La biologia dei semi

di Gloom
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Ultimamente le lezioni di biologia non mi ispirano poi così tanto, ma l'altro giorno la prof ha fatto una digressione interessante. Si parava di piante, e più precisamente di semi.

Funzionano più o meno in questo modo: per non entrare in competizione con la pianta che li ha generati (queste sono state le testuali parole della prof), le angiosperme si preoccupano di allontanarli il più possibile.
Temono che i semini, una volta cresciuti, si freghino l'humus migliore... non sia mai.

Fatto sta che i semi sfuttano questa opportunità senza farselo ripetere due volte, ingegnandosi nei modi più disparati.
   I semi di acero VOLANO: hanno le ali, beati loro, e volteggiano ruotando come elicotteri; rendono il paesaggio autunnale suggestivo come fanno i granuli di polline con quello primaverile.
   Quelli di bardana (no, non la conoscevo neanche io questa) sono più aggressivi: hanno uncini con cui si attaccano alla prima bestia pelosa, e così si allontanano dalle piante genitrici.
   Il cocco è il più figo: si stacca dai genitori, rotola via verso il mare e galleggia fino a quando non arriva a colonizzare una nuova spiaggia.
Ecco chi dobbiamo ringraziare per quelle palme che ci fanno sbavare sui volantini delle agenzie turistiche.

Ma poi c'è un altro genere di piante: quelle che danno frutti.
  A quanto pare, i frutti altro non sono se non un rivestimento dentro cui il seme se ne sta bello comodo, senza fare una mazza dalla mattina alla sera.
Una vera pacchia, vivere dentro frutti succosi e sgargianti.
  Se non fosse che il loro scopo è quello di essere MANGIATI: le piante fanno crescere il frutto per far sì che i semi dentro di questo si allontanino tramite il passaggio attraverso l'apparato digerente della prima bestia che avverte un leggere languore.
Deve essere disgustoso.
  Ed è così che i semi delle piante da frutto si ritrovano a svariati chilometri di distanza dai genitori, senza più quel frutto, che nel frattempo è diventato un cumulo di escrementi.

Il seme non ha le ali dell'acero o gli uncini della bardana o la scorza del cocco: può contare solo sulle sue forze per crescere in mezzo alla merda in cui è finito.



Questa la scrissi l'anno scorso, dopo la prima lezione di biologia che mi abbia davvero interessato. Ho dovuto anche prendere appunti, quindi era davvero seria la cosa.
E' stato figo perché, mentre la prof parlava di semi, io ascoltavo la storia del mio inverno, raccontata così.
Spero piaccia (e, soprattutto, spero di non aver sparato troppe cazzate).





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