Capitolo
19: Fly away.
'Lo
so che è difficile, che qua hai la tua vita. Ma so che sei
amica di Orlando Bloom, che ti sta ospitando lui, ora a casa sua.
Perché non provi a partire con lui? Un amico non ti nega mai
l'aiuto se ne hai bisogno e, per quello che mi ha raccontato Jen, lui
farebbe i salti mortali per te!'
Le
parole di Tom rimbombarono nella testa di Edith, mentre Rachel
l'aiutava a mettere nella valigia tutti gli indumenti necessari:
“Ammettilo!”
disse Rachel guardando un bikini per poi metterlo nella valigia.
“Che
cosa?” chiese Edith voltandosi a guardarla, cadendo dalle
nuvole.
Rachel
la guardò per un attimo e mormorò:
“Non
mi stavi ascoltando, vero?”
Edith
si morse il labbro per non ridere e Rachel, scuotendo la testa,
disse:
“Dicevo...
Orlando che insiste per ospitarti a casa sua per far si che tu non
rimanga in mezzo ad una strada, pur sapendo che ti avrei potuto
tenere io a casa mia come hai fatto tu quando mi sono saltate le
tubature...”
“Lo
ha fatto perché ha pensato che tu e John voleste un po' di
privacy, dal momento che avete per casa una bambina di quattro anni
che rende le cose un po' difficili” disse Edith piegando una
maglietta e mettendola dentro la valigia.
Rachel
la guardò con scetticismo e rispose:
“Si,
diciamo che lo ha fatto per questo. E che, per bontà d'animo,
poi, ti porta in America per farti trovare un lavoro. Un santo. Non
c'è che dire!”
Edith
si bloccò e guardò fisso Rachel. Capiva dove voleva
arrivare l'amica. Perciò, un po' risentita, chiese:
“Che
vuoi dire?”
“Che
forse arriverà il momento che ti chiederà il conto? È
comunque un uomo.. Solo, per giunta, abituato ad avere tutto quello
che vuole...” si fermò un attimo e scrollando le spalle,
continuando a riempire la valigia aggiunse: “Un po' come te
insomma... Sarà tanto che non vi scannerete, prima di finire a
letto assieme!”
Edith
mise le mani sui fianchi e seria chiese:
“Cosa
vuoi dire? Che Orlando, tra di un po' mi chiederà di andare a
letto con lui!”
Rachel
si bloccò, la guardò fisso per un po' e poi, aprendosi
in un sorriso malizioso, annuì.
“MA
CHE TI DICE LA TESTA?” sbottò Edith.
Rachel
sospirò e rispose:
“Edith.
È troppo strano. Questo si sta prodigando un po' troppo per il
tuo bene...”
“Ma
non ti viene da pensare che siamo solo amici che si stanno aiutando
senza il doppio fine del sesso!?” replicò Edith seria,
alterata dal fatto che la sua migliore amica volesse vedere nero
dove, invece era tutto bianco.
Rachel
si mise a sedere sul letto e la guardò con un mezzo sorriso.
Edith rispose con uno sguardo torvo e le chiese:
“Che
cosa ti ridi?”
Rachel
cominciò a ridere forte ed Edith, guardandola prima
sconcertata, dopo qualche attimo di silenzio, la seguì. Si
misero a sedere vicino e quando finalmente riuscirono a smettere di
ridere, Rachel portò una mano alla bocca e scoppiando a
piangere, disse:
“Sono
felice per te, Norton. Ma, in dieci anni che ti sono amica, questa è
la prima volta che ci distacchiamo!”
Edith,
per nulla stupita da quella reazione che, anzi, si aspettava,
abbracciò Rachel, e accarezzandole la testa le disse:
“Basta
che tu mi dica che ne hai bisogno e io prendo il primo aereo per
venire da te!”
Rachel
pianse più forte ed Edith cercando ancora una volta di
calmarla, aggiunse:
“Lo
so che è difficile... Ma preferisci vedermi qua che soffro o
felice in America?”
Edith
non lo sapeva ma era stata Rachel a suggerire per prima ad Orlando di
portarla in America con lui. E non poteva sapere che, la sera che lei
aveva accettato, per SMS era stata avvisata del lieto evento.
Nonostante
questo, la migliore amica di Edith non riusciva a fermare le lacrime.
Ora che vedeva le valige aveva la certezza che il viaggio era
imminente e che loro due, dopo dieci anni unite, si sarebbero
separate.
L'abbracciò
e tra i singhiozzi disse:
“Ti
voglio un mondo di bene!”
Edith
sorrise, sollevando la testa e sospirando forte, cercando di non
piangere, senza riuscirci, rispose con voce rotta:
“Anche
io. Te ne voglio un mondo e non permetterò un oceano di
dividerci. Basta che tu mi dica che ne hai bisogno e io sarò
qui, per te...”
Rimasero
abbracciate per un po' in silenzio, quando Rachel, senza staccarsi
disse:
“Comunque
non sei sincera!”
Edith
si sollevò la guardò confusa, senza capire. E Rachel
aggiunse:
“Starai
sempre scopando con Orlando Bloom. Non avari mica il tempo di venire
a Londra a sentire le mie lagne!” e facendo la vaga, con una
strana espressione che, dato il viso gonfio per il pianto la rese più
buffa, disse:”Hanno detto che tra Jude Law e compagna le cose
non stanno andando bene... Indi per cui... Se me lo faccio, avrò
tutti i miei buoni motivi!”
Edith
sbarrò gli occhi ed emise un verso di divertita sorpresa e
replicò:
“Se
so che sei andata a Primerose Hill, sappi che ti uccido. Non è
bello che tu faccia una cosa simile a me e al tuo compagno!”
“Perché
devi essere solo tu quella che si fa un attore?” si lamentò
Rachel.
“Perché
tu stai con il migliore amico di un attore!” rispose Edith
sorridente.
Rachel
fece un espressione ancora più buffa che fece ridere di cuore
la giornalista.
Orlando
e John le sentirono ridere.
Fu
John, guardando Orlando a dire:
“Non
lo so se lo stai facendo solo perché te lo ha chiesto Rachel o
perché siete amici e vuoi aiutarla oppure per entrambe le
cose. Quello che so, Orlando, è che ti stai cacciando in un
grossissimo guaio”
Orlando
non capì. Guardò l'amico confuso e John aggiunse:
“Ti
innamorerai di lei, Ob. Sta già succedendo. E lo sai che te lo
sto dicendo da tempo. Prima ti piaceva. Ora che ce l'hai in casa e ti
rendi conto di quello che è...”
“..non
succederà nulla John. Io ed Edith siamo come fratelli e tu lo
dovresti sapere. Non dico di essere stato un santo in questo mese. Ho
avuto le mie avventure, ma sono ancora troppo preso da Kate per
innamorarmi di qualcun altro. Specialmente se quella persona è
come Edith. Ci vorrebbe troppa forza di volontà per
sopportarla...”
John
sorrise e poggiando un braccio sulle spalle di Orlando, disse:
“Ti
auguro che non accada Orlando, perché potrebbe complicare le
cose se lei non ricambia il sentimento... Ti chiedo solo che, se
dovesse succedere qualche cosa tra di voi, tu non faccia la super
star spocchiosa... Per quanto sia stronza Edith non meriterebbe un
trattamento simile. E tu lo dovresti sapere meglio di me.” e si
allontanò.
Orlando
lo guardò perplesso.
Tutti
in quel periodo pensavano che tra loro due potesse succedere qualche
cosa. Ma lui non era dello stesso avviso.
Sospirò
e seguì l'amico entrando a prendere in giro le due donne che
stavano preparando i bagagli.
Posh
gironzolava tranquilla per la casa.
Orlando
faceva zapping nervoso.
Quella
sera aveva sentito Robin, la sua manager, che le aveva detto che,
verso aprile avrebbero cominciato le riprese degli ultimi due
capitoli della trilogia de 'I Pirati Dei Caraibi' e che questo
avrebbe richiesto la sua presenza di Orlando a Los Angeles.
Questo
anticipava di qualche settimana la partenza programmata per marzo
dato che, la stessa produzione, nella rappresentanza delle Disney,
aveva richiesto la presenza degli attori per definire delle cose che
non erano state ancora chiarite.
Nervoso,
preso dai suoi pensieri, lanciò il telecomando di fianco a
lui, sul divano e alzandosi quasi inciampò su Posh che soffiò
leggermente.
“Gattaccio.
Non ti sopporto!” bisbigliò Orlando ancora più
infastidito.
Senza
curarsi della sorte della povera gattina si avvicinò alla
finestra.
Quella
sera il cielo opalino era stato messaggero di neve. E quella notte,
piccoli fiocchi, cominciavano ad imbiancare i tetti scuri della
capitale inglese.
Ti
innamorerai di lei, Ob. Sta già succedendo.
Sciocchezze!
Lui innamorato di Edith. Bisognava essere folli solo a pensarlo.
Fissava
i fiocchi senza però vederli. La sua testa vagava nel tempo,
ricordando quello che era successo negli ultimi mesi.
Non
poteva negare che un po' di attrazione per Edith l'avesse provata. Ma
chi non l'avrebbe provata? Solo un pazzo non avrebbe notato quelle
curve, quel modo di muoversi. E i capelli che sembravano quasi
danzare sulla sua schiena quando si muoveva. E il neo sul labbro
superiore. E gli occhi, quando scrutava con sarcasmo qualcuno...
Ok!
Le piaceva. Come ad un uomo può piacere una bella donna...
Forse!
Con
passo lento si avvicinò alla sua camera e, da sopra un mobile
prese il diario di Edith.
In
quelle ultime due settimane non aveva scritto. E da un mese a quella
parte, per Orlando, era come aver commesso una grande mancanza.
Aprì
il diario e prese una penna cominciando a scrivere, come sempre la
data...
“Lunedì
13 Febbraio 2006...
non
so cosa mi stia succedendo. Lo so che ho detto che avere Edith in
casa, per me, era davvero importante. E lo è, non voglio
rimangiarmi quello che ho detto. Averla in casa mi rende tranquillo.
Posh a parte, naturalmente.
Oggi
però, la mia testa ha cominciato a vagare. È tutta
colpa di John come al solito. E non lo dico scherzando, stavolta,
come direi in altre circostanze. Stasera mi ha detto che, secondo
lui, io mi sto innamorando di Edith. Il problema non è quello
che lui ha detto. Non sono così cretino da farmi abbindolare
da qualcuno, sia esso il mio migliore amico. È che mi rendo
conto che, Edith, per me sta diventando indispensabile come poche
persone lo sono diventate nella mia vita. E ho paura che, quando mi
blocco a guardarla mentre gioca con Posh o con Sidi, stia succedendo
qualche cosa che non posso controllare. Perché, nonostante
voglia bene ad Edith, - e le voglio davvero tanto bene- non riesca a
controllarmi e finisca davvero a fare qualche cosa di stupido. Tipo
cercare di provarci con lei e rovinare questa amicizia che, per me è
diventata importante come l'aria. Perché, infondo, chi è
che mi ha accompagnato in macchina fino a Parigi? Chi è
che, invece di festeggiare l'ultimo giorno dell'anno con gli amici,
mi ha ascoltato piangere? E chi mi ha dato una seconda opportunità
nonostante i miei innumerevoli errori? Chi ha lasciato il suo ragazzo
multimiliardario dopo aver scoperto che aveva architettato qualche
cosa alle mie spalle non solo ai suoi danni, ma anche ai miei
-soprattutto ai miei- danni? LEI. Sempre e solo lei.
E
questo basterebbe a chiunque per far vedere le cose che non sono.
Per
farti cadere nel tranello della passione.
Non
amo Edith. Ma ho bisogno di lei.
So
che è in contrasto con quello che ho affermato poco prima. Ma
Edith non è una ragazza di cui mi innamorerei. È troppo
snob, troppo aggressiva, troppo egocentrica per permettermi di
pensare solo di avere una storia con lei.
In
parole povere: troppi dei suoi difetti sono simili ai miei. E questo
è Elijah docet, non un mio pensiero.
Che
devo fare? Devo aiutarla a cercare una casa a Los Angeles appena
arrivato? Perché, ad essere onesto, non ho voglia di farlo.
Vorrei tenerla vicino a me e chiederle se è d'accordo con me
in tutto quello che faccio. La voglio aiutare e proteggere, perché,
a differenza degli altri, Edith mi ha mostrato tutti i suoi nervi
scoperti. E ho scoperto che sono davvero tanti.
CHE
COSA DEVO FARE, ACCIDENTI!”
Chiuse
il diario e sospirò. Cosa aveva scritto? Quello che il suo
subconscio le suggeriva? Tutto quello che nemmeno lui, apertamente,
aveva il coraggio di ammettere perfino a se stesso?
Probabile.
Si
sollevò e si buttò nel letto.
Guardò
il soffitto pensieroso per molto tempo. Poi, senza rendersene conto,
si addormentò,senza andare sotto le coperte o mettere il
pigiama, sognando Edith. La baciava, l'abbracciava, ci faceva
l'amore...
Ma
la mattina dopo, al risveglio, non avrebbe ricordato alcunché.
Paul
guardò Edith entrare nel caffè di Piccadilly. Si
sollevò e sorridendo, allargando le braccia, già
emozionato disse:
“Allora
ci siamo?”
Edith,
con gli occhi lucidi a sua volta, ricambiò l'abbraccio e
rispose:
“Si.
Dopodomani parto! Ho deciso di vederti oggi per evitare di trovarmi
con un mucchio di cose da fare all'ultimo momento...”
Paul
annuì e disse, indicando una sedia vicino alla sua:
“Hai
visto la mamma?”
Edith
scosse la testa e con gli occhi sempre più gonfi rispose:
“No.
A quanto mi ha detto, Emma sta molto male, dopo l'ultimo incontro con
Brian!”
Paul
annuì e asserì:
“Si.
Sta malissimo. Non mangia e, a quanto pare, sta ricominciando con la
cocaina. Siamo un po' preoccupato. O meglio. Siamo molto
preoccupati!”
Edith
scosse la testa e disse:
“Emma
è sempre stata debole. Non sono mai riuscita ad aiutarla
nemmeno quando i rapporti erano dei migliori. Si butta giù,
troppo giù e se non entra nel tunnel della depressione, fa
qualche altra sciocchezza!”
Paul
annuì, guardando fisso davanti a lei. Poi, come riprendendosi
da una lunghissima trance, disse:
“Dimenticavo.
La mamma mi ha detto di darti questo!”
Paul
prese dalla sua ventiquattrore un pacco rettangolare di media
grandezza. Lo porse alla sorella che lo guardò interrogativa
e, allungando le mani, disse:
“Non
mi chiedere cosa sia perché non ne ho la minima idea. Quando
le ho detto che ti dovevo vedere prima di partire per Los Angeles mi
ha fatto vedere questo pacco e mi ha detto di dartelo. Credo che te
lo avrebbe spedito se non ci fossimo visti!”
Edith
guardò stordita il pacco e prendendolo con mani tremanti
cominciò a strappare la carta.
Dal
pacco cadde subito una lettera sigillata in una busta bianca. Il
regalo, che Edith osservò prima di leggere la missiva della
madre, consisteva in una bellissima cornice intarsiata, molto
elegante, con dentro una foto di tutta la famiglia Norton prima che
Edith decidesse di lasciare la carriera concertistica per seguire
quella giornalistica.
Era
Natale. Natale 1996. L'ultimo prima della fine delle scuole
superiori.
“Oddio!”
esclamò commossa Edith.
Paul
allungò la testa ed Edith le porse la cornice. Al centro
c'erano i tre fratelli Norton. Edith già impeccabile, vestita
con i lunghi maglioni e i fuseaux che si usavano in quell'epoca a
metà tra la nostalgia per gli anni '80 e la voglia di cambiare
di quegli anni '90 ormai giunti alla metà.
Emma
aveva un vestito largo e le gambe avvolte in calze lunghe di lana,
nere. Paul, appena tredicenne, invece, indossava camicioni di
flanella e aveva il classico taglio a scodella. I genitori erano
vicini. Patrick sorridente. Eloise tranquilla.
Forse
per l'ultima volta prima della burrasca che solo qualche tempo dopo
avrebbe colpito la loro famiglia.
“Quello
era l'anno che i Take That si erano sciolti. L'anno che tu finisti
senza perdere un anno le superiori. L'anno che Emma lasciò la
scuola per diventare una modella e sposare, un giorno, secondo i suoi
progetti, Howard Donald. Io invece avevo a che fare con il mio corpo
e la mia voce che cambiava... Terribile!” ricordò Paul
nostalgico.
Edith
sorrise con gli occhi sempre più gonfi di lacrime e con voce
rotta disse:
“Il
nostro ultimo Natale assieme. Dopo lasciai casa e andai a vivere da
zia Rebecca perché papà non ne voleva più
saperne di me. Il Natale dopo la zia invitò Jen e Hannah. Una
è rimasta mia amica. Un'altra l'ho persa per strada. È
stato quel Natale che ho conosciuto Thomas Carlyle, il padre di Jen.
E la mia vita è migliorata notevolmente.”
Paul
la guardò e le domandò:
“Sei
sicura di voler partire?”
Edith
accarezzò la foto e rispose:
“Quando
zia Rebecca morì, ci pensai. Ero molto triste e mi sembrava
che qua non avessi più nulla da dare, da fare. Poi ho
conosciuto Rachel, John -l'ex marito di Rachel intendo-, Fred e
decisi di non partire. Volevo rimanere con loro. Volevo costruire la
mia vita assieme a loro. Il padre di Fred mi aiutò con
l'eredità della zia e vendetti quello che potevo e misi in
banca i soldi. Mi aiutarono tutti a trovare un piccolo appartamento.
Trovai un piccolo lavoro in un giornaletto e cominciai a farmi le
ossa. Non ero ricca. Alle volte, per non toccare i soldi in banca,
non facevo la spesa. Allora trovavo i miei amici con il take away del
cinese sotto casa, la busta del market dei pakistani con generi di
prima qualità... Ti dico. Nonostante i problemi, i pochi
soldi, ero felice, più di quanto lo sono ora che ho un conto
in banca tutt'altro che irrisorio. Perché mi sentivo capace di
tenere il mondo in mano, di sfidarlo, di vincerlo e di tagliarli la
testa e fargli vedere che ero io la più forte... Rimasi per
questo. Perché avevo trovato la felicità. E facevo
quello che mi piaceva!”
“E
ora?” chiese ancora Paul.
Edith
guardò verso la vetrata e rispose:
“Ora
voglio seguire Orlando. So che a Londra ho già dato il massimo
e forse di più del massimo. Forse a Los Angeles troverò
qualche cosa di nuovo da costruire... Da sola o con un nuovo
compagno. Ma come è successo quasi dieci anni fa, so di aver
dei buoni amici vicino. Sia qua a Londra, nel caso le cose in America
non andassero bene, che a Los Angeles, nel caso le cose andassero
bene e dovessi intrattenermi di più di quello che credo..”
Paul
sorrise. Stava per rispondere ma il cameriere li bloccò, per
ordinare.
Quando
rimasero di nuovo da soli, Paul guardò la sorella e le disse:
“So
che te lo stanno dicendo tutti. So quello che pensa John, dato che io
e Jessica abbiamo invitato lui e Rachel a cena. E sono d'accordo con
lui. Sai perché? Perché penso che sia possibile che tu
ed Orlando possiate reciprocamente innamorarvi l'uno dell'altro!”
Edith
sorrise, fingendosi infastidita. E giocherellando con lo zucchero
nella bolla di fronte a lei, disse:
“Io
e Orlando siamo amici...”
“Per
un amico non fai andata e ritorno Londra Parigi in due giorni”
fece notare Paul.
“Se
voi non credete nell'amicizia tra uomo e donna non è colpa
mia. Certo, non ci conosciamo da una vita, ma sento che di Orlando mi
posso fidare. Lui mi vuole aiutare davvero e non per portarmi a letto
come hanno fatto moltissimi uomini nel passato...” sottolineò
Edith.
Paul
stava per rispondere quando sia il tiramisù che la cheese
cake, con le due cioccolate venne loro servita. E, attaccando la
glassa di ciliegia della sua torta, con uno sguardo che era tutto un
programma, disse:
“Sono
venuta per salutarti Paul, perché, davvero, non so quando
tornerò a Londra stavolta. Non è un viaggio di piacere,
al contrario. Sto andando a ricostruirmi la vita. Quella che Brian
Stephensons ha ben pensato di mandare a rotoli quando ho scoperto che
animale era...”
Paul
la guardò, sorrise e rispose:
“Tranquilla
sorellina. Non mi permetterei mai, mai di romperti le scatole in una
situazione simile” e prendendo la forchetta l'affondò
nel tiramisù precedentemente ordinato.
L'aeroporto
internazionale di Heatrow era il miglior aeroporto di tutta la Gran
Bretagna, non solo il primo di Londra.
Edith
e Orlando dovevano partire dal terminal numero quattro.
Dopo
aver imbarcato i bagagli, Orlando ed Edith si fermarono con Rachel e
John, venuti a salutarli prima della partenza.
Mentre
Edith e Rachel cercavano qualche cosa da mettere sotto i denti
aspettando che i passeggeri del volo per Los Angeles venissero
chiamati all'imbarco, John prese un giornale e guardando la
copertina, mentre Orlando cercava un libro, lo comprò per
mostrarlo all'amico.
Quando
furono fuori da VHSmith, nota libreria inglese, John porse la rivista
ad Orlando e gli disse, con un sorriso:
“Leggilo,
può interessarti!”
Orlando
prese il giornale e lo lesse.
“ORLANDO
BLOOM DI NUOVO INNAMORATO? TUTTI I RETROSCENA DI QUESTA STRAORDINARIA
NOTIZIA A PAGINA 9 E PAGINA 10”
Orlando
guardò John senza capire. John gli fece cenno di continuare e
l'attore fece come ordinato. Aprì a pagina nove e lesse il
titolo a lettere cubitali.
“La
notizia è scoppiata come una bomba ad orologeria. Orlando
Bloom, a detta di persone ben informate, è di nuovo fidanzato.
Si parla di una vecchia conoscenza dell'attore, una ragazza un poco
più giovane di cui ancora non si conosce il nome. Si dice che
divida con lui l'appartamento da un mese, ormai e che, sempre con
lui, stia organizzando la trasferta a Los Angeles dove l'attore
trascorrerà buona parte di quest'anno per lavoro. Il toto-nomi
è naturalmente cominciato. Spiccano nomi tutt'altro che
anonimi. Da Charlyze Theron a Sienna Miller, ormai in crisi con Jude
Law. Si presentano nomi di modelle più o meno conosciute alle
pagine patinate, per passare a quella che tutti definiscono la causa
della rottura dell'attore con l'attrice americana Kate Bosworth: l'ex
giornalista di 'Vanity Fair', Edith Norton. E proprio quest'ultimo
sembra il nome più accreditato dai più...”
Orlando
diede la rivista a John e serio chiese:
“Cosa
vuoi dire?”
“Quello
che c'è scritto. Che ormai tutti pensano che siate una coppia.
E che questo rovinerà quello che c'è tra di voi!”
rispose John.
Orlando
sbuffò e disse:
“Posso
chiederti un favore Johnny? Per piacere, smettila di essere così
pessimista e pensa che, da questo viaggio sia io che Edith avremo
solo da imparare, nel bene e non nel male. E le congetture su di una
possibile storia, lasciale a questi giornaletti che, con questa
immondizia ci mandano i figli a scuola...”
John
prese il giornale lo guardò e disse:
“E
tu promettimi che non la ferirai. Perché, ottimista o no, da
prima che lo dicessero questi giornali, che tra di voi potesse
esserci una storia lo pensavo eccome...”
Orlando
sorrise e rispose:
“E
allora augurami buona fortuna, perché quello che rimarrà
ferito sarò io e non Edith..”
John
sorrise e lo abbracciò dicendo:
“Mi
ero abituato a te Orlando. Non averti a Londra per un po' di tempo mi
sballerà il bioritmo!”
Orlando
fece un'espressione scettica e replicò:
“Con
Rachel non avrai nessun bioritmo sballato. Piuttosto fammi una
promessa anche tu... Non fare troppo il coglione e tientela
stretta...”
John
sorrise e chinando la testa imbarazzato disse:
“Ti
dico un segreto. Sei il primo a saperlo. Il mese prossimo vado a
vivere da Rachel...”
Orlando
sbarrò gli occhi e sorpreso disse:
“Non
stai scherzando?”
John
scosse la testa in segno di diniego e subito, a quel gesto, Orlando
gli saltò al collo, abbracciandolo forte.
Sapeva
quanto avesse sofferto John dopo la morte di Rocio, la prima moglie
del migliore amico, vittima dell'attentato alle Twin Towers. E sapeva
quanto, in quei cinque anni fosse stato difficile per lui riprendere
in mano la propria vita, cercando una donna capace di riempirgli i
giorni come aveva fatto Rocio per il poco tempo che gli era stato
concesso ad entrambi.
“Quindi
devo prepararmi alla nascita di un nipotino?” chiese malizioso
Orlando.
John
scosse la testa anche quella volta, rispondendo:
“Vogliamo
aspettare. Stiamo già facendo un gesto molto importante
andando a vivere assieme. Non vogliamo accelerare ulteriormente le
cose. Certo! Se Rachel dovesse rimanere incinta, non credo che
sarebbe un figlio non voluto. Inaspettato, magari, ma mai non
voluto!”
Poco
più in là anche Rachel ed Edith trattavano lo stesso
argomento:
“E
il tuo ex marito che cosa dice?” chiese Edith allegra.
Rachel
fece spallucce, segno che non le importava dell'opinione di quello
che, con ironia, aveva chiamato John I per distinguerlo dall'attuale
compagno e replicò:
“Non
mi importa. John Green non è più mio marito. Non sono
tenuta a prendere atto delle sue opinioni sulla mia vita privata.
Almeno che, le sue opinioni non riguardino Charlotte, allora le cose
cambiano. Ma visto che Johnny si è dimostrato un ottimo
compagno e mi ha dimostrato di essere anche premuroso verso mia
figlia. E di questi tempi, non è poi tanto facile...”
Edith
guardò Rachel con un sorriso. Si sentì subito in colpa
per non essere vicino alla migliore amica proprio in un momento tanto
importante. L'aveva vista distruggersi con le sue stesse mani,
mandano in fumo il suo bellissimo abito da sposa e l'album delle foto
del matrimonio. Ora che metteva il primo mattone per la sua nuova
vita lei partiva in America per ricostruire anche lei dalle macerie,
quello che aveva creato e Brian aveva buttato giù come un
castello di carte.
“Non
pensarci sai!” esclamò Rachel distraendola dai suoi
pensieri.
Edith
la guardò confusa e l'amica aggiunse:
“Non
pensare nemmeno di non partire, Norton. E non sentirti in colpa. Se
decidessi di rimanere solo per starmi vicino, non riuscirei più
a guardarmi allo specchio per la vergogna...”
Edith
sorrise e con gli occhi lucidi, abbracciandola, rispose:
“Lo
so che vuoi che resti. Ma sei abituata a fare la dura e non lo vuoi
far vedere. Quindi smettila o mi farai piangere!”
Rachel
la strinse e così, abbracciate, piansero in silenzio.
Orlando
e John non si intromisero, anzi, lasciarono le due amiche alla loro
intimità, parlando ancora tra loro.
Poi
l'altoparlante annunciò: [I PASSEGGERI DEL VOLO DF7779 CON
DESTINAZIONE LOS ANGELES SONO PREGATI DI RECARSI AL GATE 65 PER
ESPLETARE LE OPERAZIONI DI IMBARCO. RIPETO....]
Edith
guardò in alto e anche nel tabellone aveva cominciato a
lampeggiare la scritta 'imbarco'. Si voltò verso Rachel
e trattenendo le lacrime a stento promise:
“Ti
chiamo appena arrivo. E bacia di nuovo Charlotte da parte mia e dille
che tornerò appena posso. E che le porterò la cosa più
bella che troverò a Los Angeles e che avrà solo lei...
E mi raccomando stai vicino a Jen. Fred è così sbadato
alle volte che ho quasi paura per lei e per il bambino. E appena
sapete il sesso fatemelo sapere. E sta dietro a Paul e digli di non
lavorare troppo...”
D'improvviso,
Edith, si rese conto che le cose da dire erano davvero tante. Troppe.
E
che non bastava quel poco tempo per dire tutto. Rachel, con il viso
inondato di lacrime, la guardò e cercando di sorridere, le
disse:
“Vai.
L'aereo non ti aspetta anche se stai partendo con Orlando Bloom.”
“Ti
chiamerò davvero Rachel!” continuò Edith che, per
la prima volta in vita sua si rese conto che il suo posto era lì,
che non poteva lasciare la casa, gli amici, le mille cose che aveva,
per fare un salto nel buio che non le dava nessuna garanzia.
Rachel,
quasi le leggesse nel pensiero, indicò la strada che conduceva
ai gate e perentoria disse:
“Vola
via da qua... Non stare qua per noi. Costruisciti una vita migliore
di quella che puoi avere in Inghilterra. E se incontri qualche
attorone che ti chiede di sposarlo, ricorda quello che ti ho detto.
Alle volte la felicità non bisogna cercarla lontano. Basta
voltarsi per accorgersi che l'abbiamo sempre avuta accanto. VAI!”
Edith
la guardò. Orlando, dolcemente le prese un braccio e disse:
“Andiamo
o partiranno senza di noi!”
Edith
lo seguì.
Fecero
i controlli per l'imbarco, prima di andare al gate 65 e prima di
sparire alla dogana, Edith si voltò e vide John stringere
Rachel che piangeva.
Edith
girò immediatamente la faccia.
Se
non l'avesse fatto sarebbe rimasta a Londra.
Era
notte.
C'erano
ancora otto ore di volo. Londra era lontana. Sotto di loro l'oceano.
Edith,
per quanto ci provasse, non riusciva a prendere sonno. Si rivoltò
mille volte, per quanto le era possibile e cercò di essere
cortese con le hostess che le chiedevano in continuazione se tutto
fosse apposto, rispondendo quasi tra i denti sempre e solo si, anche
se, lei per prima lo sapeva, non era vero.
Sapere
tutti lontani, sapere che quello non era un viaggio di piacere, ma un
viaggio mirato a cambiarle la vita, la lasciava spaventata, quasi
attonita. E lo era perché solo allora si era resa conto del
perché non avesse mai lasciato Londra nonostante tutte le
proposte di lavoro: lo aveva fatto perché Londra era una parte
di lei, che rappresentava la sua infanzia, la sua adolescenza, i suoi
anni universitari, le prime difficoltà e i primi successi e,
anche, il suo grande amore per Brian, che, con sua grande sorpresa,
giorno dopo giorno si andava affievolendo. Anche per un sentimento
così forte, tutte le cose fatte da Brian, non erano cose da
poco.
Per
non pensare decise di prendere il libro di Isabel Allende che aveva
comprato. Lo stava per prendere quando si rese conto che, dentro la
borsa c'era una lettera ancora sigillata. La prese tra le mani e
lesse 'Per Edith' nella classica grafia tonda e senza
sbavature della madre.
Subito
ricordò della cornice che Paul, solo due giorni prima le aveva
portato al bar di Piccadilly. Veloce cominciò a strappare la
carta, dando attenzione di non rovinarla. Poi prese il figlio e lo
lesse:
“Piccola...
chi
lo avrebbe mai detto che mi sarei trovata a scriverti una lettera di
una buona fortuna per la tua partenza perché, per via di tuo
padre, prima, di tua sorella, poi, non ho potuto farlo di persona.
Sono
terribilmente addolorata da questo, ma, da brava madre, per quello
che sono riuscita ad esserlo – e credimi, alle volte mi è
difficile pensarlo- non posso mancare a questo appuntamento.
La
mia bambina parte. Sembra ieri che avevi cominciato a camminare che
quasi mi sembra impossibile che un aereo ti porti via da me per Los
Angeles.
Ti
chiedo scusa in anticipo, ma ho chiesto a Paul di questo Orlando
Bloom che, a quanto ne so, è il ragazzo con cui stai lasciando
Londra. Tuo fratello mi ha detto che è un attore, cosa che va
subito a suo sfavore. Poi mi ha detto che, superati i primi momenti,
quelli in cui ti senti comunque in soggezione davanti a qualcuno che
tutti conoscono, non è poi tanto male. Anzi! Ha detto che, a
parte qualche piccolo difetto -che tutti, poveri mortali e no
abbiamo- sa essere davvero simpatico.
Spero
che sia abbastanza bravo da non farti sentire la mancanza di casa. Di
tutti i tuoi amici, di tuo fratello e di quelle bellissime serate che
passavamo assieme davanti ad una coppa di gelato o ad una tazza
fumante di tè, a seconda della stagione.
Ti
avviso. Sappi che, nonostante tu non sia a Londra, questa abitudine
la terrò sempre viva, in modo che non mi risulti innaturale
riprenderla quando tornerai a trovarmi.
Una
volta alla settimana andrò nel nostro bar, quello vicino a
casa nostra, mi siederò al nostro tavolino vicino alla vetrata
e chiederò a Jeff il solito. Lui saprà cosa portarmi.
So già che mi chiederà di te. Lo sai quanto è
curioso. Ti chiedo perdono se, parlando con orgoglio di te, qualche
lacrima scenderà veloce sul tè annacquandolo un po'.
Sono sempre stata una sentimentale. È il mio cruccio. Che vuoi
che ti dica.
Perfino
ora che ti scrivo questa lettera mi scendono delle lacrime. E mi
rendo conto che tutto quello che ti vorrei dire è banale e
scontato. Sono i soliti avvertimenti da mamma, quelli che tanto ti
facevano arrabbiare quando partivi per un concerto. Ti direi di stare
attenta. Che nel mondo ci sono persone che ti fanno vedere il loro
miglior viso e poi, quando meno te lo aspetti, ti danno una
pugnalata. Ma so che un certo Brian Stephensons ha fatto del suo
meglio per fartelo capire. Di lottare per le tue idee, per farle
vedere davanti agli altri. Ma ho visto che non si può, se c'è
qualcuno più forte di te che fa di tutto per sbarrarti la
strada.
Vorrei
dirti di non prendere troppo freddo, ma vai in un posto dove fa
sempre caldo, quindi anche questo consiglio va perso.
Allora
ti chiedo una cosa che forse non è scontata. Ricordi quel
Natale del 1996? Il nostro ultimo Natale felice. Il nostro ultimo
Natale assieme.
Ti
ho regalato una cornice con una foto di quel momento. Ho scelto una
in cui ci siamo tutti. Perché, come tu sai, nonostante le
vostre divergenze passate, tuo padre ti ha amata come solo un padre
sa amare la sua prima figlia. E solo per orgoglio non ammette nemmeno
a se stesso che gli manchi da morire.
Ed
Emma, già da allora, era come una farfalla, debole, che vive
solo un giorno. Ha sempre voluto essere forte, almeno un po' come te.
Ma non c'è mai riuscita. E per quello che si è
autodistrutta, per cercare di ricreare quella stessa forza che lei
non ha mai avuto. E mai avrà.
Io
e Paul, a differenza di quello che è successo dopo quel
Natale, nel bene e nel male ti siamo stati vicino.
Ma
da brava sentimentale che sono, voglio che tu possa ricordare uno dei
tanti momenti felici della nostra famiglia. E ce ne sono stati
davvero tanti. Lo sappiamo entrambi.
Così,
quando la nostalgia di casa ti coglie e non sai sconfiggerla, spero
che quel dolce ricordo lo sappia fare. E se non ci riesce, affacciati
e guarda il cielo piccola. La luna che osserverai, anche se rischiara
un cielo che non è quello di Londra è la stessa che
bagna i tetti della mia città. Così, se guardi quella
luna, guarderai la stessa cosa che guardo anche io. E sarà
quello il legame che ci terrà unite.
Ti
voglio bene. Un mondo di bene. Tua madre.”
Gli
occhi di Edith si riempirono di lacrime. E portando una mano alla
bocca, trattenendo un singhiozzo si mise a piangere. Stavolta nessuna
delle hostess si avvicinò a chiedere se tutto fosse apposto.
Ed Edith gliene fu enormemente grata.
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