Silenzio…
tacito accordo creatosi in un'attmosfera troppo tesa... una stanza provvista di ogni comfort:il salotto degno del miglior albergo, o più
semplicemente di una persona dai gusti raffinati e ricercati… un tavolino
basso, un divano a due posti e due poltrone… il tutto davanti ad un camino
acceso: l’unica cosa all’interno di quell’ambiente che facesse un qualche
genere di rumore seppur in modo disuniforme. Sulle due poltrone separate dal
tavolino ci sono due persone: una siede composta con le gambe accavallate ed un
bicchiere di scotch in mano, l’altra invece tiene le gambe piegate sul cuscino
della poltrona; un uomo e una donna, un ragazzo ed una ragazza, un biondo ed
una castana… la luce tremolante non permetteva di
capire di quale colore fossero quei capelli che ricadevano in morbidi boccoli…
gli occhi di lui: rilassati, dilatati, persi nel vuoto o forse persi nella
figura che aveva di fronte… il colore era decisamente particolare: grigi, ma
vividi. Non trasparenti e privi di espressione od opachi…
quelli di lei invece erano sicuramente scuri, ma non volevano assolutamente
staccarsi dal voler fissare con incessante insistenza la trama del tappeto
sotto al divano di fianco alle poltrone… il rumore del ghiaccio contro il
bicchiere le ricordò la presenza dell’altro; come se avesse mai potuto
dimenticarsene! Non alzò lo stesso gli occhi mantenendo il viso in ombra… mandavano avanti quell ascena già da un po’ incapaci di
affrontare il problema che li assillava. Non era così che doveva andare, lo sapevano
persino loro stessi, ma nonostante questo non erano
ancora riusciti a prendere il controllo della situazione lasciandosi
semplicemente sospingere dal vento. Magari il tutto si sarebbe risolto da solo.
Il
rumore del vetro in frantumi la costrinse però a voltarsi nella direzione
dell’altra poltrona per lo spavento! Il bicchiere era riverso per terra e il
contenuto ambrato portava alla deriva i cubetti di ghiaccio che conteneva per
mantenersi ad una temperatura decente per la degustazione, ma ormai nessuno più
avrebbe voluto assaggiare quell’ambrosia. Di certo non il ragazzo che fino a poco prima stringeva
svogliatamente il bicchiere stesso. La mano sinistra del giovane
stringeva spasmodicamente l’aria mentre le vene sul
dorso si gonfiavano e e tremori perquotevano l’intero arto sprigionandosi
dall’osso stesso come se qualcosa stesse cercando di spaccare tutto e uscire
fuori: manifestarsi nella propria presenza oppressiva davanti ad entrambi, dopo
un attimo di esitazione la mano destra si stringeva attorno all’interno
dell’avambraccio.
No…
non di nuovo…
Lo
sguardo del giovane correva dagli occhi di lei al
simbolo che la mano non riusciva a coprire completamente… la fronte corrugata
nello sforzo di non lamentarsi, il sudore freddo ad imperlargli le tempie, le
labbra dischiuse davanti ai denti serrati per incamerare più aria, le spalle
muscolose si alzavano e abbassavano assecondando i movimenti della gabbia
toracica… e in tutto questo nemmeno un suono. I due mantenevano il più perfetto
silenzio rotto soltanto dallo scoppiettio del fuoco. Ma
era stupore? Era autocontrollo? O era semplicemente
paura?
Il
dolore così com’era venuto sen’era andato, lasciando
il giovane spossato e con il fiato corto. Il suo signore lo stava chiamando:
reclamava la sua presenza per chissà quale nuova missione. Nessuno dei due
pareva intenzionato a rompere il silenzio statico che aleggiava. Con lentezza
esasperante il biondo si alzò in tutta la sua altezza, in quella posa
aristocratica che gli era stata imposta fin da piccolo e di cui lui aveva
sempre fatto sfoggio senza vergogna, ma anzi carico di orgoglio:
quello stesso orgoglio che gli impediva di guardare la ragazza neglio occhi
adesso che era lei a cercare il suo sguardo di ghiaccio. Tutto doveva passare
il secondo piano di fronte al suo signore. Tutto. Mosse i primi passi sentendo
lo sguardo caldo di lei addosso a se stesso: non lo
voleva mollare, non voleva che se ne andasse. Lui la oltrepassò. Serio.
Impettito. Deciso. Pochi passi ancora e poi più nulla fu una
certezza…
Si
fermò in mezzo alla stanza mentre l’assenza dell’eco
dei suoi passi incuriosiva la ragazza facendola voltare nella sua direzione. Lo
sguardo del ragazzo era ancora rivolto alla porta, ma la mente era assente. Non
c’era confusione in lui, mai gli era parso tutto così cristallino: si girò e
ripercorse quei opchi passi che lo separavano dalla
poltrona della ragazza e la
guardò. I loro sguardi si incatenarono
e si scrutarono, la mano di lui si porse verso di lei, lei la prese e si alzò
come richiesto. La differenza di altezza tra i due era
notevole, ma lo era soprattutto la corporatura. Lui la fissò ancora senza dire
nulla, sempre tenendo stretta quella mano. Il suo sguardo… da sempre era
riuscito a metterla in soggezione e ancora in quel momento le faceva quello stesso effetto.
-Non
ho molto tempo…-
La
sua voce bassa, calda, dolce… diversa da quella che gli aveva sentito negli
ultimi tempi…
-E
sarebbe sciocco sprecare quel poco che sto rubando
alla morte per tentare di smentire le ovvietà… questo non svanirà mai.-
Continuò
mostrando il braccio sul quale spiccava nero come la tenebra più buia, quella
che precede l’alba, il Marchio Nero, il marchio di infamia,
il marchio che sicuramente lo avrebbe portato alla morte prima o poi. Entrambi ne erano coscienti e nessuno si opponeva. Nessuno ne aveva la
forza. Lei però non capiva… dove? Dove
voleva andare a parare quel discorso? Aveva dunque ben interpretato la rigidità
che entrambi avevano negli ultimi tempi? Era così
dunque? Aveva scelto il suo signore e non lei?
-Sarebbe
altrettanto inutile farti credere che io fino ad oggi abbia
fatto la persona normale, la persona per bene… non voglio più farti
credere ciò che io non sono… odio il tempo che scorre così.. inesorabile! Mi
resta sempre meno tempo, ma ti giuro! Mai… mai potrei mentirti!-
Lui
distolse lo sguardo per fissarlo nella finestra che si affacciava sul giardino.
Era innevato: completamente ricoperto di neve.
-L’ho
sempre amata… quella neve candida e pericolosa… capace
di salvare o condannare a morte. Quei piccoli cristalli di ghiaccio che si
confondevano nel colore troppo chiaro dei miei capelli… capelli che mi hanno
sempre distinto dagli altri maghi come lo sono i tuoi per te… una volta mi dicesti che i miei occhi parevano del colore delle nuvole in
procinto di una nevicata… io ti ho creduta… un qualcosa di pericoloso che
nasconde un qualcosa di meravglioso, la neve… con la sua forma rigida e fredda,
ma così fragile al minimo calore… ora credi tu a me…-
Non
gli aveva mai sentito fare discorsi del genere:
parlava in fretta, senza perdere tempo. Sicuro. Dritto al nocciolo del
discorso, che però al momento continuava a sfuggirle…
-Tutto
ciò che ti sto dicendo… lo so… te lo leggo negli occhi… ti sta confondendo, ti
sta facendo del male… ma non tutto il male è arrecato
per fare dolore… in fin dei conti… gettare sale in una ferita è sciocco, ma
almeno ha delle capacità mediche, non trovi?-
Era
la prima volta in cui lei avrebbe potuto avere un’occasione per parlare, ma non
lo fece. Non sapeva assolutamente cosa poter dire… e in che modo avrebbe potuto
saperlo? Il discorso era ermetico, proprio come lui.
Il
marchio tornò a muoversi sul suo braccio facendogli abbassare lo sguardo per un
attimo…
-Non
ho più tempo…-
Con
le mani le prese dolcemente le spalle per guardarla
meglio in quegli occhi capaci di fargli perdere la ragione.
-Non
voglio essere come gli altri:
prometterti il mondo per poi lasciarti con un pugno di
cenere. No! Io voglio solo che tu capisca una cosa: io per te sono disposto a
fare qualunque cosa, non c’è prezzo, non c’è paura, non c’è menzogna… io per te
farò tutto ciò che è in mio potere fare. Diventerò ciò che fino ad ora non sono stato. Sarò sincero, sarò leale… sarò tutto quello che
il mio stupido carattere mi permetterà di essere… e lo
sarò per te e solo per te. Ma tu… tu devi fidarti di
me! devi riuscire ad avere fiducia in questo ragazzo
che sta rischiando tutto, anche in questo momento, per passare tre miseri
minuti in più con te… lo sai che non perdona, il Lord non perdona mai nessun
tipo di errore, ma io posso permettermi un leggero ritardo per te.-
Lo
sguardo si abbassò ancora una volta, come per trovare le parole adatte a quella
situazione… le parole che riuscissero a trasmettere
ciò che dentro il petto bramava di uscire… diavolo!! Perché non era mai stato
portato per questo genere di cose?! Semplice: non
aveva mai dovuto rendere conto di niente a nessuno. Non si era mai trovato in
situazioni per cui era doveroso giustificarsi e anche
se avesse dovuto farlo non si era mai preoccupato di farlo, perché lui è un
Malfoy, e i Malfoy devono sottostare solo al nome che portano, alle leggi della
loro famiglia, al rango della loro casata e all’orgoglio del loro millenario
albero genealogico.
Di
nuovo strinse gli occhi e li fissò in quelli di lei…
-Io
ho capito… ho capito che mentire a te sarebbe come
fare del male a me stesso… se dovessi mai mentirti io per primo ne soffrirei.
Perché non è di altre menzogne nei tuoi confronti che
ho bisogno… ci penserei già da solo a farmi soffrire al pensiero di ciò che
potrei farti prima ancora di averti potuto fare del male sul serio. Questa è la
mia garanzia: io non potrei mai farti del male… io ti amo, Ginevra.-
Ora
il discorso le era chiaro, cristallino. E lei era totalmente spiazzata… le mani
salirono tremanti a coprirle la bocca, gli occhi le si fecero
vividi, lucidi e parlavano al posto della voce che pareva non voler
assolutamente affrontare quella realtà. Dopo tutto quel tempo… ora aveva
finalmente capito di poter fare totale affidamento su di lui, di potersi
abbandonare nell’abbraccio protettivo che le porgeva. E
lo fece! La strinse a se come se fosse l’ultima cosa importante a quel mondo,
come se da quel gesto dipendesse la sua stessa
sopravvivenza, la loro stessa sopravvivenza. Le labbra di lui
cercarono e trovarono quelle di lei in un bacio appassionato e coinvolgente. Una volta staccati le riservò una carezza che palesava tutto
il suo sentimento per lei…
Fece
un passo indietro prendendo una minima distanza da lei e si smaterializzò.