- In
procinto d’essere.
-
-
- Non potete capire il peso di un’ossessione.
Quando certe
convinzioni cominciano a strisciarti sottopelle, piano, come serpenti
sibilanti
che ti sussurrano parole d’odio. Non potrete mai capire, voi,
quanto può far
male la luce diretta del sole, e quanto il ripudiarla mi faccia
collassare.
Come una stella troppo vecchia e gravida d’elio e idrogeno e
gas e luci e mille
altri componenti che ballano nel suo nucleo malato
d’emicrania. Ecco come mi
sento, costantemente gravido d’idee, costantemente malato,
insano. Certe volte,
cerco di nascondermi nel mio stesso profilo, di affondare fra pelle e
maglioni
di lana, di sprofondare dietro un sipario di capelli. Non per il mondo
–mio
dio- quanto per gli sguardi. Occhi inquisitori che t’entrano
dentro e non
vogliono lasciare la presa su di te. Odio gli sguardi. Ci sono quelli
materni,
che ti vorrebbero dire ‘mangia,
caro, sei
uno scheletro.’, quelli amichevoli che pensano che
non possono far altro
che volerti bene e quelli ‘d’amore’ che
ti cingono il cuore e lo bramano a
vita, succhiandolo come fosse un frutto oppure un dolce natalizio;
- Pochi hanno presente la triste sensazione
d’essersi troppo
impiastricciati di vita; quasi fosse una marmellata appiccicosa, sulle mani, sulle
labbra…ovunque.
- Sì, ok, esistono tante cose positive e belle.
C’è il
tramonto; ma precede la sera e il buio. C’è il
sorriso, ma una volta consumatosi
muta in una normale maschera di neutralità.
- Il mio pessimismo cronico non ha precedenti; neanche quando
ero proprio nero di dolore.
- Luogo comune: il periodo più brutto della mia
vita è stato
quando i miei si son separati. Non è affatto vero!. Ero un
ragazzino, e per me
non c’era cosa più cazzuta di vivere in casa solo
con mia madre (e Paul che
praticamente non esisteva e che se esisteva era più
paragonabile ad un
paramecio che ad un uomo). Comandavo, fumavo, mi facevo di tutto e non
ero mai
a casa. Praticamente ero il “dio” non solo della
mia camera fatta di Tour
Eiffel di cicche di sigarette, ma anche dell’intera casa poco
illuminata e
troppo umida, più umida delle nuvole del nord Inghilterra.
- Pensavo male; probabilmente, ora, ci soffrirei di
più. Ora,
nella pozza grigia di pessimismo cronico, ci affogherei fino ai capelli
e
riemergerei dopo un bel po’ di tempo. Sono una radio
sintonizzata male. Per quale
altro lontano motivo, allora, ora starei riflettendo sul male della mia
vita da
star ricca e viziata? Non sono più io.
- Matthew viveva di poco, sopravviveva più che
altro,
respirava solo un po’ e gli bastava. Al vecchio lercio Matt
bastavano un letto
e dei pensieri suoi da accarezzare
e
da riporre nel comodino al momento giusto. A lui bastavano degli
scomparti
rossi nelle cassettiere incasinate che formavano il suo cervello, gli
scomparti
di ricordi giovanili/ post-pubertà che pulsavano ancora di
veridicità.
- Il primo bacio; la prima volta; le liti con professori; la
prima vera volta in cui suonò su un palco.
- Viveva di prime volte. La prima volta che provò
la paura,
l’amore, la gioia, la gelosia, la tristezza, la sensazione di
non essere nulla,
di non valer poco più d’un granello di sabbia.
Erano sensazioni cosmiche,
esistenziali, che riempivano i suoi pensieri pre-dormita e che lo
scuotevano
dal sonno di mattina presto, quando con occhi rossi da
–“che cazzo vado a fare
oggi a scuola?” – si guardava allo specchio.
- Era una bella vita, perché pensavo a vivere alla
giornata,
pensavo di poter per sempre ignorare lo sguardo della ragazza
più bella (per me
ed i miei strani gusti) che sfiorava appena le mie guancie
completamente glabre
e poi ritornava a guardare le nuvole, impegnate in un moto gonfio e
rigonfio. C’erano
le rapine. M’acquattavo nel buio d’un lampione
fulminato, strisciavo e mi
mimetizzavo nel nero pece della notte; le auto erano la mia
specialità.
Ricollegavo i cavi giusti e partivo ‘a marcia
indietro’ fino al rivenditore
bastardo, che mi dava pochi soldi per un auto, e che minacciava di
denunciarmi
alla polizia se avessi preteso più denaro (ricordo che
sputava parlando). Da
quando conobbi Dom in poi è storia; anche se la frase ad
effetto non rende, in
questo caso.
- La mia ossessione, quella della quale parlavo alla prima
riga, è la morte.
- Ho una porca paura di morire. Non di scomparire da questo
mondo, di dissolvermi nell’aria, o chissà cosa. Io
ho paura di essere dimenticato.
- Un giorno, verrà un uomo al nostro concerto e mi
sparerà
dritto in fronte, fra le urla della folla, fra gli occhi verdastri di
Dom e il
basso di Chris che sbatte in terra. Io, la scena, la posso vedere
riflessa nei
miei occhi. La immagino nei minimi particolari, quasi fosse una macabra
profezia della quale aspetto solo l’avverarsi. Si
parlerà di me. Dominic Howard
e Christopher Wolstenholme faranno una conferenza stampa e piangeranno
e Dom,
forse, non si capaciterà di ciò che è
successo. Mi vuole
un gran bene.
Chris non parlerà, non più. Dopo qualche mese dovrà far finta
d’essersi calmato per sostenere la colonna di
dolori di Dom. Non vorrei sembrare egocentrico, facendo soffrire nei
miei
pensieri così tanto Dom, ma io lo
so
che sarà così. Perché se solo lui
morisse (guarda cosa mi tocca pensare!) io
non mi riprenderei. Chris, anche se mi vuole bene in egual modo di Dom,
soffrirebbe meno, per forze superiori quali: figura paterna generale di
troppe
persone, figli & non figli.
- Dicesi pensieri intricati come rovi, o forse addirittura di
più.
- Le mie mani sono eleganti, mentre suono il piano. Mi
piacciono. Corrono veloci sui tasti, aleggiano a mezz’aria
durante le pause e
poi ritornano ad accarezzare la madreperla del Kawaii. I miei occhi
tendono a
chiudersi. Mi piace suonare Chopin; lo trovo divino, oltre questa
realtà…capace
di far rinascere fiori. Enfatico, potente e raffinato, mi ricorda le
foglie che
cadono o il vento che alza le gonne o il gelo che ti screpola le
labbra. Mi
ricorda l’arte romantica. Non credo d’essere
completamente ateo, soprattutto
quando ascolto Chopin; può essere davvero questa perfezione,
questo candore,
nato dal nulla? Da forti scontri di
molecole e gas? Da esplosioni? .
- Dal rombo mostruoso del Big Bang sorse Chopin, ed allora la
sua musica rischiarò tutto; pianeti nascenti, comete e
meteoriti. Fece
impallidire per un attimo il Sole, e arrossire madama Luna.
- Domani cadrò dal cielo lucente che
m’ero costruito con assi
dipinte d’un azzurro posticcio.
- Cadrò giù e con un rombo
esploderò nel disegno cubista del mio
artista preferito;
- In mille schegge colorate, in mille sensi.
- E questa società, troppo vecchia per dettare
leggi,
esploderà in un vecchio Caravaggio tenebroso.
- Perché in fondo siamo qui a protestare
inutilmente contro le
regole della natura. A testare su di noi profumi odiosi, in qualche
profumeria
nauseabonda.
- Vorrei che la guerra finisse, che la gente sparisse. Per
natale voglio una dose endovena di ignoranza. Di anestetico. Di saliva.
- Natale è qui. La neve cade, corposa, mi sfiora
il viso. Esiste.
Sembra troppo piccola, eppure è capace di sfiorarti e di
‘farsi sentire’.
- E lui, l’amore, un segnalibro fra i miei pensieri.
- Un dannato segnalibro che segna la linea di confine fra me
ed un’altra persona, frutto di freddi inverni e notti e letti
e pelle.
- Amore, attorno a me nient’altro che il freddo
insediatosi
con forza sotto le mie unghie, freddo che lo proclama detentore di
questi
luridi pensieri da inscatolare.
- Sul mio diario
adolescenziale scrivevo:
- ‘Sai, mio disperato alterego. Certe volte vorrei
esplodere
d’emozione, abbandonare la mia vecchia pelle
d’apatia e penetrare in un corpo
seviziato di passioni. Rinascere nel caldo insopportabile
d’un primo
pomeriggio. Vorrei fumare e bere e cadere e rialzarmi e
baciare.’
- Ora dov’è il mio amore
adolescenziale?; le sensazioni che
tanto invocavo?.
- M’ha appannato come si fa con il finestrino. Sui
fianchi c’è
la condensa causata dal suo soffio caldo e umido d’alito.
Sapeva di chewinggum
tardo adolescenziale. Sapevi di
zucchero e manna e spago doppio.
- Ricordo Teignmouth fredda e callosa. Con i nasi rossi e i
maglioni alti.
- E anime fredde e dolore e solitudine e un amico e due amici e una band e
un’ancora di
salvezza.
- Teignmouth sarebbe sparita via nel cesso, per me, quindici
anni fa. Ma ora, ora la stringo a me. Più forte. Come se
fosse l’assurdo
pretesto per continuare a respirare, per respirare più forte
la passione con
Dom e Chris, per riemergere e suonare, suonare. Quando sul palco le
luci si
accendono il mondo scompare. I problemi si spengono.
- La mia gabbia toracica s’apre e il mio vero cuore
spicca il
volo, in pasto a riff famelici.
- Mi ricordo ancora di te; non preoccuparti, don’t
worry. Di te
mi ricordo.
- Ti avvicini sempre più
a me, con sguardo di sfida.
- E brina fra i capelli,
e labbra viola e dita gelide. E mi guardi, con il fiocco rosso che ti
strozza e
cela il tuo pomo. T’inchini con gesti suntuosi e mi premi sul
petto una
sigaretta per niente asettica.
- Mi bruci il velluto e
compri una ciocca dei miei capelli. Profumi
di neve sciolta, di pellicola, di coca cola. Di menta piperita, di
flauto, di
dita, di conchiglie, di cera, di mare, di pelle morta, di saliva e
labbra
screpolate.
- Mordi dentro.
- Ricorda che qui dentro esisti ancora, ti direi.
- Ma ora basta; fa freddo, il naso mi gocciola e le mani si
sono pietrificate.
- Dopotutto nessuno può salvarmi, se io non tendo
la mano.
- Se non mi lascio pescare, se non mi lascio uccidere
dall’aria per poi aspirarne.
- Non posso pretendere salvezza, se m’accascio
nelle rughe del
mio corpo.
- Non piangere, mi dici.
- Che poi sei il primo a piangere per i tuoi dolori, mentre
un
po’ del mio furore vola via.
- Basta riflettere. Fa freddo.
- Se non erro avevi una stufa nel tuo appartamento londinese.
Verrò.
Verrò solo per la stufa;
giuro.
-
-
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- Spazio dell’autrice.
- Salveee! Beh, sì. Lo so che ho Breathe da
continuare (se dio
vorrà) e che sono rompipalle e che mi volete tutti uccidere.
Ma devo dire che l’aria
natalizia ispira.
- Beh, spero vi piaccia e spero che non sia noiosa. Sono
delle
strane riflessioni di Matt in prima persona. Bah…
- Auguri di buon natale, cioccolatini.
- Loooooooooooooooooooooooooooooooove. ♥
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