Titolo: Loneliness
Fandom: Axis
Powers Hetalia
Personaggi:
Italia Romano, Prussia
Genere:
introspettivo, angst
Rating: verde
Avvertimenti:
shonen ai (a discrezione)
Disclaimer: di Hidekaz Himaruya
Note: Ero
così concentrata nello scrivere una Romano/Prussia che mi
son dimenticata del prompt. Spero che Kimbnr mi perdoni. ^^''
Presto arriverà anche quella con il prompt. ^^'' (meme)
Riassunto: Romano aprì un
occhio, dovendo lottare contro se stesso per trovare un briciolo di
voglia per farlo. Aveva freddo.
Loneliness
Romano aprì
un occhio, dovendo lottare contro se stesso per trovare un briciolo di
voglia per farlo. Aveva freddo.
E gli faceva un male cane il collo.
Mugugnò il suo dissenso, mentre strizzava le palpebre e
richiamava a sé i muscoli degli arti. Allungò le
gambe, inarcando la schiena e facendola schioccare in un modo non molto
rassicurante. Subito dopo rilassò di nuovo le membra,
abbandonandosi al - poco - calore che il materasso gli restituiva.
C'era freddo. Aveva freddo.
Dissipati appena i fumi del sonno, in un misero quanto breve lampo di
lucidità, si rese conto anche del perché: non
c'era nessuna coperta. O meglio, nessuna coperta, o lenzuolo, stava
coprendo il suo intirizzito corpo.
Sbuffò Romano, non imprecando solo perché il
sonno che ancora gli annebbiava la testa gli impediva di poter dire
qualcosa con un vago senso compiuto. D'altronde, era così
abituato a risvegli di tal fatta che anche solo il pensare di
lamentarsi per l'ennesima volta lo scocciava. Non ci sarebbe nemmeno
stato gusto a svegliare il fratello per rimproverarlo di avergli rubato
– ancora – la coperta nel sonno.
Per questo rimase più che stupito, anzi allibito, quando,
per riprendersi la sua giusta metà di lenzuola,
voltò lo sguardo alla sua sinistra e si ritrovò
davanti al naso il profilo di Prussia, invece che l'espressione ebete
del fratello.
Smise di respirare, Romano, e con tanto d'occhi fissava l'inaspettato
ospite dormire, come a volersi sincerare del fatto che quella non fosse
che una brutta visione causata dalla penombra in cui era immersa la
stanza.
Ci volle qualche istante di troppo per ricordarsi di riprendere a
respirare, e qualcun altro di più per far riaffiorare
brandelli di ricordi non troppo lontani, che come tessere di un mosaico
andavano a ricostruire la memoria degli eventi di solo una manciata di
ore prima.
C'era stato un incontro, uno di quegli incontri internazionali in cui
doveva sorbirsi la sgradevole presenza di quegli spocchiosi di Francia
e Germania, di quei so-tutto-io
e di una manciata di Nazioni belanti di cui non gli fregava manco
ricordare il nome. Uno di quegli incontri,
“meeting” come si ostinava ad imporre a tutti
Inghilterra, in cui teoricamente si doveva parlare, dialogare,
discutere, in cui ogni Nazione doveva poter dire la sua; in pratica, le
uniche cose che si sentivano erano lo starnazzare di Francia contro
Inghilterra, se andava bene, o peggio, sentirsi rimproverare per questo
o per quell'altro da un Germania autoproclamatosi grande capo; come se
lui, e anche tutti gli altri, si potessero permettere a cuor leggero di
giudicarlo. Facile parlare, per loro, tronfi e gonfi nel loro essere
arrivati.
Per questa sua impossibilità a sopportare la visione di tali
facce ipocrite Romano da tempo aveva deciso di lasciar fare tutto al
fratello, che tanto tutto era deciso già in partenza, e a
decidere erano sempre i più forti. Tanto chi aveva tempo da
perdere con uno come lui?
Stava piovendo. E pure forte. Sentiva lo scroscio della pioggia battere
con violenza sul tetto, amplificato dal silenzio in cui era immersa la
stanza. Ecco spiegato perché era così buio,
nonostante fosse passata poco più della
metà del pomeriggio. Per un solo, piccolo attimo si chiese
se Veneziano avesse finito di stare con quel gruppo di antipatici,
così potevano tornare a casa in grazia di Dio.
Solo allora si rese conto di star ancora fissando il profilo aguzzo del
volto di Prussia, e per la precisione la punta del naso. Dormiva
quello, placido e con tutta la coperta.
Romano aveva cominciato a trovare sulla sua strada il tedesco anomalo
che in quel momento giaceva al suo fianco nel giorno in cui, per
sbaglio, aveva incrociato i suoi occhi dopo che, salutato il fratello
Veneziano, le porte dell'ennesima sala riunioni gli erano state
sbattute in faccia.
Quello fu il suo primo contatto con Prussia, poco più di uno
sguardo fra due persone che sapevano bene quanto fosse dannatamente
schifoso star fuori dalla stanza dei bottoni.
Entrambi, alla fine, sapevano che, anche davanti agli occhi degli
altri, la loro presenza era del tutto superflua. Inutile. Non servivano
a niente.
La consapevolezza di cosa aveva appena pensato gli piombò
sullo stomaco pesante come un macigno. Deglutì a vuoto,
stringendosi nelle braccia più per evitare di rendere palese
a se stesso il tremore di rabbia delle mani che per il freddo provato.
Il collo. Gli faceva male il collo, oltretutto.
Facendo forza sui muscoli dell'addome sollevò appena il
busto, puntellandosi con il gomito sul materasso. Si
massaggiò la parte lesa mentre fissava con astio misto ad
una certa nota di imbarazzo il braccio dell'altro sul quale aveva
dormito, per disgrazia del suo collo.
Romano si astenne dal pensare altri commenti, che il passo a chiedersi
come mai fosse finito lì era breve, e la domanda inopportuna.
Lasciò invece risalire lo sguardo dal braccio incriminato
fino al resto del corpo al quale era attaccato, osservandolo grazie a
quell'indistinto chiarore che rendeva meno scuro il buio nel quale era
immerso – erano
immersi.
A parte l'arto cagione di tanto male al proprio collo, palesemente
fuori posto, Romano non poté non notare come il resto del
corpo fosse, al contrario, irrigidito in una posizione estremamente...
statica.
A giudicare da come soleva comportarsi da sveglio il crucco, il ragazzo
non avrebbe mai scommesso nemmeno il più misero centesimo
sul fatto che, da addormentato, quello potesse essere così
tanto... composto.
Supino, gambe ritte e distese perfettamente parallele fra loro, braccio
sinistro piegato a novanta gradi e la mano poggiata precisa al centro
del busto, appena sotto lo sterno, con tutte le dita bianche le une
affiancate alle altre, quasi come se quella mano fosse stata
posizionata lì apposta; la testa era appoggiata esattamente
al centro del cuscino immacolato, rivolta al soffitto, e la bocca
chiusa, serrata da due labbra secche e sottili, e pallide.
Prussia sembrava quasi non respirare.
Rabbrividì Romano, ricacciando in fondo allo stomaco la
sensazione di star giacendo di fianco ad un morto; ricacciando in fondo
al cervello il chiedersi se anche lui, quando dormiva, quando era
privato di ogni consapevolezza e difesa, potesse assomigliare a
Prussia.
Fuori continuava a piovere incessantemente, e la pioggia a percuotere i
tetti. Era buio e tutto scuro.
Veneziano una volta gli aveva detto che quello era il cielo che
piangeva, perché era triste.
Romano rabbrividì ancora, stringendosi nelle spalle. Giusto,
aveva freddo.
Sforzando gli occhi cercò in mezzo all'oscurità
indistinta la sagoma informe delle coperte. Trovate, le
agguantò senza tanti complimenti e le riposizionò
nel giusto modo, avvolgendosele addosso. E sicuramente spinto
più per abitudine che per altro, ebbe cura di ricoprire
anche quel deficiente di un crucco, che non sapeva manco dormire, e
davvero gli sembrava di stare appresso a suo fratello Veneziano,
coronando il tutto con una sfilza di sbuffi scocciati e gesti bruschi,
perché lo faceva più per un certo senso del
dovere, e perché alla fine non gli costava nulla, e
perché ormai era già lì e quindi non
c'era bisogno di farsi strane idee del tutto campate per aria.
Al tocco delle coperte Prussia mugugnò qualcosa nel sonno,
lasciando cadere leggermente la testa di lato, senza però
svegliarsi.
Romano sbottò, mentre terminava di rimboccare le lenzuola al
mezzo morto. Finito di fare la balia, si raggomitolò
anch'egli sotto il caldo del piumone in comune, forse posizionandosi un
po' troppo vicino al viso del crucco; al risveglio avrebbe detto che
non era di certo colpa sua se qualcuno dormiva troppo al centro del
letto e non sapeva dove mettere uno stupido braccio.
In quel momento però, aveva freddo, e giustamente gli pareva
il minimo che Prussia scambiasse un po' di calore con lui, da buon
ospite.
Portò le coperte fin sopra le orecchie, affondandoci dentro,
e strofinò la guancia sul braccio dell'altro; poi chiuse gli
occhi.
Fuori pioveva.
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