This
is Halloween
EDMUND
– the past is coming back
Edmund
si svegliò di soprassalto, ansimando.
La
pioggia continuava a battere sui vetri, ticchettando
sinistramente come la sera prima, o forse di più.
La
luce della luna, coperta dalle nuvole grigie del
temporale, creava ombre e strane figure all’interno della
stanza buia.
Sentì
un brivido corrergli lungo la schiena quando l’aria
fredda venne a contatto con il sudore che gli aveva imperlato la
fronte,
appiccicandogli i capelli neri al volto.
Scosse
la testa, cercando di cancellare l’orribile
sensazione che gli serrava lo stomaco, sporgendosi poi alla sua
sinistra, alla
ricerca del comodino e dell’interruttore della lampada.
Quando
però le sue mani toccarono la fredda superficie
del comodino la trovarono vuota.
Non
c’era neanche più il libro che vi aveva appoggiato
la
sera prima.
Lanciò
qualche imprecazione, rinfilandosi velocemente
sotto le coperte e tirandosele fin sopra la testa, stringendo
gli occhi
per l’improvviso senso di panico.
Si
sporse di nuovo oltre il bordo sicuro e caldo della
coperta di lana, mormorando un flebile: -Peter..?– senza
ottenere risposta.
Si
maledisse da solo per il tono da bimbetto impaurito
usato, e cercò di riordinare i pensieri.
Perché
lui non aveva paura.
Non
aveva paura delle strane ombre in camera sua, o
dell'improvviso freddo che sentiva.
Come
non aveva paura del temporale fuori dalla finestra.
Quell’incredibile
stupido di suo fratello doveva
aver spostato la lampada per qualche strano motivo, facendo cadere il
libro.
-Peter..?–
domandò di nuovo, con voce un po’ più
sicura.
Anche
sporgendo la testa fuori dalle coperte e strizzando
gli occhi non riusciva ad intravedere la forma del letto
dell’altro, a causa
del buio fitto.
Strano,
perché non ricordava che la sua camera fosse così
buia.
Come,
d’altronde, non ricordava d’aver lasciate aperte
le imposte.
Che
poi, la finestra, era sempre stata su quel
lato?
Sobbalzò
quando il cielo tuonò, e si nascose nuovamente
sotto le coperte, chiudendo gli occhi e rimanendo lì ad
ansimare.
Si
maledisse di nuovo, -Porca miseria, Peter!–
esclamò,
la voce attutita dalla stoffa.
Non
c’era ragione di aver paura di uno stupido temporale.
Stupido
quanto suo fratello, che si sarebbe ritrovato a
breve soffocato dal suo cuscino.
Oh,
si, perché Edmund era seriamente intenzionato a
ucciderlo quella volta, per avergli portato via la lampada, per avergli
fatto
cadere il libro e per non avergli risposto.
Se
solo non fosse stato così buio...
Trasalì
ulteriormente, quando un lampo attraversò la
stanza.
E
ad Edmund sembrò di vedere tutto bianco, mentre si
stringeva ancor di più nella coperta.
La
lana gli pizzicò il viso, e il ragazzo si ritrovò
a
chiedersi che fine avesse fatto il piumone.
Tossì,
prima di far rispuntare il naso oltre la stoffa,
ben deciso ad accendere la luce, o almeno, la lampada.
Si
tirò a sedere, grattandosi i capelli.
Un
lampo bianco attraversò nuovamente la camera,
illuminandola.
Edmund
rimase bloccato, il respiro che non ne voleva
sapere di uscire.
Quella
non era la sua stanza.
Era
troppo grande, il letto di Peter non c’era, come non
c’erano la scrivania, l’armadio e le tre mensole
con i libri.
Fu
solo un attimo, e poi tutto tornò buio.
Con
uno scatto improvviso scostò le coperte, saltando
giù
dal letto e inciampando nello spigolo del comodino con un piede.
Ignorò
il dito mignolo che urlava di dolore e corse
direttamente alla finestra.
Con
le mani premute contro la fredda superficie del
vetro, Edmund guardò fuori, mentre un paesaggio imbiancato e
lontanamente
familiare si presentava al suo sguardo confuso. Appoggiò la
fronte contro il
vetro, rabbrividendo al contatto, mentre un po’ di condensa
rendeva opaca la
superficie liscia all’altezza della sua bocca.
Seguì
con gli occhi il percorso di una goccia, che
scivolava lenta lungo la finestra.
Dove
diavolo era finito?
Cercò
di fare mente locale, ma non ricordava proprio
com’era arrivato lì.
“Lì”
dove, poi?
Diede
le spalle alla finestra, scivolando poi contro il
muro.
Osservò
perplesso la strana camicia da notte che aveva
indosso, per poi strofinarsi le mani sulle braccia.
Faceva
freddo, accidenti.
Era
anni che non sentiva più un freddo così ..
Rabbrividì
al solo pensiero, scuotendo la testa.
Sussultò,
andando a picchiare la testa contro il
davanzale della finestra, quando la porta si aprì, rivelando
uno spiraglio di
luce.
Mormorò
un –ouch– appena soffocato, mentre la testa di un
minotauro si sporgeva intimorita oltre l’uscio.
-
State bene, Principe? –
La
prima cosa che Edmund pensò fu: un minotauro?! Ma
allora sono a Narnia!
Sollevato,
si diede dello stupido per aver avuto paura.
No, fermi. Lui non aveva avuto paura.
Si
concesse un attimo di riflessione, per poi bloccarsi
interdetto sul “ Principe”. Lui era Re, avrebbero
dovuto saperlo, no?
Alzò
lo sguardo, incontrando quello timoroso del
minotauro nero. Edmund sbatté le palpebre, lasciando
perdere, mentre rispondeva
con un flebile -si–
La
creatura sembrò tirare un impercettibile sospiro di
sollievo, per poi sorridergli con poca convinzione -le consiglio di
ritornare a
letto, allora–
Edmund
annuì, alzandosi, sebbene volesse chiedere dei
suoi fratelli.
Lanciò
un’occhiata distratta fuori dalla porta e si
fermò, perché non ricordava che a Cair Paravel ci
fosse una parete così bianca
e quasi trasparente.
Come
ghiaccio.
Un
presentimento gli serpeggiò tra i pensieri, ma lui lo
scacciò con forza.
-Fa
freddo stasera, eh?– buttò lì, visto
che non aveva
più sonno. Il minotauro gli lanciò
un’occhiata sorpresa, affrettandosi a
rispondere: - la Str...Regina, l’aveva avvisato che avrebbe
fatto freddo–
Edmund
alzò lo sguardo dalle proprie mani, stupito -mi
aveva avvisato?– domandò, sentendo il
presentimento di prima tornare a farsi
spazio prepotentemente nella sua mente. L’altro
annuì con convinzione.
-Si.
La Regina sa quanto lei lo soffra, e non voleva
arrecarle disturbo. Non ricorda?–
-A
dir la verità... no– soffiò Edmund,
chiedendosi,
fingendo di non capire a chi fosse riferito quel
“Regina”.
-
E' sicuro di sentirsi bene, Principe?–
Dio,
quant’era irritante, quel “Principe”.
Edmund
scosse la testa, mentre combatteva contro la
sensazione che gli stava attorcigliando lo stomaco.
Perché
no, non poteva essere. Accidenti, era morta!
Morta, morta, morta!
Quante
altre volte se lo sarebbe dovuto ripetere, prima
di convincersene completamente?
Il
minotauro, vedendolo così confuso, borbottò un:
-sarà
meglio che chiami qualcuno– prima di dileguarsi con un lieve
inchino.
Edmund
decise che il luogo più sicuro per lui, ora, era
decisamente sotto le coperte. Così si rannicchiò
sul materasso troppo morbido e
si tirò la coperta sin sopra i capelli.
E
no, non voleva vedere proprio nessuno in quel momento.
Voleva
solo tornare nella sua stanza a Londra, con Peter
che russava nel letto di fianco e Lucy che entrava furtivamente
cercando
conforto dopo qualche incubo.
E
magari sarebbe arrivata anche Susan –lo sapevano tutti
che aveva il sonno leggero- e si sarebbero trovati tutti e quattro
seduti sul
pavimento a leggere qualche libro o a raccontarsi barzellette. E il
mattino
dopo, la mamma li avrebbe trovati addormentati qua e là
–Susan abbandonata sul
tappeto, Edmund appoggiato al letto e la piccola Lu in braccio a Peter
-
Il
respiro di Edmund tremò, quando venne riscosso dai
suoi pensieri dalla porta che si aprì cigolando. La stanza
si fece improvvisamente
più fredda, non appena lei fece un passo
in avanti, il che aveva
dell’incredibile. Sentì il sangue ghiacciarsi
nelle vene, e strinse gli occhi
nel sentire il proprio nome sibilato freddamente.
-Edmund–
Fu
come fare un salto nel passato.
Un
tuffo in una piscina ghiacciata.
Inutile
non provare a tremare, a questo punto. Poteva
sempre mentire a se stesso, dicendo che era colpa del gelo che sembrava
aleggiare nella camera.
In
parte era vero...
Voglio
tornare a casa, voglio tornare a casa... Ti prego,
fammi tornare a casa...
Deglutì,
quando la sentì avvicinarsi.
-
Che cosa c’è, Edmund?–
Era
lì, in piedi al bordo del letto.
-Hai
freddo?– domandò, quasi con scherno, poggiando la
mano ghiacciata sulla coperta, in corrispondenza della sua testa.
Edmund
non provò neanche a scostarsi. Preferì rimanere
immobile, fingere di non essere lì, di non esistere.
-Te
l’avevo detto, io, di prendere la coperta di
pelliccia di leone ... perché ti ostini
a non volerla toccare?– Edmund
emise un verso strozzato, non volendo neanche sapere di quale
leone
fosse la pelliccia.
Anche
se sapeva la risposta, preferiva ignorarla.
Ma
quella maledetta ci provava gusto, a prenderlo in
giro.
-Che
diavolo ci faccio, qui?–
La
voce gli graffiò la gola, prima di uscire, e il tono
era decisamente meno sicuro di come lo voleva.
-Ma
come? Tu ci abiti qui, Edmund– sebbene
il tono
fosse chiaramente incredulo era velato di scherno.
Come
se la Strega fosse lì a rinfacciargli qualcosa.
No, no, no, no,
no!
Al
ragazzo venne l’impulso di cancellare con la forza
quel ghigno che, sapeva, si era andato a formare sulle labbra della
donna.
-I...
i miei fratelli?–
Dio,
perché l’aveva chiesto?
No!
Non voleva la risposta, no!
Poté
quasi sentire il ghigno della Strega Bianca
ampliarsi.
-Oh,
Edmund, proprio non ricordi? Li hai uccisi tu–
Edmund
sbarrò gli occhi.
-
NO!-
-Oh
si, invece–
No,
no, no, no, no!
***
-
NO!-
Edmund
saltò su a sedere, tremando leggermente.
-
Edmund... ?– la voce di Peter si fece strada lentamente
tra i pensieri confusi dell’altro. Edmund si voltò
di scatto verso il fratello,
guardandolo ad occhi sgranati, seguitando ad ansimare.
-Ed,
stai bene?– continuò Peter, alzando leggermente la
testa dal cuscino, allungando poi la mano verso
l’interruttore.
Per
un attimo la luce gli abbagliò, ed Edmund ebbe paura
che fosse di nuovo un lampo
-ma
sei scemo? Mi ha quasi accecato!– si ritrovò a
sbraitare poco dopo, quando si rese conto con sollievo di essere in
camera sua.
Peter
sorrise sornione, i capelli biondi tutti arruffati.
-Ok.
Vedo che stai bene– commentò, poggiandosi sui
gomiti
–quindi? C’è un motivo per cui mi hai
svegliato nel bel mezzo della notte?–
Edmund
borbottò imbarazzato, troppo orgoglioso per
ammettere di aver avuto uno stramaledettissimo incubo.
Peter
sbuffò divertito -Va bene, va bene, sto zitto –
Si
risistemarono tutti e due sotto le coperte, poi il
maggiore spense la luce.
-Sai
una cosa, Peter?– mormorò dopo un po’
Edmund
-Cosa?–
domandò in uno sbadiglio l’altro.
-Ho
un’incredibile voglia di soffocarti con il cuscino–
~ ~ ~
{This is Halloween, this is Halloween
Halloween! Halloween! Halloween! Halloween!
In this town we call home
Everyone hail to the pumpkin song ^}
Happy
Halloween to Everyone!
Prrrima
di tutto ringrazio con tutto il mio
cuoricino Eve_Cla84
per l’aiuto
prezioserrrimo che mi
ha dato nel completare questa shot.
Thank you so much Dear
<3
In
secondo luogo passo a dire che, visto che
voglio impegnarmi su queste shot “halloweenose”,
la raccolta “l’Alfabeto
di Narnia”
rimarrà
ferma fino a che non le avrò scritte
tutte, salvo scatti improvvisi (e piuttosto improbabili) d’ispirazione.
Passiamo
alla shot.
Non
fa paura come avrei voluto ma, d’altronde,
è la prima volta che mi
cimento in una storia di “paura”
(che paura non fa). Spero possiate
gradire comunque.
Penso
che la prossima shot sarà su Peter
ma non ve lo assicuro perché, sebbene abbia già
iniziato a buttar giù qualcosa,
non mi convince.
Bene,
vi lascio.
Smàck
<3
_
L a l a
{Tender lumplings everywhere
Life's no fun without a good scare
That's our job, but we're not mean
In our town of Halloween ^}
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