triste natale
Un triste Natale
Guardai con gli occhi quella stanza bianca di fronte a me, inerme, con le
braccia lungo i fianchi, mentre lì, nel punto più lontano, un corpo che aveva perso
calore era circondato da varie figure vestite di nero.
Un colore tetro, oscuro e presagio della fine, non una semplice.
La Fine.
Fine di un viaggio, di un equilibrio ormai perso e l’inizio di un
nuovo mondo, uno senza di te.
Eppure non riuscivo a immaginarlo in quel momento, mentre il tuo corpo era stato
rinchiuso in quel soffice letto, il tuo ultimo giaciglio.
Un giaciglio in cui ti vidi riposare, come se le lacrime versate non fossero state
per te, perché tu non eri qui.
Ero solo una bambina, un’estranea quasi, incapace di realizzare, di capire ciò
che la tua scomparsa avrebbe comportato nella mia vita futura.
La donna che stette al tuo fianco, l'hai vista da lassù? Era la donna con cui avevi condiviso
gioie e dolori, amore e devozione. Tua moglie, un’anziana donna che non
riuscì a smettere di gridare davanti al tuo riposo silenzioso ed eterno. I
miei occhi erano freddi, incapaci di piangere, di pensare a qualcosa che non
riguardasse quell'istante.
Nella mia mente si formò l’immagine di noi due insieme, mentre
sedevamo l’uno a fianco dell’altro. Il tuo sguardo corrucciato sull’oggetto di
legno mi aveva fatto sorridere più di una volta. Un piccolo sgabello realizzato da
te; un oggetto grezzo, alquanto scomposto che, ancora adesso, cigola un po’, a
causa dei chiodi arrugginiti. Il tuo volermi sempre aiutare, risolvere i
problemi che affliggevano la nostra famiglia.
Volevi sempre farti carico di tutto, forse anche del dolore che le tue figlie e
tua moglie provavano di fronte al tuo primo e penultimo addio.
Proprio in quegli istanti, i medici dichiararono la tua condanna. Mi voltai
verso l’esterno e vidi intorno gente conosciuta e non.
Familiari mai visti prima si presentarono al tuo cospetto, sapendo che non
potevi gridar loro contro il rancore per non essersi presentati prima, quando
ancora lottavi per la tua vita. Solo i volti conosciuti ti avevano assistito
durante il tuo travagliato percorso, mentre speravi, nel profondo del tuo
cuore, di superare anche questa sfida. Però lui era stato più forte di te e ti
aveva battuto.
Tu ti eri arreso a lui, hai voltato le spalle alla vita. I
polmoni ti avevano avvertito molto tempo prima, ma tu, da buon
testardo, proseguisti per la tua strada, tendendo all’angelo
della morte la tua mano,
senza sapere che lui, invisibile, l’aveva stretta nel tempo con
più forza,
finché non ti aveva prosciugato del tuo ultimo respiro. Un altro
mezzo giro su
me stessa e notai, nascosta in lontananza, la nostra auto, immersa
nell’oscurità più nera che ci fosse. A passi
lenti, la raggiunsi, notando il
sedile passeggero inclinato in posizione supina. Mia madre, con una
mano sulla
fronte, non emetteva alcun suono, né si dimenava in preda a una
crisi come le
altre donne. Lei voleva sembrare forte, ma sapevo per certo che non lo
era.
Quella volta, un’altra vita, aggrappata a quella di mia madre, lasciò questo
mondo, dilaniato dal dolore silenzioso che lei stessa volle tenere
nascosto, perché lei era fatta così.
E tu lo sapevi.
Quel giorno due vite si spensero. Un nuovo equilibrio debbi
costruire per non cadere in pezzi.
Era la vigilia di Natale, avevi scelto proprio un giorno indicativo.
L’ultimo pensiero di quella triste notte: buon Natale, nonno.
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