Hellsing

di Furiarossa
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Prologo

 

La luna era piena ed alta in un cielo scuro, uniforme. Somigliava ad un faro nella notte, meraviglioso e pallido nella sua sferica perfezione, e non importava se la luce che emetteva era semplicemente riflessa, poiché anche quella era luce e inondava il paesaggio sottostante rendendolo in qualche modo etereo.

Gli alberi parevano esili e grigiastri, sui loro rami lunghi si rifletteva la luce lunare sottoforma di strisce lucide, contrapposte a brevi zone di ombra totale e nera come carbone spento.

Il piccolo paese poco sotto la collina era silenzioso, addormentato e placido, ma una voce metallica proveniva dalla cima dell’altura, uscendo da un minuscolo apparecchio radio

«Qui è l’Hellsing! Qui è il quartier generale dell’Hellsing! Riferisci la situazione, Alucard!»

«Hn?» la voce che rispose era più reale e profonda, molto concreta e dal tono leggermente svagato, come se si fosse appena risvegliato da una contemplazione sognante «Ah, scusa … Stavo osservando la luna».

L’uomo a cui appartenevano queste parole se ne stava in piedi, completamente immobile come una statua, e fissava il pallido disco lunare da dietro un paio di lenti perfettamente tonde e scarlatte. Indossava un cappello rosso a tese larghe, troppo larghe: doveva essere fatto su misura.

Il suo abbigliamento sospetto veniva completato da un lungo giubbotto spesso e rosso che lo nascondeva fino a metà degli stivali di pelle nera, con il colletto sollevato per celare la parte inferiore del volto. Era alto, sicuramente sopra il metro e novanta, con braccia e gambe curiosamente lunghe ed un fisico che molto probabilmente era snello, ma che non era facilmente distinguibile sotto gli strati di stoffa e di pelle verniciata rossa che lo rivestivano, rendendo impossibile la sua identificazione. Emanava un’aria di mistero inconfondibile, qualcosa di oscuro, di pesante, vagamente oppressivo, quella cosa che a volte chiamano follia e che aleggia a volte nei corridoi degli ospedali per malati di mente.   

«Sii serio, Alucard! Tu sei il solo di cui ci possiamo fidare!» gridò la voce nella radiolina, con un certo risentimento

«Lo so» nel timbro dell’uomo, quasi sospirante, c’era una malcelata malinconia «Ma è una così bella notte …».





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