Ricominciare
Autore:
Ayako_Chan
Titolo:
Ricominciare.
Rating:
Verde.
Warning:
ehm... viola dilagante?
Pairing:
AiacosxPandora. Una sorta.
Note: aehm
°° ce l’ho fatta, alla fine. Devo dire che,
nonostante tutto, sono piuttosto soddisfatta del risultato. Questa, in
fondo, è la mia Pandora. E se ho iniziato ad apprezzare
questo pairing è colpa di Milo ù__ù
ecco. <3 Detto questo, solo un paio di precisazioni: non
è un vero e proprio pairing. Diciamo che è un
“pre-pairing”, se mi passate il termine xD
è la “nascita” di un qualcosa. Anche
perché, davvero: questi due non si sono mai visti interagire
e - oltre al fatto che davvero non so come gestirli - di conseguenza
non potevo certo far saltare Aiacos addosso alla portavoce del suo Dio
°° sarebbe stato quantomeno OC. Ecco, OC. Io Aiacos non
lo so muovere çOç vi prego, ditemi che ci ho
azzeccato almeno un po’. Mi ha fatto penare tantissimo!
Infine: questa Pandora è un po’ diversa da quella
a cui siamo abituati... cioè: è sempre la fredda
Sacerdotessa, ma ha dei dubbi, delle insicurezze. Spero di aver
spiegato adeguatamente il perché all’interno della
storia. In ogni caso, io me la immagino così in un eventuale
post-hades. <3
"Danse Sacre et Danse Profane" è una composizione di Debussy
per arpa e archi.
Questa fanfiction ha
vinto il contest "Cinque
stagioni - Tema Autunnale" indetto sul forum di Gold Insanity.
Ancora tutti i miei complimenti alle altre partecipanti *___*
(E il banner è splendido! ç^ç)
Ricominciare
Il cielo era gravido di nubi grigie e pesanti, in quella mattina di
inizio Novembre, e soffocava l’atmosfera del castello di
Heinshtein; le pietre scurite dai rivoli di pioggia che si affollavano
giù per le mura avevano assunto una tinta fosca la quale,
unita al silenzio di morte che sempre aleggiava lì intorno,
conferiva all’ambiente un aspetto ancora più
spettrale.
Era in giornate come quelle che il ricordo di ciò che quel
maniero aveva ospitato tempo prima - un’istantanea fatta di
raggi sole che accarezzavano il laghetto del giardino, di risate e
gioia e famiglia e vita
- si faceva sfumato, irreale, eppure terribilmente presente. Quando le
gocce d’acqua ticchettavano sui vetri creando una singolare
melodia, allora altre note - più raffinate, più
complesse - andavano ad intrecciarsi ad essa, fondendosi in una
sinfonia dotata di malinconica bellezza.
Pioveva, quel giorno, su Tubinga.
E, quando pioveva, Pandora sedeva innanzi all’arpa suonando
Debussy.
Lo sapeva Aiacos che, pur essendo stato convocato, quasi si dispiacque
di rovinare quel suono leggiadro con lo sferragliare
dell’armatura, nel momento in cui imboccò il
corridoio che portava alle stanze della Sacerdotessa. I suoi erano, in
fondo, passi che poco sapevano di musica; avanzava con la cadenza fiera
del guerriero e l’orgoglio e la compostezza del generale -
passi decisi, forti, di chi è abituato a essere seguito
senza bisogno di ordinarlo. La surplice della Garuda spandeva bagliori
oscuri attorno a lui.
Si levò l’elmo in segno di rispetto prima di
entrare nella stanza, concedendosi solamente una rapida occhiata alla
figura minuta seduta innanzi all’arpa, prima di
inginocchiarsi e rivolgere gli occhi al pavimento.
Attese.
Pandora avvertì il cosmo oscuro del generale agitarsi in
ondate di involontaria potenza ai piedi della piattaforma su cui si
trovava, ma non smise di suonare, né aprì gli
occhi.
Era in giornate come quelle che la mente vagava, e suonare era
l’unico modo per tenerla a bada. Quanto era passato da quando
il Sire Hades e la Pallade Athena avevano stretto una tregua? Era certa
che non dovesse essere più di un mese, ma si erano
accavallati una moltitudine di doveri e di impegni tale da distorcere
la sua percezione del tempo.
Il castello da ricostruire, gli inferi da riorganizzare...
Un rispetto da
riconquistare.
La musica si avviò fluida verso le ultime battute, senza che
nessun errore ne turbasse l’armonia.
Dopotutto, come potevano
gli spectre obbedire agli ordini di colei che - nel momento di maggiore
pericolo - aveva tradito, aiutando un Cavaliere di Athena a raggiungere
i Campi Elisi?
Le ultime note si spensero dolcemente, lasciando solo il suono della
pioggia a riempire il silenzio; soltanto a quel punto si
voltò verso il generale, alzandosi in piedi in un sommesso
fruscio di vesti, le palpebre ancora calate a nascondere le iridi
violacee.
“Pandora-sama.”
“Aiacos.” Rispose, con un cenno del capo come
benvenuto. “Come procedono le cose alla Giudecca?”
“La ricostruzione del Palazzo procede spedita,” la
informò prontamente, senza distogliere lo sguardo da terra.
“E il Muro del Pianto è stato nuovamente
eretto.”
La Sacerdotessa annuì. Per qualche istante il silenzio si
dilatò fra di loro - al
ricordo, magari, di ciò che davanti a quel muro era successo.
“Bene.” Commentò soltanto, alla fine.
La Garuda sollevò appena lo sguardo, semi-nascosto dalla
frangia corvina. Indugiò sulla figura minuta che stanziava
di fronte a lui, stupendosi ancora una volta di come potesse avere una
presenza tale da emergere
sempre, sia che fosse sola in una stanza o nel mezzo di
una schiera di spectre, altera e aggraziata allo stesso tempo.
“Pandora-sama...” Mormorò.
“Permettete una domanda?”
Lei inclinò appena il capo da un lato, soppesando la sua
richiesta.
“Chiedi pure.” Concesse, alla fine.
Aiacos esitò per una frazione di secondo; poi,
osò.
“Qualcosa vi turba?”
Ripensandoci, Aiacos avrebbe dovuto immaginarsi la reazione a quella
domanda impudente; ma Pandora era sempre sembrata - a tutti loro - una
figura oscura ed eterea al tempo stesso, una contraddizione vivente nel
suo essere così fragile ma dotata di un potere in grado di
controllare tutti loro. Era la portavoce del loro Dio, intoccabile e
distante, di una bellezza fredda e crudele.
Poi era venuta l’ultima Guerra Sacra, dove lei li aveva
guidati con fermezza e coraggio... fino al momento in cui aveva tradito,
sull’onda di sentimenti e ricordi da tempo dimenticati. Tutto
questo l’aveva resa in qualche modo più umana.
Più raggiungibile.
Quindi, aveva osato domandare; e Pandora, colta alla sprovvista, aveva
spalancato gli occhi, e lo sguardo era corso a scontrarsi con quello
del generale, lasciando trapelare un caleidoscopio di emozioni che, di
certo, avrebbe preferito non mostrare.
Incertezza, timore,
perplessità, dolore; e, al di sopra di tutto, sorpresa.
Perché Aiacos se ne era accorto? Cosa voleva comunicarle
quello sguardo celato dall’ombra della frangia? Era forse un
rimprovero - per il suo tradimento, per la sua debolezza?
Si morse involontariamente il labbro inferiore, prima di rispondere.
“Cosa te lo fa pensare, Generale?”
Fredda, nel tentativo di mantenere distanze e dignità.
Allora Aiacos sollevò del tutto lo sguardo, concedendosi di
naufragare in quello della Sacerdotessa; uno sguardo antico - pregno di
una conoscenza antica come il mito - ma anche terribilmente giovane,
ora che i ricordi della ragazza di oggi si mescolavano alle esperienze
delle vite precedenti. Uno sguardo che mai aveva avuto la
possibilità - o l’ardire - di incontrare
così a lungo.
Mai Pandora era sembrata, agli occhi della Garuda, tanto giovane come
in quel momento.
“Siete diversa, ultimamente. Più... cauta. Come se
doveste dimostrare qualcosa.”
Come se doveste
dimostrare qualcosa.
Non era così?
Perché non
sembrava esserci accusa negli occhi di Aiacos?
Pandora si voltò, camminando lentamente verso
l’alta finestra solcata da gocce di pioggia.
Sollevò una mano, rabbrividendo appena al contatto dei
polpastrelli con la condensa gelata del vetro.
“Non è forse così?” Chiese,
atona, fissando senza vederlo il paesaggio autunnale esterno.
“Vi riferite agli avvenimenti dell’ultima Guerra
Sacra?”
Annuì.
“Pandora-sama... in questo secolo sono successi avvenimenti a
cui mai avrei pensato di assistere, che surclassano di gran lunga
ciò che voi potete avere o non avere fatto. E poi, avete scelto consapevolmente questa
volta. Avete provato la vostra fede e la vostra
fedeltà.”
La Sacerdotessa socchiuse gli occhi per qualche secondo, al ricordo
della scelta che le era stata data. Il Sire Hades in persona le aveva
chiesto di riassumere la sua posizione; le aveva offerto una seconda
possibilità. Era stato proprio quell’atto di
misericordia a farle capire come, in realtà, tutto
ciò in cui aveva creduto in quegli anni era vero, era giusto. Quello che
aveva passato era stato un sacrificio necessario per la sua rinascita,
per assumere il ruolo che era stato suo fin dai tempi del mito e,
sebbene avrebbe amato sempre la sua famiglia, sapeva che - ormai - la
sua lealtà non poteva più essere messa in
discussione da nulla. In lacrime, commossa e grata e pentita, si era
inginocchiata ai piedi del suo Dio, rimettendosi al suo giudizio e alla
sua volontà. Ed era stata perdonata, per quel suo errore
dovuto al fatto di essere umana.
“Sì, è vero.” Concesse alla
fine, sospirando. “Ma dubito che tutti e centootto gli
spectre la vedano così. Ho mancato nel momento di maggiore
bisogno.”
“Ma è stato lo stesso Sire a perdonarvi e ad
offrirvi questa seconda possibilità. E, in fondo, tutti noi
abbiamo mancato fallendo nell’impedire che i Bronze Saint
irrompessero negli Elisi. Non dovete dimostrare nulla.”
Nessuno dei due sapeva da dove venisse l’istinto di parlarsi
con una tale confidenza; certo, Aiacos in un certo qual modo era sempre
stato il più accessibile dei tre generali - considerata la
distante compostezza e la rigidità di Rhadamantys; e
Minos... beh.
Di Minos non c’era neanche bisogno di parlarne. Tuttavia, mai prima di allora
vi era stato un simile rapporto fra di loro.
“Ma...” tentò di obiettare Pandora.
“Perlomeno, non dovete dimostrare nulla a me.”
La sacerdotessa si voltò di scatto, presa alla sprovvista da
quell’ultima frase, e il respiro le si fermò in
gola quando si trovò l’imponente figura della
Garuda a meno di due metri di distanza. Non si era resa conto
del fatto che Aiacos si fosse alzato e, silenziosamente, avesse seguito
i suoi passi.
Senza sapere cosa dire, rimase a fissarlo, espirando lentamente.
Il generale, forse rendendosi conto di aver osato troppo,
chinò il capo.
“Perdonate la mia impudenza, Sacerdotessa.”
Nonostante il tono formale e distaccato, Pandora sentì un
piacevole tepore salirle alle gote; distolse lo sguardo anche lei,
mentre tentava di nascondere la gratitudine e quella strana sensazione
- dolcemente sconosciuta - che l’aveva colpita
all’udire le parole di Aiacos e che, di certo, traspariva dai
suoi occhi.
Non dovete dimostrare
nulla a me.
A me.
Per qualche motivo, quelle parole la rincuorarono. Per riconquistare il
rispetto degli altri centosette spectre, in fondo, ci sarebbe stato
tempo. Per ora, aveva quello di Aiacos... e, stranamente, le bastava.
Quando tornò a rivolgersi alla Garuda, il suo sguardo e il
suo tono erano nuovamente quelli freddi e distanti della Sacerdotessa.
“Sei scusato... puoi tornare ai tuoi doveri.”
Con un ultimo inchino, Aiacos si voltò, dirigendosi con
passo deciso verso la porta.
Nella mente, ancora aleggiava il ricordo della ragazza che aveva
intravisto dietro la Sacerdotessa, una sfumatura rosata sulle gote e un
grazie inespresso ad aleggiare nell’aria.
Sorrise lievemente, ancora stupito, mentre le note di “Danse Sacre et Danse Profane”
tornavano a riempire il silenzio.
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