Le ossa fanno rumore
Ho
inserito come personaggio Remus Lupin (perché ovviamente
è a lui che ho pensato scrivendo), ma potrebbe essere lui, come
uno qualsiasi degli altri bambini attaccati da Greyback.
Il bambino era uscito con i cuginetti Babbani a festeggiare Halloween
per le vie della loro cittadina, ma era dovuto rincasare prima che
facesse buio, perché secondo i suoi genitori era troppo piccolo
per stare a spasso fino a tardi.
Opinione che non condivideva affatto, aveva fatto loro inutilmente notare.
Accucciato sotto le coperte del suo lettino, si passò un dito
sul viso dove sapeva che si potevano ancora intravedere i segni
sbiaditi del trucco. Sarebbe stato uno scheletro per tutta la notte,
anche se la mamma gli aveva sfregato a lungo la pelle con spugna e
sapone per cancellare le orbite che papà gli aveva disegnato
attorno agli occhi, la mandibola con i denti scoperti dalle guance e le
falangi dalle mani.
“Per lo meno non sporcherai la federa del cuscino”, si era arresa alla fine, aiutandolo a infilare il pigiama.
Fuori tirava vento e ombre minacciose entravano e uscivano dalla
finestra della sua camera, veloci e guizzanti come delle lingue di
serpente.
Il bambino si tirò le coperte sopra la testa.
“Gli scheletri non hanno paura,” si disse. “Sono già morti!”
Ma rimase ugualmente a occhi serrati e con la schiena incollata al
materasso. Non aveva il coraggio di girarsi sul fianco, per paura di
esporla e sentirsela sfiorare da cose striscianti nel buio, cose che lo
aspettavano acquattate dietro alle sue palpebre chiuse.
Avvertì un cigolio sinistro, dei bisbigli.
Riaffiorò con il naso dalla coltre calda, controllando
coraggiosamente l’armadio che aveva di fronte. Un’ombra si
gonfiò dietro l’anta socchiusa, c’era qualcosa che respirava lì assieme a lui.
Si tirò a sedere di scatto e un fiato caldo gli sfiorò la nuca.
“Mamma! Mamma!” urlò, nascondendo la testa sotto il cuscino.
La mamma arrivò subito, accese la luce, sul viso un sorriso rassicurante.
“Troppe caramelle”, disse con calma, andando a chiudere la
finestra che era certa avesse aperto lui con quella magia che era
ancora troppo piccolo per controllare. Gli rimboccò le coperte,
baciandogli la fronte. “In questa camera ci sei solo tu e un
pancino gonfio di schifezze.”
Ma la mamma si sbagliava.
Lui era già lì.
Il bambino le aveva ubbidito, si era sforzato di mettersi tranquillo,
ma a ogni rumore sobbalzava sgranando gli occhi
nell’oscurità.
Una, due, tre volte. Alla quarta, un ghigno lo accolse.
“Zitto”, gli intimò la bocca dentuta.
Tacque, trattenendo il respiro, raggelato dal terrore.
Il suo incubo era vestito di stracci, le scarpe tenute assieme dallo spago e puzzava di sporcizia e sudore.
Lo riconobbe, era uno di quelli che i maghi come il suo papà
additavano, inveendo loro contro: “Lupo mannaro!”
Feccia.
Assassino.
Mostro.
Il mostro lo stava fissando con occhi cattivi, sporgendo la lingua tra
i denti affilati e leccandosi le labbra. “Non devi avere paura, a
me piacciono i bambini”, ringhiò.
“Io… io…” balbettò lui piangendo, la gola stretta negli spasimi dei singhiozzi.
“Cosa?” si spazientì subito il mostro, prendendolo
da sotto le ascelle e tirandolo bruscamente fuori dal letto. Lo
sollevò in aria come un papà che gioca a far volare il
figlio sopra la testa, gettandoselo senza tante cerimonie sulla spalla
come un sacco.
“Io… s-sono tutto ossa!” riuscì a miagolare,
scavalcando il suo collo possente con un braccio tremante e mettendo la
mano da scheletro dove supponeva gli cadesse lo sguardo.
“Vedo,” lo derise il mostro. “La carne attaccata all’ossa è più saporita.”
Il bambino si ammutolì.
Non provò a urlare, mentre scavalcava la finestra della sua cameretta e lo portava via.
“Ti spezzo la schiena con una mano, se ci provi,” gli era
stato promesso. “E vedi di non pisciare fuori qualche giochetto
magico che non puoi controllare, moccioso. Ti avverto. Sono un mago
anche io.”
Il bambino aveva adocchiato incredulo la bacchetta che gli sporgeva dalla cinta, diceva la verità!
Chiuse gli occhi con tutta la sua forza per tenere dentro la magia, conscio del suo essere completamente inerme.
Tornò a spalancarli per il dolore e la sorpresa solo quando
venne lasciato cadere violentemente a terra, quella che gli parve una
vita dopo.
Era stato rapito e portato nel fondo del bosco.
La luna non era ancora sorta e contro lo sfondo grigio di nebbia del
cielo erano incollate decine di lame storte e nere che proseguivano in
alto, oltre il suo campo visivo. Erano le sagome dei tronchi del bosco,
da cui partivano mazzi di rami: parevano vene secche, svuotate da tutto
il sangue.
“Siamo alla fine del mondo”, mormorò con un filo di voce.
“La fine del tuo mondo,” precisò il mostro. “Qui inizia il mio.”
Il bambino batteva i denti e tremava in maniera incontrollabile fino alla punta dei piedi.
Durante il tragitto non si era lasciato sfuggire un solo incantesimo,
ma aveva fatto pipì nel pigiama accorgendosene solo quando aveva
finito e aveva la stoffa bagnata e ancora calda incollata alla pancia.
Non provava vergogna, trovava quel calore fradicio rassicurante.
Il mostro continuava a passeggiargli attorno, sembrava in attesa di qualcosa.
“Mi guardi, moccioso?” lo aggredì d’un tratto,
e il bambino si accorse con sgomento di starlo davvero fissando.
“Fai bene. Un giorno ti sveglierai e guardandoti allo specchio,
vedrai me. Sporco, lacero, denti rossi di sangue.” Si
esibì in un ghigno soddisfatto. “Persino i tuoi genitori
avranno schifo di te.”
Sputò a terra, liberando con un calcio qualcosa di bianco
dall’abbraccio di fili d’erba sorprendentemente forti.
Era una gabbia di ossa, il relitto di una vita finita.
“La cassa toracica di un cervo,” gli spiegò.
“Qui dentro ci batteva un cuore, una volta. Era delizioso.”
Il bambino iniziò a singhiozzare senza freni, stringendosi nel pigiama bagnato che stava diventando gelido.
Piangeva per il sollievo: non erano le ossa di una persona, come aveva temuto.
Una luce soffusa iniziò a schiarire le gocce d’umidità sospese attorno a loro e con essa comparvero decine di ragnatele argentee aggrappate all’erba, ai rami, alle ossa.
Il bambino si passò convulsamente le mani sul corpo, convinto
che fossero cresciute anche addosso a lui. Poi uno schiocco violento lo
distrasse, forse un ramo spezzato.
Il suono si ripeté e il mostro cadde sulle ginocchia, ansimando
e gemendo con un braccio a penzoloni piegato in maniera sbagliata, come
se dal gomito in giù fosse attaccato al resto del corpo solo
tramite la pelle.
“La luna… quella puttana… mi amputa pezzo per
pezzo,” rantolò, asciugandosi le labbra ferite dai suoi
stessi denti con il braccio sano. “È la mia dea, il mio
macellaio.”
Il bambino continuò a piangere; lo osservava a bocca aperta, incapace di muoversi.
“Alla prossima luna piena, anche le tue ossa faranno rumore.”
Quel giuramento furono le ultime parole che uscirono dalla bocca del mostro, a cui seguirono urla, ululati, denti.
Quando fu tutto finito, ne colò fuori il sangue del bambino, un
sorso di quel fiotto tanto copioso che il lupo mannaro non era riuscito
a inghiottire del tutto.
***
“Inizia la musica”, rabbrividì il bambino diversi
anni dopo, gli stracci che avevano coperto il suo corpo ormai adulto
ammonticchiati in un angolo della baracca dove aveva trovato riparo.
Era la notte di Halloween, come quella notte.
Si guardò attorno. No, non sarebbe arrivato nessuno a
dipingergli il viso, quella sera. Non c’era più
nessuno.
In piedi sulle assi di legno sbrecciato si abbracciò forte il torace, nudo e magro come un chiodo.
Aspettava di indossare il suo costume da mostro: la luce della luna piena.
Rieccomi ^^
lo so, lo so, sono troppo produttiva e siete stufi delle mie storie :-P, però questa ff l'ho scritta quasi due mesi fa.
Copio sotto il giudizio e ringrazio le giudice anche per il bellissimo titolo della mia storia (è opera loro ^^)
Terzo Classificato - Fri
“Le ossa fanno rumore”
Grammatica: 9.95/10
Stile e lessico: 10/10
Attinenza al tema: 10/10
IC – Caratterizzazione dei personaggi: 10/10
Originalità: 18/20
Giudizio personale: 5/5
Punti bonus: 9/9[
Totale: 71.95/74
Fri non so che cosa dire sulla tua storia, mi dispiace veramente tanto.
Meriteresti un giudizio decente, pieno di complimenti, ma io non so
sinceramente che cosa dirti, né quali parole utilizzare.
La tua Fan Fiction è meravigliosa, con una caratterizzazione di
Fenrir Greyback spaventosamente reale (difatti hai vinto il Premio
Caratterizzazione proprio grazie a come lo hai fatto muovere
all'interno della Fan Fiction).
Non ci sono pecche. E, ribadisco, una caratterizzazione spettacolare.
Non ho altro da aggiungere.
Grazie per aver partecipato a questo Contest.
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