Ricorda
per
sempre
il
cinque
novembre,
il
giorno
nella Congiura delle Polveri contro il Parlamento,
non
vedo
perché di questo complotto
nel
tempo il
ricordo andrebbe interrotto…
Scorsi
velocemente i titoli delle canzoni.
Senza
riflettere, la mia scelta cadde su quell’unico numero che
rappresentava tutto
me stesso.
Il
5.
Rappresentava
il giorno della Congiura delle Polveri, e quindi V, e la sua
insaziabile sete
di vendetta; ma contemporaneamente…ero io.
Quella piccola parte del mio essere che, inevitabilmente, era
ancora umana. Era
anch’essa condannata a morire, e
quel numero era sempre lì a ricordarmelo.
<<
V, io me ne vado >>.
Quasi
non mi ero accorto che Evey era entrata nella stanza. La sua voce alle
mie
spalle mi colse di sorpresa.
<<
Ci sono ottocentosettantadue canzoni qui dentro. Le ho ascoltate tutte,
ma non
ne ho mai ballata una >>, dissi con voce pacata.
Sapevo
che quel momento sarebbe arrivato, ma il mio egoismo mi spingeva a
tentare di
rimandarlo il più possibile. Speravo che avrebbe colto la
richiesta nascosta
dietro quella semplice frase, e dopo la supplica nascosta dietro la
richiesta.
<<
Mi hai sentito? >>.
<<
Sì >>. Pronunciai quella parola come una
fastidiosa accettazione.
<<
Non posso restare qui >>.
<<
Lo so >>.
Sì,
ne ero perfettamente consapevole, e non potevo farci nulla.
Mi
voltai, e fui felice di scorgere nei suoi occhi una scintilla di
rimpianto.
<<
Be’, non troverai più porte chiuse
>>. Ti amo troppo per
trattenerti.
<<
Avevo pensato di tenerla, ma non mi sembrava giusto sapendo che
l’avevi scritto
tu >>, mi porse la lettera di Valerie.
<<
Non l’ho scritto… >>. Risposi.
Capii
che era giunto il momento di ricalcare nuovamente la V
della parola “Verità”.
<<
Posso mostrarti una cosa prima che tu vada? >>.
Annuì.
La
accompagnai dove erano riunite tutte le Scarlet Carson che possedevo,
insieme
alle foto di Valerie.
<<
Esisteva davvero? >>, chiese Evey meravigliata.
<<
Sì >>, risposi con un sospiro. Esisteva.
<<
E’ bellissima >>.
Evey
si voltò verso di me, con gli occhi accesi di
curiosità.
<<
L’hai conosciuta? >>.
<<
No >>, risposi, e in quella parola sperai di poter
riassumere tutto il
mio dolore.
<<
Ha scritto quella lettera poco prima di morire… ed io
l’ho consegnata a te,
come era stata consegnata a me >>. Capii troppo tardi di
aver rivelato
troppo, ma in quel momento non importava.
Ormai
non c’era nulla in grado di suscitare il mio interesse e la
mia preoccupazione,
al di fuori della vendetta… e di lei.
<<
Allora è successo sul serio? >>, chiese
perplessa.
<<
Sì >>. È
successo.
Mi
sentii percorrere da un brivido. Evey avrebbe conosciuto di
lì a poco il vero
motivo della mia sete di vendetta, ed io non ero sicuro di essere
pronto a
rivelarglielo.
<<
Tu eri nella cella accanto alla sua… >>. Non
era una domanda.
La
sua mente correva… e lo faceva nella giusta direzione.
Sorrisi.
Poi mi chiesi: potevo sorridere? Non ne ero certo.
In
ogni caso, il mio sarebbe stato nient’altro che un sorriso
amaro e triste, e
Evey non l’avrebbe visto.
Eppure
lei ne vedeva sempre uno; quello che emergeva attraverso la finta pelle
bianca
della mia maschera e i sottili baffi neri.
Sorrisi
di nuovo, e quella volta fu un sorriso divertito.
<<
… ecco qual è il vero motivo >>,
mormorò con una punta di soddisfazione.
Alzò
lo sguardo, e senza saperlo incontrò il mio.
Quel
breve, fragile e rarissimo momento di divertimento si
spezzò, e fu rimpiazzato
dalla dura e fredda consapevolezza.
<<
Ti stai vendicando di loro per quello che hanno fatto a lei…
e a te >>.
Risposi
con quella frase che, sin dall’inizio della mia esistenza,
aveva marchiato a
fuoco la mia anima, senza lasciarmi scelta.
<<
Io sono il frutto di quello che mi è stato fatto.
E’il principio fondamentale
dell’universo: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale
e contraria
>>.
<<
E così che la vedi? Come un’equazione?
>>. Chiese contrariata.
Improvvisamente
sentii imperversare quella rabbia che era sempre rimasta in agguato,
nell’attesa
di un momento per manifestarsi.
<<
Quello che mi hanno fatto è mostruoso! >>. Fu
una frase dettata dal
risentimento e dal rancore.
<<
E loro hanno creato un mostro >>, rispose prontamente
Evey.
Inaspettatamente,
sentii delle lacrime di frustrazione che mi pungevano gli occhi.
Mi
voltai lentamente verso di lei, e mi sembrò quasi di
scorgere un lampo di
timore nella sua espressione.
<<
Sai dove andrai? >>, chiesi, un po’ per
angoscia, un po’ per cambiare
argomento.
<<
No. Questo prima mi avrebbe spaventata, ma immagino che debba
ringraziarti
>>.
<<
Ah >>.
Sì,
avrebbe dovuto ringraziarmi, ma aveva ugualmente diritto ad odiarmi per
quello
che le avevo fatto.
Si
avvicinò, fino a trovarsi a pochi centimetri dal mio viso.
<< Grazie
>>. Sussurrò, e per un solo, intenso attimo
fui catturato dal calore del
suo respiro.
Mai
eravamo stati così vicini.
Ti
amo.
Sarebbe
bastato pochissimo, erano sono due parole, dopotutto.
Stavo
quasi per trovare il coraggio di pronunciarle, quando Evey aggiunse:
<<
Addio >>.
Allora
ripensai a quando, pochi giorni prima, aveva gridato in preda
all’ira: “Ti
odio!”, e mi chiesi se davvero avesse deciso di odiarmi. In
quel frangente,
avevo visto così tanta convinzione nei suoi occhi, che ero
stato quasi tentato
di crederle, anche se poco prima aveva dimostrato di essere disposta a
dare la
sua vita, per proteggere me.
Ero
confuso, frustrato, e arrabbiato con me stesso.
<<
Evey… >>. Il suo nome affiorò alle
mie labbra irrazionalmente.
Si
voltò.
<<
Se potessi esprimere un desiderio vorrei rivederti anche solo
un’ultima volta,
prima del 5 >>. E prima, ti
chiederò
di concedermi un ballo, poi ti farò un regalo: tutto quello
che possiedo.
<<
D’accordo >>, rispose.
<<
Grazie >>. Mi sforzai immensamente di controllare la mia
voce, per non
lasciar trapelare emozioni. Non volevo che capisse fino a che punto
avevo
bisogno che tornasse.
Evey
mi rivolse un ultimo sguardo, poi se ne andò.
Mi
sentii invadere dallo sconforto e dalla disperazione.
Iniziai
a camminare rapidamente, nel tentativo di calmarmi.
Credevo
che il mio cuore non avrebbe potuto contenere tanto dolore, e
contemporaneamente condividerlo con altrettanta gioia.
Non
ci sono certezze, solo
opportunità. L’avevo
detto a Evey qualche mese prima, ma mai avevo immaginato che mi sarei
ritrovato
a sprecare una delle opportunità più importanti
della mia vita.
Ero
solo.
Ero
solo e dannato.
Ero
solo, dannato e innamorato.
Mi
fermai davanti ad uno specchio, senza fiato.
Guardai
quel viso, che mai era stato così falso, e provai un immenso
odio per colui che
stavo guardando. Ero io? Era Guy Fawkes? Era V?
In
un moto d’ira, afferrai la maschera, e la scagliai contro lo
specchio, che si
frantumò.
Mi
lasciai cadere sulla sedia e, per la prima volta da anni, piansi.
Non
ero sicuro di essere in grado di sorridere, ma mi resi conto di essere
perfettamente in grado di piangere.
Sperai
che Evey si fosse allontanata abbastanza da non sentire il rumore del
vetro che
si spezzava. Se fosse tornata indietro sarei stato costretto a rivelare
anche
quell’ultima parte di me che ero riuscito a nascondere.
Sentii
i suoi passi che si avvicinavano nuovamente alla porta chiusa. Attese
un
attimo, poi tornò sui suoi passi.
Grazie,
Evey.
Nonostante
tutto, mi aveva capito perfettamente.
Un
po’ rassicurato, mi abbandonai alla mia disperazione, mentre
nella stanza vuota
risuonava il rumore dei miei singhiozzi.
Lacrime
amare bagnarono i frammenti dello specchio, e infine la maschera.
Avevo
trascorso tutta la vita in attesa del 5 novembre, ed ora ogni attimo
che mi avvicinava
a quel giorno era una scheggia ghiacciata nel mio sangue, che mi faceva
sentir
freddo ogni giorno di più.
Evey
era la mia condanna e la mia salvezza.
Ho
scritto
questa one-shot basandomi sul film di V per Vendetta, infatti i
dialoghi sono
riportati esattamente come sono.
Spero
di
aver reso l’idea, e che il narratore sia abbastanza IC :)
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