Eccomi qui,
con la mia primissima ficcy su gLee!!
Ficcy che non poteva che essere Puckleberry, visto che questi due mi
hanno fatto innamorare perdutamente.
Attenzione: spoiler della seconda stagione, in particolare
della puntata 2x09 "Special Education"
Chiedo perdono per varie ed eventuali espressioni colorite,
ma si sa... Puck è Puck!
Ovviamente non possiedo gLee né tantomeno Rachel
o Puck(<3)... purtroppo, aggiungerei.;D
Grape
Slushie
A Puck e
Rachel...
perché lui è disposto a sopportare l'umiliazione
di una granita in faccia ogni giorno per lei...
perché lei lo chiama Noah...
perché lei è fiera di camminare per i corridoi al
suo fianco...
perché lui "kinda likes her"...
semplicemente perché hanno qualcosa di magico. <3
Noah Puckerman aveva sempre
detestato Rachel Berry. Davvero, con tutto il cuore.
Era irritante,
supponente e presuntuosa. Si vestiva in modo stupido e caricava
su myspace, il social network degli sfigati, stupidi video in
cui cantava stupide canzoni.
Divinamente, si sarebbe potuto aggiungere, ma non era quello il punto.
Il punto era che Puck la detestava.
Detestava tutti gli sfigati come lei, ovviamente, era quasi un obbligo
morale per qualcuno bello e popolare come lui.
Ma lei in particolare.
Perché camminava per i corridoi con quell'espressione
sicura,
quasi come se fosse stata la regina del mondo, anziché una
sfigatella qualunque.
Perché quando apriva quella sua stupida
boccaccia e si metteva a blaterare a Puck veniva immancabilmente voglia
di prendere una tanica di benzina e darsi fuoco per dar pace alle sue
povere orecchie - o magari dare fuoco a lei.
Perché nonostante gli insulti e le granite che Puck
si
curava di tirarle in faccia con cadenza giornaliera - anche
più di
una volta al giorno se era dell'umore adatto - dietro la sua
espressione
umiliata, in quei suoi stupidi
occhi
castani, c'era un certo orgoglio, una fierezza che nulla poteva
cancellare, una muta consapevolezza che nessuno poteva toglierle. Io sono meglio di te,
sembrava dire quella stupida
Berry mentre guardava Puck con una punta di disprezzo che le brillava
negli occhi.
E questo lo faceva impazzire.
Persino entrare nel glee club non aveva cambiato nulla.
Insomma, a volte si
era ritrovato a pensare che alcuni
di quegli sfigati non fossero poi tanto male... ma quella stupida di Rachel
Berry era diversa. Anzi, conoscendola meglio era persino più
sgradevole, egocentrica e manipolatrice.
No, entrare nel glee club non aveva cambiato nulla.
Ma poi arrivò quel sogno.
Rachel in quella camicia da notte bianca.
Rachel, la perfetta ragazza ebrea che avrebbe reso sua madre
così orgogliosa di lui.
Rachel, che-come aveva potuto non notarlo prima?-era bella quasi quanto
era irritante.
Un segno del Signore. Il buon Dio voleva che lui rendesse orgogliosa
sua madre, che si portasse a letto Rachel.
E il giorno dopo, la granita. Quella granita che, contrariamente al
solito, in faccia a Rachel non arrivò mai.
Puck non era sicuro di come gli fosse venuta l'idea.
Quando si era messo a controllare se quell'irritante sfigata di Rachel
si leccasse o meno le labbra dopo averle tirato una granita in faccia?
Da quando si preoccupava dei suoi gusti?
Ma poi, forse, non fu un evento preciso a cambiare le cose.
Forse fu piuttosto una combinazione di eventi.
Accompagnarla con la chitarra mentre cantava, baciarla, sentirsi
rifiutato da una ragazza per la
prima volta in vita sua, dedicarle Sweet Caroline e vedere il
suo
sguardo riempirsi di una dolcezza sconosciuta, camminare per i corridoi
con lei. Ricevere la sua prima granita in faccia, sentirsi
così
terribilmente umiliato, capire davvero per la prima volta che cosa
fosse stata costretta a sopportare Rachel per colpa sua.
Puck ricordava benissimo di averla ammirata infinitamente mentre lei lo
aiutava a ripulirsi da quella schifezza, mentre lo perdonava e lo
baciava sulla fronte, facendogli capire che avrebbe compreso, che non
si sarebbe arrabbiata, che non l'avrebbe odiato se lui avesse scelto il
football al posto del glee... di lei. Ma lui non l'aveva fatto. A
distanza di mesi ancora non avrebbe saputo dire perché, ma
non
l'aveva fatto. Aveva scelto il glee, era disposto a sentire ancora la
sgradevole sensazione del ghiaccio che gli scivolava nella maglietta,
degli occhi che gli bruciavano, dell'umiliazione... la sensazione
più brutta del mondo, e lui era disposto ad affrontarla ogni
giorno. Per lei? No, per il glee... e per Quinn, di cui
all'epoca era innamorato, innamorato pazzo.
Quando Rachel l'aveva lasciato per Finn - pareva che preferire Finn a lui fosse
un'abitudine ormai - aveva sentito un po' più di dolore del
necessario - del consentito.
E si era rifiutato di rimanere suo amico. Perché mai poi?
Non lo erano mai stati, amici.
Eppure lo erano diventati.
Non amici nel senso tradizionale della parola, in un modo tutto
particolare, ma amici.
Rachel era stata l'unica a non guardarlo con disprezzo, a non
biasimarlo dopo la storia di Quinn. L'unica a capirlo. L'unica a
perdonarlo con quel fuggevole sguardo nel corridoio, che mai Puck
avrebbe potuto dimenticare.
E Puck avevo fatto la sua parte, quando aveva tolto dal suo armadietto
quella sciocca, diffamatoria "glista" che la rendeva
così triste, quando primo fra tutti si era
alzato con tutte le intenzioni di picchiare a sangue quel cretino di
Jesse St.James che aveva osato
tirarle delle uova addosso.
Puck non avrebbe saputo dire come
esattamente in un anno fosse riuscito a passare da "Rachel Berry,
quella stupida,
proprio non la sopporto" a "Prova a toccare Rachel anche solo con un
dito e ti ammazzo". Non lo sapeva, non lo sapeva proprio.
Non sapeva nemmeno che cosa ci facesse ora, mesi e mesi dopo, davanti
alla porta di Rachel con una-stupida-granita
all'uva in mano.
Sapeva solo che aveva freddo, ed era stufo di stare lì, dopo
quasi mezz'ora si sarebbe finalmente dovuto decidere a suonare, o ad
andarsene.
Ma sapeva anche che dopo che Quinn e Jesse erano stati ormai da tempo
dimenticati, ora che persino Finn aveva - molto, molto recentemente
- smesso
di rappresentare un ostacolo, doveva fare qualcosa. Portare una
granita all'uva sotto casa sua, nella fattispecie.
Prese a calci un cumulo di neve imprecando a mezza voce.
Perché mai si era messo in testa di portare la fottuta
granita a Rachel?
No, davvero, perché?
Forse, rifletté Puck, aveva molto a che fare con la ragione
per
cui quando era chiuso in quel gabinetto chimico non aveva fatto altro
che
pensare a lei. Perché mentire anche a se stesso? Non era
vero
che aveva pensato di promettere al buon Dio di essere gentile con gli
ebrei per essere liberato... aveva pensato a lei.
E aveva chiesto a Dio di poter avere un'altra possibilità di
trattarla come si deve, perché lei non pensasse a lui per
sempre
solo come allo stronzo che le tirava le granite in faccia.
Forse era quello stesso motivo per il quale pochi giorni prima gli era
costato tanto sforzo dirle di no per non tradire Finn, lo stesso motivo
per il
quale mentre si allontanava da lei dopo aver guardato i suoi occhi
feriti sentiva come una pugnalata al petto ad ogni passo.
Probabilmente era sempre lo stesso motivo che l'aveva spinto a
difenderla da Santana. Non era vero che Rachel non piaceva a nessuno. A
lui piaceva, cazzo, eccome se gli piaceva!
Rachel poteva essere presuntuosa, arrivista e fastidiosa, ma era anche
così forte e così dolcemente fragile al tempo
stesso, sapeva essere così attenta e generosa...
Ed era bella, dannatamente bella.
E a Puck tutto questo piaceva.
E si sentiva ridicolo fermo davanti alla porta di casa sua con quella
roba in mano, ma non se ne sarebbe andato per nulla al mondo, non
prima di aver dato la fottuta granita a Rachel.
Perché Rachel era una bella ragazza ebrea che sua madre
avrebbe adorato, e che a lui piaceva, piaceva dannatamente.
Coraggio, Puck,
pensò bussando alla bella porta di ciliegio. Tira fuori le palle.
Dopo alcuni istanti, la porta si aprì e Puck si
trovò faccia a faccia con Rachel.
Dall'interno della casa veniva una dolce musica natalizia, e Puck
immaginò che ci fosse una grande festa.
"Noah!" esclamò Rachel piacevolmente stupita.
Noah. Puck adorava che lei lo chiamasse così.
"Chi è tesoro?" chiese la voce di uno dei padri di Rachel
dall'interno della casa.
"Uno dei ragazzi del glee, papà," rispose lei.
Poi si rivolse ancora a Puck. "Come mai sei qui?"
Già. Uno immaginerebbe che il grande Noah Puckerman abbia
qualcosa di meglio da fare che portare granite a Rachel Berry la sera
di Capodanno.
"Mi sono appena ricordato di non averti fatto un regalo per Natale o
per Hannukka, il che è vergognoso dopo aver promesso al buon
Dio
di trattare con gentilezza almeno gli ebrei. Perciò ecco,"
disse
un po' brusco, porgendole la granita. "Buon Natale, Hannukka, Capodanno
o quello che cavolo ti pare."
Rachel prese la granita e guardò a bocca aperta da
quest'ultima
a Puck almeno una decina di volte prima che lui si decidesse a dire:
"Bevi, non è mica avvelenata!"
E Rachel, ancora sconcertata, bevve, senza perdere d'occhio Puck
nemmeno un istante; se non l'avesse conosciuto bene, avrebbe potuto
giurare che sembrasse nervoso. Presa com'era a scrutarlo, solo dopo
alcuni sorsi si rese conto del sapore.
"Uva?"
"Già. So che è la tua preferita
perché..."
"...l'ultima volta che me l'hai tirata in faccia mi sono leccata le
labbra prima di ripulirmi," concluse lei, continuando a sorseggiare il
suo regalo. "Sì, mi ricordo. Ma sono passati mesi! Non
credevo
che tu te ne ricordassi ancora."
Puck si strinse nelle spalle.
"A che cosa devo questo regalo?" domandò ancora.
Mentre la guardava sorridere e bere pian piano quella granita
ghiacciata con quel freddo polare, così incredibilmente
felice,
così terribilmente bella, Puck non poté fare a
meno di
pensare quanto gli piacesse quella ragazza.
Pensò che Rachel gli piacesse da impazzire, e non solo per
quel
suo miscuglio di forza e fragilità, non solo
perché
sapeva essere così incredibilmente attenta e generosa, ma
anche perché era una testarda stupida despota
assolutamente irritante. E così glielo disse, semplicemente.
"Sei una brava ragazza, Rachel," disse. "Un po' pazza, forse. E
dispotica, orgogliosa, irritante, logorroica, strana e a volte un po'
inquietante... però mi piace che tu sia così. Mi
piacciono i tuoi difetti, mi piace il tuo modo di essere. Poi
intendiamoci" si affrettò a chiarire. "Se per
una volta decidessi di comportarti come una persona normale non mi
sentiresti di certo lamentarmi. Comunque non mi dispiaci nemmeno da
pazza."
Rachel lo guardò con gli occhi enormi per lo stupore,
dimenticando del tutto la sua granita.
"Io..." iniziò incerta, arrossendo. "Vuoi... stai cercando
di dirmi che ti piaccio? E' questo, Noah?"
Puck non rispose, abbozzò un sorriso e non poté
fare a meno di dire:
"Ti ho già detto quanto mi piace quando mi chiami Noah?"
Ci mancò poco che Rachel gli gettasse le braccia al collo e
lo baciasse, di nuovo.
Non ci poteva fare nulla, Puck le faceva sempre quest'effetto. Quella
sera in particolar modo, con la granita e quello strano, romantico discorso
su quanto lei
fosse bella e pazza... ma non poteva dimenticare ciò che
era successo solo pochi giorni prima tra loro.
"Ma te ne sei andato l'altro giorno," sussurrò. "Io ero
lì, ti volevo, ma tu hai detto che non potevi farlo, che non
potevi tradire
Finn un'altra volta."
"Esatto," replicò lui. "E quello è l'unico motivo
per il quale non
sono rimasto. E uscire dalla tua stanza, cazzo, è stata la
cosa
più difficile che io abbia mai dovuto fare."
Gli occhi di Rachel si incatenarono ai suoi, cercando una conferma alle
sue parole.
"Rachel, tesoro, che cosa...? Oh."
Tempismo perfetto. pensò
Puck con amarezza, mentre spostava malvolentieri gli occhi da Rachel
per posarli su suo padre.
"Buonasera," salutò.
"Ciao, Noah," rispose l'uomo guardando da lui alla figlia visibilmente
soddisfatto. "Rachel, tesoro, tra poco ci sarà il conto alla
rovescia, ma tu non preoccuparti, rimani qui con il tuo amico
finché vuoi. Ci vediamo, Noah."
"Arrivederci, signore."
Gli occhi di Puck cercarono immediatamente un nuovo contatto quelli di
Rachel, che però nel frattempo aveva abbassato la testa.
"Non lo so Noah," disse esitante. "Tu hai avuto così tante
ragazze, sei andato a letto con Santana... non voglio essere una delle
tante."
Puck si fece molto serio. No, lei non meritava di essere una delle
tante.
"Guardami," disse semplicemente. Lei alzò gli occhi. "Non
sarà così."
Rachel lo osservò, lo osservò molto attentamente.
In un momento come quello, molti si sarebbero prostrati ai suoi piedi
facendole promesse di amore imperituro e devozione eterna. Non Noah.
Noah se ne stava semplicemente lì davanti a lei, con quegli
occhi piantati dentro ai suoi. Quegli occhi troppo belli, troppo
sinceri...
In casa, il conto alla rovescia era iniziato.
Dieci, nove, otto...
Aveva dato una chance a Finn, qualche mese prima. Finn,
che
l'aveva delusa anche troppe volte. Perché non darne una a
Noah,
che da quando si erano avvicinati non le aveva mai, mai dato
modo di dubitare di lui nemmeno per un istante? In fondo lui era quello
che aveva scelto il glee al posto del football quando Finn non era
stato in grado di farlo, e al contrario del suo ormai ex ragazzo, non
sembrava ricordarsi di lei solo quando rischiava di
perderla. Noah, in un modo o nell'altro, era l'unico che ci fosse
sempre stato per lei.
...sette, sei, cinque...
Che senso aveva negarlo? Lei e Noah erano sempre stati
inevitabilmente attratti l'uno dall'altra e lui era l'unico in grado di
farle dimenticare tutto e tutti. Con lui non esisteva Jesse, con lui
non esisteva Finn... anche ora, solo guardarlo, solo sentire il suo
profumo faceva sembrare il dolore per essere stata lasciata da Finn un
ricordo lontano, confuso, da tempo dimenticato.
...quattro, tre, due...
Stava per iniziare un nuovo anno, poteva anche essere
l'inizio
di un nuovo amore, di una nuova vita con Noah? E lui ancora la
guardava con quegli occhi...
...uno...
Sì,
fu tutto quello che riuscì a pensare subito prima
di buttare le braccia
attorno al collo di Puck e baciarlo, proprio mentre da dentro la casa
si levavano gli auguri e i brindisi per quel nuovo anno.
Ancora una volta, Rachel si fece trascinare in quell'idillio perfetto,
in quell'oblio dove la mente era totalmente annebbiata e niente
più contava, solo lei, Noah e quell'istante perfetto.
E Puck la baciò, la strinse, e sorrise contro le sue labbra,
le labbra della stupida
Berry, che erano tutto ciò che desiderasse.
E quando si separarono fu ancora meglio perché Rachel lo
guardò con i suoi stupidi
occhi castani, e niente al mondo era più bello
di quello sguardo,
in quegli
occhi, non
per Jesse, non per Finn, ma per lui.
Per lui e per nessun altro.
Rachel non poté resistere, dovette abbracciarlo, e Puck la
strinse a sé
sentendola sorridere contro il suo petto. E, sì, questo fu
ancora meglio.
"Buon anno nuovo, Noah," disse semplicemente lei, chiudendo gli occhi,
respirando il suo profumo, che - Dio, come aveva potuto non
accorgersene
prima? - le era mancato troppo.
"Buon anno nuovo, Rachel," rispose lui altrettanto semplicemente.
Ma sembrava dire ti amo.
E Rachel seppe di non aver bisogno di alcuna promessa, di alcun
giuramento.
Noah non le avrebbe mentito, non l'avrebbe fatta soffrire, non
l'avrebbe ingannata.
Per saperlo le bastavano la granita d'uva che ancora stringeva tra le
mani, gli occhi sinceri di Noah, il sorriso di lui mentre la baciava
dolcemente.
Anzi, non aveva nemmeno bisogno di queste cose, a dirla tutta.
Tutto quello che le serviva era tra le sue braccia in quell'esatto
momento.
AUTHOR'S NOTES
Sì,
lo so
che ogni buon fan Quick e Finchel mi sta detestando... ma non
posso fare a meno di amare questi due, davvero... mi hanno stregata*-*
E amo Puck. Lo amo, davvero. Specialmente insieme a Rachel,
sì, ma lo amo a prescindere.<3 Non
saprei nemmeno come dirlo, lo trovo incredibilmente... dolce.
Sì, dolce, perché anche se non fa nulla per
cercare di
esserlo, dice sempre e comunque ciò che pensa. Tutto ciò
che pensa. E capita che le cose che dice spontaneamente, senza
programmarle, perché le pensa,
siano un milione di volte più dolci di tutte le frasi e le
mosse studiate (e idiote) di certi
altri
(ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale...
*coffcoff*FINN*coffcoff*--> noooo, non odio Finn...è
un'impressione!xD)
Beh,
fatemi sapere che ne pensate!;)
DreamGirl
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