Le cose che
il tempo non cambia ~
prompt: #035, snowdrop
{ one day }
«Non
m’importa se non posso entrare, lui è amico mio! Gil!»
Non svegliarsi mai, restare
così per sempre, a sentire solo indistintamente il dolore e il freddo al
petto. Era stato una benedizione, quel colpo di spada: non avrebbe potuto
sperare di meglio per dimenticare la vergogna bruciante di aver tradito il
signorino e la tristezza insopportabile di aver riconosciuto il volto
dell’uomo con il cappuccio rosso. Sì, era meglio così: lui
aveva ciò che si meritava, e il signorino Oz
non avrebbe mai saputo...
«Gil,
Gil! Svegliati!»
Una cosa, però, gli
dispiaceva: accettare di morire significava non poter più stare con lui,
e vedere i suoi occhi buoni, e sentire la sua risata fresca. Peccato. Persino
dei suoi scherzi avrebbe sentito la mancanza. Oh, va bene, forse di quelli no,
ma...
«Gil...
Per favore, Gil... Per favore...»
Strinse le palpebre, confuso,
rendendosi conto di averne ancora e di esistere,
di trovarsi disteso in quello che sembrava un letto morbido e profumato.
Tornò lentamente a sentirsi vivo. I pensieri avuti poco prima gli fecero
paura, e un brivido lo costrinse a stringersi addosso un – una coperta?
Ma dov’era? L’ultima cosa che ricordava era il volto sconvolto del
signorino che capiva di aver colpito la persona sbagliata...
«Gil?»
Aprì gli occhi. Al di
là del velo che gli sembrava fosse calato tra lui e il mondo, ondeggiava
una figurina familiare – e quando ne distinse il biondo dei capelli e il
verde degli occhi si sentì balzare il cuore in gola, su da quel punto
profondo in cui era caduto quando la spada lo aveva sfiorato. Però la
voce che lo richiamava alla vita non era quella che si aspettava.
«Oh, Gil,
sei sveglio! Sei vivo! Ero
così preoccupata...»
«Signorina Ada...»
«Ti fa male, Gil? Oh, perdonami, non dire niente. La signora Kate non
voleva che venissi – dice che hai bisogno di molto riposo – ma lo
zio Oscar le ha detto di lasciarmi entrare. Mi ha chiesto soltanto di non
stancarti. Ti sto stancando? Posso uscire se vuoi. Ma non mi hanno spiegato
niente e io volevo sapere perché ti avevano portato qui con quelle
brutte bende addosso e...»
Gilbert non la interruppe. Non si
curò neppure di coprirsi. Per qualche motivo, la vita che traspariva
dalla preoccupazione bambina della signorina Ada era molto più piacevole
di quella che gli testimoniavano i suoi cinque sensi appena risvegliati.
«No, non voglio che ve ne
andiate.»
Sollevò una mano e le
sfiorò il viso per tranquillizzarla. Non riusciva mai a farlo, con il
signorino Oz: toccarlo gli sembrava ingiusto, immeritato. Vide le gote della signorina
Ada accendersi di colore sotto le sue dita, e si chiese se anche la sua pelle fosse così morbida.
Il pensiero lo riportò
bruscamente alla realtà. Si alzò a sedere in fretta, ma una fitta
acuta spezzò i suoi movimenti quasi sul nascere. Gemette, portando una
mano alle bende. Erano insanguinate.
«Gil!»
Ada saltò su e si mosse per correre fuori. «Sta’ tranquillo,
vado a chiamare la signora Kate e lo zio!»
«No!» Dovette tirare
una serie di respiri profondi, prima di continuare. «No, io... io sto
bene. Voglio solo sapere... cosa ne è stato... del signorino Oz.»
Doveva sapere. Doveva essere sicuro che stesse bene. Se aveva visto
anche lui il volto dell’uomo con il cappuccio rosso...
Capì di non potersi
permettere il lusso di una speranza quando Ada soffocò un singhiozzo.
«Il fratellone... Il
fratellone non c’è più, Gil.»
{ one week }
Che
senso aveva stare lì ad aspettare che il taglio rimarginasse? Tanto non
sarebbe mai più stato come prima.
Oz era scomparso; solo questo, solo questo era
rimasto nella sua mente vuota come un foglio bianco. Rabbia, dolore, rimpianto
e paura – erano tutte sensazioni smorzate, non riusciva a sentirle fino
in fondo. Ora più che mai gli faceva orrore il ricordo di quelle storie
che il signor Oscar raccontava loro per farli addormentare, tutte quelle
leggende spaventose sull’Abisso e sulle creature mortifere che lo abitavano.
La signorina Ada veniva a
trovarlo spesso. L’inflessibile governante sembrava essersi arresa alle
sue comparse improvvise, con le braccia esili cariche di libri e giocattoli con
cui distrarre Gil, il povero Gil che da quando era successa quella
cosa brutta non parlava più con nessuno. Gilbert avrebbe tanto
voluto essere ancora in grado di provare tenerezza per lei. Ma si sentiva
inerme, logoro, e nient’altro.
Non era stato capace di
proteggere il signorino. Aveva fallito. Aveva promesso che gli sarebbe sempre
stato accanto – e invece quegli uomini avevano ordito un inganno che lui
non aveva saputo evitare, ma che anzi, addirittura, aveva favorito, lasciandosi circuire da quella donna.
Che senso aveva stare lì
in quel letto a guarire piano piano? Sarebbe stato
meglio se fosse morto. Sì, un milione di volte meglio, per lui e per il
signorino Oz.
Invece era ancora lì, e c’era la voce di quella
bambina [troppo simile a suo fratello] a tenerlo legato a una
vita che non meritava.
«Gil,
hai mangiato qualcosa?»
Alcune volte non le rispondeva.
Ma difficilmente questo la scoraggiava: così giovane e già
così testarda, e con quel desiderio insopprimibile di aiutare gli altri.
Ed era così evidente quanto
soffrisse; lo vedeva in ogni sguardo che gli rivolgeva, in ogni sorriso con cui
tentava di coinvolgerlo nella favola del momento – che si sforzava di
leggere da sola, come le ragazze grandi, e le
ragazze grandi non piangono. Gilbert arrivava a odiarsi, in taluni momenti,
perché non riusciva a scuotersi dal proprio dolore quando seduta ai suoi
piedi c’era una bambina che soffriva come lui e che però aveva la
forza di tendergli la mano con un sorriso. Proprio
come il signorino Oz.
«Gil,
la signora Kate dice che devi prendere la tua medicina.»
Forse era per questo che non
riusciva ad allontanarla, come faceva con tutti gli altri sfortunati avventori
di quella stanza. Forse, in fondo, gli piaceva pensare che una parte di Oz era ancora con lui, che tentava di dirgli che non lo odiava per quanto era successo.
Ma era solo un’illusione, il sogno ad occhi aperti di uno stupido
ragazzino in preda al delirio, e lui lo sapeva benissimo che in realtà era tutta colpa sua. Non aveva saputo
aiutare in alcun modo il signorino, il suo amico.
E ora non era neppure in grado di ricambiare gli sguardi della piccola Ada, che
voleva soltanto farlo sentire meglio, quando lei stessa stava così male.
Gilbert era una persona orribile.
«Gil,
lo sapevi che il bucaneve è il simbolo della vita e della
speranza?»
No, non lo sapeva. Non cambiava
niente saperlo.
Però i fiori bianchi che
la bambina aveva portato nella stanza fredda avevano un buon profumo.
{ one month }
C’era
un abisso sconfinato nei suoi occhi verdi, e Gilbert credeva di sapere il
perché. Dopotutto lui, per lei, era solo l’ennesimo addio.
«Tornerai a casa, qualche
volta?»
Avrebbe dovuto spiegarle che
quella non sarebbe stata più casa,
oramai. Che la sua nuova famiglia si sarebbe chiamata Nightray.
Che non la stava abbandonando perché non tenesse a lei – tutt’altro: dopotutto cosa gli era
rimasto, oltre a lei? – ma soltanto per il bene suo e di Oz, dei Vessalius. Non disse
nessuna di queste cose, immaginando che la signorina Ada, forse col tempo,
forse senza il bisogno di parole difficili, avrebbe capito. Tante volte aveva
dimostrato di comprendere molte più cose di quanto ci si aspettasse da
lei: probabilmente perché era una Vessalius, e
perché il destino già tracciato dei Vessalius
era quello di crescere in fretta.
«Tutte le volte che
potrò.»
Ada annuì, piano, e nella
luce del sole i suoi occhi già non erano più gli occhi di una
bambina.
«Ho una cosa per te»
mormorò, e dalle mani giunte che aveva tenuto ben strette dietro la
schiena fece capolino una corolla di petali bianchi come la neve.
Gilbert abbassò gli occhi.
C’erano stati molti momenti, in quelle ultime settimane, in cui si era
sentito indegno dei suoi – e
tuttavia questo li superava tutti.
Lasciò che le sue dita
ancora impacciate di giovanissima età gli appuntassero il bucaneve al
petto, dalla parte del cuore, lì dove sotto i vestiti bruciava ancora il
dolore che si era meritato. E quando si sentì raggiungere anche dal viso
che gli premette contro – senza lacrime stavolta – si sentì
veramente e profondamente vivo, per
la prima volta da quando era successa
quella cosa brutta.
Si portò sul cuore il
respiro della bambina a lungo, anche quando la carrozza lo portò via,
lasciando lei sola in una casa troppo grande e troppo vuota mentre il suo
ultimo amico se ne andava via con un
uomo dai capelli di neve che diceva che [forse] la speranza dei bucaneve
esisteva davvero.
{ ten years }
«Quel
regalo è servito a qualcosa, alla fine.»
Camminavano insieme nei giardini
del collegio. Ada sorrideva, gli occhi di smeraldo asciutti, fissi davanti a
sé. Gilbert si teneva a un paio di passi di distanza, come faceva spesso
con Oz. Non era soltanto una questione di etichetta e
rispetto. Era anche per prendersi il tempo di osservare, di ammirare – perché di
ammirazione si trattava; inutile mentire a se stessi.
In dieci anni, il suo respiro sul
cuore non l’aveva mai abbandonato.
«Cosa volete dire?»
«Non essere così
formale con me, Gil.» Lei rise, leggera,
serena. Come quando era bambina o forse giusto un po’ più
donna. «I bucaneve. Un pomeriggio ti lessi che erano il simbolo della
speranza e della vita. Tu hai saputo ritrovare entrambe. E io non so come
ringraziarti per averlo fatto.»
Si era fermata. Gilbert
seguì il suo sguardo. Lontano, in un altro giardino, Oscar Vessalius rideva mentre Oz e la
ragazza-coniglio si rincorrevano, giovani e spensierati. Eccolo lì, il signorino Oz,
il fratellone, esattamente come loro
l’avevano ricordato per anni. Né una promessa infranta, né
un ripudio ingiustificato, né l’Abisso – neppure il tempo lo avrebbe cambiato mai.
«Forse, se in quei
pomeriggi in cui sedevate a leggere vi avessi risposto, avrei saputo ritrovarle
prima.»
Ada si voltò, radiosa
dello stesso sorriso di un tempo – nemmeno
lei era cambiata, nemmeno lei sarebbe cambiata – e rimase a guardarlo
in silenzio, poiché le parole tra loro erano finite da un pezzo. Gilbert
si augurò che non ne servissero altre, mai più. Era molto
più facile sapere di aver
condiviso qualcosa, molto più che parlarne, molto più che
sforzarsi di riempire dieci anni con la voce.
La mano salì sul petto,
quasi dimentica di quella lunga cicatrice, e trasse dagli abiti quello stesso
fiore bianco che per tutto il tempo era rimasto là dove lei lo aveva
lasciato: sul suo cuore.
Le gote di Ada si colorarono di
rosso, come il primo giorno in cui era venuta a piangere sulle sue bende
macchiate di sangue.
«L’hai tenuto con
te.»
Una constatazione, che in quanto tale non aveva bisogno di conferma.
Gilbert si chinò, e
osò baciarle le dita prima di porle nel palmo il bucaneve appassito. Al Latowidge non ci sarebbero mai stati fiori più belli
di quello, si disse.
«Senza non sarei stato lo
stesso.»
Non si sottrasse quando lo
costrinse dolcemente a sollevarsi; e quando avvertì le labbra di lei
salire timide a cercare le sue, l’eventualità che Oscar potesse
vederli fu l’ultimo dei suoi pensieri.