Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa storia non
è stata scritta a scopo di lucro.
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Make tweed not
war
Rhadamanthys si schermò gli occhi con una mano. Socchiuse le
palpebre, per abituarsi alla luce intensa, e si guardò
attorno con circospezione. Il viaggio era stato breve – i
miracoli del muoversi alla velocità della luce - quindi era
rimasto spaesato quando invece della consueta pioggerellina britannica
si era trovato sotto il sole luminoso delle terre del Mediterraneo.
Un piacevole e intenso tepore lo avvolse immediatamente, e l'uomo fu
per un attimo tentato di levarsi la giacca, evidentemente troppo
pesante per quel clima. Giacca di tweed. Ma accantonò quel
pensiero quasi subito. Nella sua vita aveva dovuto sopportare cose ben
peggiori, quindi non poteva certo darla vinta ad una banalissima
giornata soleggiata. Non si sarebbe piegato: avrebbe mantenuto il suo
perfetto contegno – e abbigliamento – inglese.
Ciò che purtroppo non riusciva tenere sotto controllo era il
malumore. Causato dalla consueta e ormai proverbiale totale mancanza di
affidabilità di Kanon.
Suddetta persona aveva insistito talmente tanto per quel viaggio che
alla fine Rhadamanthys era stato preso per sfinimento. Era stato dunque
con un enorme sorriso di vittoria che Kanon gli aveva dato appuntamento
per quella mattina, nella piazza principale di Atene. Insieme si
sarebbero poi diretti verso il Santuario, per quella convenzione
sociale - di cui Rhadamanthys proprio non capiva la
necessità – che era presentarsi alla famiglia del
compagno.
Ma oltre al fatto che odiava essere stato tirato in mezzo a
quell'inutile situazione, Rhadamanthys si stava indisponendo non poco
per il ritardo abissale di Kanon.
L'ora dell'appuntamento era passata da un bel pezzo e se anche
Rhadamanthys aveva avuto così la possibilità di
studiare con attenzione tutto quello che la piazza di Atene aveva di
bello da far ammirare, ora si stava davvero irritando.
Fu dunque con un cipiglio che non prometteva nulla di buono che si
diresse a passo di marcia verso il Santuario.
Kanon si era premurato di spiegargli la strada, chi evitare e dove
passare senza essere notati dalla gente comune. Forse non ricordando
che con tutte le volte che in tutte le sue vite aveva preso d'assalto
il Santuario, Rhadamanthys conosceva quella zona molto bene.
Sogghignò, ma preferì accantonare quel pensiero.
Quella volta era una visita di pura cortesia. Nessun intento bellicoso
in vista. Forse. Nei confronti di Kanon, comunque, era in ogni caso
sempre meglio stare preventivamente sul piede di guerra.
Continuò ad incedere con il suo passo fiero, facendo finta
di non notare le occhiate sorprese delle ancelle e dei soldati che
incontrava. Continuò a camminare senza fermarsi,
finché non si trovò davanti la casa del Montone
Bianco. E tra le colonne dell'ingresso, fermo a fissarlo, c'era anche
il suo custode, Mu dell'Ariete.
Rhadamanthys salì tutti i gradini che lo separavano dal
Saint, e una volta arrivato a qualche metro di distanza, si
fermò. Tenne il cosmo azzerato, cercando di mantenersi
quanto più pacifico possibile, nei modi e nell'apparenza.
I due rimasero fermi a squadrarsi per parecchi minuti.
Il volto di Mu era spianato, la sua solita maschera di enigmatica
calma. Ma gli occhi erano accessi, come lo erano di rado. E a
Rhadamanthys sembrò di riuscirvi a leggere senza dubbio
quello che in realtà stavano guardando: un luogo ben
più lontano, nel tempo e nello spazio, quell'immenso cratere
che arrivava fino in fondo all'inferno, dentro cui Aries, Scorpio e Leo
erano stati scaraventati come bambole rotte. Da lui in persona.
Mu stava senza dubbio ricordando quell'episodio.
“Cosa ti porta fin qui, Spectre?”
“Nessuna guerra. Non temere.”
Mu assottigliò lo sguardo, puntando gli occhi dritti in
quelli dell'altro. Non ripose, ma nemmeno accennò a
spostarsi.
Rhadamanthys allora sospirò appena, estraendo dalla tasca
interna della giacca un plico di fogli. Li passò a Mu, il
quale li guardò attentamente, sfogliandoli uno alla volta.
Erano delle pergamene, di quelle usate per le comunicazioni ufficiali
del Santuario; in calce portavano la firma e il sigillo del Pontefice.
E autorizzavano Charles David Rhadamanthys Lancaster a visitare il
Santuario. C'era poi elencata una serie di limitazioni a dove
l'intestatario poteva andare, chi aveva il permesso di avvicinare, e
anche come doveva vestire – niente surplice, in ogni caso. In
realtà Mu conosceva bene il contenuto di quei fogli
– Kanon aveva preso per sfinimento anche il Sommo Shion, per
avere quei permessi, e la storia aveva fatto tanto scalpore che tutto
il Santuario sapeva che cosa era avvenuto - ma si prese lo stesso la
briga di leggerli tutti con attenzione.
Ciò serviva evidentemente solo a far innervosire
Rhadamanthys, ma lo Spectre decise che non si sarebbe piegato a quella
provocazione e aspettò con pazienza. Quando Mu ebbe finito
di leggere anche l'ultimo rigo, gli restituì i fogli.
“Posso passare adesso?”
Mu si scostò appena, facendo un elegante gesto con la mano
che acconsentì al passaggio all'ospite. Rhadamanthys
piegò appena il capo, e passò oltre. Non
sentì altre parole da Mu, ma finché non ebbe
passato la casa del Montone Bianco continuò ad avere
l'impressione di avere gli occhi dardeggianti del Saint puntati contro
la sua schiena.
Nemmeno alla casa del Toro ricevette un'accoglienza calorosa. Aldebaran
non fece tutta la scena di Mu, gli bastò dare un'occhiata al
sigillo pontificio, ma anche lui non gli staccò gli occhi di
dosso finché non scomparve oltre le porte del secondo Tempio.
Rhadamanthys ringraziò silenziosamente il fatto che la casa
dei Gemelli era solamente la terza. Per quanto potesse sempre far
affidamento sul suo contegno inglese, sarebbe stato non poco
impegnativo dover passare in rassegna la tattica del silenzio
accusatorio da parte di tutti e dodici i Gold Saint.
Fu dunque un immenso sollievo intravedere la figura di Kanon stagliarsi
contro le bianche colonne del terzo Tempio. Sotto il sole di Atene i
suoi capelli avevano una straordinaria sfumatura di blu, che il cielo
perennemente plumbeo dell'Inghilterra non riusciva di certo a donargli.
Rhadamanthys ancora non ci credeva a quello a cui l'aveva costretto
quel disgraziato di Kanon. Se appena pochi mesi prima gli avessero
raccontato che sarebbe finito a chiamare “compagno di
vita” un Gold Saint, avrebbe riso in faccia allo sventurato
burlone. Dopo averlo preso personalmente a calci dallo Yomotsu fin nel
profondo del Cocito.
E invece adesso era lì, nel cuore del Santuario di Athena,
in abiti civili e con il suo completo più elegante, per
andare a presentarsi ufficialmente al fratello del suo amante.
Rhadamanthys non aveva proprio idea di come sarebbe proseguito
l'incontro. Male di sicuro, ma non riusciva a figurarsi quanto male.
Kanon gli aveva raccontato delle reazioni ben poco positive di quando
aveva raccontato al fratello di loro due. A quanto pareva, se anche
Saga avesse inizialmente voluto tenere segreta la cosa per evitare il
più che probabile scandalo, lui e Kanon avevano finito per
urlarsi contro con talmente tanto impeto che gli strepiti si erano
sentiti praticamente in tutto il Santuario.
Quindi Rhadamanthys era psicologicamente pronto alle più
disparate, e disperate, reazioni da parte di Saga.
L'unica cosa di cui era sicuro era che Kanon gli doveva un enorme
favore, per ripagarlo di quello che stava per fare. E ne avrebbe
preteso il pagamento immediato non appena quella manfrina fosse finita.
Lo spectre sogghignò. Ora che ci pensava poteva benissimo
incassare anche un anticipo.
Si avvicinò di soppiatto al terzo Tempio, salendo le scale
furtivo come un gatto. Kanon non sembrava essersi accorto della sua
presenza. Stava controllando una delle numerose crepe sulle colonne
diroccate del pronao. Rhadamanthys si mosse agile, comparendo come
un'ombra alle spalle dell'amante. Gli cinse il petto in un abbraccio
forte e avvolgente.
A diretto contatto con la sua schiena, sentì con chiarezza
impeccabile il cuore di Kanon accelerare all'improvviso, con battiti
chiari che gli rimbombavano nelle orecchie.
“Il ritardo di oggi viene aggiunto al conto che mi devi
pagare, Kanon.”
Rhadamanthys si beò del forte rimbombare del cuore
dell'amante.
Non fosse stato che percepì più che chiaramente
anche l'improvviso ribollire di un cosmo imponente, per nulla amichevole
“Togli le tue zampacce dal mio fondoschiena, Spectre, se non
vuoi che ti tranci le mani!”
Rhadamanthys si allontanò lentamente.
E squadrò con attenzione l'uomo che aveva di fronte.
Non avrebbe potuto certo metterci la mano sul fuoco, ma qualche cosa
nel suo sguardo oltraggiato – e particolarmente assassino -
gli diceva che quello che aveva di fronte non era Kanon.
Si prospettava un incontro davvero molto, molto difficile. E che
iniziava nel peggiore dei modi.
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Angolo dell'Autrice:
Non lo so.
Davvero.
Il titolo è molto a caso. Anche la storia in effetti.
Volete sapere di chi è la colpa? A parte di
Kanon, che
è sempre
colpa sua…
Sorpresa sorpresa, colpa di ayay.
Io dovrei smetterla di frequentarti, tiri fuori il peggio di me. *C*
…
No, sto scherzando, come farei senza di te?! *la abbraccia e la
stritola di coccole*
Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche.
Grazie a chi vorrà recensire e a quanti leggeranno e basta!
Beat
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