Divenire un calice di vino
Stavo accasciato su
una sedia in disparte, ripiegato su me stesso. Era tutto confuso. Ed
assordante, nonostante nell’aria non si udissero altro che
sommessi mormorii ed il tintinnare di qualche bicchiere. La stanza era
enorme ed ondeggiava irrequieta ogni volta che tentavo di risollevare
le palpebre. Macchie di varie tonalità di nero si fondevano
nella mia mente. Non credevo che l’incantesimo del Marchio Nero
potesse avere simili effetti. A nessuno era dato di partecipare al
rito, se non a chi l’avesse già ricevuto. E questi, non
potevano far parola con i nuovi adepti di come si svolgesse il
cerimoniale. Ero impreparato, come il più idiota degli allievi
che si fa interrogare senza aver studiato la lezione assegnata.
Ero stato portato fuori del sotterraneo dov’ero entrato
ufficialmente nelle schiere dei Mangiamorte, in un grande salone dal
pavimento lucido e le luci basse. Faceva parte di una dimora a me
sconosciuta, certamente di un membro in vista.
«Togliti quell’espressione dalla faccia, Piton. Sempre che
tu ne possegga un’altra» mormorò indispettita una
voce.
A fatica, sollevai lo sguardo dalle ginocchia.
Regulus Black era emerso dalla nebbia del mio stordimento. Nelle mani
teneva due calici di vino. Me ne porse uno con un sorriso beffardo,
facendomi cenno di berlo all’istante. Conoscevo il vino elfico
come ingrediente di elisir ricostituenti, ma non conoscevo i suoi
effetti se bevuto puro. Ed io non avevo mai assaggiato alcolici prima
d’allora.
Girai lo sguardo intorno, dubbioso. Nel salone, pochi altri esibivano
calici come quello. L’Oscuro Signore, Lucius Malfoy, Rabastan
Lestrange. Altri sorseggiavano Ogden o Acquaviola, altri ancora
bevevano drink i cui nomi e composizione mi erano sconosciuti. Di
Burrobirra o succo di zucca neppure una traccia.
Allungai le dita, titubante. Black prese posto accanto a me, composto
ed elegante. Aveva ricevuto il Marchio poco dopo la sua uscita da
Hogwarts, era uno dei prediletti di Lord Voldemort nonostante fosse
più giovane di me.
«Elevati dalla mediocrità di Mezzosangue, Piton»
mormorò svogliato tra un sorso e l’altro. «Ricorda
che hai ricevuto un grande onore, oggi. Il Maestro nutriva dubbi circa
le tue capacità e la dedizione alla causa, ma sei riuscito a
convincerlo. In te vede qualcosa di utile. Ora devi convincere gli
altri d’essere degno della loro stima» ed indicò il
vino che tenevo fra le dita.
Non avevo ancora bevuto una sola goccia. Fissavo il riflesso dorato e tremante nel fondo calice, dove mi vedevo annegare.
Black si sporse con fare elusivo.
«Non sei a Hogwarts. Non sei uno dei tanti studenti senza volto
alle tavolate di Silente. Ora tutti ti guardano, pesano il tuo operato,
il tuo atteggiamento, la tua apparenza. Il Maestro ti guarda. Ed ogni
errore si paga. A caro prezzo» sottolineò torvo.
«Mostragli che la tua parte Purosangue e più forte di
quella indegna. Dimostra che meriti quel Marchio, non solo in
battaglia, anche fuori. La tua superiorità deve essere
indiscutibile».
Esitai ancora. Un istante solo, abbastanza per scatenare il suo sarcasmo.
«So della tua predilezione per il rosso, Piton. Deprecabile
predilezione» sottolineò, osservando in controluce il
cristallo per celare la sua allusione a Lily. «Il Maestro
predilige il bianco tra i vini elfici, tienilo bene a mente. Evita il
novello, troppo pungente ed irruento. Solo vini invecchiati. Sai
perché? Perché ricordano i suoi più fedeli
seguaci: maggiore è l’esperienza, maggiore il loro potere,
la loro fedeltà, la dedizione al progetto. Dobbiamo divenire
come questo vino, Piton: potenti e apprezzati per la loro forza, temuti
da chi non è in grado di affrontarci, inarrivabili e sublimi
nella nostra perfezione. Il Maestro può accettare come vino
rosso solo il sangue dei nostri nemici» concluse, dandomi i
brividi.
Le sue parole mi diedero la sgradevole sensazione di una premonizione prossima ad avverarsi.
Annuii, trovando chissà dove la forza per issare quella coppa di
piombo e poggiarla alle labbra. Con la coda dell’occhio cercai di
seguire i movimenti di Black, per imitarlo. Lui levò il proprio
in un brindisi, cui risposi lasciandomi scivolare il liquido in bocca.
Piano, dosando ogni goccia, misurando i sorsi. Il nettare elfico
dispiegò la delicata rosa dei suoi aromi, rischiarando lo
scorrere dei miei pensieri con i suoi benefici effluvi.
«Mi eleverò. Sarò un degno calice di vino per il Signore Oscuro» ribadii a me stesso.
In quel momento mi accorsi che alcuni sguardi si erano posati su di me. Primo fra tutti, quello del Maestro.
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