la villeggiatura
Non
pensavo che avrei pubblicato una nuova fan fiction a capitoli
così presto, ma questo weekend sono stata a teatro a vedere
‘La trilogia della villeggiatura’, e l’ispirazione
è venuta da sé! Lo spettacolo era davvero bellissimo, i
costumi settecenteschi una favola, ma ciò che mi ha colpito
più di tutto, è stato il tono dolceamaro, assolutamente
ironico in alcuni punti, di cui è intrisa l’intera
commedia^^ L’idea di scrivere qualcosa inerente a Lady
Oscar è arrivata quasi subito, e ho voluto provare abuttare
giù qualcosa di un po’ più leggero e divertente
rispetto alle mie solite fan fiction malinconicheXD Qualcosa che si
discosta abbastanza dalla linea seguita dall’anime, inventandomi
scenari completamente nuovi rispetto alla trama originale. E’ la
prima volta che provo a fare qualcosa del genere e non so se sono
propriamente riuscita nell’intento…per questo mi affido al
vostro giudizio!XD I capitoli che ho in programma di scrivere non sono
molti, forse cinque o sei, ma potrebbero anche essere di
più…o di menoXD I capitoli si alterneranno con i diversi
punti di vista di Oscar e Andrè^^ Spero che anche questa volta
vorrete farmi sapere cosa ne pensate, in bene e in male…critiche
e suggerimenti sono sempre assolutamente bene accetti!
La trama, naturalmente, prende lontanamente spunto dalla Trilogia della villeggiatura, di Carlo Goldoni^^
Buona lettura!
1 - Indovina chi viene in campagna?
Il blu denso della notte appena trascorsa andava sfumando in un tenue
color crema, al quale si mescolavano delicate sfumature sui toni del
rosa. Il mondo, osservato da quella finestra striata di brina, sembrava
quasi immobile, cristallizzato in un silenzio che pareva fatto
d’eternità.
Mi portai una mano alla bocca, e repressi un sonoro sbadiglio per quella levataccia.
“Andrè! Andrè!...Andrèèè!”
Le urla della mia cara vecchietta non tardarono a rompere quella quiete
assoluta, irradiandosi nell’aria gelata del primo mattino come
uno stridore di unghie sulla superficie di un vetro.
Roba da far drizzare i capelli sulla testa.
“Sono qua, nonna…non ci vedo da un occhio ma ci sento
perfettamente da entrambe le orecchie” mormorai fiaccamente,
comparendole alle spalle. Tra le braccia reggevo una pila consistente
di lenzuola e tovaglioli, che mi premurai di impilare in uno dei bauli
disseminati sul pavimento dell’ingresso.
Cinque bauli, per l’esattezza. Ogni volta restavo vagamente
perplesso dalla quantità eccessiva di inutili orpelli che un
nobile ritenesse giusto portare con sé in villeggiatura.
Voglio dire…passino lenzuola, abiti, generi alimentari e, beh,
trattandosi della famiglia Jarjayes, armi di qualunque tipo.
Ma che dire dell’intero corredo di posate d’argento e
calici in cristallo? E della strumentazione cartografica? E delle
dieci tovaglie in pizzo macramè?
Mi inginocchiai tra i bauli, sistemando gli ultimi oggetti che la nonna
aveva accumulato lì a fianco, spuntandoli dalla lista che aveva
compilato in fretta e furia una settimana prima, quando il generale
aveva improvvisamente deciso di partire per una villeggiatura invernale
che ‘avrebbe disteso i nervi a tutti quanti’, lista che
brandiva come un’arma ogni qual volta provavo a farle notare
l’assurda quantità di cose inutili che i Jarjayes
avrebbero, a suo dire, ‘gradito’ avere a portata di mano
durante la villeggiatura.
“Ah, ci siete anche voi, maestà?” Esclamai,
trovandomi tra le mani un piccolo mezzo busto di marmo di Luigi XVI. Lo
riposi ordinatamente tra un tappeto orientale e un vaso di Boemia:
“Vedrete che la villeggiatura farà bene anche a
voi…certo, il viaggio in baule lo sconsiglierei, ma se non altro
sarete in buona compagnia…” mormorai, notando, non senza
una certa perplessità, le marmoree sculture di Luigi XV ,
Bien-Aimé, e Luigi XIV, Roi Soleil, che aspettavano di essere
infilate in qualche bagaglio.
La dedizione del generale alla corona era quasi commovente, talvolta.
Scossi la testa e riposi i busti di reale memoria nel baule; certo,
sarebbe pesato una mezza tonnellata, ma come si poteva partire senza
avere i propri reali a portata di mano?
“Ecco qua, vossignorie sono pronte per il viaggio!”
Esclamai, chiudendo il coperchio con un sospiro di sollievo “E
state buoni, lì dentro…niente estenuanti discussioni su
chi abbia gestito meglio il regno, tanto questi discorsi non portano
mai da nessuna parte…” conclusi, battendo un paio di volte
la mano sul baule.
“Andrè, posso chiederti con chi stai parlando?”
La voce di Oscar, alle mie spalle, mi colse totalmente di sorpresa.
Ma cosa aveva sotto alle suole degli stivali, delle pattine? Perché non la sentivo mai arrivare?
“Oscar!” Esclamai, sollevandomi di scatto. Il precario
equilibrio datomi dal fatto di avere un occhio solo venne meno e mi
trovai ad inciampare nei miei stessi piedi.
Oscar mi afferrò al volo.
“Diavolo!” Esclamai, afferrando il suo braccio teso, e ritrovandomi praticamente abbracciato a lei.
Ci fu un momento di lieve imbarazzo, poi Oscar, con un leggero colpo di
tosse, si staccò da me indietreggiando di un passo e mi
osservò con il sopracciglio leggermente rialzato:
“Andrè, tutto bene?”
“Si…si. Scusami, sono…inciampato.” Mi sistemai il collo della giacca, evitando il suo sguardo.
Oscar mi scrutò sospettosa: “Si tratta dell’occhio?”
“L’occhio? Oscar, ma…no.” Non sembrava
convinta. Emisi un sospiro e mi sistemai i capelli sulla fronte,
sorridendole: “L’occhio va bene, non ti preoccupare.
E’ questo trambusto…Io, stavo finendo di preparare i
bauli…credo che mia nonna abbia per un attimo perso il controllo
di se stessa. Forse è convinta che ci stiamo trasferendo in
America, hahaha…”
La sfumatura truce che assunse lo sguardo di Oscar mi costrinse a tacere di colpo.
Già, l’America. Mai menzionare l’America.
Era passato quasi un mese da quando Oscar aveva giocato la sua ultima
carta con Fersen, presentandosi ad un ballo in abito da sera. Il suo
umore dei giorni seguenti mi aveva reso partecipe del fatto che le cose
non fossero andate esattamente come lei aveva sperato, ma poi gli
eventi avevano preso una piega inaspettata, e con la vicenda del
cavaliere nero, impresa in cui Oscar aveva concentrato tutte le sue
energie proprio, supponevo, per evitare di pensare, mi ero ritrovato ad
avere ben altri pensieri per la testa.
Pensavo sarebbe stata la mia grande occasione per dimostrarle
finalmente quanto potevo essere in gamba, e ci avevo anche creduto per
qualche giorno, davvero…Io e lei nuovamente uniti e affiatati in
una missione segreta, di cui molto dipendeva da me. Ma poi gli eventi
erano precipitati, e a farne le spese era stato il mio occhio sinistro,
e non solo. Quando Oscar infine aveva messo le mani sul cavaliere, mi
ero ritrovato a chiederle io stesso di liberarlo, in nome di quegli
ideali di giustizia ed uguaglianza che il popolo, da tempo, andava
reclamando, e di cui il cavaliere si faceva portavoce.
Il generale era andato su tutte le furie, e sapevo che per Oscar era
stato difficile sopportare di avergli dato un delusione, quando avrebbe
dovuto ricevere onori e complimenti per il suo ottimo operato.
Insomma, la missione si era rivelata un disastro su tutti i fronti.
Oscar era sempre più taciturna e chiusa in se stessa, io vagavo
per la casa inciampando continuamente e chiedendomi se lei mi avrebbe
liquidato dal ruolo di attendente, ora che ci vedevo solo da un occhio,
la nonna non faceva che piangere e pregare e al generale stavano per
saltare i nervi da un momento a quell’altro.
Poi, all’improvviso, la decisione di partire per la villeggiatura, anche se eravamo nella stagione invernale.
La nonna era entrata nel panico: organizzare una villeggiatura in appena una settimana?
Oscar si era limitata ad un silenzioso consenso, del resto, non avrebbe
potuto muovere obiezioni al volere paterno. E io, beh…io ero
contento. Avevo sempre amato la villeggiatura, e amavo Arras. I ricordi
più felici della mia infanzia erano legati a quel posto, e anche
se l’avevo sempre vissuta nei mesi estivi, non dubitavo che una
villeggiatura invernale potesse essere da meno.
Certo, c’erano i bagagli da preparare, i conti da saldare prima
della partenza, e un turbolento viaggio di diverse ore in carrozza,
stipato tra bauli e bagagli. Ma una volta arrivati, si veniva
compensati di tutto dalla vista della magnifica tenuta immersa nel
verde…Ricordavo con dolcezza le lunghe cavalcate per i boschi,
il sapore fragrante delle mele maturate al sole, il profumo delle
enormi lenzuola stese ad asciugare, che sventolavano leggere nel vento.
“Senti, Andrè…” la voce di Oscar irruppe in quei ricordi felici, riportandomi alla realtà.
“Se tu avessi dei problemi con l’occhio, me ne parleresti,
vero?” Notai che si stava mordendo il labbro, e che evitava il
mio sguardo. Non ero ancora riuscito a dissuaderla dal sentirsi in
colpa, da quando avevo avuto l’incidente. Un impulso improvviso
mi spinse a sollevare una mano; avrei voluto carezzarle dolcemente una
guancia, e guardandola negli occhi rassicurarla sul fatto che la sua
preoccupazione era del tutto immotivata, seppur quasi commovente. Ma le
circostanze, naturalmente, non me lo permettevano. Così
riabbassai la mano e le sorrisi: “Oscar, va tutto bene. Sto bene,
starò bene…davvero. Sono lusingato dal fatto che tu ti
preoccupi per me, ma non ce né motivo, sul serio…Tu
piuttosto, sei sicura di stare bene? Mi sembri piuttosto pallida
e…come mai sei già sveglia a quest’ora? Questa
è l’ora in cui la servitù prepara i bagagli e i
padroni dormono fino all’ora della partenza!” provai a
scherzare, ma in cambio ottenni solo un’espressione vagamente
infastidita.
“Andrè, non ho molta voglia di scherzare. Questa notte ho
dormito poco…e male. E se tu sei sveglio, non vedo perché
non dovrei esserlo anche io, a maggior ragione visto che ho delle
questioni da sbrigare personalmente, prima della partenza.”
“Bene.” Fu tutto quello che riuscii a dire. Il piccolo
momento di intimità che avevamo condiviso era sfumato ormai del
tutto, liquidato dal suo tono scorbutico. “A questo punto,
dunque, perdonami…ma devo finire di preparare i bauli per il
viaggio.”
“Bene.”
“Bene.”
Ci fu un altro momento di lieve imbarazzo, in cui i nostri sguardi
rimasero avvinti per un secondo più del dovuto. Poi Oscar,
leggermente rigida, girò i tacchi e si allontanò da me.
Ma avrei giurato che avesse ancora qualcosa da dire.
Qualche ora più tardi, avevo finalmente finito di caricare
l’ultimo baule nel calesse che viaggiava insieme alla carrozza.
Mi appoggiai con la schiena al fianco del calesse e sospirai,
asciugandomi il sudore dalla fronte con il dorso della mano. Il placido
baio a cui era attaccato il barroccio mi lanciò
un’occhiata, scuotendo la testa e la coda, ed emettendo un sonoro
sbuffo.
“Hei amico, non guardarmi così. Non sono certo io che ho
deciso di trasferire metà della villa ad Arras…Ti
toccherà sgobbare su quelle stradine!” Mi avvicinai e gli
diedi un leggero buffetto sulla fronte. Gli occhi intelligenti
dell’animale mi scrutarono curiosi, mentre con il muso mi dava
dei leggeri colpetti al petto, probabilmente alla ricerca di qualche
zuccherino.
“Caschi male, questa mattina ho le tasche vuote…ma quando
arriveremo cercherò di procurarti qualche mela, anche
se…accidenti, questa non è stagione!” mormorai
sconsolato. Le mele di Arras, insieme alla sua birra, erano una di
quelle cose di cui non riuscivo mai a saziarmi quando mi ci recavo.
Beh, se non potevo contare sulla presenza delle mele in quel periodo,
niente mi avrebbe impedito di dedicarmi esclusivamente all’ottima
birra che producevano in quella zona.
Ero talmente assorto in quei pensieri da non notare gli zoccoli di un cavallo che mi si affiancavano nel cortile.
Quando sollevai lo sguardo per poco non mi venne un colpo.
“Andrè, è un piacere vedere che vi siete rimesso
quasi completamente, ho saputo del vostro incidente e me ne
rincresce.” La voce era garbata ed educata, come sempre. Il
portamento, fiero e dignitoso, lo sguardo amichevole.
Ci sarebbe mai stata una volta in cui avrei trovato dei difetti in quell’uomo?
“Conte di Fersen! Che…sorpresa, non mi ero accorto della
vostra presenza, scusate…” balbettai, preso in contropiede.
Non è mai una buona cosa farsi trovare a conversare con un cavallo. Decisamente no.
Mi diedi una spolverata alla giacca, su cui erano rimaste impigliate le
ragnatele e la polvere dei bauli, ma levando nuovamente lo sguardo su
di lui, lasciai perdere: la partita era comunque persa in partenza.
In sella al suo cavallo bianco, Fersen sembrava appena uscito da un
quadro rinascimentale: alto, bello, lineamenti delicati e perfetti,
capelli biondo cenere e quello sguardo assassino che gli avevo
più volte visto usare come un arma nei confronti delle dame che
passeggiavano a Versailles.
Non si compete con un uomo del genere, soprattutto se lui ha un titolo nobiliare alle spalle e voi un bel niente di niente.
La vita a volte sapeva essere così dannatamente ingiusta.
“Stavo cercando madamigella Oscar…ma voi, siete in
partenza?” mi domandò, lanciando un’occhiata
dubbiosa alla catasta di bagagli stipati sul calessino.
‘No, andiamo a fare un pic-nic’ avrei voluto ribattergli.
“In villeggiatura, nella tenuta di Arras per l’esattezza…” commentai fiaccamente.
“In villeggiatura…in questa stagione?” Il conte sembrava sorpreso.
“E’ una precisa volontà del generale.”
Spiegai, mentre in quel preciso istante, quasi lo avessi evocato, il
generale Jarjayes faceva la sua apparizione nel patio.
“Conte di Fersen!” Esclamò, sorridendo e stendendo
le mani verso il conte, che a sua volta scese da cavallo e, dopo avermi
mollato in una mano le redini dell’animale, si diresse al
cospetto del generale.
“Generale Jarjayes”
“Cosa vi porta a farmi visita?”
“Veramente, generale, stavo cercando vostra
figlia…figlio…” il conte aveva aggrottato le
sopracciglia, imbarazzato. Il generale venne in suo soccorso.
“Oscar non è in casa. Si è recata a Versailles
questa mattina per sistemare alcune faccende prima della
partenza…Voi sapete che siamo in partenza per la
villeggiatura?”
“Si, il vostro servitore me ne stava per l’appunto mettendo
al corrente…” Mormorò il conte, stringendo tra le
mani il suo cappello, mentre il sole invernale faceva splendere di
riflessi argentati i suoi occhi grigi.
Quando il generale guardò nella mia direzione, mi inchinai
leggermente, sempre stringendo tra le mani le briglie del cavallo del
conte. Se si decidevano ad entrare in casa, invece di discutere
lì sul patio, avrei potuto condurre l’animale nelle
scuderie, anche se preferivo naturalmente che il conte ci risalisse in
groppa il prima possibile e se ne tornasse da dove era venuto.
Possibilmente prima che Oscar rientrasse. Il suo umore non era dei
migliori, ma dalla sera del ballo mi sembrava si fosse leggermente
ripresa dal suo ultimo incontro con il conte e non volevo che quella
visita le rovinasse l’intera villeggiatura.
E la stessa cosa valeva per me, naturalmente.
“E’ davvero una fortuna poter contare su una tranquilla
residenza in campagna in cui rifugiarsi per avere un po’ di
riposo…Una città come Parigi alle volte può
rendere estenuante la vita, e corrodere persino la tempra più
resistente…” Stava considerando il conte, lisciandosi la
punta di un guanto.
Osservandolo meglio mi parve di scorgere un barlume di tristezza nel suo sguardo, unito ad una certa stanchezza.
Il generale si portò una mano al mento: “Avete ragione,
conte…Avete proprio ragione! Ma dunque…perché non
vi unite a noi?”
Il conte levò entrambe le sopracciglia, sorpreso, e io, a
qualche metro da loro, per poco non mi strozzai con la mia stessa
saliva.
Avevano sentito bene le mie orecchie? Pregavo Dio di no.
“Ecco, generale…la vostra offerta mi lusinga, ma…”
“Suvvia, conte, non fate il prezioso! So che mia figlia nutre
grande stima per voi, le farà sicuramente piacere avervi come
ospite, e la stessa cosa vale per me, naturalmente…”
“Ma, veramente io…”
Fersen sembrava veramente combattuto. Probabilmente l’idea di
passare qualche tempo lontano da Parigi lo allettava, ma sapeva bene
quanto la situazione con Oscar si fosse complicata…O almeno,
speravo che fosse su questo che stava meditando, mentre cercava una
risposta da dare al generale.
Mi resi conto che stavo stringendo con forza le briglie del suo cavallo.
'Dì di no, dì di no, avanti Fersen…dì di no…'
“Ma, si…si!” Concluse infine il conte, mentre un
peso di una tonnellata calava inesorabilmente su di me, schiacciandomi.
“Non vedo perché dovrei rifiutare questa
offerta…l’idea di allontanarmi per qualche tempo mi
allettava da tempo, in effetti…La ringrazio, generale! Ma siete
sicuro che la mia presenza non sia di… troppo incomodo?”
“ Ma non vedo in cosa potrebbe infastidirmi la vostra presenza,
conte! Anzi, la vostra compagnia sarà sicuramente graditissima,
anche dagli altri miei ospiti!”
Hei, aspettate un momento! Quali altri ospiti? Quali altri ospiti?!
Fersen si stava probabilmente ponendo la stessa domanda.
“Avrete altri ospiti durante il soggiorno?”
“Si…Oh, ma eccoli che arrivano! Abbiamo deciso di compiere
il viaggio insieme, ne rimarrete contento conte, date retta a me!
Conoscete già il conte di Girodelle?”
In quel momento, le ruote di una carrozza entrarono cigolando nel
cortile di palazzo Jarjayes, e quando si furono fermate a qualche metro
da me, un lacchè saltò giù dal posto di guida, per
affrettarsi ad aprirne la porta, da cui scese uno sfavillante e
compiaciuto Girodelle.
“Spero di essere puntale, generale!” Salutò cerimoniosamente, levandosi il cappello.
Quando il suo sguardo cadde sul conte di Fersen, tuttavia, i suoi occhi divennero di marmo.
“Ah. Conte di Fersen.”
“Conte di Girodelle”
“Il conte di Fersen si unisce a noi durante la
villeggiatura!” esclamò gaio il generale. Non
l’avevo mai visto così scoppiettante di energia, dava
quasi il voltastomaco.
In quel momento, alle spalle di Girodelle, che era ancora fermo sulla
porta della carrozza, si udì un chiaro protestare, e una mano
inguantata sbucò dietro di lui, costringendolo a saltare
giù dagli scalini della carrozza.
“Ma insomma, fratello, che modi sono questi? Non mi presentate?”
Girodelle, ancora sotto choc dalla notizia, si affrettò a
porgere la mano ad una graziosa dama avvolta in un suntuoso abito di
alta moda color crema, bordato di pelliccia.
“Signori, posso presentarvi mia sorella, la contessa Colette Clémentine di Girodelle?”
La contessa scese gli scalini della carrozza sorridendo con finta
timidezza, e appena fu a terra estrasse un ventaglio e cominciò
a farsi aria, nonostante ci fossero all’incirca cinque o sei
gradi.
Aveva gli stessi capelli castani del fratello, composti in
un’incredibile acconciatura che sfidava le forze di
gravità, sulla cui cima faceva mostra di sé un minuscolo
cappellino di piume e pizzi. Gli occhi azzurri erano leggermente a
mandorla, esattamente come quelli del conte, mentre il nasino delicato
e all’insù conferiva al suo volto uno stato di grazia
assoluta, che si accompagnava a delle labbra perfettamente disegnate.
Fece qualche passo nel patio, trascinandosi appresso quel monumentale abito, e porse la mano al generale:
“Generale Jarjayes, che piacere! Sono giorni, ma che dico, mesi che non ci degnate di una visita!”
“Madame, è proprio per questo che ho avuto il piacere di
invitare voi e vostro fratello nella nostra casa di
campagna…passiamo troppo poco tempo assieme, ognuno assorbito
nei propri impegni.”
La contessa sorrise facendosi aria con il ventaglio, dopodiché il suo sguardo si posò su Fersen.
“Conte di Fersen! Dunque sarete dei nostri? Con che piacere
accolgo questa notizia, noi non ci conosciamo ma io so tutto di voi! Le
vostre imprese Americane sono quasi una leggenda…”
esclamò, porgendogli la mano che Fersen si chinò a
baciare senza troppo scomporsi.
“Madame, voi mi lusingate, anche se temo vi abbiano informata
male…Non sono poi questo eroe che voi dipingete.”
Sempre modesto, il nostro Fersen.
Lo sguardo della contessa non lasciava dubbi: “Fate dello
spirito, conte? Ma suvvia, avrete modo di raccontarmi tutto durante la
villeggiatura, non voglio perdermi una sola parola dei vostri
racconti!”
Circa mezz’ora dopo, stavo servendo il tè nel salone
principale. Il conte di Fersen era tornato ai propri alloggi a
preparare un piccolo bagaglio per la partenza e a scrivere qualche
lettera che spiegasse il suo momentaneo allontanamento, mentre
Girodelle e la sorella si erano accomodati nel salone principale.
Stavo constatando quando fosse dannatamente difficile versare il
tè vedendoci da un occhio solo, quando fece il suo ingresso
Oscar, che da quella mattina non si era ancora vista.
“Padre.” Salutò il generale, per poi spostare il suo
sguardo su Girodelle e la sorella: “Girodelle, siete qua dunque.
Torno ora da Versailles, dove mi hanno informato del fatto che vi
eravate preso un periodo di riposo…”
“Si, madamigella. Spero non vi dispiaccia sapere che mi unisco a
voi e vostro padre nella vostra breve vacanza, vostro padre teneva
particolarmente al fatto che fossi dei vostri…”
Lo sguardo di Girodelle brillava.
Oscar non si scompose.
“Niente affatto. Mi fa piacere sapere che siete nostro ospite, voi e…”
Lo sguardo di Oscar si posò sulla contessa, che da quando era
entrata non le aveva staccato gli occhi di dosso, guardandola con occhi
sbarrati.
Le dame convenzionali trovavano sempre molto ‘particolare’ il suo modo di vivere e vestire.
“Si, posso permettermi di presentarvi mia sorella, la contessa Colette Clémentine di Girodelle?”
La contessa posò la tazza da tè, e senza pensarci,
allungò la mano verso Oscar, per poi rendersi conto di quanto
stava facendo, e restare immobile con uno sguardo impacciato. Ci fu un
attimo di imbarazzo, poi Oscar sorrise e con assoluta nonchalance si
chinò a baciare la mano della contessa, la quale arrossì
fino alla radice dei capelli.
Mi resi conto con sgomento che sia io che Girodelle avevamo seguito la
traiettoria delle labbra di Oscar con lo sguardo fisso, trattenendo per
un breve attimo il respiro.
Le contraddizioni di una donna del genere stavano proprio nel suo
risultare infinitamente femminile anche quando adottava dei tipici
atteggiamenti maschili. Era qualcosa davanti a cui era difficile
restare insensibili.
Quando l’incanto di quel momento si fu spezzato, Oscar sedette
tra i suoi ospiti e io le misi davanti una tazza. Tuttavia, mentre mi
apprestavo a versarle il tè, lei mi bloccò posandomi una
mano sul polso e lasciandomi intuire il calore delle sue mani
attraverso la stoffa della camicia.
“Grazie Andrè, faccio da sola” Mi sussurrò, prendendo la teiera che tenevo tra le mani.
Io rimasi un attimo perplesso, e sollevando lo sguardo vidi che il
generale osservava la figlia con il sopracciglio lievemente alzato,
mentre Girodelle e la contessa guardavano ognuno verso la propria
tazza, leggermente imbarazzati.
Oscar si versò il tè da sola, appoggiò la teiera sul tavolo e si portò la tazza alle labbra.
“Fuori si gela. Una tazza di tè era proprio quello che ci voleva” Considerò per spezzare il silenzio.
Io nel frattempo mi ero ritirato di qualche passo, rimanendo in piedi al fianco della porta.
In tutta sincerità, il comportamento di Oscar mi sembrava leggermente cambiato negli ultimi tempi.
I primi giorni dopo la vicenda del cavaliere avevo pensato che fosse
per l’occhio, ma adesso non ne ero più tanto sicuro.
C’era qualcosa, nel modo in cui sempre più spesso mi
esonerava dai miei compiti, che mi lasciava vagamente perplesso.
Aveva sempre lasciato che le servissi io il tè, e non aveva mai
trovato niente da ridire. Ma adesso voleva fare da sola, e per di
più, aveva espresso questo concetto davanti a suo padre a ai
suoi ospiti.
C’era qualcosa che non andava.
“Bene, dunque è tutto pronto, possiamo partire?” Esclamò il generale.
Eravamo tutti nel cortile principale, con i colletti delle giacche
rialzati per il vento freddo che aveva iniziato a spazzare il cortile.
La nonna aveva indossato il suo mantello con il bordo di pelliccia, e
la sentivo borbottare tre sé e sé che quello non era
assolutamente un buon periodo per la villeggiatura, e che il padrone
era senza dubbio impazzito, ma lui del resto era un uomo, cosa ne
sapeva un uomo di come si gestiva una casa, chiusa per la maggior parte
dell’anno, in un periodo come quello?
Sistemai l’ultimo baule e mi apprestai ad aprire la porta della
carrozza al generale, il quale però si fermò sugli
scalini e osservando il fondo del cortile, sorrise: “Ecco il
conte! Giusto in tempo, conte, stavamo per partire senza di lei!”
Se fino all’ultimo avevo sperato che il conte fosse preda di
un’improvvisa amnesia che gli impedisse di tornare, dovevo
rassegnarmi.
Oscar, che era dietro al generale, si voltò di scatto, e io mi
sentii morire quando i suoi occhi incontrarono quelli di Fersen, che,
leggermente imbarazzato si avvicinava sorridendole:
“Oscar, sono felice di vedervi…e di vedere che state bene.
Ero passato per farvi una visita questa mattina, ma non
c’eravate…In compenso vostro padre mi ha praticamente
‘costretto’ ad unirmi a voi nella villeggiatura, spero che
non vi dispiaccia…”
Il vento impietoso aveva acceso il colore delle guance di Oscar di un
delicato color ciliegia, perciò non riuscii a capire se
arrossiva per il freddo o per l’imbarazzo. Il suo sguardo rimase
impassibile, mentre il vento le faceva volare davanti agli occhi i
riccioli biondi, portati come sempre sciolti e selvaggi.
Passarono alcuni secondi, in cui lo sguardo di Oscar e quello del conte
rimasero incatenati tra di loro, a meno di mezzo metro da me.
Parole non dette, pensai. Una quantità enorme di parole non dette.
Poi Oscar si schiarì la voce: “Non mi dispiace, conte.
Anzi, mi unisco a mio padre nel dirvi che siete il
benvenuto…”
Fersen sorrise: “E’ una gioia per me sentire le vostre
parole, non mi sarei perdonato di essere per voi un peso, durante la
villeggiatura…Sapete quanto tengo alla vostra amicizia.”
Ecco, aveva detto la parola magica.
Oscar si irrigidì di colpo, ma la voce del generale impedì a Fersen di rendersene conto.
“Dunque, voi conte viaggerete con noi!” Esclamò,
invitando il conte che aveva tra le mani un piccolo valigino damascato.
“Viaggiate leggero conte! Ah, beato voi…”
Esclamò il generale, prima di esortare Fersen a prendere posto
in carrozza, su cui si era già accomodata la nonna che aveva
iniziato a recitare Ave Maria e Ora Pronobis con il rosario
tra le dita. I lunghi viaggi la angosciavano sempre.
Quando anche il generale si fu accomodato, giù dalla carrozza restavamo solo io e Oscar.
Lei teneva lo sguardo basso, io mi tormentavo un bottone sulla manica della giacca.
A quel punto, salito Fersen, per me non c’era più posto in carrozza.
Avrebbero viaggiato assieme per tutte quelle ore.
Deglutii.
“Oscar, cosa fai, non sali?” La apostrofò il padre.
Lo sguardo di Oscar si levò verso di me, il vento ci sferzava le guance.
“Padre, e Andrè come viaggerà?”
Il generale parve rendersi conto di me solo in quel momento.
“Oh, Andrè…Andrè…”
Vidi che stava considerando di farmi viaggiare sul calessino scoperto, insieme ai bagagli, e rabbrividii al solo pensiero.
“Padre, io e Andrè potremmo seguirvi a cavallo…”
Buttò lì Oscar, osservandomi. Cercai di leggere nei suoi
occhi, ma non capii se era un modo come un altro per sfuggire al lungo
viaggio chiusa in carrozza con Fersen o se davvero si stava
preoccupando per me.
In quel momento, la carrozza di Girodelle si affiancò alla
nostra, e abbassato il finestrino, la voce della contessa si sovrappose
al forte fischiare del vento:
“Se vi preoccupate per il vostro servitore, madamigella, sappiate
che noi abbiamo un'altra carrozza coperta per i bagagli, in cui viaggia
Camille, la nostra servitrice. E sono sicura che non le dispiacerebbe
condividere il viaggio con qualcuno!” Trillò soddisfatta.
Ci voltammo tutti verso l’altra carrozza dei Girodelle, e notai
solo in quel momento che da dietro al vetro del finestrino ci osservava
un volto femminile. Tutto ciò che riuscivo a scorgere da quella
distanza era la cuffietta nera che le copriva il capo.
Mi voltai verso Oscar e vidi che stava a sua volta osservando quella donna, con uno sguardo che non avrei saputo definire.
“Mi sembra la soluzione migliore!” Esclamò il
generale “Avanti Oscar, sbrigati a salire e lascia che
Andrè viaggi nell’altra carrozza…Ci aspetta un
lungo viaggio!”
Già, ci aspetta proprio un lungo viaggio, considerai dopo che
Oscar si fu chiusa la porta della carrozza alle spalle, e il cocchio su
cui viaggiavano lei e Fersen si mise in movimento tra una nuvola di
polvere.
Non mi rimase che dirigermi mestamente verso la carrozza dei Girodelle,
mentre consideravo tra me e me che forse questa volta Arras mi sarebbe
apparsa meno bella del solito, visto che probabilmente Oscar avrebbe
avuto altro a cui pensare che fare lunghe cavalcate al mio fianco e
restare la notte ad osservare le stelle.
O meglio, forse l’avrebbe anche fatto, ma di sicuro non con me.
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