Menlove
Avenue
Liverpool
8 Dicembre 2010
How can
i go forward
when i don't know which
way
i'm,
facing?
Una pioggerellina leggera, lieve
come una piuma, bagnava la strada silenziosa. Non c’erano rumori quella notte,
eccezion fatta per il ticchettio continuo della pioggia sull’asfalto bagnato.
Per quella strada silenziosa, costeggiata da villette eleganti, tutte con il
loro giardinetto curato, non passava anima viva .
Gli autobus
avevano finito da un bel pezzo di servire quel tratto di strada, e le corse
sarebbero ricominciate solo l’indomani mattina , una mattina che sarebbe stata esattamente uguale a tutte
le altre: grigia, fredda e piovosa.
Il sole
pareva essersi dimenticato di quella
città,
e l’atmosfera pre-natalizia era stata funestata da quell’acqua e dal quel freddo
ancora più pungente del solito. Non nevicava, e questo era già un passo avanti,
ma gli abitanti di Liverpool avrebbero preferito di gran lunga una bella
nevicata, una di quelle nevicate intense, di quelle che fanno arrossare il naso
e le guance, quelle che rendono il paesaggio uniforme ma, per qualche motivo,
più tranquillo. Almeno ci sarebbe stato qualcosa da fare: si poteva uscire,
ingaggiare una lotta a palle di neve, si potevano creare pupazzi di neve tutti
sbilenchi sui cigli delle strade e nei giardini e i più audaci avrebbero
senz’altro colto l’occasione per gettarsi a peso morto su quel manto bianco,
disegnando la forma di angeli.Ma non c’era stata la neve. Solo pioggia e l’unica
cosa che aveva spinto gli abitanti ad uscire era stato il”pellegrinaggio” al
Mersey, che si era ingrossato.
La strada
era rischiarata da lampioni: le famiglia se ne stavano ben barricate dentro
casa, magari davanti al caminetto acceso, oppure sul divano, magari con una
calda coperta di pile addosso.
Insomma,
quella sera sembrava una comunissima serata invernale. Ad un tratto dei fari
illuminarono la strada: era un taxi solitario, che procedeva lentamente a causa
dell’acqua, che limitava la visibilità.
“Fermi qui.”
Disse la passeggera, dando un’occhiata fuori dal finestrino e allungando una
mano verso l’ombrello.
Il taxi si
fermò lentamente davanti ad un cespuglio.
“Menlove
Avenue, eh?” disse il tassista girandosi a sinistra, verso la sua cliente.
Lei annuì
appena, mettendo mano al portafoglio, ma il conducente la
fermò.
“No, non
preoccuparti. Era l’ultima corsa della serata e, diciamo che te la offro
io.”
La ragazza
aprì la bocca per protestare, ma il tassista le fece cenno di tacere “A Natale
siamo tutti più buoni.” Disse con un sorrisetto
“Veramente non siamo ancora a
Natale…”obiettò la ragazza, sorridendo a sua volta.
“Capisci che
voglio dire…Ora vai, su.” Le intimò il guidatore, rimettendo le mani sul
volante.
La ragazza ringraziò ed aprì la
portiera: rabbrividì per il freddo che la attanagliò istantaneamente e sentì
qualche gocciolina di pioggia bagnarle la testa, tuttavia non aprì
l’ombrello.
Osservò il taxi fare inversione di
marcia e sparire nel buio, poi si mise in cammino.
When the
rain comes
they run and hide their
heads
they might as well be
dead
when the rain
comes.....
La ragazza si fece strada per
quei vialetti erbosi ed umidi, nel silenzio della note, le sue scarpe
producevano un suono strano, mentre scivolavano sulla fanghiglia.
“Non deve
essere lontana…” pensò, asciugando delle goccioline che le erano finite sul
viso.
Non appena lo ebbe pensato vide nel buio
una villetta molto familiare: il muro grigio chiaro sembrava ancora più scuro
quella notte, e le finestre erano buie. Lei si fermò proprio davanti al
cancellino nero e bianco, umido per la pioggia.
Era lì. Era
proprio lì, in quella notte scura e piovosa, proprio in quel giorno.
Sospirò,
lisciando con la mano il legno del cancello, domandandosi quante mani lo
avessero sfiorato.
Si mosse
verso destra, dove cominciava un piccolo muretto di mattoni, trapunto da
cespugli ben potati e lanciò un’occhiata alle finestre scure, dietro le quali la
luce non si accedeva più da molto tempo.
La vista era disturbata da quei cespuglietti e la ragazza si spostò
nuovamente verso il cancello.
“Took a walk down the
street
through the heat whispered
tress
i thought i could
hear....
somebody call out my name, as it started to
rain....
La pioggia
ora batteva con più intensità, ma la ragazza continuava a non aprire l’ombrello.
Non c’era nessuno che passava da quelle parti, ma lei si guardò lo stesso
intorno con circospezione. Con un movimento rapido ed agile scavalcò il cancello
e si gettò subito dietro ai cespugli, che l’avrebbero riparata.
Il suo cuore ora batteva all’impazzata, così forte che lei cominciò a
te
mere che qualcuno lo
avrebbe udito, sopra la pioggia. Si accoccolò sull’erba umida, proprio davanti
alla casa silenziosa e vuota: gettò un altro sguardo verso la finestra a
sinistra.
“Chissà…Magari si affacciava da quella stessa finestra, una volta.
Magari anche lui osservava la pioggia che cadeva, osservava le persone che
passavano e pensava che tutto è così grigio e monotono..”
Tirò le gambe verso di sé e le circondò
con le braccia: quella era una violazione di domicilio bella e buona ma, in
qualche modo, sentiva che non la avrebbero beccata. Sentiva una specie di
sicurezza di fondo. Rimase per un po’senza pensare a nulla, ascoltando il suono
della pioggia e osservando la finestra buia.
Keeping
an eye on the world
going by my window
i'm taking my time....
Era molto tardi ormai: senza che se ne fosse
accorta era già passato un po’di tempo dal suo arrive, ed anche le ultime luci
rimaste nelle case si erano spente, una dopo l’altra.
“Beh..” pensò lei, spostando un po’ le gambe
“sono qui allora. Sono davanti alla casa dove tutto è cambiato. Sono davanti ad
un luogo che, una volta era solo una casa come tante. Anzi no: forse non è mai
stata una casa come tante.. Una volta questo posto era abitato, una volta queste
finestre erano illuminate, una volta c’era della vita là dentro..E’ cresciuto
qui. Lui è cresciuto qui.”
Ripensò un attimo al ragionamento che aveva
appena fatto e proruppe in un risolino nervoso.
“Oh, ma che sto dicendo? Sembro una di quelle
fan girls che si appostavano qua, sperando di scorgere…” si
interruppe.
Sapeva benissimo che il suo gesto non era un
gesto da fan girl avventata, capace di strapparsi i capelli e di farsi prendere
dall’isteria. No, il suo gesto aveva un altro significato, dettato da un
sentimento più profondo radicato nel suo cuore, un sentimento tanto grande che
la ragazza non era neanche sicura di poter esprimere a parole.
Lei prese coraggio, inspirò profondamente ed
aprì bocca : le sue parole erano poco più di un sussurro.
I feel
the sorrow
oh, i feel
dreams..
everything is clear in my
heart...
“Avrei
tante cose da dirti, così tante che non saprei neppure da dove cominciare. E non
sono sicura che sarebbero le cose che vorrei dirti davvero. Credo che,
probabilmente rideresti di me, Quindi devo trovare il modo di fare ordine nel
caos della mia testa ed esprimere davvero quello che penso sul serio, perché è
importante e te lo voglio dire..o meglio..voglio provare a dirtelo proprio in questo
giorno. Grazie. “Per cosa?” diresti
tu…Grazie per tutto: grazie per la musica, quella musica che è stata capace di
catturare generazioni, quella musica che ha scosso gli animi, una musica che ha
fatto perfino tremare
governi. Grazie
per tutto quello che hai fatto, grazie per aver provato a rendere il mondo un
posto migliore, per aver cercato di dimostrare che l’amore è dentro di noi ed è tutto quello che ci
basta e che, se solo riuscissimo a capirlo, il mondo sarebbe senz’altro un posto
più bello. Grazie per averci detto che i sogni sono più reali e tangibili di
quanto si possa credere, grazie per aver spronato a lottare per quello in cui si
crede davvero…”
La sua voce si affievolì: aveva il fiatone come
se avesse corso, ma quella non era fatica.
“Grazie
per essermi stato vicino in qualche modo, nei momenti difficili, grazie per
avermi insegnato tutto quello che ti ho detto prima. Sarebbe sciocco dire che,
tutto quello che hai scritto tu lo abbia scritto come in previsione delle mie
parole. Sarebbe da sciocchi e da pazzi ed infatti non penso questo…ma penso
invece che, in qualche modo la tua musica a volte mi…capisca. Sono venuta qui
stanotte per dirti questo, per renderti omaggio, perché posso dire senza
vergogna che la tua musica mi ha cambiato la vita e che la porterò sempre con
me, come un tesoro prezioso. Sono qui a celebrare non il cantante, sono qui per
celebrare l’uomo, quell’uomo
che ha convissuto col dolore e che, da quel dolore è riuscito a creare qualcosa
di..qualcosa di splendido. Qualcosa di speciale. Grazie John. Grazie per
tutto.”
All you need is
love
all you need is
love
all you need is
love, love...
love is all you
need
La ragazza si interruppe e fece un altro grosso
sospiro: cacciò la mano nella borsa , alla ricerca di quella cosa che aveva
comprato quello stesso pomeriggio in città. Era riuscita a trovare una rosa, una
rosa bianca e la aveva riposta con cura nella sua borsa larga e capiente, perché
non si sciupasse.
Si alzò in piede i si diresse verso il portico,
decisa a lasciare il fiore là davanti ma, quello che vide una volta raggiunto il
porticato le fece uscire un gemito di sorpresa e la fece indietreggiare
spaventata.
C’era un bambino accanto al porticato: era
vestito in modo strano, con dei pantaloncini neri corti, calzini grigi lunghi
fino al ginocchio ed un cappotto grigio, Aveva i capelli biondicci, con un
ciuffetto ribelle e riccioluto sulla fronte. Sembrava divertito ed incuriosito
da quella strana ragazza che gli stava davanti con una rosa in
mano.
Si mosse verso di lei, sempre con la curiosità
stampata in volto, facendo scricchiolare qualche fgoglia morta sotto i suoi
piedi e si piantò davanti a lei.
Non dimostrava più di 6 o sette anni e per
guardarla negli occhi, essendo più basso di lei, dovette alzare il viso: aveva
occhi a mandorla, scuri e vispi, ridenti e luminosi, animati da un luccichio
particolare, che non faceva altro che accentuare la sua aria da
furbetto.
Osservò con attenzione la rosa che la ragazza
reggeva e, con un risolino la prese e la contemplò per un attimo aprendo un po’
la bocca. Poi alzò di nuovo gli occhi verso la ragazza “E’ per me? Grazie!”
esclamò intono felice, come se lei gli avesse appena dato un sacchetto pieno di
caramelle.
La ragazza era sconvolta e, con gesto
automatico si strofinò gli occhi con decisione, decisa a sincerarsi che quello
fosse solo un frutto della sua fervida immaginazione.
Quando riaprì gli occhi, il bambino non c’era
più.
E nemmeno la rosa bianca.
You may
say i'm a dreamer
but i'm not the only
one
i hope someday, you'll join
us
and the world will live as
one....
John Lennon 9
Ottobre 1940
8 Dicembre
1980
8 Dicembre
2010