Prologo. Ashes to ashes
Ashleigh si era pesantemente lasciata andare a terra
ed ora stava seduta sui talloni, con l’ampia gonna ripiegata su se stessa a
formare tante onde di taffetà rosa intorno a lei, come grosse onde di burrasca
in un mare insanguinato.
Lei che quel vestito non se lo voleva proprio
mettere. Lei che il rosa lo odiava, lei che in quel momento odiava tutto, ma
soprattutto se stessa.
Gocce nere di mascara le colavano sulle guance,
tracciando linee che lasciavano una scia scura sul fard rosa acceso, per poi cadere
sul pavimento di legno. Il rossetto era quasi intatto: un miracolo in quello
sfacelo, se non fosse stato per una vistosa sbavatura all’angolo sinistro della
bocca che si prolungava quasi fino all’orecchio. I capelli ormai riuscivano
soltanto a suggerire quale fosse la complicata acconciatura in cui erano stati
sistemati poco prima, riducendosi ad essere un alto ammasso di zucchero filato
marrone e fuligginoso.
Attorno a lei, mucchi di quella che a prima vista
sarebbe sembrata spazzatura, di cenere, di polvere e di rovine di quelli che
una volta erano stati gli oggetti d’arredamento ricoprivano il pavimento
bianco, il cui candore faceva capolino qua e là, come a voler reclamare la
propria parte in quel disastro. Le pareti annerite erano quasi completamente
spoglie, desolate. Qua e là, qualche fiamma minacciava i pochi resti ancora
riconoscibili degli oggetti sparsi a terra.
Per qualche secondo, Ashleigh si sentì bene:
finalmente, non era la sola ad essere devastata, distrutta.
Lo sguardo di Ashleigh si soffermò prima sul suo
vestito, poi sulla sua mano aperta sopra di esso, nel palmo della quale si
stagliava un lungo taglio rosso e umido. Piano, Ashleigh alzò gli occhi e si
guardò intorno per qualche secondo. Osservando prima quella devastazione e poi
il cielo di un azzurro terso al di fuori di una finestra rotta, ripensò a come
tutto, nel giro di così poco tempo, fosse andato a puttane.