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Erano
anni che avevo in mente questa storia. La prima volta che c'ho pensato
potevo avere quindici, sedici anni al massimo. Se considerate che ora
di anni ne ho venticinque beh....ne è passato davvero tanto di
tempo! Ma non ero mai riuscita a scriverne niente di decente anche
perchè pensavo, all'epoca, che non avrei potuto farla leggere a
nessuno...Ignoravo l'esistenza di siti come questo!Per me, adesso,
vedere questo primo capitolo scritto e completato in poco meno di due
ore, è una specie di miracolo. Non so con quale ritmo
riuscirò ad aggiornarla perchè è una storia
difficile ed ho tanto da raccontare....Ma avrà una fine, come ha
avuto un inizio, posso assicurarlo. Spero che il capitolo sia di vostro
gradimento; sinora ho scritto soltanto ff sulla saga di Twilight,
questo è il primo originale e mi fa un po' paura...E' più
facile interagire con i propri lettori quando si ha che fare con
personaggi noti, che hanno già fatto breccia nel cuore del
"pubblico"...In ogni caso mi auguro di ricevere i vostri pareri e
commenti, anche negativi, perchè questa storia mi sta davvero a
cuore....
Il titolo è la traduzione italiana di Love will tear us apart
dei Joy Division che ho riascoltato proprio ultimamente anche grazie ad
una chiacchierata con l'autrice di un'altra ff su Twilight. Mi sembrava
il titolo più adatto per la mia storia.....
Buona lettura.
MaTiSsE.
N.B: il nome Iride esiste davvero. Conobbi una ragazza nella mia
facoltà che si chiamava così e ne rimasi totalmente
affascinata. Penso sia un nome bellissimo.
CAPITOLO 1
Se ne stava seduta sul davanzale della finestra, con la testa reclinata di lato.
Guardò distrattamente i capelli che le ricadevano lungo la
spalla sinistra: erano cresciuti davvero tanto, nell'ultimo anno.
Mossi e rossi, quasi arancioni.
"Sei solo una piccola pel di carota, Iride!"
Una risata melodiosa sopraggiunse dal suo passato remoto.
Una voce lontana fece capolino nel groviglio dei suoi ricordi.
Si trasformò istantaneamente in un urlo straziante.
Chiuse gli occhi ed un gemito di sofferta rassegnazione le sfuggì dalle labbra.
Ogni cosa, ogni maledetta cosa la circondasse le ricordava lei.
Anche i suoi capelli rossi che tante volte erano stati l'oggetto delle
sue affettuose prese in giro, persino quelli le ricordavano che Marta
non c'era più.
Non fisicamente, s'intende.
Semplicemente non c'era più per lei.
Si morse voracemente un labbro, così forte da farsi male.
"Se mi faccio male smetto di pensarti. Anche solo per un attimo."
Poi sbuffò, cambiando posizione. Poco mancava che finisse giù, tanto era in bilico su quella finestra.
Se era se stessa, quella che voleva prendere in giro, beh....decisamente non c'era riuscita.
Non esisteva al mondo nessun rimedio che l'aiutasse a smettere di pensarci.
Dipingere non era una soluzione: i pennelli finivano sempre con
l'animarsi di vita propria, tratteggiando un viso noto e due occhi
scuri ridenti nel sole di marzo.
Quegli occhi che ora la guardavano con odio. Con disprezzo.
Ascoltare musica riportava alla mente mille e mille note su cui avevano
cantato insieme, ridendo perchè Marta era stonata e non ne
faceva segreto. E se proprio non avevano voglia di far casino si
prendevano per le mano silenziosamente, danzando abbracciate al ritmo
lento di una melodia d'amore.
Dormire era l'ultima cosa che avesse in mente di fare: chiudere gli
occhi equivaleva automaticamente a ritrovarla nei suoi sogni. Ed erano
immagini belle, momenti mai vissuti tra loro due mischiati a ricordi
gioiosi di tempi lontani, quando Marta le sfiorava gentile le labbra e
poi ridevano cercando di non cadere dai pattini su cui si tenevano in
bilico. Fintanto che dormiva andava bene, era contenta. Ma quando si
svegliava la consapevolezza che tutto quanto di bello aveva
intrappolato nel cuore non fosse vero, fosse stato solo il frutto di un
sogno inafferabile, finiva sempre col farla piangere a dirotto. Le si
apriva una voragine nel cuore che non poteva colmare. Era un dolore
struggente ed insensato che la spingeva unicamente a desiderare di
morire.Un fiume di dolore in piena dentro di sè, e non sapeva
come arginarlo.
Perchè quei tempi gioiosi non c'erano più.
L'ultimo ricordo che aveva di Marta la riportava al parco pubblico, un
mese prima. Ed era un ricordo triste, una scena fredda e dolorosa come
la lama di un coltello.
"Che cazzo hai fatto, Iride?? Che cazzo mi hai fatto!"
Gli occhi scuri, più scuri del solito perchè iniettati di odio. Di rancore. E di dolorosa delusione.
"Non potevo sopportarlo Marta, non potevo!"
"Tu mi hai tradita!"
"No! Sei ingiusta! Tu mi hai tradita! Tu per prima mi hai lasciata... per lui!"
"E presuppongo che "lui" sia piaciuto anche a te, Iride!"
"No....non è così..."
"Ah, non è così?? Ed allora puoi spiegarmi perchè cazzo tu sei incinta del mio fidanzato, Iride?? Me lo sai spiegare visto che neanche ti interessa, Gabriele?!"
Già.
Puoi spiegarlo anche a te stessa, Iride, perchè sei incinta di
un uomo che neanche guardi quando ti sfiora il viso con un bacio?
Un uomo per cui non provi nulla quando stringe la tua piccola mano bianca nella sua, così grande e calda?
No, non puoi spiegarlo. O forse sì.
Puoi giustificarlo con quel senso di vendetta che ti si muoveva nel
cuore al pensiero che Marta avesse trovato la sua giusta
collocazione tra le braccia di un altro. Un'altra persona che non eri
tu.
Ed allora, piena di rancore, avevi deciso che fosse tuo sacrosanto
diritto sottrarre alla tua migliore amica, all'unico vero amore della
tua misera esistenza, tutto ciò che la rendeva felice.
Perchè questa fonte di gioia non eri tu, Iride, ma portava l'odioso nome di uno sconosciuto.
Gabriele.
"Qualcuno" scalciò risentito, da dietro una spessa protezione fatta di pelle, muscoli e placenta.
La mamma era nervosa e la tenera vita che le era in grembo l'aveva avvertito.
Iride si guardò il pancione conscia del fatto che, qualsiasi
altra giovane madre ora, al posto suo, avrebbe accarezzato quella dolce
protuberanza mormorando paroline d'amore.
Un'altra madre che fosse felice della nuova vita che portava dentro di sè.
Ma non lei.
Iride non voleva quel bambino eppure si ostinava a tenerlo, a vederlo crescere nel suo esile corpo di ventenne.
Le immagini dell'ultima ecografia avevano fatto piangere suo padre. Ed il suo fidanzato.
Gabriele le teneva le mani mentre la dottoressa, sorridente, mostrava
loro sul monitor le piccole parti, ora più nitide, che
componevano il corpicino del loro bambino: le braccine, la testolotta
tonda.
Distesa su quel lettino, freddo e rigido come solo negli studi medici
se ne possono trovare, anche Iride guardava quelle immagini. Ma
onestamente le parevano soltanto macchie sfocate.
Non un briciolo d'amore o di emozione le attraversò il corpo.
Quel che lei vedeva costituiva solo il marchio dell'infamia, la
testimonianza del tradimento reciproco, del dolore che avevano voluto
infliggersi, lei e Marta.
Senza un motivo.
Eppure si erano amate. Troppo.
Però, è anche vero che ogni eccesso è difetto. E
come in un cerchio che si chiuda il loro amore immenso era confluito in
un odio profondo.
Ma tanto era soltanto Marta a detestarla.
Per Iride lei sarebbe rimasta per sempre l'amore più grande della sua vita.
Il bambino scalciò di nuovo.
Iride si riguardò i capelli rossi.
"Pel di carota, pel di carota..."
Quanti anni avevano allora? Tredici? Quattordici?
Una vita fa.
Di scatto balzò allora dal davanzale della finestra.
Afferrò la giacca e la borsa e corse via, chiudendo la porta dietro di sè.
***
Suo padre tornò verso ora di cena.
Chiuse lentamente la porta dietro di sè, gettando le chiavi sulla mensola dell'ingresso, con un gesto stanco.
"Iride, sono tornato."
Si sfilò il soprabito blu con delicatezza, sistemandolo sull'attaccapanni. Come ogni sera.
Suo padre aveva sempre quell'aria da composto professore di
letteratura, anche quando era lontano da scuola. Anche quando era a
casa con lei. Anche quando da piccina le leggeva le favole,
perchè mamma non c'era più e qualcuno avrebbe dovuto
farlo al posto suo: persino in quei momenti sembrava stesse leggendo la
Divina Commedia ai suoi studenti. Non ci metteva un minimo di passione,
neanche un lieve accenno di divertimento o di sorpresa sfiorava la sua
voce. Dava alla lettura un tono così cadenzato e regolare che
Iride, prigioniera dei suoi sei anni, finiva sempre con l'addormentarsi
vittima della noia, piuttosto che del sonno vero e proprio.
Dalla cucina illuminata al neon sopraggiungeva nebuloso il vociare di due giornalisti alla tv.
"Iride, ma dove sei? Sono papà, sono tornato."
La trovò seduta sul divanetto accanto al tavolo cui erano soliti
cenare insieme. Un tavolo gigante in legno massiccio. Un tavolo gigante
per due sole persone.
"Dio Mio Iride, che hai fatto!"
Non era una domanda ma una disperata constatazione liddove i bei
riccioli morbidi e rossi della figlia erano stati sostituiti da ciocche
di un colore nero corvino, tagliate alla bell'e meglio.
"Niente papà. Avevo soltanto voglia di cambiare. Hai fame?"
La voce era gentile ma distaccata ed apatica.
Suo padre non rispose ma sospirando fece cenno di sì con la testa.
Che altro dirle? Che senso avrebbe avuto parlare se poi alla fine
faceva sempre di testa sua, trincerandosi dietro incubi mostruosi che
solo lei conosceva?
Sospirò, il povero padre, ma non aprì bocca.
Perchè quella nuova chioma era l'ennesimo masso di dolore che gli si accumulava nel petto.
Un dolore così profondo che solo una figlia poteva dare.
Un tormento così grande che poteva portare soltanto il suo nome: Iride.
L'Amore ci farà a pezzi by Matisse is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License. Based on a work at www.efpfanfic.net.
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