Titolo:
Nessuna Razza
Fandom: Axis
Powers Hetalia
Personaggi:
Prussia, Italia Romano
Genere:
introspettivo, (vagamente) erotico
Rating:
arancione
Avvertimenti:
shonen ai, (probabilmente) nonsense
Disclaimer:
di Hidekaz Himaruya. Breve citazione da Braci di
Kimbnr
Prompt:
“Spagna”, di Kimbnr (meme)
Note: Titolo
dalla canzone omonima di CapaRezza. Non c'è correlazione tra
questa e il contenuto della fanfiction, solo l'ho trovata adatta a
personaggi come Prussia e Romano. Un ringraziamento speciale va a Rota e Aethelflaed per il
betaggio, per i consigli, per il supporto e per avermi sopportato fino
al limite di umana pazienza, e a Kimbnr
per avermi tollerato e passato preziose informazioni. ^^
Riassunto: Dunque Romano chiudeva gli
occhi, e sprofondava nel buio.
Nessuna Razza
Prussia non era come
Spagna. Non ci assomigliava manco un po', manco di riflesso e neppure
di striscio, e Romano faceva sempre una bella fatica intellettuale per
spiegarsi come mai quell'essere fosse capitato sulla sua strada.
Prussia era l'antitesi di Spagna, e ancora Romano si chiedeva come quei
due potessero essere stati per così tanto tempo legati da
qualcosa definibile “amicizia” - ma poi si
ricordava che entrambi erano pure amici di quello squilibrato di
Francia, quindi il minimo comune denominatore doveva essere per forza
l'imbecillità acuta dilagante.
Prussia non era come Spagna, e se Romano doveva proprio scegliere,
preferiva l'idiota bamboccione che l'idiota megalomane; senza contare
che il secondo è pure un dannato crucco, e già
partiva con i peggiori auspici.
Eppure, per chissà quale motivo, si era compromesso con quel
crucco; e una vocina dentro di lui, fastidiosa e irritante, gli
soffiava in un orecchio di aggiungere uno sgradevole quanto lapidario
“irrimediabilmente” per il completamento del
pensiero.
E allora Romano la cacciava via, quella vocina, che aspettava solo di
colpirlo nei momenti più silenziosi e solitari,
perché era una vocina davvero rompiscatole, che avrebbe
fatto meglio a tacere, invece di tartassargli l'anima.
Romano aveva incrociato gli occhi di Prussia, quel giorno; li aveva
incrociati mentre il loro proprietario salutava scanzonato Germania,
sulla soglia dell'ennesima sala riunioni.
Aveva riconosciuto quello sguardo, e non era stato più in
grado di staccarne gli occhi, per sua disgrazia. Aveva riconosciuto
quello stesso sguardo che di tanto in tanto si ritrovava nello specchio
impietoso. Lo aveva riconosciuto, e ne era rimasto sorpreso
profondamente nel vederlo negli occhi di un altro – quello
sguardo che tutto voleva bruciare, quello sguardo che doveva essere suo
e solo suo.
Quando Germania chiuse le porte, rimasero loro due, soli, in
quel corridoio freddo e anonimo, chiusi fuori da un mondo che sembrava
non vederli.
Prussia non era affatto come Spagna. E Prussia non piaceva minimamente
a Romano. Nemmeno per tutto l'oro del mondo.
Prussia era un megalomane, uno spaccone, un arrogante e un gradasso, un
idiota, oltre ad essere il peggiore dei crucchi. Prussia ero uno di
quei tipi che si divertiva con sadica soddisfazione a rompere le
scatole al suo prossimo imponendo la sua ingombrante presenza.
Prussia, a differenza di Spagna che era uno sciocco non pericoloso, era
un deficiente estremamente pericoloso, in quanto ben più
malizioso di un ingenuotto come l'iberico.
Ogni più piccolo atomo di Prussia lo indisponeva, lo metteva
a disagio, gli provocava un senso di fastidio e irritazione che gli
attanagliava proprio lo stomaco, stritolandogli le budella e facendogli
indurire in un riflesso automatico l'espressione del viso.
Tutto di Prussia era fastidioso, irritante, e ancora di più
dava sui nervi quando il silenzio cadeva improvviso tra di loro, di
quei silenzi che solo gli omertosi possono condividere.
Quando per disgrazia si ritrovavano soli, a Romano dava fastidio il suo
avvicinarsi, sicuro e a grandi passi, il suo ghigno strafottente sulle
labbra, il suo respiro caldo che gli lambiva appena la pelle del viso;
lo irritava dal profondo del suo essere quella sua
pretenziosità, quel suo volere il mondo ai suoi piedi quando
benissimo si sapeva che era una stupida illusione, quel suo
atteggiamento così diverso da Spagna...
Lo indisponevano le mani dell'altro che rapaci si andavano a chiudere
alle sue spalle, la troppa foga con cui lo attiravano e la loro troppa
velocità nell'esplorare, e poi, dannazione!, erano fredde,
troppo fredde, gelide, così diverse da quelle calde e dolci
di Spagna.
Pure i suoi baci erano qualcosa di osceno, di indecente e disperato,
qualcosa che metteva la morte nel cuore dell'italiano.
Tuttavia Prussia aveva una cosa che non aveva Spagna. Prussia aveva il
suo stesso sguardo. Prussia, in un certo modo perverso, tra un bacio e
uno sbaglio di carezza, poteva capirlo.
E allora, seppure tutta quella situazione fosse tremendamente stupida e
sbagliata e irritante, Romano ricambiava con tutto se stesso quei baci,
cercando di correggerli, e a sua volta attirava a sé il capo
di quella nazione irritante pungendosi le dita con quei capelli
così chiari, e faceva vagare le mani sulle spalle, sulla
schiena, sui fianchi di Prussia, muovendosi contro di lui,
perché, accidenti!, le sue mani, la sua pelle, erano
così dannatamente fredde, e Romano non voleva che quel
freddo fottuto potesse penetrargli sotto la sua stessa pelle, fino ad
arrivare al cuore e al cervello.
Dunque Romano chiudeva gli occhi, e sprofondava nel buio.
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