And in that moment, I swore we were infinite.

di Human_
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Prima volta che lo faccio, però qui c'è una dedica -facciamo anche due- :
A G, che vabbè, è G.
A J, che c'è anche quando non c'è.
Mi avete anche fatto trovare il nome in fretta. È bastato fondere i vostri.
Grazie.











And in that moment, I swore we were infinite.



Una delle poche cosa che le piacevano fare era guardare il cielo.
Non le stelle, non le nuvole. Il cielo.
Cercava di cogliere le sfumature d'azzurro e immaginarsele addosso, sul bianco della sua pelle, o magari nei capelli di Joe, che invece il cielo non lo guardava mai, per quella sua strana filosofia secondo cui quella distesa infinita di particelle tinte d'azzurro per straordinari giochi di luce si faceva beffa di lui standosene lassù tranquillamente mentre gli uomini giù s'affannavano per poter sopravvivere a loro stessi.
Lei guardava il cielo e Joe guardava lei, ogni sacrosanta mattina.
«Ma non ti stanchi mai di fissare il cielo? Cosa ci trovi?».
Si voltò e lo osservò per un istante, come a voler capire la domanda, e contemporaneamente cercare la risposta, e magari il modo giusto di dirglielo, che lei s'era persa e ogni mattina si cercava.
«L'infinito. Ci pensi mai? Noi uomini siamo tutto fuorché infiniti. Dovremmo imparare. Ad essere infiniti, intendo. Con la data di scadenza, ma infiniti. E dovremmo imparare dal cielo, che lui non è sempre azzurro, e comunque, anche se fosse, mai della stessa sfumatura, e noi magari invecchiamo e spariamo, ce ne andiamo, ci perdiamo, ma dovremmo imparare a non perderci mai, dovremmo costruire qualcosa, e magari non un ponte, che quello ormai lo fanno tutti. Ci hanno fottuto anche l'idea del Canale di Suez. Dovremmo costruire una vita. Chi se la scorda, una vita? Chi se la dimentica, una persona viva? Tu te la dimenticheresti? Una vita non se ne va mai, una vita non si perde mai. Se sei vivo sei infinito, se guardi il cielo sei vivo. Se guardi il cielo sei infinito».
Joe la guardava e non riusciva a capire com'è che certe persone le trovi nell'arco della tua esistenza e ti s'incastrano dentro come i pezzi d'un puzzle nato per te, eppure tu senti che mica possono esser tue, ché son così meravigliose che non è possibile.
«Secondo te quand'è il momento giusto per dire a qualcuno che lo ami?» le chiese. Ma col sorriso.
Lo guardò e pensò che le sue domande erano le più belle di tutte.
«Prima che lo faccia qualcun altro».
«Ti amo».
Così, all'improvviso. Due parole che sono come polvere da sparo che esplode e colpisce un bicchiere di cristallo e quello si frantuma con un rumore infinito, eppure non si spezza, come se esplodere fosse la cosa più naturale del mondo, come se da sempre, da tutta la vita, magari anche prima d'esistere, avesse aspettato quella pallottola per ritrovarsi.
Due parole che sono il parto cesareo di una lei ed un lui finalmente vivi, che non si sa se un “ti amo” è per sempre, magari sì, magari son tutte cazzate, ma si nasce davvero solo quando senti quelle esatte parole dette così, con quella ferma dolcezza con cui Joe le aveva pronunciate, e magari forse un giorno loro due si sarebbero odiati, chi può saperlo?
Però sarebbero stati infiniti.














Quando l'ispirazione chiama tocca rispondere.
Questa shot non ha senso e i personaggi non hanno un'identità definita, però dovevo scriverla.
Perdonatemela.
See ya.

Human.


PS: Al solito, la categoria è sicuramente sbagliata. Ma tanto che sono inetta lo sapete.




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