La storia che avete davanti ha come
protagonista una specie di agente segreto americano: Shikamaru Nara.
Il giovane agente dovrà ritornare nel
suo paese di origine per indagare su uno strano caso dove vede Temari
a capo di un gang di malavitosi giapponesi.
Dovrà lavorare come infiltrato e
numerosi pericoli attenderanno il giovane. Ma anche numerose
conoscenze non sempre piacevole.
Questo primo capitolo è una premessa.
Sono i pensieri dell'agente nel suo bar di fiducia mentre si gusta
del buon vino italiano, due giorni prima di partire e ritornare
(ancora una volta) a casa.
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The
hard life of an infiltratE
Capitolo 1:
Ritornare in patria, che scocciatura. Menomale che esiste il
vino.
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Guardai per l'ennesima volta il
bicchiere semivuoto di Chianti che avevo davanti. Il bar di Charlie
è
famoso per la sua cantina rifornita e in questo momento mi serviva
assolutamente il dolce sapore del vino rosso, una specialità
italiana per giunta, sulle mie labbra screpolate.
Mi persi per un attimo nel luccichio
color rubino della bevanda, messo in risalto dalle luci soffuse del
bar.
Come amavo quel posto. Il gestore, un
tipo riservato e di una certa età, conquistò
subito la mia gola
servendomi fin dal primo giorno specialità provenienti da
tutto il
mondo.
Il vermiglio e secco Bordeaux dalla
Francia.
Vini tedeschi dai nomi impronunciabili
ma dagli aromi intensi. (Adoro il Kabinett o come si chiama).
Ma soprattutto rimasi affascinato dalla
qualità con cui gli italiani fabbricavano quel nettare dai
vari
colori. Rosso, bianco, rosato... Ce n'era per tutti i gusti e
ogniqualvolta staccavo da lavoro, il buon caro vecchio Charlie mi
faceva trovare i prodotti tipici di quelle zone dove il sole illumina
le vigne tutto l'anno.
Pensai che almeno una volta nella mia
vita, prima di morire (e con il lavoro che faccio è molto
probabile)
mi sarebbe piaciuto fare una visita di piacere a quei luoghi
così
lontani.
Magari gustando le specialità locali
come: i pici al cacio e pepe, formaggio intinto di squisite
marmellate caserecce, lasagne bolognesi fatte da donne che
tramandavano oralmente le loro ricette segrete, la bistecca alla
fiorentina alta almeno due dita e tante altre pietanze che al sol
pensarci mi viene l'acquolina in bocca.
Ma qui, a New York, è impossibile
pensare di gustare cibi preziosi come quelli. I ristoranti italiani
ci sono anche qui ma molto spesso il cuoco proviene da qualsiasi zona
di questo mondo tranne, ovviamente, l'Italia. Non mi stupisco che un
cittadino su tre è obeso da queste parti dove l'hamburger e
l'hot-dog sono considerati i piatti tradizionali.
Non sapevo il perché stavo cominciando
a pensare a tutte queste cose legata alla cucina però mi
stava
aiutando a dimenticare il motivo per cui avevo cercato rifugio al
bar.
Guardai ancora il bicchiere di vetro
che avevo davanti. Con un rapido gesto lo presi e buttai giù
il
delizioso contenuto e chiesi a Charlie di portarmene un altro. Un
altro goccio di toscano non mi avrebbe fatto di certo che bene e poi
stavo proprio male.
O almeno, mi faceva male ricordare quei
posti da dov'ero scappato quindici anni fa.
Pensavo di aver messo una bella croce
sul Giappone ma a quanto pare m'ero sbagliato. E di grosso.
Charlie fece in fretta a riempire il
mio bicchiere.
E io feci in fretta a scordare la mia
terra d'origine: Il Giappone.
Con i suoi tetti a pagoda, i suoi
samurai che ormai esistevano solo nei musei o in qualche parco a tema
e la sua popolazione intenta a vagabondare qua e di là
sempre con i
soliti abiti di un triste grigio.
Almeno qui in America le persone si
vestivano come gli pareva a loro, per Dio !
Cominciai a cercare nelle tasche dei
miei jeans quel dannato pacchetto di sigarette che avevo appena
comprato al tabacchino all'angolo.
Non si poteva fumare nei locali ma
l'ora era tarda e sfidavo io che qualcuno mi rompesse le scatole per
una sigaretta. Se comunque qualcuno l'avesse fatto non avrei esitato
a buttarlo in galera con una qualsiasi scusa. Sono troppo incavolato
e il sapore della nicotina, unito a quello dell'alcool, non poteva
farmi che bene.
Charlie mi guardò impassibile mentre
spolverava, con un vecchio straccio, un boccale di birra vuota. Mi
sorrise a modo suo, ovvero i contorni della sua bocca si piegarono
leggermente verso l'alto.
Come adoravo quel gestore, anche se
ormai mi vedeva tutti i giorni (o meglio, tutte le notti) non mi
aveva mai chiesto niente e non mi aveva mai buttato fuori dal locale
anche se cominciavo a fumare una decina di sigarette una dietro
l'altra.
Mi sarebbe mancato.
Ma d'altronde al lavoro non si può
dire di no, o meglio: si potrebbe dire di no peccato che un
collaboratore dei servizi segreti americani non può
rifiutarsi se un
superiore gli affida qualche compito. In teoria potrebbe ma poi
verrebbe licenziato. E io non volevo perdere un lavoro che mi
affascinava visto che trovavo interessante indagare sui presunti
colpevoli e la soddisfazione quando metti un bastardo (da quello che
aveva rubato a quello che aveva violentato una donna) dietro le
sbarre era immensa. Quasi al pari di quell'ottimo vino che stavo
continuando a bere a piccoli gocci.
Eppure proprio a causa di questo lavoro
che mi ritrovavo in questa situazione scomoda.
Sarei dovuto ritornare in Giappone,
lavorare sotto copertura e smascherare la terribile organizzazione
che si celava dietro ad una banda di malavitosi.
Il classico caso, peccato che sarei
dovuto partire e andarmene lontano per finirlo.
Guardai l'orologio. Segnava le due e
mezzo. Tra poco me ne sarei andato e tra due giorni me ne sarei
andato veramente, per un lungo periodo lontano da qui.
Mi mancherà questo vino. Mi mancherà
dannatamente anche Charlie. Ma un uomo certe volte non può
dire di
no, soprattutto se ha un superiore alto due metri e qualcosa e con un
fisico da lottatore di Wrestling.
Alle tre ho pagato quello che avevo
consumato, lasciato una lauta mancia al gestore, e me ne sono tornato
a casa.
Rimpiangendo, per un attimo, il forte
odore di Hot Dog provenire da una bancherella vicina.
Due giorni dopo.
Sono all'areoporto di New York e già
sto pensando di scappare e andarmene in Italia con il primo volo
disponibile.
Peccato che non posso.
Il giorno prima mi è arrivato il
fascicolo contenente tutte le informazioni che dovevo sapere sul
caso.
Mi devo infiltrare in una banda di
teppisti locali molto violenta, indagare sul presunto commercio di
materiali radioattivi, arrestare i colpevoli (con l'aiuto della
polizia giapponese) e alla fine potrò tornare in America
alla mia
solita vita.
Nonché facessi qualcosa di diverso qui
però mi chiedevo come fosse possibile che una banda di
teppistelli
potesse avere agganci con il commercio di scorie nucleari, uranio
radioattivo e altra robaccia. Materiale che, sinceramente, preferirei
osservare da molto lontano. Di un centinaio di chilometri, intendo.
Poi trovavo alquanto curioso sapere che
tutta l'organizzazione di teppisti aveva come capo una donna. O una
scocciatura, come le chiamo io.
Il suo nome, da fonti provenienti dai
servizi segreti giapponesi, era Temari.
Dalle foto sembra una bella ragazza:
bionda, dagli occhi di un bellissimo color smeraldo eppure dietro a
quell'angelico faccino si nascondeva una banda criminale che aveva
compiuto numerosi omicidi nelle prefetture di Tokyo.
Rabbrividì. Il sol sapere che una
ragazza era capace di cose del genere mi rendeva alquanto
impreparato. Però sì sa, la vita è
strana a volte.
E' strano anche che non ti servano del
vino pregiato nei bar dell'areoporto. Ma tuttavia questo non mi
sorprese molto. D'altronde non ce lo vedrei bene un pilota ubriaco
alla guida di un aereo con quattrocento persone a bordo. Sarebbe
divertente, ma solo se assistessi la scena a terra.
E a terra non ci poteva rimanere.
-Si presentino le persone per il volo
778H, destinazione: Giappone, al gate numero 20. Ripeto: si
presentino le persone per il volo 778H, destinazione: Giappone, al
gate numero 20. Grazie-
La voce femminile, proveniente
dall'altoparlante, mi comunicò che era giunto il momento di
dire
addio all'America. O per meglio dire: un arrivederci. Spero.
Non rientra nei miei progetti morire
nella mia patria e penso non lo sarà mai.
Quasi mi venne la voglia di andare a
mangiare un Hot-Dog al chiosco lì vicino prima di dirigermi
al gate
dove mi sarei imbarcato. Non sono un sentimentale ma allo stomaco non
si comanda. O forse voglio rivalutare la cucina americana. Non
saprei, comunque l'hot-dog che presi faceva davvero schifo.
-Che giornata di
merda- Esclamai ad alta voce mentre porgevo il biglietto allo Stuart.
-Proprio una giornata di merda-
Poi presi il mio
volo e mi preparai a ritornare in Giappone dopo un lungo periodo di
assenza.
Menomale che un
senso di nausea mi permise di non pensare troppo al paese che
m'avrebbe rivisto dopo tutti questi anni.
Odio volare. Le
Hostess non ti portano mai del Bordeaux o del Chianti se ti senti
poco bene.
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Riuscirà Shikamaru
Nara ad arrivare in Giappone, arrestare i colpevoli e ritornare a
casa ?
Beh, per saperlo (e
mi dispiace) dovrete continuare a leggere questa storia.
Comunque, per chi
non avesse capito bene o per chi nutra ancora qualche dubbi:
Shikamaru è un
consulente esterno, collaboratore dei servizi segreti americani. Per
ordine dei suoi superiori deve recarsi in Giappone e lavorare sotto
copertura ad un indagine che vede coinvolto un traffico di merci
radioattive. Il capo dell'organizzazione dove deve infiltrarsi ha
come capo una ragazza: Temari.
La trama promette
bene, no ? ; ) O almeno spero.
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