Window
in
the
s k i e s
The sky over our head
We can reach it from our bed
If you let me in your heart
And out of my head…
Oh can’t you see what our love
has done?
Oh can’t you see what our love has done?
Oh can’t you see what our love has done?
What it’s doing to me…?
[U2
– Window in the skies]
Il vento spirava: in un elegante e curioso modo, modellava
il tragitto delle foglie e la forma delle chiome degli alberi; creava un
insolito rumore, rilassante e forte al tempo stesso; modificava le nuvole, allungandole,
comprimendole, cambiandogli forma; e soffiava sulle guance del ragazzo,
arrossendole, mentre lui era intento a guardare tutto ciò con un vago
cipiglio disinteressato. Non era mai stato davvero affascinato dalla natura:
d’altra parte, non era nella sua indole essere curioso, anzi, data la sua
straordinaria pigrizia tendeva a dare tutto per scontato e per assodato; ma per
una volta, con quell’occhio scientifico che era tanto abituato ad
assumere nei confronti delle situazioni in cui si trovava (e che il suo
portentoso cervello portava ogni volta a risolvere), si meravigliò di
come la natura stesse semplicemente cambiando. Il vento tirava; le foglie
cadevano; gli alberi si tingevano di rosso; i raggi solari erano più
inclinati, le nuvole più scure.
Il ragazzo non aveva mai
sopportato l’autunno: la sua stagione ideale era l’estate, calda, rilassante, meravigliosa:
poteva stare ore e ore sdraiato sulla fresca erba del giardino vicino a casa
sua e rincasare tardi senza che nessuna madre lo rimproverasse per non aver
compiuto nulla di buono tutto il giorno; e la sera poteva uscire con Choji, il suo buon vecchio amico, e giocare a shoji senza aver niente cui pensare. L’autunno
rappresentava la stagione dei cambiamenti
da una parte –avrebbe iniziato il suo primo lavoro in una qualche
industria, non sarebbe più andato all’università-, e della ripresa dall’altra
–l’estate era finita, non si poteva più oziare, bisognava
tornare alla stancante vita quotidiana-, e tutto ciò risultava
incredibilmente sgradevole al suo intelletto agognante solamente di un prato
fresco e nuvole passeggere (che, ovviamente, in autunno portavano solo pioggia,
e che perciò era impossibile ammirare come in estate). E così
anche lui avrebbe ripreso a lavorare, a studiare, a rientrare prima, a essere
meno spensierato; ma così era sempre accaduto per tutti, e così
sarebbe accaduto anche per lui: era inutile opporvisi, per cui neanche egli ci
rimuginava più di troppo –non ne valeva davvero la pena.
Appoggiato, com’era solito, rozzamente ad un albero,
con una mano s’aggiustava la nodosa sciarpa attorno al collo mentre
l’altra era infilata dentro una tasca dei suoi jeans; con una gamba si
reggeva pigramente al legno, con l’altra sosteneva tutto il corpo.
Shikamaru Nara rabbrividiva, spasimando per quanto in quelle regioni del sud
del Giappone facesse freddo: in effetti, sebbene lui fosse abituato a climi
assai rigidi, lì la temperatura era quasi più gelida.
Sbuffò, impettito; alzò gli occhi al cielo plumbeo, così
diverso da quello che era solito ammirare, si sistemò ancora la noiosa
sciarpa e si guardò intorno, stanco; in mezzo a tutte queste noie ancora
lui non l’aveva trovata, motivo per cui era anche profondamente insoddisfatto. Non sapendo davvero cosa fare,
piantò una mano nei larghi pantaloni e ne estrasse un pacchetto di
sigarette; sbuffò, lo aprì, ne tirò fuori una e
l’accese. Inspirò profondamente quel rilassante odore di nicotina
e buttò fuori tutta l’aria.
Si domandò dunque se lei, a cui tanto spesso oramai andavano i suoi pensieri, lei, la
temibile, la insopportabile, apposta non si facesse trovare da lui:
d’altra parte, lui sapeva bene –oh, se lo sapeva- quanto quella lì si divertisse
letteralmente da morire a irritarlo. Ma poi si diede mentalmente
dell’idiota, ricordandosi che nessuno sapeva della bravata che aveva
compiuto –no, in effetti che doveva
ancora compiere–, tanto meno Temari; e
così per una volta il di lei comportamento non aveva colpe. Per una
volta.
Faceva freddo. Sebbene non fosse poi troppo tardi –il ragazzo non
aveva l’orologio, ma stimava che non fosse più tardi delle cinque
di pomeriggio- il sole era già calato; solo qualche settimana prima, a
quella stessa ora, c’era ancora parecchia luce. Era letteralmente
intirizzito dal freddo; la sigaretta che stava beatamente fumando gli
era servita a riscaldarsi un po’, ma neanche troppo; strinse ancora
più la sciarpa attorno a sé, soffiò un po’ al collo
e deglutì. Il vento soffiò reiteratamente; i passanti si
coprirono i volti, tutti infreddoliti come Shikamaru. C’era una certa
malinconia nell’aria; era come se tutti i presenti stessero ricordando la
passata vacanza e stessero agognando il futuro caldo, per ora fin troppo
lontano. Nara sbuffò: quella sensazione era piuttosto spiacevole,
soprattutto considerando il luogo in cui si trovava in quel momento, lontano da
casa sua, dal suo bel letto caldo… Che diavolo di stagione… Odiava
il freddo, odiava l’autunno, odiava il brutto tempo; e in quel giorno, in
quella dannata città sembrava che tutte e tre queste circostanze si
fossero combinate insieme…
Si chiese per l’ennesima volta se avesse agito bene a
fare ciò che aveva fatto (o che, insomma, doveva ancora fare); e ancora una volta accondiscese che aveva proceduto
benissimo nel non dire ad anima viva quel suo folle atto. Con tutta
probabilità, era stato davvero un “folle atto”: insomma,
nessuno se lo sarebbe certo aspettato da lui,
genio informatico di Sendai laureatosi appena sei
mesi prima e con già diverse pubblicazioni su riviste specializzate che
ne annunciavano le doti straordinarie e le innovazioni appena formulate nel
campo tecnologico; ma d’altra parte ogni uomo ha le proprie debolezze, si
sa, e le sue erano collocate a circa quattrocentocinquanta chilometri da casa
sua. Né d’altra parte è possibile per questi uomini evitare
per troppo tempo i propri punti deboli: prima o poi arriva il tempo di
affrontarli. Per la precisione, quello di Shikamaru Nara era arrivato da un bel
po’ –da molto, sì, molto-,
ma lui aveva deciso di rispondervi solo in quel giorno così malinconico
ed evocativo.
Ma aveva fatto la cosa giusta…? La sua pigrizia
suggeriva di no, ma il suo cervello (che era, ricordiamolo, uno dei più
prominenti di tutto il Giappone) non negava che ciò che sarebbe successo
in quel giorno sarebbe potuto essere qualcosa di irrimediabile…
più che altro, Shikamaru aveva spesso pensato alla totale
inutilità di quell’azione: non sarebbe cambiato niente con
quell’improvvisata, che cosa diavolo dunque era venuto a fare fin l–
Un enorme afflusso di persone lo distolse dai suoi pensieri;
stavano tutti uscendo dal portone principale dell’Università.
Erano parecchi ragazzi e ragazze, all’incirca della sua stessa
età; Shikamaru si raddrizzò dalla scomoda e grezza posizione in
cui era stato finora e vagò con lo sguardo fra la folla. Il vento tirava
forte di nuovo; la maggior parte degli studenti era piegata in avanti,
sforzandosi di continuare a camminare nonostante fosse controvento. Impossibile
distinguere in quell’enorme massa di persone, che andava via via crescendo, una figura familiare o perlomeno già
vista.
Ecco, perfetto. Il suo geniale piano era andato a monte
ancora prima di essere iniziat–
«Ah! Passato con lode, vecchia megera!»
Il suo cuore accelerò i battiti rapidamente; qualcuno
aveva urlato di gioia… e forse, forse,
lui sapeva chi. Cercò, fra le tante teste, delle fattezze a lui
familiari; i ragazzi davanti a lui non erano poi troppi, a ben vedere. La sua
ricerca durò qualche minuto; la voce pareva essersi calmata in qualche
modo…
«Pedagogia, con lode! Sono un genio!»
Il suo battito cardiaco ebbe un guizzo: l’aveva
trovata… Il ragazzo alzò automaticamente il cappuccio sul capo,
indossò il suo paio di occhiali da sole e si strinse leggermente la
sciarpa al collo. Bene.
Be’, a quanto pareva… questo era il momento. Per
la prima volta nella sua vita non pensò minimamente a ciò che
stava per fare, ma andò semplicemente avanti senza profittare della sua
materia grigia; si approssimò a un gruppetto isolato di ragazze, e le
sue gambe sembrarono davvero tremare stavolta.
Lei… era lì.
Parlava concitatamente, mentre una strana luce le brillava negli occhi;
sorrideva, cosa così strana per quel viso all’apparenza tanto
duro, e rivolgeva sguardi contenti tutt’intorno. Era cresciuta molto: i
lineamenti erano più definiti, aveva sostituito i soliti quattro codini
con una pettinatura molto più sobria ed adulta (capelli lisci, lunghi
fino alle scapole), era leggermente truccata, e le linee del corpo erano ancora
più morbide di quanto lui non ricordasse. Dopo tanto tempo, era davvero
lì, davanti a lui… ed era bellissima. Shikamaru non riuscì
a pensare razionalmente per qualche secondo; la materia grigia doveva essersi
in qualche modo ghiacciata, forse per
il gran freddo, forse per l’emozione; il respiro gli si era mozzato, le
attività vitali appiattite. Tuttavia, non appena vide che il gruppetto
sembrava muoversi da quella posizione, si rianimò quel poco che
bastò a sfoderare il suo sorriso migliore (o meglio, quello che davvero
non aveva mai usato).
«Ehi pupe! Me lo fareste un piacere?»
Le tre lo guardarono; l’una sorrideva, compiaciuta
dall’aggettivo, l’altra rideva, sorpresa per la scena, ma la terza
assottigliò gli occhi, che prima splendevano.
«Rispondereste a delle semplici domande per un sondaggino? Una roba veloce, dai!»
Sempre con quell’atteggiamento che non gli era affatto
proprio, egli sorrise ancora di più e ancora di più
s’avvicinò a loro; ma non scoprì né occhi né
capo. Continuò a guardare dritto davanti a sé, come magnetizzato
da una componente del trio.
«Mmmh, perché
no?» borbottò una fra loro, continuando a sghignazzare. Le altre
due erano zitte.
«Ok, ok… be’»
qui il ragazzo abbassò una spalla e portò lo zaino davanti a
sé, per poi aprirlo e prendere un quaderno «ti ringrazio, sei
molto gentile… Che facoltà frequentate?» iniziò.
Lei rise ancora di più, e rispose che tutt’e
tre erano iscritte al terzo anno di specializzazione alla facoltà di
Medicina, e che quindi erano al loro nono anno in
quell’università; lui annuì, fintamente interessato.
«Questo è un sondaggio per il Ministero
dell’Istruzione, eh! Allora, quanti corsi frequenti l’anno? Quanti
esami dai? Ti piace ciò che studi? Lo consiglieresti a chi vuole fare il
medico? E, ultima cosa… non ti fa schifo vedere cadaveri?!»
Lei ci pensò un po’ su, ma poi rispose con
grande entusiasmo che certo, le piaceva davvero quel che studiava, e che
sarebbe divenuta sicuramente un grandissimo medico; e no, oramai era talmente
impassibile alle scene cruente che quasi non vi faceva più caso;
continuò dicendo che studiava tantissimo, che aveva una media molto alta
e cose del genere: concluse con una risata e uno sguardo interrogativo sullo
sconosciuto. La seconda rispose poi sulla stessa linea d’onda, solo in
maniera un po’ più scettica; ma fu quando toccò a lei che Shikamaru, sotto la spessa
sciarpa che gli copriva appositamente una buona parte del volto, arrise sul
serio.
«Uhm, no, un attimo, a te voglio fare altre
domande» disse, prima che l’altra avesse iniziato anche solo a
prendere fiato per rispondere.
«Scusami, mi sono persa la parte in cui ti ho effettivamente detto che ti
risponderò. Tu l’hai sentita, per caso?»
Lui deglutì; il suo respiro divenne più
irregolare. Dopo tanto tempo… non era cambiata per niente. Sorrise,
ancora di nascosto, ancora compiaciuto.
«Un bel caratterino, eh?» borbottò solamente.
«Oh, ci puoi giurare» ribatté lei, fiera,
assottigliando gli occhi chiari, come per studiare i lineamenti semicoperti di
quello straniero. Aveva notato qualcosa di particolare in quel naso, come
se… «Be’, la finiamo ’sta pagliacciata, sì? Ho
da fare, io.»
Lui alzò un sopracciglio e sospirò, fintamente
stanco.
«Guarda che mi pagano per fare ’sto lavoro. Non
è che anche io non ho niente di meglio da fare, eh.»
replicò.
L’aveva colta in pieno; lei alzò gli occhi e
inspirò. Gettò una rapidissima occhiata allo sconosciuto,
stabilendo se fidarsi o meno di un ragazzo tanto strano, i cui tratti somatici
tra l’altro si vedevano pochissimo; valutandolo tuttavia sincero, decise
di concedergli quel piccolo favore… in effetti, non doveva essere un gran
bel lavoro, e probabilmente non ne era neanche soddisfatto.
«E va be’, che
rottura…» borbottò, burbera. «Sì, sono contenta
di fare il medico, voglio farlo da bambina, e faccio tanti esami l’anno, e frequento tanti corsi l’anno. Ok, adesso? Ciao.»
Shikamaru annuì, convinto, e scrisse qualcosa. Il
vento riprese a soffiare forte; per alcuni secondi nessuno dei quattro disse
niente, intenti com’erano a ripararsi dal freddo.
«Be’, allora… vi ringrazio»
proseguì il ragazzo, appena fu in grado di farsi ascoltare
«davvero, grazie tante.»
Le due sorrisero e annuirono; la terza alzò un
sopracciglio, scura in volto. Aveva appena notato un minuscolo
particolare… quella voce… quella
voce… e no, anche quella fronte così spaziosa e larga, che
dava l’idea di una persona sveglia… o perlomeno… Gli occhi
della ragazza guizzarono.
Shikamaru provò un brivido; con tutta evidenza,
Temari aveva appena capito tutto.
Deglutì, e per l’ultima volta si fece coraggio.
«…Sinceramente, però, un ingegnere è molto meglio di un
medico.»
E fu questa la
goccia che fece traboccare il vaso.
*°*
Shikamaru Nara non aveva mai capito tanto le donne. Erano
controverse, imprevedibili, difficili da comprendere, ma ancora più
difficili da gestire; in particolare, si può dire che non poteva
soffrire quelle autoritarie e decise, come sua madre, o fedifraghe e astute,
come Ino; e peggio ancora, temeva quelle esagitate o
in continuo movimento.
Ma si dava il caso che il destino –o chi per lui-
avesse deciso che proprio Shikamaru dovesse innamorarsi di una che ben riassumeva
tutte queste qualità.
«Temari!»
Egli aveva pensato, evidentemente molto ingenuamente, che vi era forse
una remota possibilità che tutto quello che aveva appena compiuto, e per
cui s’era letteralmente sfiancato, alla ragazza avrebbe fatto in qualche modo piacere; aveva
ovviamente pensato che vi era una grande probabilità che lei si fosse
arrabbiata, dato il suo carattere non propriamente facile. Ma mai si sarebbe
immaginato tutto questo.
«Eddai, Temari! Ma
perché fai così, che palle che sei, io –»
La ragazza, semplicemente, seguitava a camminare a passo
incredibilmente veloce, evitando con un’agilità impressionante
l’enorme flusso di gente che veniva in senso contrario; sembrava del
tutto ignara del fatto che vi fosse un ragazzo a qualche metro da lei che stava
sia ansimando per la folle corsa sia urlando a gran voce il suo nome davanti a
tutti. Alcuni passanti si girarono a commentare la bizzarra scena, per poi
concludere il loro pensiero con un sorriso sporadico, notando
l’età dei due.
«Temari… cazzo!» biascicò ancora
Shikamaru; da circa venti minuti continuava a rincorrerla, facendo a spintoni
fra la folla, tanto che oramai non aveva più fiato –colpa della
totale assenza di qualsiasi attività sportiva o della grande quantità
di sigarette fumate al giorno, difficile dirlo. Si fermò, tentando di
riprendere le forze; ma già aveva perso di vista la ragazza.
Imprecò; riprese a correre, scansando a spallate i pedoni, finché
ritrovò nuovamente una testa bionda; e finalmente raggiunse la ragazza
tanto da riuscire a fermarla.
«Vuoi fermarti o no?!» esclamò, perdendo
per una volta la propria abituale flemma. «Hai idea del viaggio che ho
fatto per venire fin qui?!»
Lei si girò di tre quarti; alzò un
sopracciglio e gli lanciò lo sguardo più freddo che egli avesse mai subito –o si fosse mai meritato di
subire.
«Lasciami.» ordinò solamente. Sapeva
essere glaciale quando lo voleva, pronunciando appena una parola o due
accompagnata da uno sguardo sprezzante, per ridurre al minimo le speranze di
proseguire del proprio interlocutore. Shikamaru non l’ascoltò, ma
non riuscì a non rabbrividire per quell’occhiata.
«Fermati… e parliamo. Ti chiedo…
solo… questo.» disse, ansimando ancora.
Giacché s’era fermato, nonostante la folle
corsa che aveva appena compiuto, riprese a battere i denti per il freddo;
invece, lei sembrava essere perfettamente a suo agio, sebbene indossasse
solamente una leggera mantellina.
«Vattene, Shikamaru.» replicò, asciutta.
«Oh, andiamo, seccatura!»
berciò lui, contrariato. «Non ci vediamo da sei anni, che diavol–»
Sciaff.
Uno schiaffo in piena faccia bloccò la sua tiritera; lei
assottigliò gli occhi da gatto, alzò un sopracciglio,
sogghignò abbastanza soddisfatta, si girò e se ne andò.
Le donne…
«Non penserai mica» continuò
l’altro, riprendendo a camminarle dietro velocemente, mentre ansimava
«non… penserai che io getti la spugna, eh, seccatura?»
L’aveva nuovamente chiamata con quel nome; lei
contrasse la mascella, dura, ma non disse niente. Scese il silenzio;
camminavano l’uno vicino all’altra, quasi correndo, ma non si
dicevano nulla.
«Oh, andiamo» riprese Shikamaru, velocizzando
nuovamente l’andatura delle gambe per stare al passo con lei, e
nuovamente boccheggiando (ma quanto diavolo sport faceva quella lì per
andare così veloce?!) «lo so che è colpa mia, che sono un
idiota, e blabla, ma non sarei qui se… non volessi… in qualche
modo… rimediare…»
E così andarono avanti per una buona mezz’ora,
lui parlando (o, per meglio dire, ansimando) e lei facendo finta di niente; i
passanti li guardavano di sbieco, curiosi o scandalizzati. Era una scena
estremamente bizzarra: lui pareva proprio parlare all’aria, gesticolando
e cercando cenni d’assenso, ma lei si comportava come se nessuno turbasse
il suo normale ritorno a casa; Temari proseguiva camminando di buona lena, con
il tipico andamento frettoloso e deciso, che tuttavia per Shikamaru (il cui
passo era ovviamente lento e strascicato) sembrava una vera e propria corsa.
Iniziò a piovere; ancora una volta, il freddo
assalì il ragazzo. La temperatura era notevolmente scesa e il vento
aveva ripreso a ululare forte, tant’è che egli aveva dovuto
infilarsi guanti e cappello per non soffrire ulteriormente quell’odiato
clima. Ma come diavolo era possibile che lì a Kyoto, quattrocento e
rotti chilometri più a sud di Sendai, la sua
città, facesse tanto freddo? Maledetta Temari, maledetta strega, in
qualche modo c’era il suo zampino anche in quello –sì, in
qualche modo… le donne… sempre colpa loro… e il freddo, il
dannato freddo, continuava a perseguitarlo. Si inzuppò velocemente, dal
momento che non aveva ombrelli o impermeabili; ma tutto ciò sarebbe
tranquillamente rimasto in secondo piano se il ragazzo non avesse avvertito un altro tipo di freddo, dovuto al totale
menefreghismo da parte di Temari alla sua presenza.
Non credeva di meritarselo, tuttavia… Per
carità, se non si vedevano da così tanto tempo era in buona (be’, in totale)
parte per causa sua; ma adesso lui era sinceramente pentito, e in quello stesso
giorno s’era sorbito sei ore e mezzo di treno verso quella città
del sud del Giappone, senza dire niente a nessuno, quindi senza ricevere
né prese in giro né rimproveri, ma senza neanche un posto dove
dormire. Oltre a ciò, la ragazza nelle ultime due ore gli aveva rivolto
parola solamente due volte, in mezzo alle quali v’era stato tra
l’altro uno schiaffo che ancora bruciava al suo orgoglio; e infine lui
era costretto a parlare a manetta, proprio lui che odiava parlare… E ora
lei lo trattava con quella insofferenza, quel disprezzo, quella freddezza… Shikamaru si morse un
labbro, mentre continuava a deambulare al passo di Temari, bagnato dalla testa
ai piedi; e così, il genio
informatico di Sendai, tanto pubblicizzato e
oramai abbastanza famoso nel suo settore, aveva davvero preso un enorme
granchio, aveva davvero fatto una sciocchezza a compiere
quell’improvvisata, con una donna tanto ingestibile poi… che idiota
che era stato, davvero… Digrignò i denti: l’offesa bruciava
quasi da fargli male. Ma non avrebbe demorso, no; anche a costo di inseguirla
per ogni parte di Kyoto, le avrebbe parlato, le avrebbe davvero detto quello
per cui era giunto fin lì, e, volente o nolente, Temari l’avrebbe
ascoltato. Era una questione di principio; il suo tanto vituperato orgoglio non
avrebbe ammesso ancora un’altra offesa. Punto.
«Shikamaru, dai…»
Alzò gli occhi; Temari s’era voltata verso di
lui, il viso addolcito da un’espressione benevola; ah, ce l’aveva
fatta… anche la granitica Temari Sabaku No
dunque aveva un punto debol–
«…Non ti dispiace se apro l’ombrello,
vero? Sai, fa freddo.»
Ma l’avrebbe pagata, oh, se l’avrebbe
pagata…
*
Erano oramai quattro ore che giravano; Shikamaru era
esausto, ma Temari non accusava la minima spossatezza.
«Tu, tu, dannata
seccatura» boccheggiò lui, mentre erano appena usciti da un
chiosco all’aperto in cui lei s’era fermata a mangiare
(apparentemente dimentica del fatto che lei avesse un ombrello, ma lui no) «lo fai apposta, sì,
sì, lo stai facendo apposta… e ti stai divertendo da morire a
farmi impazzire…»
Lei, come suo solito, non replicò, del tutto incurante
che fosse in compagnia di qualcuno diverso dalla sua cena; tuttavia, Shikamaru
poté benissimo notare la presenza di una lieve increspatura sulle sue
labbra, e fissò incredulo la strana luce, quasi di soddisfazione
estrema, dipinta nei suoi occhi.
Era stato diverse volte sul punto di mollare tutto, mandarla
finalmente a quel bel paese (o da qualche altra parte, sì) e tornarsene
a casa; ma tutto ciò avrebbe comportato in qualche modo
l’ammissione di una sconfitta o di una rinuncia da parte sua… e il
suo senso dell'onore, tanto bistrattato quella sera, non gliel’avrebbe
mai perdonato. Inoltre, così avrebbe solamente fatto ciò che
Temari voleva, ovvero lasciarla in pace: e no, lei non avrebbe davvero vinto.
Aveva così continuato a seguirla in tutti i suoi
pindarici giri, che il ragazzo era sicuro non avrebbe mai fatto in condizioni
normali; s’era fermata per più di tre quarti d’ora in un
negozio di scarpe, era entrata in una libreria, aveva deciso un qualche film da
vedere quella sera, aveva fatto la spesa (sempre e rigorosamente ad un mercato
all’aperto) e infine aveva mangiato in quel chiosco. E tutto questo con
un ragazzo piantato dietro di lei, intento a guardarla di sottecchi, senza
più la voglia –o, per meglio dire, il fiato- di dire nulla.
Con tutta evidenza, era ora per lei di tornare a casa;
Shikamaru aspettava questo momento da tutta la serata. Imboccarono la strada
verso il suo portone; lei si fermò qualche attimo, mentre armeggiava col
cellulare in mano, poi camminarono ancora un po’ (Temari col passo svelto
e con aria distaccata, Shikamaru con andatura strascicata e mani ficcate dentro
i pantaloni, mentre i capelli lunghi gli gocciolavano a causa della pioggia) e
infine ella tirò fuori un mazzo di chiavi con cui aprì il portone
del suo palazzo… premunendosi di richiuderlo rapidamente dietro di
sé, di modo che Nara non potesse entrare; ma questi, aspettandosi
davvero un gesto simile, sgusciò dentro prima che la ragazza avesse
richiuso la porta.
Adirata e offesa, Temari gli rivolse l’ennesima occhiataccia
e pestò un piede a terra; si diresse dunque verso la porta
dell’ascensore, che era già al piano.
«Fermati, fermati, fermati»
disse sbrigativo Shikamaru, appoggiando rudemente una mano alla porta prima che
Temari potesse aprirla, in modo da bloccarla. «Non costringermi a
seguirti dentro casa tua, non mi pare proprio il caso, con quei fratelli che ti
ritrovi poi… Insomma, vogliamo discutere di questa benedetta cosa come due persone maturi e civili, oppur–»
Per tutta risposta, lei aprì tanto vigorosamente
l’uscio da farne cozzare il lato esteriore contro la fronte del ragazzo,
che ululò per il dolore toccandosi la parte lesa; minimamente coinvolta
da quel che era appena accaduto, lo sorpassò, mentre quello era piegato
in avanti, e accostò la porta dell’ascensore dietro di sé.
Ma non spinse il bottone abbastanza in fretta; Shikamaru afferrò con
violenza la maniglia, la tirò giù e la portò vicino a
sé, per poi entrare furiosamente nell’abitacolo e chiudere la
porta. La cabina non era poi troppo piccola, ma neanche grande: vi era tuttavia
abbastanza spazio tra l’uno, ora comodamente appoggiato a un angolo, con
la schiena contro la parete e le gambe aperte davanti a sé, e
l’altra, rigidamente in piedi accanto ai vari pulsanti che indicavano la
numerazione dei piani.
«Mi hai fatto male, seccatura infida»
parlottò Shikamaru dopo qualche secondo di silenzio. Temari aveva preso
a tamburellare vivacemente le dita sulla parete dell’abitacolo; prese
fiato violentemente, come per rispondere in maniera brutale, ma poi si
fermò un qualche attimo e disse, ora con tutta calma:
«Non sono proprio affari miei.»
«Se poi muoio, sì, lo sono»
obiettò l’altro, strofinandosi la parte percossa, e imprecando per
il dolore. «Ti manderò il conto del mio avvocat–»
Tlung.
Tlang.
«Merda, no, no!»
imprecò lei, scostandosi subito dai tasti, per poi alzare la testa e
guardare la sommità dell’abitacolo. «Questo coso
s’è fermato!»
Shikamaru alzò un sopracciglio, perplesso, ma non
disse niente; Temari ancora guardò in alto, poi in basso, e infine
pestò un piede per terra.
«Siamo chiusi qui dentro! Io e te, che
diamine!» berciò, iraconda.
Il ragazzo, in tutto ciò, rabbrividì: sentiva
ancora freddo.
***********
E
finalmente –dopo appena due mesi a mezzo ^_^ XD- ho postato ‘sta
“cosa”. Ah, questa fanfic mi ha fatto
abbastanza penare, sinceramente, visto che ne ho scritto metà mentre
avevo un febbrone allucinante a metà settembre ^^
Non ne sono
particolarmente entusiasta, ma vabbè, non vedo
il motivo per cui non postarla. E’ abbastanza lineare e
“simpatica”, insomma, ma davvero niente di che. Spero in ogni caso
vi piaccia ^^
Ah, avete
presente quella presammmmale
infinita che vi prende
all’inizio di ottobre, quando le giornate durano sempre di meno e la
scuola/università è appena ricominciata? Ecco, la fanfic si basa proprio su quello. Mi spiace solo di averla
postata tanto tardi, ma per una buona parte contiene le mie personali
riflessioni sulla malinconia profonda di metà pomeriggio di una domenica
di ottobre, giorno di PRESAMMMMALE per eccellenza xD
Coooomunque!!
La fanfic ha partecipato al concorso Cold contest, di Shark
Attack, classificandosi sesta –ma non ultima xD. Ecco il seguente commento della giudicia:
Grammatica: 13/15;
Utilizzo dei dialoghi/descrizioni e andamento della trama in generale: 12/15;
Originalità: 11/15;
Attinenza al tema del Contest: 13/10;
Caratterizzazione dei personaggi: 8/10;
Gradimento della giudice: 3/5;
Totale: 60/70.
Giudizio scritto del
giudice:
Innanzitutto, complimenti! La
tua fic mi ha seriamente colpita! Purtroppo non per
la trama, piuttosto semplice pur essendo nel complesso ben articolata e
diretta, ma per il tuo strano modo di scrivere... intendiamoci: scrivere in una
maniera così ricercata ed elegante è davvero molto bello e poetico,
davvero di gran classe, l'ho apprezzato da questo punto di vista. Ma... non
è adatto ad una fiction del genere, sai? L'impressione in generale, sia
in prima che in seconda e terza lettura, è stata certamente positiva, ma
a discapito della storia in sè. Mi spiego
meglio: con un linguaggio così articolato ci si perde nella sua
comprensione e stride con la trama leggera e moderna di una coppia di
universitari che si rivedono dopo anni. Capacità linguistica e trama
devono andare di pari passo, altrimenti ciò che ne viene fuori è
disarticolato, come quando si guarda un video con l'audio sfasato rispetto alle
immagini, hai presente?
Tutto questo per giustificare i -2 punti nella grammatica (pur non essendo mai
stata sbagliata) e i -3 nell'utilizzo di dialoghi e descrizioni.
Attinenza al tema con punteggio pieno perché più freddo di
così non si poteva fare, giusto? ^^ Mi hai pure fatto ammalare
Shikamaru, per farlo stare al freddo, non potevo togliere assolutamente alcun
punto! IC senza un punto perché questo Shikamaru mi è sembrato un
po' troppo attivo, per il suo carattere... e anche perché non ho mai
compreso appieno le ShikaTema! XD Però
ciò non ti ha impedito di conquistare il Premio Het,
complimenti anche per questo!
Gradimento basso sempre per il discorso della lettura con attrito dovuta al tuo
linguaggio aulico, per così dire, ma mi è piaciuta molto lo
stesso!
NB: la fanfic prima si chiamava
“Autumn Leaves”.
Poi ho cambiato nome perché era troppo orrendo xD
Il titolo non ha un significato preciso, si rifa
semplicemente alla stupenda canzone degli U2 e al collegamento Shikamaru-Cielo. Semplice. xD
Che dire,
mi dispiace tantissimo che sia piaciuta così poco ^^” Ci avevo
messo veramente l’anima a scrivere, contando poi che m’era presa la
febbre e che stavo male. Certo è che avevi ragione a dire che in alcune
parti potevo essere un po’ meno aulica: ho cercato di limitare queste
uscite, riscrivendo qualcosa o usando vocaboli più moderni. Ti ringrazio
del consiglio (: Per quanto riguarda le frasi troppo lunghe… Ehm, il mio
problema è che ODIO ODIO lo stile che va tanto
ora di frasi. corte. e. spezzettate. quindi tendo ad esagerare nell'opposto,
ovvero a fare frasi lunghe e articolate (che adoro) Non credo sia un errore,
visto il tipo di narratore (è esterno e onnisciente, quindi in linea
teorica va bene che sia molto formale: quando scrivo in prima persona sono
molto più informale), ma capisco che sia fuori luogo. Sinceramente, non
mi sembra di così difficile comprensione: non ho fatto mica frasi enormi
^^" ma capisco benissimo, ripeto.
Infine,
non credo che Shikamaru sia OOC, ma ovvio che il mio parere è di
parte… semplicemente, io penso che lui sia perfettamente il tipo da
ammazzarsi per un qualcosa/qualcuno a cui tiene, e in questo caso questo qualcuno
è proprio Temari.
Be’,
almeno ho un meraviglioso Premio Het :D e me lo tengo
ben stretto!
E
un’altra cosa! La fanfic partecipa alla
*meravigliosa* iniziativa “All I want for Christmas is black”, organizzata
dal forum “The Black
Parade” . Il nostro obiettivo era di scrivere ogni giorno, dal 1 al
24 dicembre, una fanfic nera, e pare proprio che ci
stiamo riuscendo egregiamente xD Dal momento
però che proprio questo giorno c’era un buco, ho pensato di
“riempirlo” con questa fanfic che di
Natalizio ha ben poco, ma che è tutta incentrata sul freddo… Per
cui, ho usato il prompt freddo ed eccola qui xD Vi invito a visitare il forum & l’iniziativa,
siamo sempre di più e sempre più accanite. :3
Alla
seconda parte, appena mi libero dalla mia Analisi Matematica –mi adora
talmente tanto che non mi lascia mai… xD
E buon
Natale se non posto prima del 25! *-*
Clahp