Dean
sentiva il cuore esplodere, battendo all'impazzata, nel suo petto. Le
gambe, pesanti per la lunga corsa, tremavano, mentre all'interno
dell'albero dove si era rifugiato per riprendere fiato, cercava di
trattenere il respiro.
Sembravano
lontani, non udiva più i loro passi, ma sapeva che per un
mago questo non era un problema. Tese le orecchie, temendo di udire il
crack di una Smaterializzazione vicino a lui. Restò fermo,
per istanti che gli parvero eterni, in attesa dell'oscurità
per poter uscire e tentare la fuga. Se si fosse Smaterializzato, era
certo che sarebbe stato scoperto.
Ogni
rumore, dal fruscio innocente di una foglia, al latrato di un cane,
bastava a farlo trasalire.
Quando
anche la più piccola luce del tramonto si spense, il ragazzo
uscì, guardingo, la bacchetta in pugno. Ogni suo muscolo era
teso fino allo spasimo, mentre avanzava piano nel buio.
La
sua carnagione scura lo aiutava a mimetizzarsi con le ombre degli
alberi, mentre sussurrava a bassa voce incantesemi di Illusione in
grado di garantirgli una minima protezione.
Si
chiese quale direzione avrebbe dovuto prendere, questa volta, per
sentirsi più lontano dai Ghermidori e dai Mangiamorte. Era
una caccia, e lui, lui nient'altro che la preda.
La
sua mente tornò al giorno prima, a quando avevano fatto
irruzione nel piccolo accampamento dove aveva vissuto per alcuni
giorni, con Dick, Ted e i due folletti, Gonci e Unci-Unci. I
Mezzosangue, i Babbanofili, e i "sudici ibridi", come aveva sentito
definire i folletti, erano in fuga da mesi, da quando i registri erano
stati adottati al Ministero.
Dean
si era rifugiato in quel piccolo gruppo di reietti, riuscendo a
mantenere viva quel po' di speranza che era riuscito a tenersi stretto.
Ripensò al sorriso di Ted, quando aveva scoperto che sarebbe
diventato nonno, e si sentì salire le lacrime agli occhi.
Corse più rapido, come per scacciare i terribili ricordi che
gli attanagliavano il cuore.
"Scappa
ragazzo, scappa!" Gli aveva gridato l'uomo, prima di girarsi a
fronteggiare i Mangiamorte. Aveva appena fatto in tempo a vedere un
lampo di luce verde illuminare il bosco. Dean non aveva sentito
pronunciare la maledizione, ma sapeva bene qual'era.
I
suoi passi diventarono pesanti, mentre affannato correva, come a
mettere più strada possibile fra lui, e il corpo esanime di
Ted, a terra, gli occhi ancora spalancati.
Inciampò
in una radice, cadendo bocconi. Dean sentì il gusto
metallico del sangue invadergli la bocca e sputò, sentendo
il dolore dalla lingua irradiarsi a tutto il viso. Le mani gli facevano
male, piccoli sassi si erano infilati sotto i palmi e cercò
di rialzarsi, ma i suoi muscoli esausti, glielo impedirono, e il
ragazzo si ritrovò accasciato nella terra umida del
sottobosco.
Si
sentì disperato, sconfitto, e le lacrime, il dolore
accumulato in quei mesi di fuga, esplosero, facendolo scoppiare in un
pianto silenzioso. Aveva solo diciassette anni, era troppo per lui,
tutta questa sofferenza. Avrebbe voluto essere con Ted adesso, non
sentire più nulla, essere solo un corpo freddo
sulla nuda terra, lasciarsi sfaldare dalla natura, finchè le
sue membra non sarebbero diventate terra, acqua, anima del bosco.
Pensò
a sua madre, agli occhi castani che brillavano mentre lo guardava, alle
sue mani calde mentre gli accarezzava i capelli, da bambino, a cosa
stesse facendo in quel momento, ai suoi fratellini ignari e al sicuro
sotto le coperte. Aveva detto loro che sarebbe tornato ad Hogwarts,
mentre in realtà si era dato alla fuga. L'aveva fatto per
proteggerli. Poi aveva cancellato loro la memoria, sapendo che una
menzogna non li avrebbe salvati, e che l'unico modo per salvarli
davvero, era cancellare il suo ricordo.
Raccolse
il suo corpo in posizione fetale, singhiozzando, capendo che se fosse
morto, per la sua famiglia sarebbe stato come non essere mai esistito.
Nessuno di loro si sarebbe accorto della sua morte. Pensò al
sorriso di Seamus Finnigan, ai suoi capelli biondi color sabbia, alla
promessa fattagli una sera d'inverno il primo anno, in infermeria, dopo
una baruffa particolarmente accesa con due Serpeverde del settimo anno.
Avrebbero combattuto l'uno al fianco dell'altro, sempre. Dov'era adesso
Seamus? Si erano separati, eppure il ricordo della sua amicizia lo
scaldava ancora. Pensò all'E.S., a tutti coloro che aveva
chiamato amici, e che ora erano persi nel mondo, braccati, come lui,
oppure a Hogwarts sotto i Carrow. Hogwarts gli mancava. Gli mancava la
sua innocenza di ragazzo, la sua speranza per il mondo, la sua gioia di
vivere, la spensieratezza dei pomeriggi passati nel Parco, quando
nient'altri problemi c'erano, che fare un compito di Pozioni o un tema
Storia della magia.
Non
doveva morire, non poteva morire. Dean voleva ancora tornare a vivere,
voleva ancora pezzi della sua vecchia vita, voleva tenere stretto il
loro ricordo dentro di sè.
Solo
allora pensò ad Harry, Ron ed Hermione, persi
chissà dove, in quell'isola fatta di scogli e pianure verdi,
di brughiere e boschi, chiamata Gran Bretagna. Stavano ancora
lottando. Lottavano non per sopravvivere a se stessi, per salvarsi, ma
per salvare migliaia di vite, maghi, streghe, perfino Babbani che
ignari di tutto non conoscevano neppure i loro nomi. Lottavano per quel
po' di bene che era rimasto.
Dean
desiderò ardentemente vivere, vivere per poter salvare quel
poco che era rimasto, per dare speranza ad altri, che ora si sentivano
smarriti, come lui si era sentito fino a qualche istante prima.
Si
alzò in piedi, a fatica, però lo fece,
incespicando ad ogni passo, ma continuando a camminare. Avrebbe
raggiunto i Weasley, e gli uomini dell'Ordine della Fenice, a Nord,
come aveva sentito dire da Ted. Si sarebbero diretti lì, se
i Mangiamorte non li avessero attaccati.
In
lontananza udì chiaramente lo scalpiccio di piedi nella
boscaglia, seguito da rumori di esplosioni, incantesimi lanciati contro
ogni oggetto in grado di nascondere un uomo.
In
breve la foresta fu illuminata dalla luce soffusa di piccoli incendi,
il cui fumo verde, magico, annebbiava la vista di Dean. Lo stavano
stanando, come un animale.
Una
luna, beffarda, rischiarò le ultime ombre che ancora
riuscivano a nasconderlo, facendo capolino dalle nuvole che l'avevano
nascosta fino a poco prima.. Era piena.
Un
ululato acuto e selvaggio si fece strada nella notte, facendogli
rizzare i capelli e accapponare la pelle. Fenrir Greyback. Ora i
Ghermidori avevano il loro segugio.
Si
fermò, capendo che era troppo tardi per scappare, che era
inutile sprecare energie per una fuga disperata. Scivolò
silenzioso in una conca, lasciando le spalle al muro di roccia. Nessun
nemico avrebbe potuto attaccarlo senza essere visto.
Le
voci dei Mangiamorte, e il latrato di Greyback erano sempre
più vicini. Un rumore più forte alla sua sinistra
attirò la sua attenzione.
"Stupeficium!"
Urlò, con quanto fiato avesse in gola. Il corpo di un uomo
cadde a terra. Il cappuccio in testa a mascherarne il viso.
Mangiamorte. Dean si tenne in posizione di difesa. Non si sarebbe
arreso facilmente.
"Arrenditi,
ragazzino". Esclamò una uomo a pochi metri da lui, mentre
due figure incappucciate avanzavano dal folto del bosco.
Il
ragazzo strinse la bacchetta fra le dita. Senza rispondere.
"Arrenditi,
abbiamo ucciso Tonks, pensi che ci faremmo scrupolo di ammazzare un
Mezzosangue come te?" Disse ancora l'uomo. Erano sicuri, maledettamente
sicuri di sè.
"Potremmo
ucciderti adesso, subito, in modo indolore. Basterebbe che tu ci
dicessi dove stavi scappando e come raggiungere l'Ordine, sai?"
Proseguì il Mangiamorte, quasi con una nota di dolcezza
nella voce, mentre Dean deglutiva, rabbrividendo. Erano fermi, davanti
a lui.
"Se
non lo facessi?" Chiese, cercando di dare un'aria di sfida alle sue
parole.
"Se
non lo facessi?” Ripetè, sconfiggendo il tremolio
del labbro, che gli impediva di scandire le parole.
Il
Mangiamorte ghignò, attraverso la maschera, ma alle orecchie
di Dean la risata suonò come un rantolo metallico.
"In
tal caso, credo proprio che dovremo trattenerti insieme a noi."
Affermò il Mangiamorte, con un tono falsamente dispiaciuto.
"Puoi
scordartelo." Scandì Dean, stupendosi del suo coraggio. Si
domandò fra sè e sè, se fosse "Il
canto del Cigno".
"Troveremo
il modo di discutere di questa cosa in privato... Abbiamo conversatori
molto abili e persuasivi". Chiosò l'uomo, mentre
Dean inorridì, vedendo una sagoma nera, senza mantelli,
coperta solo dalla sua pelliccia, scivolare fuori dal folto del bosco.
Gli occhi gialli, famelici brillavano nella notte, mentre le fauci del
mostro si spalancarono in quel che pareva un tremendo sorriso,
scintillando nella cupa notte.
"Fenrir
ha avuto la cortesia di raggiungerci." Completò il
Mangiamorte, mentre il Licantropo, ringhiò nella direzione
dello stesso, come fosse un saluto, prima di guardare Dean. Era
completamente trasformato, più grosso e col muso
più corto e tozzo di un lupo normale. Affascinato e
atterrito allo stesso tempo, il ragazzo contemplò il mostro,
e richiamò alla mente una lezione di Difesa Contro Le Arti
Oscure, tenuta dal professor Lupin, qualche anno prima.
Strinse
il manico della Bacchetta e urlò: "Reducto!", colpendo il
Mangiamorte alla sua sinistra, preso alla sprovvista , che
urlò di dolore guardando la sua mano rimpicciolirsi e
avvizzire.
Il
Licantropo ringhiò, mentre gli altri si lanciavano contro di
lui.
Dean
sentì un dolore tremendo al braccio sinistro, e qualcosa di
umido inzuppargli la fronte, mentre una mano fredda come il marmo gli
accarezzava i capelli. Aprì gli occhi, ma non c'era molta
luce in quella stanza, o forse i suoi occhi non riuscivano a vederla.
Cercò di sedersi, ma una fitta atroce lo bloccò,
mozzandogli il respiro, costringendolo a restare sdraiato. Sentiva la
punta dei piedi e delle mani gelata, e il pavimento gli
sembrò vibrare, prima di accorgersi di essere lui, a
tremare.
"Sto
morendo." Biascicò alla mano che con dolcezza continuava a
prendersi cura di lui. Guardò alla sua sinistra,
intravedendo una figura che parava essere d'una ragazza dai capelli
biondi.
"Sei
prigioniero Dean, come me. Ti hanno preso questa notte. Erano molto
arrabbiati. Devi aver dato loro del filo da torcere".
"Chi
sei? Non ci vedo".
La
ragazzà sembrò sorridere, con amarezza.
"Ti
hanno accecato con un incanto Luminescente. Mio padre l'aveva scritto
sul Cavillo che i Mangiamorte ne erano provvisti."
Dean
non seppe per quale motivo pronunciò la frase seguente. A
molti sarebbe parsa una frase insensata, dettata forse dallo stato
confusionale cui era stato ridotto. Non lo seppe mai. Per un attimo si
scordò forse di dov'era. O forse per un attimo il ragazzino
che ancora era sepolto dentro di lui, volle uscire, come per dargli una
speranza di normalità. Una cosa fu certa: Dean
ricordò quel momento per il resto della sua vita. E quella
frase, e il sorriso della ragazza davanti a lui, dopo averla
pronunciata, sono alcuni dei ricordi che invoca, evocando un Patronus
ancora oggi.
"Questa
stanza sarà piena di Nargilli, Luna", sussurrò,
prima di svenire ancora sul pagliericcio su cui giaceva.
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