4
Ottobre 1980.
D’un tratto,
aprendo la finestra, ha l’impressione che il bagliore rosato
dell’alba sia più intenso, quella mattina. Il suo
sguardo si perde lungo le coste rocciose di Rokkenjima, fiocamente
illuminate dalla prima luce del sole. Il debole verso dei gabbiani
è ancora lontano, tuttavia sa già che ben presto
il loro canto animerà il porto dell’isola: e
riesce già a vederli, in lontananza, mentre si celano tra le
rade nubi rosate che solcano il cielo chiaro. Un debole sorriso le
solca il volto, mentre osserva i placidi flutti lattiginosi che si
infrangono lungo le rive rocciose dell’isola. Una leggera
brezza le solletica dolcemente il viso: l’odore di salsedine,
in giornate come queste, si inoltra lungo la folta vegetazione di
Rokkenjima per giungere fin lì, nei pressi della grande
villa sede del capofamiglia.
Respirando
un’ultima volta l’aria fresca del mattino, decide
di chiudere le ante della finestra e di ripiombare nella penombra della
sua piccola camera. L’orologio appeso alla parete indica che
è ancora presto per svegliare Milady, tuttavia, nelle stanze
accanto alle sua, sente già le altre domestiche che
parlottano a bassa voce, discutendo vivacemente sugli eventi della
giornata che sta per iniziare. Sa già che anche questo
giorno sarà pieno di soprusi e di prepotenze da parte degli
altri servi, tuttavia non le importa più di tanto. Si
è sempre detta che le basta poco per essere felice, anche
solo il fragore sommesso delle onde e lo splendente blu che
caratterizza il mare.
Alcune ore dopo, si
ritrova a camminare per gli oscuri corridoi della grande magione degli
Ushiromiya. Ha già evitato senza successo lo sguardo di
disapprovazione di Runon – ha fatto tardi, nonostante si
fosse alzata così in anticipo – e adesso,
mortificata, umiliata, ferita dal comportamento delle altre ragazze, si
dirige verso la stanza di Milady. Le è stato insegnato a non
dare troppa importanza ai propri sentimenti: è quello che
Genji le ripete più spesso, quando la redarguisce a causa
dei suoi continui lamenti nei confronti delle altre serve
più grandi. Kumasawa la incita a non curarsi di quello che
le altre dicono, tuttavia sa già di non essere forte
abbastanza da poter ignorare quello che gli altri pensano di lei. La
chiamano Yasu,
inutile. E nel suo animo forse è davvero convinta che questo
sia il suo vero nome, e che le si addica più di quello che
il capofamiglia ha deciso, senza il suo consenso, per lei.
Bussa un paio di volte
alla porta di mogano della stanza di Milady. Non si aspetta nessuna
risposta, eppure è sorpresa quando, improvvisamente, una
voce la invita ad entrare.
Timorosa, allunga la
mano verso la lucida maniglia d’ottone.
“Shannon,
vieni qui!”
La voce di Jessica
è un po’ più alta del normale, e,
nell’animo ancora inquieto di Shannon, incute una sorta di
tormentato timore. Milady non è solita redarguirla, tuttavia
è ancora parecchio provata dagli insulti di Runon e delle
altre ragazze della servitù.
“B-ben
svegliata, Milady”, balbetta timidamente, mentre si inchina
leggermente al cospetto della ragazza.
“E’
tutto a posto, Shannon, sta’ tranquilla,” esclama
lei, sentendo il suo tono. “E comunque, ti ho già
spiegato che il mio nome non è Milady.”
Shannon non ha il
coraggio di rispondere a questa affermazione. Abbassa lo sguardo e
attende che sia l’altra a parlare, pronta ad eseguire
qualunque ordine.
Jessica le
dà le spalle, camminando verso la finestra. Perde lo sguardo
lungo il litorale roccioso bagnato dalla luce dorata del sole,
respirando l’aria salmastra che il vento porta con
sé.
Stranamente, in quel
momento, Shannon si sente simile a lei, come se, in fondo, entrambe
stessero provando gli stessi sentimenti. Il mare è blu per
tutti? Può darsi, ma forse è di sfumature diverse,
si ritrova a pensare, mentre sente Jessica che, dall’altro
lato della stanza, lentamente sospira, ancora rivolta verso la linea
dell’orizzonte solcata dai gabbiani.
“Shannon,”
esclama la ragazza dopo qualche minuto, pensierosa. “Tra
quanto saranno qui gli ospiti?”
Sul volto della
cameriera si accende un tiepido sorriso. “Dovrebbero essere
qui entro poche ore. Il mare è perfettamente calmo, dunque
non dovrebbe esserci alcun ritardo nel viaggio della nave fino al porto
di Rokkenjima.”
Non nasconde la
felicità che prova al pensiero della riunione del casato
degli Ushiromiya di quel giorno. Quando la famiglia si riunisce, di
solito, le altre ragazze hanno meno tempo per prenderla in giro, tanto
sono impegnate nei preparativi che vedono coinvolti gli ospiti del
nobile casato, e ciò non può che renderla felice.
“E ci
sarà anche Battler?” la domanda della ragazzina la
coglie alla sprovvista, tuttavia, dopo un breve attimo di esitazione,
risponde con voce ferma.
“La famiglia
di Battler-sama è stata recentemente colpita dalla morte di
Asumu-sama. Sarebbe comprensibile se Rudolf-sama decidesse di non
partecipare all’annuale riunione familiare. Tuttavia, sono
state preparate stanze per entrambi.”
“Questo
significa che probabilmente parteciperanno.”
“S-suppongo
di sì, Mil… Jessica-sama.”
Adesso
c’è un leggero sorriso sul viso di Jessica,
apparso dal nulla come le nuvole che, leggere, turbano improvvisamente
la stagione estiva; tuttavia, Shannon non può saperlo. Si
è sempre limitata soltanto a servire la ragazza in
ciò che le veniva ordinato, e sa bene di non potersi
considerare neppure sua amica.
E’ passato
un anno dal loro ultimo incontro, tuttavia Battler è
esattamente come lo ricorda. Non appena la vede, le corre incontro con
un gran sorriso sul volto: e la saluta così, con quella gran
risata che lo caratterizza, perché è in questo
modo che Battler si è sempre comportato nei suoi confronti,
fin dal loro primo incontro. Lei arrossisce, si stringe su se stessa
mentre il ragazzo la abbraccia, abbassa la testa in maniera umile: il
suo comportamento la imbarazza, ma non osa dire nulla per paura di
mancargli di rispetto; spera soltanto che Madame sia distratta, per non
essere nuovamente ammonita anche da lei.
Le chiede come va,
donandole quel gran sorriso che l’ha sempre paralizzata; e,
prima di poter rispondere qualcosa, è già
avvampata. Biascica un bene piuttosto forzato, a testa china. Battler
sembra trovare il suo imbarazzo divertente: sembra che le stia per dire
qualcosa, ma poi viene richiamato da suo padre, in lontananza.
Lui annuisce alla
richiesta dell’uomo, poi si volta di nuovo verso di lei. Le
fa un allegro segnale di saluto con le dita, poi comincia a
scodinzolare dietro suo padre, verso il grande ingresso della villa.
E in un attimo,
nell’immenso giardino delle rose di casa Ushiromiya, mentre
il tiepido vento autunnale le scombina dolcemente i capelli,
è di nuovo, come sempre, sola.
Sì,
probabilmente prova qualcosa per Battler.
Sono tante le cose che
la gente afferma riguardo all’amore: la natura umana
è piena di parole meravigliose atte a descrivere questo
sentimento.
Per lei, tuttavia,
è diverso. Genji le dice sempre che l’amore
è un sentimento utile la metà della
lealtà e dieci volte più dannoso: tuttavia, le
è difficile ignorare un sentimento del genere. Non
è solita confidarsi con Jessica: ascolta volentieri i
pensieri della ragazza, ma non si permetterebbe mai di fare altrettanto
con i suoi. Dopotutto, le è stato insegnato che lei
è solo un mobile di quella villa.
Eppure,
c’è qualcosa di particolare nelle sue
chiacchierate con Battler-sama: è sempre stato
così, per lei, e, nonostante le faccia fatica ammetterlo,
è quello il motivo per cui s’è
svegliata così presto, quella mattina, e perché
ha atteso con tanta ansia questo giorno. Non riesce a capire quello che
prova, non sa neanche se sia normale; ha troppa paura per confidarsi
con qualcuno, persino con Kumasawa: Madame andrebbe su tutte le furie,
se qualcosa del genere giungesse alle sue orecchie, e a lei non piace
far arrabbiare Madame. Essere biasimata la fa sentire incapace, inutile: la fa
sentire come quella Yasu che pretende di non essere, ma che forse, in
fondo, è davvero.
Le piacerebbe essere
accettata da tutti.
I rimproveri di Madame
forse sarebbero un po’ più sopportabili.
Tuttavia, sa bene che
tutto ciò che immagina non può succedere davvero.
Quello che sogna, quello per cui sta sveglia la notte e si tormenta
– dio, quante notti passate ad occhi aperti a immaginare
quella perfezione! -, non può accadere perché
semplicemente non lo merita. E non merita l’amore di Battler,
se amore può essere chiamato. Sì, allora
è molto meglio che sia Jessica ad avere i sentimenti e il
cuore del ragazzo.
Perché lei
lo sa. Jessica non gliel’ha mai detto, ma è ovvio
pensare che sia così. Riesce a capirlo anche adesso,
osservandoli dalla piccola finestra sgangherata della sua camera,
mentre giocano e ridono correndo per il giardino delle rose.
Può vederlo negli occhi di Jessica, nel suo sorriso, persino
nella domanda che quella mattina le ha rivolto, non appena è
entrata nella sua camera. Shannon lo sa, e sa che probabilmente a
Battler Jessica piacerebbe più di lei. Non conosce il tipo
di ragazza che possa piacergli: tuttavia, lo sente. E dopotutto, lei
possiede forse qualcosa in più per meritare
l’amore del ragazzo? Non riesce neppure a parlargli. Crede
davvero di avere qualche speranza, così?
Se le fosse permesso,
la odierebbe.
Ma, anche volendo,
forse non ci riuscirebbe del tutto. Si limita soltanto a guardarla
attraverso la finestra, ad osservare il riflesso dei suoi capelli
chiari espandersi alla luce del sole, come olio su tela, o come le onde
del mare che lentamente consumano la riva di quell’isola.
Battler e Jessica giocano, e George, poco distante da loro, li osserva
divertito. Perché quella scena lo diverte? Che cosa pensa il
ragazzo dei suoi due cugini? Non riesce a immaginarlo.
Rimane alla finestra,
insoddisfatta e infelice, mentre il meriggio scivola via oltre il mare,
insieme al sole e ai suoi sottili raggi di luce dorata. Dovrebbe
aiutare le altre domestiche con la cena, ma non le importa. Tanto
quelle stupide troverebbero comunque un modo per criticarla.
Il tramonto porta via
con sé anche la sua tristezza. Sospira, leggermente,
perché non vuole che nessuno la senta, mentre accarezza
lentamente il tiepido velluto di una delle rose del giardino. Sono
migliaia, di tutti i colori, piene di vita, pulsanti: in quel giardino
non riesce ad esser triste, neppure volendo.
I servi probabilmente
parleranno a Madame, le diranno che oggi non s’è
fatta viva neanche una volta in cucina: in quel momento,
però, non la ritiene una questione importante.
La brezza fresca della
sera è dolce e carezzevole, e la consola soavemente: il
profumo delle rose è forte e al tempo stesso meraviglioso.
Cammina per il sentiero ricoperto di petali di rosa, con la testa
altrove, accarezzando ogni singolo petalo dei fiori che la sua mano
incontra: il suo tocco è lieve, leggero, quasi impalpabile.
Il suo sguardo incontra una rosa più bella delle altre, dal
soave colore dorato: ha una grande corolla, ed emana un forte profumo
che non ha eguali, rispetto a quello delle sue simili. La accarezza
più delle altre, quella rosa dorata –
l’ha saputa consolare bene, più di quanto abbia
mai fatto una persona reale -, tiene a mente la sua posizione per
ritrovarla ancora quando si sentirà triste in futuro.
E in quel momento di
assoluta perfezione, quando l’odore delle rose e del placido
mare la inebriano dolcemente, sente una voce alle sue spalle,
all’improvviso.
“Che cosa
stai facendo?” le chiede Battler, curioso.
Non appena sente la
sua voce, sa già di essere avvampata terribilmente.
Ringrazia la luce soffusa del giardino delle rose, così
discreta, che la illumina in maniera indiretta, quasi di sfuggita.
“S-stavo
ammirando questa rosa” si ritrova a rispondere,
perché non vuole sembrare scortese né vuole
mentire a Battler-sama.
Lui si avvicina, con
passo lento, con un sorriso un po’ obliquo e al tempo stesso
divertito. Quando si avvicina al fiore che Shannon indica, annuisce
lentamente: “E’ davvero bellissima. Si addice
perfettamente a quest’isola, non trovi? Il colore dorato per
l’isola della Strega dell’oro, Beatrice.”
Shannon risponde
sottovoce, a testa bassa, troppo timida per incrociare il suo sguardo.
Trascorrono un paio di
minuti in silenzio, senza nemmeno incrociare i propri sguardi.
“Tu credi
alla leggenda di Beatrice, Shannon?” chiede Battler dopo un
po’, pensieroso, mentre osserva ancora la rosa dorata.
“B-beh…”
comincia Shannon, non sapendo quale risposta si aspettasse il ragazzo
accanto a lei. “Tra i domestici, si tramanda la leggenda
della strega che di notte apre le finestre e le porte, tuttavia... no,
probabilmente non ci credo. Se c’è una Beatrice,
su quest’isola, allora è soltanto questa
rosa.”
Battler sembra
soppesare questa risposta, nella sua mente. Poi, soddisfatto, sorride.
“Anche io la penso così. Le streghe non esistono.
Però questa rosa sembra dorata, così come quella
strega… dunque, trovo sia una bella risposta.”
Anche Shannon sorride
insieme a lui. Sono insieme, loro due soli, nell’immenso
giardino delle rose che è il suo paradiso, il luogo in cui
si sente più protetta, libera dagli sguardi sprezzanti delle
altre serve e di Madame. Anche se non se ne rende conto, è
felice come non è mai stata.
Il mare è
di un blu più intenso, ora.
“Battler-sama…
posso farle una domanda?” chiede dopo un po’,
prendendosi di coraggio, mentre il suo viso avvampa in maniera
vergognosa.
“Certamente!”
esclama Battler, sorridendole.
“Mi
chiedevo… che tipo di ragazza piace a
Battler-sama…?” domanda timidamente, con un filo
di voce, a testa china.
Inizialmente Battler
sembra un po’ imbarazzato, guardandola confuso. Tuttavia, ben
presto, sul suo viso riaffiora un grande sorriso.
“Beh…
lo sai, non sono un grande estimatore di quella che può
essere la tipica donna di famiglia,” afferma poi, ridendo.
“Vedi come mi comporto? Non riesco ad essere educato con le
ragazze, mi è proprio impossibile! Dunque, se mi chiedessi
che tipo di ragazza mi piace… Beh, probabilmente risponderei
dicendo che mi piacciono le ragazze come Jessica. Se io mi comporto
così, perché non può farlo anche
lei?”
Buttate
così al vento, le sue parole improvvisamente la
aggrediscono. Per lui sono leggere, sono farfalle dorate che si librano
in volo sopra il giardino delle rose: ma quello che vede lei
è soltanto nero, il nero della bile che trascina via tutte
le sue speranze. Tiene la testa bassa, gli nasconde le sue lacrime,
mentre lui continua a parlare, al vento e alla sottile brezza
d’autunno.
“Probabilmente
sarebbe il mio tipo ideale di relazione, così, senza
preoccuparsi di nulla e facendo quello che più si
vuole… Quindi, se volessi avere una fidanzata, mi piacerebbe
qualcuno con cui poter scherzare sempre.”
Basta. Ti prego, fermati.
Avrebbe voluto gridarglielo, ma non avrebbe mai trovato il coraggio di
dirglielo davvero. La coltellata improvvisa che sono le sue parole
è come una droga per lei.
“E…
e che aspetto dovrebbe avere?” domanda poi, flebilmente,
senza avere il coraggio di aggiungere altro.
Battler cambia
espressione, un po’ confuso. “Beh, non sono troppo
schizzinoso al riguardo. Però, mi piacerebbe che fosse una
donna affascinante, bionda, prosperosa e con gli occhi azzurri, come
quelle che si vedono nei film!” Poi ride, divertito da quella
prospettiva. “Sarebbe fantastico, sì!”
Non ha più
il coraggio di rispondere. Lentamente, asciuga le lacrime che hanno
cominciato a rigarle le guance. E’ voltata, e Battler non
può vedere il suo viso, ma in quel momento si ritrova a
sperare che il ragazzo noti qualcosa. Che le chieda di spiegarsi
meglio, che le faccia delle domande, che la volti e noti il suo viso
distorto dalla disperazione. Ma lui non si accorge di nulla, perso
nelle sue fantasie, e il suo dolore si manifesta ancora più
forte, improvvisamente, come un’onda impetuosa che si spezza
contro la roccia di uno strapiombo. Alza lo sguardo verso il mare,
confusa, triste e allo stesso tempo infuriata: ma quello che osserva
non è più lo stesso mare che circondava
l’isola che ora è la sua prigione, ma soltanto una
pozza opaca e grigia.
Battler viene
richiamato dal padre all’interno della villa, e lei torna ad
essere sola. Osserva la luce spenta degli astri, sente sulla pelle la
brezza fresca della notte che ora è simile a una tempesta,
lascia che le sue lacrime scorrano vive sulla sua pelle, fino ad
infrangersi tra i petali di quelle bellissime rose, così
come le sue speranze.
I suoi occhi arrossati
dal pianto si soffermano nuovamente su quella rosa, quella bellissima
rosa dorata che lui aveva accarezzato.
Con uno scatto
improvviso della mano ne distrugge la perfetta corolla, amareggiata
dalla sua aulica perfezione.
“Beatrice,
ascolta
attentamente.
Io ti cedo il mio
amore per Ushiromiya Battler.
Diventa la donna che
Battler desidera.
Prendi i capelli
biondi che tanto desidera.
Prendi quegli occhi
blu che tanto gli piacciono.
Acquista la
personalità che a lui si addice.
E dopo aver fatto
ciò… amalo al mio posto.
E… se
è possibile, fatti amare da lui.
Io… non
posso più amarlo.
Per favore, prendi i
miei sentimenti non corrisposti, i miei sentimenti che non posso
più tenere con me… ed esaurisci il mio desiderio.
Da questo giorno, non
sei più lo spirito di Rokkenjima che vive soltanto quando fa
innocui scherzi.
Da questo giorno, tu
sei la padrona di quest’isola, e aspetterai il giorno in cui
lui tornerà qui per mantenere la sua promessa.
Da questo giorno,
farai ciò al posto mio.
Dunque, da questo
giorno, tu non sarai più me.
Per favore, perdonami
per aver lasciato confluire tutto quello che provo in te,
perché, nonostante io sia sola, sto cercando di trovare la
mia felicità.
Da questo giorno, tu
hai il diritto di odiare tutti.
Da questo giorno, tu
sei la Strega Dorata, Beatrice.
E, un
giorno… distruggerai ogni cosa, e la farai rivivere.
Benedirai tutti coloro
che ti amano.
Quando ciò
accadrà… spero che sia tu che io avremmo trovato
la felicità.
Da questo giorno, tu
non sarai più me.
Da questo giorno, io
non sarò più te.
Noi due saremo
un'unica anima divisa che condivideremo, sebbene, ovviamente, nessuna
delle due possederà un’anima completa…
Ma sono comunque certa
che i nostri sogni saranno più numerosi di quelli degli
altri umani.
Lascia che io ci
benedica…
Mia cara
Beatrice…
Nessuno
potrà vederti.
Io sola
sarò capace di farlo.
Ma se tu sarai amata
da tante persone, un giorno chiunque potrà essere in grado
di vederti.
Grazie
all’amore, ne saranno capaci.”
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