potevano
essere? Abraxas Malfoy era di sotto, l'avevo visto, e suo
figlio Lucius era ancora troppo giovane, non credevo che Milord si
accontentasse di ragazzini che andavano ancora a scuola! Il
vecchio Lestrange era con Cygnus, Rodolphus non lo vedevo da un bel
pezzo, in effetti, e, a dire il vero, avevo perso di vista anche i
Rookwood, sia il padre sia il figlio, e i Pucey: tutti loro, potevo
mettere la mano sul fuoco, erano Mangiamorte e non erano nel salone
all'arrivo di Sirius. Arrivai al pianerottolo, la porta che
dava sulla terrazza era accostata ma non chiusa, si vedevano di
là del legno i bagliori di alcuni incantesimi, e le grida e
le esplosioni, ora, erano più nitide e riconoscibili.
Appoggiai la mano sulla maniglia e spinsi, ma non riuscii a muoverla,
provai a metterci più forza, la porta di pesante legno si
mosse appena, il tanto da poter vedere un piede che sporgeva dietro
l'uscio: c'era un uomo steso a terra che impediva il
passaggio. Deglutii a stento, sentendo quel minimo di coraggio
che mi era comparso da chissà dove svanire di nuovo
miseramente, ma fu appena un attimo, perché alla fine mi
feci forza, spinsi ancora, sentii il corpo oltre la porta cedere e,
senza pensare se fosse inerme per uno Schiantesimo o per un Avada, mi
acquattai a terra, passai goffamente per lo stretto passaggio che ero
riuscito ad aprirmi e finalmente mi mossi di nuovo nell'aria salmastra
e gelida dell'esterno, carica di elettricità e
Magia. Era buio, un buio rischiarato a intervalli irregolari
dai guizzi colorati di alcuni incantesimi, che erano lanciati da
qualche parte alla mia destra, io, furtivo, mi mossi verso sinistra,
attraversando le ombre, rischiando più volte di inciampare
tra ostacoli improvvisi, cercando in tutti i modi di non far percepire
la mia forma e la mia presenza da qualcuno dei contendenti. Quanti
eravamo in quel momento sulla torre? Mi fermai, ascoltai la
voce della notte e della guerra, udii chiaramente i colpi provenire da
un'unica direzione, a un ritmo alterno e regolare: possibile che
fossero rimasti solo due duellanti? La terrazza era ampia, disseminata
di oggetti che svelavano alcune passioni che conoscevo di Alshain, come
l'astronomia, e altre che non mi aspettavo, ma magari riguardavano
Deidra; a un tratto, percepii un intenso profumo di fiori e terra, e un
tepore strano, doveva esserci lì vicino un ambiente che era
usato come serra: il luogo perfetto dove nascondere un ostaggio.
Perlustrai con attenzione l'intorno, senza trovare niente, non sentivo
Magia, né il passaggio di qualche essere umano, che non
fossero gli Sherton: nessun estraneo, finora, si era avventurato da
quella parte, dovevo perciò tornare indietro, o trovare il
modo di girare tutto intorno per controllare l'altro lato, senza farmi
scoprire o finire in mezzo al teatro dello scontro. Era
freddo, molto, eppure all'idea di avvicinarmi ai duellanti, mi sentii
il sudore gocciare copioso lungo la faccia e dentro i vestiti, lungo la
schiena: io, un Black, sudare come un plebeo!
Sì,
bravo Orion, pensa a questo, è proprio il momento!
Stai per morire e tu ti preoccupi perché ti troveranno
sudato come un maiale!
Deglutii ancora e serrai più forte la bacchetta, avanzai
ancora finché non mi fu più possibile proseguire:
di fronte a me, all'improvviso, trovai la piccola costruzione vetrata
che cercavo, quella che doveva fungere da serra ma il cui ingresso,
immancabilmente, si trovava dall'altra parte. Guardai la mia
mano, vidi brillare l'anello di Fear e mi diedi dell'idiota per non
averci pensato subito, ero da solo in quel momento, nessuno poteva
vedermi, mi concentrai sulla serra, e mi ritrovai dentro nello stesso
istante in cui immaginai di esserci. Mi guardai attorno,
desolato, quello non era per niente un posto adatto per nascondere un
ostaggio: c'era la devastazione lì dentro, terra, piante,
vasi, vetrate, tutto era stato distrutto, era stato persino appiccato
un mezzo incendio, che per fortuna non aveva attecchito, e i vetri
della copertura meridionale erano stati fatti saltare tutti quanti,
così l'aria gelida penetrava con un soffio
potente. Uscii, mi maledissi da solo quando sentii cigolare in
modo sinistro la porta semi divelta dietro di me, subito, infatti, dal
basso, a pochi passi da me, si levò nell'oscurità
una debole voce:
“Attento, Alfred, ne
è appena arrivato un altro dalla serra!”
Non finì di parlare che un lampo rosso squarciò
l'oscurità dal basso, diretto verso di me, mi
passò talmente vicino da rendermi momentaneamente cieco, un
boato sordo mi superò e sentii il suono di vetri che
esplodevano e rovinavano a terra, alle mie spalle; feci in tempo a
chinarmi, che un altro lampo esplose nel punto esatto in cui mi trovavo
un istante prima, questa volta proveniente dal buio alla mia sinistra.
Levai la bacchetta e, senza sapere se i miei aggressori fossero
Mangiamorte o Ministeriali, esplosi contro le due direzioni un paio di
“Stupeficium” dandomi così il tempo di
riparare. Con una risata sinistra, folle, da far gelare il
sangue, una voce metallica, nell'oscurità di fronte a me,
lanciò un Avada tonante, vidi il getto verde centrare in
pieno qualcosa, un'ombra che cercava di sgusciare via, strisciando a
terra, nella zona da cui mi era stato sparato il primo dei due
Schiantesimi: l'aria sembrò farsi ferma, pesante, percorsa
com’era da un piccolo rimbombo, quello tipico, noto a tutti
come “voce della morte”. La macchia oscura
rimase immobile a terra. Raggelato dalla paura e dall'orrore,
non sarei più voluto uscire dalla nicchia in cui mi ero
rifugiato, ma dovevo trovare Meissa: c'erano almeno due Mangiamorte e
un Ministeriale, lassù con me, e dovevo fare molta
attenzione perché ognuno di loro, se mi avesse visto, mi
avrebbe scambiato per un avversario da colpire e abbattere. Avanzai di
nuovo, per continuare a perlustrare lontano dalla zona dello scontro,
avevo sentito qualcuno correre rapido davanti a me, nella mia stessa
direzione, inseguito da uno svolazzare leggero di mantello: non avevo
idea di chi fosse la preda e chi il predatore, ma in quel momento per
me l'importante era solo che avessero ripreso a guerreggiare lontano,
avevo, infatti, l’altro Mangiamorte cui pensare, non ero
sicuro che li avesse seguiti e non fosse ancora dietro di
me. Cercai tracce della bambina ma non ce n'erano: ero
arrivato di nuovo in prossimità della porta da cui ero
entrato, quando sentii dietro di me lo stesso fruscio del piano di
sotto, mi voltai, allarmato, con la bacchetta serrata, pronto a
difendermi, vidi nel buio rotto appena dalla luce degli incantesimi
scagliati da lontano, una figura imponente, completamente vestita di
notte, che avanzava verso di me, una maschera d'argento gli brillava
sul volto, la bacchetta pronta a colpirmi. Indietreggiai,
senza guardare dove mettessi i piedi, e improvvisamente sentii mancarmi
l'appoggio: rovinai sul corpo riverso dietro la porta, abbassai le mani
per attutire la caduta e le mie dita s'immersero in una sostanza ancora
tiepida e densa, abbassai gli occhi appena, per capire, e vidi il corpo
inanimato di uno dei Ministeriali, immerso in una pozza pastosa che si
allargava come nero inchiostro tutto intorno a quello che restava della
sua testa. Trattenendo a stento un conato di vomito, cercai di
non indugiare in quella vista, preda della paura, mi resi conto,
infatti, che il nemico si era avvicinato ancora e ormai era quasi sopra
di me.
“Stupeficium!”
Lo urlai con tutta la forza che avevo, vidi il Mangiamorte colpito in
pieno petto, scagliato a diversi metri da me, abbattersi contro un
muro.
Perché non hai urlato un Avada? Perché?
Quando si riprenderà, non avrà clemenza, ed tu...
Mi rimisi alla meglio in piedi e scappai, senza nemmeno più
pensare in quale direzione stessi andando, confuso e terrorizzato,
davanti agli occhi solo le immagini terrificanti appena viste, nel
cuore la consapevolezza che stavo per morire, perché non
avevo di fronte dei Maghi ma belve feroci, assetate di
sangue. Come poteva Meissa essere ancora viva, in quelle
mani? Se avevano già avvelenato Alshain e ridotto
in quel modo Rigel, in che condizioni avrei ritrovato Meissa?
“Crucio!”
“Protego!”
Mi fermai di colpo, atterrito mi resi conto all’ultimo
istante di aver sbagliato direzione, a pochi passi da me,
all'improvviso, apparvero l'Auror e il Mangiamorte che si combattevano:
il Ministeriale era ferito a un braccio, si difendeva con la sinistra
senza avere un controllo perfetto dei movimenti, cercava,
però, di rimediare con l'abilità tipica che nasce
dall’esperienza; il Mangiamorte, al contrario, sembrava una
forza della natura, selvaggio e perfetto dei movimenti, simile a un
felino, aveva una padronanza degli incantesimi oscuri che raramente
avevo visto all'opera, da come reagiva agli attacchi si vedeva che
univa all’agilità fisica un carattere forte, pieno
di furore e soprattutto di fervore, in alcuni passaggi,
però, in alcune ingenuità, mostrava di non essere
ancora altrettanto esperto e completamente smaliziato, capii
così che doveva essere ancora molto
giovane. Nascosto dietro un muretto, vidi l'Auror cadere in
modo teatrale, non era stato colpito e a terra non c'era nessun
ostacolo su cui potesse aver inciampato, immaginai che si trattasse
solo di una finta, ma il Mangiamorte, unendo inesperienza a eccesso di
sicurezza in se stesso, si avvicinò ridendo, si
sistemò per sferrare l'attacco finale e fu allora che
l'Auror, com'era prevedibile, lo centrò in pieno petto con
uno Stupeficium tanto potente da farlo crollare immediatamente a
terra. Era finalmente finita? L'Auror si
rialzò, con la bacchetta ben serrata in pugno
avanzò fino al Mangiamorte svenuto a pochi passi da lui, si
chinò e lo disarmò, gli strappò la
maschera e, dopo aver osservato a lungo il volto alla luce della
bacchetta, si mise a sua volta a ridere. Le sue parole mi
fecero gelare il sangue.
“Bellatrix... Black... in
Lestrange! Finalmente... ”
Che cosa?
Non dovevo aver sentito bene, no...
Bellatrix?
Bellatrix ha ucciso in quel modo ben due Aurors e ne ha ferito un altro?
No, non era possibile... Lei non poteva aver
fatto una cosa del genere, lei era una seguace di Milord, vero,
ma... Era poco più di una ragazzina, non poteva
essere il suo, quel corpo immobile sulla fredda pietra della torre; non
poteva essere lei la belva affamata che avevo visto
all’opera, no… Non poteva essere lei...
non poteva assolutamente essere lei.
E se invece ti sbagliassi, Orion, se invece fosse tutto vero?
Bella era così… così convinta,
affascinata, plagiata quasi, da Milord... ormai parlava solo ed
esclusivamente di lui, esaltava le sue gesta da anni, viveva solo nella
speranza di poterlo seguire, e sapevo bene che recentemente aveva
assunto il tanto agognato Marchio Nero. Io stesso, nemmeno
un’ora prima, l'avevo considerata responsabile di quanto
stava accadendo ad Alshain: non potevo illudermi, lei non era
più una ragazzina, non era più solo la figlia di
mio cognato, lei era una fervente discepola del Signore Oscuro e se
Milord le avesse dato quel compito, Bellatrix l'avrebbe eseguito felice
di compiacerlo. Salazar… che cosa sarebbe accaduto
ora alla nostra famiglia, quale scandalo ci avrebbe travolto se si
fosse saputo, se dopo averla catturata, l’Auror
l’avesse portata davanti al Wizengamot? Senza
rendermene conto, mi ritrovai in piedi, la bacchetta serrata nel pugno,
un’ombra furtiva che avanzava nell'oscurità,
prudente, deciso a cogliere alle spalle l'Aurors e disarmarlo: non
potevo permettere che la mia famiglia fosse coinvolta, no, non
potevo... Avrei ripreso in un secondo momento la ricerca di
Meissa, prima dovevo evitare che... Quell'uomo non poteva
andare in giro a dire cose del genere, Bella non poteva finire davanti
al tribunale, ci avrei pensato io, ci avremmo pensato tutti noi a lei,
le avremmo imposto di muoversi con prudenza, di agire con moderazione,
perché prima che a Milord, lei doveva al suo rango, alla sua
famiglia, al nostro sangue, la sua totale dedizione; nulla sarebbe
uscito da Grimmauld Place, non avremmo mai permesso un altro,
devastante scandalo... Ero già stato capace di
uccidere solo per evitare che il clamore travolgesse la mia famiglia,
avevo eliminato una donna pericolosa che pure avevo portato a lungo nel
cuore… non avrei provato imbarazzo a uccidere un lurido
mezzosangue o un vile traditore del sangue puro, che avrebbe potuto
rovinare la mia famiglia, appannare il nome dei Black, solo per far
carriera al Ministero! Senza volerlo, feci rumore, l'Auror si
voltò, si alzò per difendersi e mi
fissò meravigliato quando mi riconobbe, nonostante
l’aspetto pesto e sconvolto e il cappuccio che mi
nascondevano in parte il volto: vidi addirittura una luce divertita nei
suoi occhi, probabilmente si stava chiedendo cosa diavolo ci facessi
lì; all’improvviso, però
cambiò tutto, mentre levavo alta la bacchetta per emettere
la mia sentenza di morte: mi colse il dubbio che non stesse
più guardando me, ma qualcosa alle mie spalle, mi voltai, in
tempo per sentire una voce metallica tuonare un Avada. Mi buttai a
terra per salvarmi, l'Auror fu centrato in pieno petto, il colpo fu
tanto potente da sbalzarlo di là del muretto e farlo
precipitare nel vuoto; terrorizzato, mi resi conto di aver perso il
contatto con la bacchetta, cadendo, mentre il Mangiamorte usciva
dall’oscurità e si avvicinava: ero sicuro che
volesse completare il lavoro uccidendo anche me, quindi, indemoniato,
frugai a terra, ripresi la bacchetta, mi alzai di scatto e lanciai un
nuovo Stupeficium contro il mio avversario che lo parò con
un Incantesimo Scudo, mentre io mi spostavo in avanti per cercare un
nuovo riparo. Con la coda dell’occhio guardai il
corpo di Bella a terra, poco lontano da me, mi chiesi se non fosse il
caso di trasgredire alla promessa fatta a Fear e smaterializzarmi da
lì con lei, per nascondermi da qualche parte nel castello e
fare in modo che mia nipote non fosse collegata alla strage della
torre, ne andava della reputazione e della salvezza di tutti quanti.
Stupido
Orion, con un piede già nella fossa, ti preoccupi della
reputazione della famiglia?
Al nuovo Schiantesimo del Mangiamorte, mi gettai ancora a terra e
rotolai sul fianco, poi scivolai fino a raggiungere il corpo di mia
nipote, ancora stesa immobile, allungai la mano e presi la sua, pensai
intensamente al patio alla base della torre, un luogo sicuro in cui
farla riprendere e aiutarla, ma con orrore mi resi conto che non
succedeva niente. Mi guardai la mano, le dita erano sporche
del sangue dell’Auror, l’anello di Fear non
c’era, dovevo averlo perso in prossimità della
porta, in mezzo a quel dannato lago di sangue.
Che
cosa posso fare adesso? Che cosa diavolo posso fare? E i soccorsi?
“Expelliarmus!”
“Protego!”
Salazar, la mia distrazione mi era quasi costata quell’ultimo
disperato strumento di difesa! Il Mangiamorte, ghignando,
giocando con me come il gatto col topo, si avvicinò ancora,
tese il braccio con la bacchetta, io, disperato, mi volli convincere di
aver riconosciuto quella dannata voce, quella malefica risata, tentai
il tutto per tutto, sicuro che si sarebbe fermato almeno per
lei. Lanciai un altro Stupeficium verso il Mangiamorte,
cercando più che altro di abbagliarlo; in quei pochi istanti
di luce e stordimento, abbracciai Bellatrix e la serrai a me col
braccio, le puntai con l’altra mano la bacchetta al collo, e
mi parai davanti al Mangiamorte facendomi scudo con lei.
“Lasciami andare o
l’ammazzo!”
Lo urlai con tutta la convinzione di cui ero capace, ma già
quello che immaginavo fosse Rodolphus Lestrange aveva scagliato contro
di noi una frusta infuocata.
*continua*
NdA:
Ringrazio
al solito chi ha letto, seguito, aggiunto, preferito, recensito, ecc
ecc...
L'immagine scelta per questo capitolo è di KteaCrumpet.
1. A proposito delle "capacità" di Meissa viste con
Rodolphus, non c'è nessuna capacità
straordinaria, nessun effetto marie Sue, niente di niente: i nostri
cari Sherton sono predisposti alla veggenza, ma nel caso di Meissa
è stato il contatto fisico con il Lord che ha acceso in lei
i "recettori", dandole una specie di sesto senso quando ha a che fare
con persone legate a lui (o che saranno legate a lui, come nel caso di
James).
2. Quando Orion parla di cose successe da ragazzino, si ricorda della
morte di Mirtilla Malcontenta nei bagni di Hogwarts: facendo due conti,
Orion doveva avere 14 anni quando la Camera dei Segreti è
stata aperta da Tom Riddle la prima volta.
3. Per chi ricorda la scena in cui l’anello di Meissa veniva
ricomposto con lo smeraldo (qui),
avrà notato delle discrepanze con quanto vede Rodolphus
attraverso il Legilimens: tutto questo è voluto, e vi fa
intendere che Mirzam non si è limitato a prendere
l’anello a Meissa quando le ha gettato un Imperius;
vedremo in seguito cosa è davvero successo.
4. Un altro aspetto che vorrei farvi notare è che Rodolphus,
parlando del piano, dice che era prevista la morte del
Ministro, non un attentato a Alshain.
A
presto
Valeria
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