La carrozza traballava sul ponte levatoio, mentre sopra le loro teste
poteva udire il lento sollevarsi del cancello d’ingresso. La
bambina si strinse forte alla madre, affondandole il visetto nelle
vesti. Non conosceva quel posto, così lontano da casa, e
aveva paura. Solo un pochetto, però…
La madre, sorridendo dolcemente, pose una mano tra i capelli, e
carezzandole le testolina per darle conforto.
“Andiamo, tesoro…non c’è
nulla di cui aver paura”
“Quando andiamo a casa?”
Seduto di fronte a lei, il padre rise, con la sua roca voce baritonale,
e incrociò le braccia sul petto.
“Non preoccupati, cucciola, andrà tutto bene! Ti
prometto che ti divertirai…”
“Sì, a essere data in pasto ai mabari!”
La madre scoccò al ragazzino seduto affianco al padre
un’occhiata fulminante, mentre stringeva la bambina tutta
tremante.
“FERGUS!”
Il ragazzo sghignazzò, soddisfatto del risultato della sua
burla. Adorava infastidire la sorellina, specialmente quando non era in
condizione di ribellarsi, come in quel momento…
Venne immediatamente smentito da un forte calcio nello stinco,
assestato da niente di meno che la sua indifesa sorellina. Si
piegò sulle cosce con un gridolino, mentre la bambina lo
fissava con dispetto, facendogli una sonora pernacchia. Furioso,
allungò le mani ad artiglio, cercando di afferrarle il piede
per strattonarla giù dal sedile.
“TU BRUTTA…!”
“Smettetela tutti e due! – strillò la
madre, separandoli con le braccia – Ricordate che siete dei
Cousland! E i Cousland non si comportano come dei cani
selvaggi!”
Intanto la piccola, che non aveva mai smesso di guardare torva il
fratello, gli aveva tirato un altro calcio, stavolta sullo stinco sano.
Fergus soffiò a denti stretti, e fece per avventarsi sulla
sorella. Solo gli sforzi della madre impedirono in peggio. Mentre
cercava disperatamente di sedare la lite, la donna si rivolse al
marito, che per tutto il tempo era rimasto a fissare la scena,
genuinamente divertito.
“Bryce! Ti decidi a darmi una mano?”
Proprio mentre parlava, la carrozza si fermò. E
così, come per incanto, anche le due piccole pesti.
“Non ce n’è bisogno, Elanor –
disse il marito, aprendo lo sportello con un sorriso di comprensione
– siamo arrivati…”
Il sole pomeridiano li investì, mentre scendevano dalla
carrozza. Dopo un lungo viaggio quasi tutto nella penombra, la piccola
Cousland fu costretta a strizzare gli occhietti e a stropicciarseli con
la manina, prima di riuscire a mettere a fuoco i dintorni.
Si trovavano in un ampio piazzale, entro le mura di un castello.
L’edificio principale si ergeva maestoso dinnanzi a loro, le
alte torri baciate dai raggi sole e splendenti come madreperla. Si
accedeva alla porta principale da un’ampia scalinata,
affiancata sulla destra da un antico albero carico di foglie
smeraldine. La bambina si chiese se, più tardi, avrebbe
potuto arrampicarcisi.
Ai piedi della scalinata stava un uomo. Era vestito di completo blu con
ghirigori dorati, molto raffinato (mai quanto quello del suo
papà!), e il volto era quasi del tutto coperto da una lunga
barba castano chiaro, estremamente ben curata. Gli occhi erano allegri
e chiari come il giorno. Sembrava un buon uomo… Ma,
pensò la piccola, aggrappandosi ai pantaloni del padre con
ambo le mani, era pur sempre un estraneo.
L’uomo venne loro incontro a braccia spalancate, un caldo
sorriso di benvenuto a fare capolino dalla barba. Strinse forte la mano
di suo padre, che lo ricambiò con eguale entusiasmo.
“Bryce! – esclamò l’uomo
– Come state, vecchio mio?”
“Eamon! E’ bello rivedervi dopo tanto
tempo!”
“Anche per me! Anche per me! – si rivolse a sua
madre, inchinandosi e salutandola con un perfetto baciamano –
Elanor! Siete sempre più incantevole ogni volta che vi
vedo…”
“Oh, sciocchezze, Eamon! – ridacchiò la
madre, visibilmente lusingata – Siete il solito
adulatore!”
Infine, l’uomo di nome Eamon guardò i due ragazzi.
“Ma guarda…e questo sarebbe il piccolo Fergus!
– esclamò, arruffandogli i capelli affettuosamente
– L’ultima volta che vi ho visto non mi arrivavate al
ginocchio!”
“E’ un piacere rivedervi, Arle Eamon”
recitò Fergus, le mani raccolte dietro la schiena, tutto
impettito nel snocciolare il suo galateo (anche se a casa faceva sempre
di tutto pur di marinare le lezioni di Aldous).
“Eheh, scommetto che sei un vero monello, non è
così?” scherzò l’uomo. Fergus
arrossì con aria colpevole.
“E questa – disse, allungando una mano verso la
bambina – non sarà mica la
piccola…”
Muta come un pesce, l’ultima dei Cousland si
affrettò a nascondersi dietro le gambe del padre, sbirciando
l’uomo da dietro una coscia con due occhioni grandi come
quelli di un cerbiatto.
Eamon ritrasse la mano, un po’ interdetto, e poi rise,
colpito.
“Agile come una gazzella, la piccola!”
“Su, cucciolina – la incoraggiò il
padre, posandole una mano dietro la nuca – saluta Arle
Eamon…”
Tanto era l’imbarazzo, tanta la voglia di ubbidire al padre,
che la piccola mormorò un timido:
“C…ciao…”
“Per il Creatore! – la rimproverò la
madre, scandalizzata – Non si dice certo
‘ciao’, signorinella!”
La bambina, dietro suo padre, si fece ancora più piccola per
la vergogna. Meno male che Arle Eamon non era certo uomo da formalismi.
Scoppiò di nuovo a ridere, così forte da doversi
tenere la pancia con una mano, mentre con l’altra riusciva ad
acchiappare la manina della bambina e a stringerla con fare
rassicurante.
“Non preoccupatevi, piccola cara – le disse,
facendole l’occhiolino – da una bella fanciulla
come voi posso accettare anche un ‘ciao’!”
La bambina sentì il rossore imporporarle le guance, e
ridacchiò tutta contenta, lasciando che Eamon la prendesse
per mano e la scortasse su per le scale.
“Allora Eamon – continuò suo padre,
prendendola per l’altra mano – come vanno le
cose?”
“Non posso davvero lamentarmi. L’arlea prospera, i
raccolti sono abbondanti, la pesca pure, e Isolde è un
fiore…”
“Non ti stanno… - esitò prima di
continuare, con sapendo come e se affrontare il discorso -
…dando problemi?”
Eamon scosse la testa, come a voler scacciare una zanzara molesta.
“Oh, ci provano, non crediate…ma Maric
è consapevole di quanto io la ami, e di cosa sarei capace di
fare se decidessero di separarci…diciamo che lo tollera, e
credo che mi dovrà bastare, per il
momento…”
La bambina tra i due uomini aveva smesso già da un pezzo di
ascoltare, prima di tutto perché impegnata a fare una lunga
linguaccia al fratello, rimasto indietro con la madre a covare un
broncio monumentale…
E poi perché, voltatasi verso l’albero nel
cortile, aveva intravisto qualcosa luccicare tra le fronde.
Si fermò di colpo, lasciando le mani del padre e di Arle
Eamon, e rimase a fissare quel luccichio, come incantata. Non
c’era dubbio, c’era qualcuno acquattato nel
fogliame.
I due uomini si fermarono a guardarla, interrompendo i loro discorsi.
Il padre, sorpreso, la chiamò.
“Cucciola! Andiamo!”
Ma la piccola non si mosse. Anzi, aggrappandosi alla balaustra della
scalinata con le paffute manine, prese un gran respiro, sbilanciandosi
all’indietro per lo sforzo di incamerare tutta
quell’aria, per poi gridare a pieni polmoni:
“HEEEEEYYYY!!!! CIAAAAAOOOO!!!!”
Nel gruppetto scese un silenzio attonito.
Già la madre si stava fiondando verso di lei come una furia
per trascinarla via per un orecchio, quando dai rami una vocetta
argentina rispose:
“CIIIIAAAAAOOOOO!”
Gli uomini fecero un balzo all’indietro, e la madre
fermò la mano punitrice a mezz’aria, fermandosi a
fissare l’albero, come inebetita. Fergus, nel frattempo, si
era strategicamente inabissato dietro le gonne della genitrice,
lasciando agli adulti il compito di risolvere il mistero del fantasma
dell’albero.
Con un gran fruscio e rumore di rami spezzati, qualcuno
saltò giù dalla pianta, e atterrò in
piedi sul prato sottostante.
Era un ragazzino, non più grande di un paio d’anni
rispetto alla piccola Cousland. Aveva lunghi capelli biondi raccolti in
un codino dietro la nuca, e la faccia allegra e impavida tipica dei
monelli più avventurosi. I suoi vispi occhi azzurri
scrutavano all’intorno, rapidi come zefiri, e portava un
completo tutto sporco di corteccia e foglie secche, su cui
però svettava, inconfondibile, lo stemma della casa reale
del Ferelden. In mano reggeva un piccolo spadino di latta, tutto storto.
Trasalendo, a bocca spalancata, suo padre si affrettò ad
inchinarsi, così come sua madre (che con una manata si
trascinò dietro anche Fergus). Eamon, dal canto suo, era
furibondo. Si mise le mani sui fianchi, e apostrofò il
ragazzo molto severamente.
“CAI…ehm…VOSTRA ALTEZZA! – si
corresse subito – Quante volte vi ho detto di non andare in
giro a spaventare la gente?!”
Il ragazzo sbuffò, annoiato, e corse su per le scale.
“Oh, zio! – piagnucolò, risentito
– Non ho spaventato nessuno questa volta!”
Giunto faccia a faccia con la bambina, la scrutò
incuriosito, inclinando la testa di lato come un gatto che osserva la
preda.
“Non ti ho spaventata, vero?”
La bambina scosse la testa con decisione. No, certo che no! Non aveva
paura dei bambini, lei!
“E non datele del tu! – continuò Arle
Eamon, deciso a non lasciar perdere la discussione – Non si
da MAI del tu!”
“Ma lei lo ha fatto per prima!” disse il ragazzo,
indicandola con un ditino accusatorio.
“E’ LO STESSO!”
“Comunque – disse il ragazzo, rivolgendosi alla
bambina con un sorriso divertito – sei stata brava! Mi hai
trovato! Quella noiosa della mia balia non mi trova mai, e allora io
salgo sull’albero e le salto addosso come un Prole Oscura
impazzito e faccio ‘AAAARRRRGHH!! TI
MANGIOOOO!’”
Alzò le manine ad artiglio, e contorse il viso in una
smorfia paurosa. Con un urletto, la bambina si mise a ridere, tutta
contenta. Adorava essere spaventata!
“E lei ogni volta se la fa sotto, ti giuro!”
“VOSTRA ALTEZZA!” lo ammonì Eamon.
“Oh, siete noioso zio! – sbottò infine
il ragazzo, battendo un piede a terra – Noi andiamo a
giocare!”
Detto ciò, prese la piccola Cousland per mano, e la
trascinò giù per le scale, ridendo a crepapelle.
Subito Eamon e il padre di lei si lanciarono all’inseguimento
dei fuggiaschi, troppo attoniti per riuscire a raggiungerli.
“Vostra altezza! Vostra altezza tornate subito qui!”
“Corri! – disse il ragazzo alla piccola –
So dove nasconderci!”
La piccola, che dapprincipio era stata presa alla sprovvista da quella
grande fuga, subito si adattò al gioco, e lasciata la mano
del ragazzo si mise a correre più veloce che poteva,
seguendolo verso la porta dei sotterranei, ridendo come una matta.
Lì, il ragazzo spalancò la porta, e non appena la
piccola ci fu entrata la richiuse alle loro spalle, bloccando il
chiavistello col suo spadino. Da fuori ci fu un gran bussare e vociare,
ma i due erano troppo occupati a riprendere fiato per rispondere. Dopo
qualche attimo, però, vi fu solo silenzio.
Solo dopo essersi del tutto ripresa dal fiatone, la piccola si rese
conto di dove si trovavano.
Erano in un buio seminterrato, pieno di polvere e ragnatele. Solo la
fioca luce di una candela illuminava lo stanzone, dove stavano
ammucchiate pile di cianfrusaglie, e vecchi bauli arrugginiti.
Al suo fianco, il ragazzino si raddrizzò, tutto inorgoglito.
“Questa è la mia base supersegreta! –
proclamò – Qui ci vengo solo io, quando mio padre
mi lascia con lo zio Eamon!”
Si parò davanti alla bambina, con un’espressione
talmente seria da sembrare comica.
“Giura che non lo dici a nessuno!”
L’importanza del momento richiedeva un certo contegno. Pancia
in dentro, petto in fuori, mano sul cuore, ecco che la degna figlia di
Bryce Cousland si apprestava a fare un giuramento solenne.
“Giuro!”
“Possano cascarti le braccia!
“Giuro!”
“Possa morirti il criceto!”
“Io non ho un criceto…”
“Io sì, si chiama Garahel, dopo te lo
presento…allora…Possa morirti il
mabari!”
“Giuro!”
“Possa tu venir divorata dai Prole Oscura!”
“Bleah, che schifo…”
“Giura!”
“Sì sì giuro!”
Il ragazzino sorrise, poi si sputò nel palmo della sua mano
destra, e gliela porse perché gliela la stringesse, come
segno di assoluta fedeltà.
“Io sono Cailan, e un giorno sarò re!”
A quel punto la piccolina era un tantinello schifata…ah, i
maschi! Ma non si sarebbe certo tirata indietro davanti al futuro re
(ma stava scherzando o cosa?)! Si sputò anche lei in una
mano, e gliela strinse, rabbrividendo per il disgusto a quel contatto
viscido. Tzè… i maschi!
Cailan, pienamente soddisfatto, si mise a strattonarle in braccio su e
giù a mò di saluto, manco gliel’avesse
voluto staccare di netto. Ma, quando vide che la bambina stava per
assestargli un solenne cazzotto con la manina libera, smise subito,
molto saggiamente. Si allontanò un poco, e la
esaminò alla luce della candela. Le piaceva, quella bambina.
Sembrava simpatica, coraggiosa (non si era spaventata neanche un
po’ davanti alla sua terribilissima imitazione di un Prole
Oscura!) e poi aveva giurato!
“Sei carina – le disse, mentre le faceva segno di
seguirlo su per una cupa rampa di scale – mi vuoi
sposare?”
La bambina lo fissò, interdetta.
“Ma se tu sei il principe – gli chiese –
non sei già fidanzato? Mia madre mi ha detto che il principe
è fidanzato con la figlia di un altro teyrn, ed è
un peccato perché sennò mi fidanzavano loro con
te…”
“No, vabbè, che c’entra…
– sbuffò lui, beccato in pieno – Quando
sarò re, farò una legge che il re può
sposare tutte le donne che gli pare, così posso sposare te e
Anora…”
La piccola Cousland sospirò, un po’ offesa. Che
tipo! Lei da grande avrebbe sposato un eroe come suo padre, avrebbe
amato solo lui come suo padre amava sua madre, avrebbero avuto mille
figlie e due figli (perché i maschi sono sporchi e cattivi,
però almeno due per continuare la stirpe ci volevano), e
avrebbero avuto un esercito di mabari tutte femmine (tranne il suo,
perché lui era carino e coccoloso). Era così che
si doveva fare! Sposare due donne…non le sembrava una cosa
molto carina da fare. E poi, era sicura che non facessero letti a tre
piazze, nel Ferelden. Forse ad Antiva?
“Ci penserò” ecco cosa bisognava
rispondere quando non si voleva dire ‘no’ ma
nemmeno ‘sì’. Così faceva
sempre Nan.
“Va bene, anche io”
Arrivati in cima alle scale, si trovarono davanti un assembramento di
elfi, che si affrettavano da tutte le parti per preparare la cena.
Quelle erano senza dubbio le cucine.
Cailan la prese per mano, e si poggiò un dito sulla bocca
con aria cospiratrice, intimandole di fare piano. Lei serrò
le labbra per segnalare che aveva capito. Quatti quatti, i due bambini
sgattaiolarono sotto il lungo tavolo della cucina, e tanto era il
fracasso e tanta la fretta, che i servi nemmeno si accorsero di loro.
Camminarono carponi sul pavimento, per poi fiondarsi fuori dalla porta
posteriore come due fulmini. Si appiattirono contro il muro della sala
attigua, ridendo a denti stretti come due matti. Avevano imbrogliato
dei grandi (anche se servi)! Erano i campioni di Redcliffe! Cailan le
strinse la piccola mano. Sì, l’avrebbe sposata, e
sarebbe andato a combattere la Prole Oscura con lei, proprio come
avevano fatto i suoi genitori!
“Ti voglio far vedere una cosa fortissima!”
esclamò Cailan d’improvviso, saltellando sul posto
tutto eccitato.
“Uuh! Che bello!” disse lei. Adorava le sorprese!
Senza mollarle la mano, Cailan la trascinò fuori dalla sala,
impaziente di mostrarle quello che aveva in mente. Con questo
l’avrebbe di certo conquistata!
“Indovina che cos’è!” la
incitò, mentre attraversavano gli alloggi della
servitù.
“Uhmmmm – si scervellò lei, udendo i
mabari abbaiare nei canili – Un drago!”
“Meglio!” disse lui, sbirciando con una certa
nostalgia la porta dell’armeria.
“Uhmmmm…Una torta!” esclamò
lei, mentre scendevano una scalinata accanto alla cappella.
“Naaah!” scosse la testa con fervore il principe,
mentre apriva una porta cigolante.
“Oooh!”
La piccola sgranò gli occhi, ammutolita per lo stupore. Non
riusciva a crederci!
La sala in cui si trovavano non era poi tanto diversa dalla base
supersegreta di Cailan. Era buia, era sporca, era piena di
ragni…
Ma c’erano le gabbie!
Erano nelle prigioni del castello!
Alzò la testa in alto in alto, per vedere meglio oltre le
alte sbarre incassate nelle pareti. Era uno scheletro quello
lì racimolato sul pavimento?
“Beeeelloooo!” esclamò lei, entusiasta.
Suo padre non le aveva mai permesso di giocare nelle segrete, ma lei
avrebbe sempre desiderato vederle! Erano così cupe, umide, e
piene di scheletri paurosissimi!
Cailan era al settimo cielo. Era riuscito ad impressionarla davvero!
Abbassò il capo, timido timido, e si mise a strusciare un
piede a terra, tracciando semicerchi nella polvere.
“Allora… - mormorò in un sussurro
imbarazzato - …mi merito un bacio?”
La piccola Cousland smise di fissare il soffitto, e squadrò
Cailan da capo a piedi. Ma aveva solo quello in mente?
Fece spallucce. D’accordo. Perché no? In fondo
l’aveva portata in quel posto spettacolare…
Gli si avvicinò, e piegandosi leggermente in avanti protese
le labbra, per dargli un bacio sulla guancia paffuta. Cailan,
sorridendo estasiato, le avvicinò il volto a portata di
schiocco…
“HEY! C’E’ NESSUNO
LI’?!”
Con uno strillo, Cailan precipitò al suolo di faccia, mentre
la bambina sobbalzava all’indietro per lo spavento, tenendosi
le manine sul cuore.
“HEY!” ripetè la voce, come se stesse
piangendo. La piccola Cousland ebbe un tuffo al cuore. Era un bambino!
Veniva da dietro l’angolo a sinistra…
“HEY! AIUTO!”
Deglutì, stringendo i pugnetti lungo i fianchi, e con tutto
il coraggio che possedeva si mosse a passi decisi in quella direzione.
D’improvviso, si sentì afferrare per la gonna. Era
Cailan, che si stava rialzando, bianco in volto.
“Non andare! – le disse, terrorizzato a morte
– Potrebbe essere un Prole Oscura!”
La bambina sospirò, esasperata.
“Scemo! – gli disse, strattonando la gonna
perché gliela mollasse – I Prole Oscura non
parlano!”
“E tu come lo sai?” balbettò lui,
raddrizzandosi e aggrappandosi alla vita di lei con la precisa
intenzione di non mollare la presa.
“Me l’ha detto fratello Aldous!”
“AIUTO!”
Eccola di nuovo quella voce, che gemeva sempre più
disperata. L’onore di guerriera e il prestigio della casata
Cousland imponevano alla bambina un’azione decisiva. Si fece
forza, e svoltò l’angolo.
Dapprincipio non vide nulla, nella penombra. Non c’erano
candele ad illuminare il lungo corridoio di fronte a lei. Lungo le
pareti, si aprivano le varie celle, sinistre e fredde. Sotto di loro,
il rumore d’acqua che scorreva donava alla situazione un che
si sinistro.
La piccola rimase ferma lì impalata dov’era,
indecisa su cosa fare (e di certo avere il principe ereditario
appiccato addosso non aiutava). Prese un profondo respiro, e
sussurrò nel buio:
“Dove sei?”
Da una delle celle sul lato destro, qualcuno agitò una
manina sporca di fango.
“Qui!”
Dopo un attimo d’indecisione, la piccola si
precipitò verso la cella, mentre Cailan la lasciava andare.
Si voltò un attimo verso di lui, e vide che stava arretrando
verso l’uscita con le gambe che gli tremavano.
“Ma dove vai?!” gli sibilò, con aria
accusatoria.
“Vado a chiamare mio zio!”
“Codardo!” gli fece una linguaccia da antologia.
Cailan arricciò il naso, offeso a morte.
“Io non ti sposo più!”
“E chi ti voleva, poppante!” gli gridò
dietro, mentre il principe spariva alla vista. Scuotendo la testa, la
piccola tornò ai suoi doveri. Che razza di re!
In effetti, nella cella c’era un bambino. Dovevano avere
più o meno la stessa età, ma era difficile dirlo,
con tutto il fango che aveva addosso. Aveva corti capelli castano
chiaro tagliati a spazzola, e due occhi grandi grandi di un castano
così chiaro da sembrare miele. I segni delle lacrime
tracciavano lunghe linee discontinue sulle sue guance, lavando via il
fango. Si teneva con le mani alle sbarre, e tremava tutto, spaurito
come un pulcino bagnato. La piccola, vedendolo così, si
sentì stringere il cuore in una morsa. Quale mostro poteva
rinchiudere un bambino in prigione!? Era vero che i maschi erano tutti
sporchi e cattivi, ma non per questo si doveva rinchiuderli! Suo padre
le aveva sempre detto che tutti i bambini erano innocenti e i preferiti
del Creatore, a prescinde da qualunque cosa avessero fatto! Avrebbe
dovuto fare una bella chiacchierata con Arle Eamon, poco ma sicuro!
Allungò una mano, e sfiorò le dita del ragazzino.
Subito lui si ritrasse, impaurito.
“Non avere paura – gli disse, gentile –
adesso ti aiuto…”
“Chi sei?” le chiese lui, brusco.
Ci rimase male. Che bisogno aveva di fare l’antipatico? Lei
era lì per salvarlo, e guarda come la trattava! Si mise la
mani sui fianchi, e assunse l’espressione
‘Mamma-Cousland-Non-E’-Per-Niente-Contenta’.
“Sono quella che adesso ti tira fuori, quindi cerca di essere
un po’ più carino!”
“Non ho bisogno del tuo aiuto!” borbottò
lui, imbronciato.
“Ma se mi hai chiamato tu, prima!”
“Non sapevo che fossi una femmina! –
ribattè lui, arrabbiato – Non ho bisogno
dell’aiuto di una femmina! Sono un uomo! Posso cavarmela da
solo, ecco!”
Uuuh, che rabbia! Ci rinunciava! Tutti i maschi erano dei sacchi di
letame puzzolente. Si voltò, il naso per aria in segno di
dignità offesa, e fece per andarsene.
“Allora resta lì, scemo!”
Si sentì di nuovo afferrare per la gonna. Creatore, ecco
perché odiava le gonne! Voltò la testa,
lanciandogli uno sguardo di fuoco.
“Aspetta…”
Lui era lì che la teneva per la gonna, e per qualche strana
ragione le sembrò più piccolo e indifeso di
prima. Si sciolse tutta a quella vista. E quegli occhioni erano
così cucciolosi…
Grugnì, come a dire ‘Che
c’è?’. Doveva pur mantenere un contegno,
no?
“Non mi lasciare da solo…”
pigolò lui.
Ecco, colpita e affondata.
Si girò verso di lui, e gli sorrise tutta zuccherosa.
“Va bene…”
Incrociò le gambe sotto la gonna, e si sedette a terra
davanti a lui.
“Hey, ma che fai? – esclamò lui, basito
– Ti sporcherai il vestito!”
“Vabbè, ne ho tanti – disse lei,
cercando di calmarlo – Non preoccuparti,
siediti…”
Vedendola così, il ragazzo decise di fare come diceva,
sedendosi di fronte a lei. Anche se separati dalle sbarre, i due
riuscivano a guardarsi perfettamente negli occhi. E ciò
bastava a rincuorare un poco il ragazzo sporco di fango.
“Come sei finito lì dentro?”
Anche da sotto lo sporco, la piccola Cousland lo vide arrossire.
“Ehm…” farfugliò lui,
confuso. Non poteva certo dirle che ci si era rinchiuso da solo per
errore!
“Sei un ladro?”
Lui sgranò gli occhi, offeso.
“NO!”
“Un assassino?”
“Creatore, no!”
“Sei un Prole Oscura?”
“Credo di no…” sembrava davvero indeciso.
Lei rise. Era divertente.
“Cosa c’è da ridere?” chiese
lui, circospetto.
“Sei buffo!”
Lui parve rilassarsi un poco. Non era sarcasmo. Non lo stava
insultando, come tutti gli altri. Era…buona.
“G…grazie…”
tartagliò lui.
“Prego!”
Di nuovo, lei allungò una mano verso le sue, ma
aspettò prima di toccarle. Non voleva che lui si spaventasse
come la prima volta.
“Come ti chiami?”
Lui fissò la sua manina bianca e paffuta, e poi la
guardò in viso. Era gentile e le piacevano le sue battute.
Non male, per essere una femmina. Sul suo visto sporco di fango si fece
largo un timido sorriso. Con una mano lasciò andare le
sbarre, e lentamente intrecciò le piccole dita con quelle di
lei, toccando il suo palmo col proprio in un caldo saluto.
“Mi chiamo Al…”
“CHE STA SUCCEDENDO QUI?!”
I due bambini sobbalzarono, scoperti in flagrante.
Davanti a loro stava Arle Eamon.
Oggi sono in vena di coccole fanciullesche! X3
Insomma, l’umana nobile non può avere trascorso
tutta la sua infanzia senza essere mai andata neanche una volta a
Redcliffe, no? E quindi, almeno una volta le sarà capitato
di incontrare un certo principe e un certo povero! XD Anche qui, niente
nomi, sbizzarritevi con l’immaginazione! Non l’ho
inserita nelle Cronache perché in effetti è un
prequel…
Spero vi sia piaciuta! ^_^
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