Immaginiamo un
“e se…?” in cui Claude non ha
ucciso Alois: semplicemente, una volta arrivato sufficientemente
vicino a Ciel Phantomhive, ha cancellato il Contratto con il conte di
Trancy – la domanda “perché hai ucciso
Alois Trancy?” gli
viene posta comunque nel labirinto di rose, poiché
“l’omicidio”
è inteso come assassinio del cuore di Alois. Durante lo
scontro
finale con Sebastian, Claude non muore, tuttavia riconosce, come
nell’anime, che forse Alois meritava di essere divorato.
Immaginiamo che la fanfiction si svolga dieci anni
dopo tutto questo, in un ipotetico ritrovarsi di Claude e Alois.
Prompt utilizzati:
Hurt (Christina Aguilera), vento forte, sciarpa, Io non colgo i fiori:
chi vuole ammirarli deve venire a vederli sulla pianta: non appassiti e
morti nei vasi (La polizia bussa alla porta) ~ Per il contest. Indugia
sulla punta della lingua ~ Per la community Syllables Of Time.
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On The Tip Of The Tongue Butler
Seems like it was yesterday when I
saw your face
( If only I knew what I know today )
Alois avvolse strettamente la sciarpa viola attorno
al collo e premette la bocca contro la sua stoffa per ripararsi dal
vento freddo che spirava quella sera.
Nuvole ingrassate dalla neve avevano inghiottito la
luna, le stelle e forse anche il rumore, poiché il giovane
non
riusciva ad udire nemmeno lo scalpiccio dei suoi piedi sul terreno.
Non il più piccolo tra gli insetti, non il più
insignificante degli
animali.
Il conte si fermò innanzi un antico albero dal
tronco spesso, si aggrappò con ambo le braccia al pomello
del
bastone da passeggio e rovesciò la testa
all’indietro, verso il
cielo scuro.
Quella notte vidi la luna, rifletté e
levò
una mano a sorreggere il cappello, in procinto di scivolare
giù.
Questa notte lui non verrà a salvarmi, come non
è venuto in
questi ultimi dieci anni.
Stranamente, ogni singolo inverno, in quel giorno
preciso, in quel luogo dimorava il silenzio.
E nel silenzio echeggiava Claude.
Ogni sua parola, ogni deferente yes, Your
Highness, poteva sentire persino ogni gesto, come fosse stato
una
melodia nostalgica al suo orecchio.
«Houhe o Taraluna, Ron de Rotarel»
accarezzò con
la voce la sciarpa calda.
Oramai di quella frase era rimasta soltanto
l’accezione di sciocca filastrocca per bambini, adesso che
Claude
non rispondeva più ad essa; tuttavia era sempre sulla sua
bocca,
indugiava sulla punta della sua lingua e inevitabilmente, ogni anno,
almeno una volta si perdeva in quel silenzio così fitto che
Alois
stesso quasi non si udiva pronunciarla.
«… Houhe o Taraluna, Ron de Rotarel».
Il giovane sussultò.
D’improvviso il silenzio sembrava essere stato
rimpiazzato da qualcos’altro: una presenza, un respiro quasi
inesistente, la filastrocca mormorata a fior di labbra.
O, per meglio dire, il silenzio si era reincarnato
in Claude, che adesso sedeva accanto a lui, perfettamente uguale a
com’era stato dieci inverni prima, e lo guardava come per
ammonirlo
– si sta facendo tardi, dovremmo tornare alla
magione, padron
Alois –, come se non se ne fosse andato mai.
«Houhe o Taraluna, Ron de Rotarel».
Nemmeno se ne avvide, il conte, d’averlo ripetuto
ancora: era stato un riflesso incondizionato, un qualcosa di giusto
che semplicemente andava fatto, perché quella frase era
parte di lui
– Claude era parte di lui – ed era come se, qualora
il demone
avesse risposto, avesse potuto sincerarsi in quel modo che fosse
davvero lui e non mero frutto di un’immaginazione istigata da
un
cuore malato che invocava quel nome da anni – Claude,
Claude!
Quasi a voler imitare la sua posizione, Claude
distolse lo sguardo dal suo – che lo rifuggiva, temendo il
distruggersi dell’illusione – e l’affisse
sul cielo nero.
«Houhe o Taraluna, Ron de Rotarel,
Your Highness».
Soltanto allora Alois l’osservò a lungo, in
silenzio, e ritrovò il suo volto esattamente
com’era e come
sarebbe stato finché il demone l’avesse voluto. Si
girò su un
fianco perché tutto il suo corpo fosse rivolto nella sua
direzione,
tese una mano, accarezzò la bianca pelle d’una sua
gota.
E, quando anche Claude si volse verso di lui per
consentirgli di toccarlo come più gli aggradasse, il vento,
che
prima aveva a malapena smosso le loro figure, adesso spirava
direttamente tra i loro capelli – scompigliava da dietro
quelli del
demone, appiattiva quelli del giovane sulla sua testa – e
metteva
disordine nelle vesti di Claude, i cui orli sembravano dispiegarsi
parimenti ali nere attorno a lui.
«Che cosa sei venuto a fare?» chiese infine il
conte, si ritrasse e studiò il palmo con il quale
l’aveva
sfiorato, come se potesse scoprirvi qualcosa di diverso dal consueto
– come se il demone avesse potuto ustionarlo, o come se non
si
capacitasse di come ogni cosa di lui sembrasse suggerire che si
fossero detti addio soltanto il giorno prima.
«Sono tornato a prendervi, padron Alois» rispose
Claude.
«Non era necessario». Alois gli mostrò
la lingua,
in parte con disprezzo in parte con malinconia. «Lo vedi? Non
esiste
più alcun Contratto da almeno dieci anni».
«Ho commesso un errore». Il demone gli prese il
viso tra le mani ed inevitabilmente il giovane arrossì
parimenti
dieci anni prima, quando il tepore di quella pelle, il tepore
dell’amore che Claude gli donava – menzogne,
nient’altro che
sporche menzogne – era stato tutto ciò al quale il
suo cuore
agognava – come se fosse realmente cambiato
qualcosa da allora.
«Ho combattuto per un’anima che credevo meritevole
d’essere
divorata, ma soltanto quand’era troppo tardi mi sono reso
conto
che, sin dal principio, avevo fatto la scelta giusta, che avrebbe
dovuto essere lo spirito di Alois Trancy a riposare nel mio ventre
per l’eternità».
Il conte lo scacciò con uno schiaffo e si portò
all’impiedi per poter ingannarsi di stare ergendosi sopra di
lui e
sopra tutte le bugie che gli erano state raccontate –
ingannarsi di
non dipendere sia dall’uno che dalle altre.
«Per una volta anche tu hai sbagliato, Claude,»
commentò, increspando le labbra in un velenoso sorriso
pregno di
derisione «ed il tuo errore è tanto grande che non
è possibile
porvi rimedio. Ciel Phantomhive non ha voluto accontentarti? Oh,
povero Claude, mi dispiace così tanto!»
Scoppiò a ridere di quella
sua cristallina, beffarda risata, poi sul suo volto calò
l’oscuro
velo del tradimento e si strinse le braccia attorno al corpo, come
per difendere quanto esso conteneva. «Ma questa volta non ti
permetterò di saziarti di me: tu non meriti
quest’anima. Non
ti appartiene più».
You
know it’s so hard to say
goodbye when it comes to this
( There’s nothing I
wouldn’t
do
To have just one more chance )
Infine fuggì, pur consapevole che Claude avrebbe
potuto catturarlo senza difficoltà, se l’avesse
voluto – forse
sperava che lo facesse per davvero, che lo punisse e che il castigo
fosse quanto più doloroso possibile e gli si incidesse nella
pelle
per l’eternità, per ricordargli che quella carne
sarebbe
appartenuta al demone anche quando i vermi l’avessero
totalmente
divorata.
Corse sino a quando non ebbe più fiato per farlo e
soltanto allora si lasciò ricadere lungo disteso tra fiori
bianchi e
lilla dei quali non conosceva il nome, che davano mostra della loro
corolla soltanto con la luna piena. I loro steli erano cresciuti
liberamente grazie alla mancanza d’intervento
dell’essere umano e
adesso si piegavano alla forza del vento che sferzava la radura.
«Ripetetemi l’ultima domanda, padron
Alois».
Claude si chinò su di lui, sostenendosi con le mani
sulle ginocchia, ed i suoi occhiali scivolarono giù dal suo
naso e
caddero sul petto di Alois.
Il giovane li afferrò prima che il vento potesse
rubarglieli e ci giocherellò distrattamente mentre parlava.
«Perché
hai ucciso Alois Trancy?» mormorò con un fil di
voce, seppur in
modo leggero, quasi fosse una richiesta comune quanto una qualunque
altra.
Il demone assentì, quasi avesse smarrito il ricordo
di quel quesito ed esso fosse riemerso dalla sua memoria ora che
l’aveva udito ancora una volta, e si inginocchiò
sino a che le
punte dei suoi capelli solleticarono le guance del conte, arrossate
dal vento che le aveva sferzate durante il suo patetico tentativo di
fuga.
«Ho ucciso Alois Trancy a causa dei sentimenti
proibiti che provavo nei suoi confronti».
Il giovane chiuse gli occhi, annuì.
Sì, proprio come hai detto quella volta.
«Il motivo per cui quell’amore aveva
vita…»
«Sta’ zitto!» l’interruppe
Alois con una nota
d’isteria nella voce e portò le mani alle orecchie
per non
sentirlo. «Oramai quella risposta non ha più
nessun significato:
non lo capisci, Claude? Sei proprio stupido, lo sai? Questo
è un
addio! Ad-di-o!»
E rideva, rideva, folle, rideva per non piangere,
rideva perché le sue risate coprissero il suono del
terribile
ricordo, del suo cuore che scricchiolava sotto il peso della
sofferenza dell’addio di dieci anni prima.
Claude attese compostamente che le risate del
giovane si sciogliessero in un acuto risolino ed infine si
spegnessero del tutto senza che un solo sentimento intaccasse la sua
espressione contegnosa.
«Il motivo per cui quell’amore aveva vita
– ed
ha vita ancora adesso – è che il conte Alois
Trancy è l’anima
più gustosa sulla quale abbia mai avuto occasione di mettere
le
mani».
Il conte sorrise d’un sorriso d’amara mestizia,
ben più lucido dell’eccesso di risa di poco prima.
«Che cosa vuoi da me, Claude? Che cosa sono, il tuo
premio di consolazione dopo il fallimento con Ciel? Dicesti che il
mio spirito era marcito a causa dei sentimenti che nutrivo, che il
fiore che avevi scelto di cogliere era appassito – i tuoi
occhi mi
dissero questo, quegli occhi che tanto ho amato, quegli occhi che non
mentono mai, diversamente dalla tua voce, per quante belle parole
essa possa pronunziare. Dunque, dimmi la verità: che cosa
vuoi?»
Il demone si chinò a sfiorare il suo orecchio con
le labbra. «Se non volete credere alla mia voce, allora
cercate nel
mio sguardo, padron Alois, e ditemi che cosa vi trovate»
sussurrò.
Ed Alois fu preda di quegli occhi d’oro che per
dieci anni aveva potuto incontrare soltanto nei sogni: occhi che non
lo guardavano con disgusto, come se si trattasse di vermi radunati
attorno alla spazzatura, bensì quegli occhi che
l’avevano visto,
che avevano visto lui quando non era niente e l’avevano
desiderato
quando, in fondo, non aveva nulla per il quale essere voluto.
Che l’avevano amato e che lui aveva amato.
Occhi che incessantemente ripetevano un’unica
frase.
«Houhe o Taraluna, Ron de Rotarel» rispose loro il
giovane.
«… Yes, Your Highness?»
«Andiamo a casa, Claude» ordinò il conte
ed
allungò le braccia in alto, verso di lui, che prontamente lo
sollevò
e lo strinse al petto per ripararlo dal vento freddo, com’era
sempre stato solito fare.
«Ad ogni modo, padrone,» disse, mentre gli sfilava
gli occhiali di mano e li sistemava meticolosamente poco al di sotto
della radice del naso «se posso permettermi di contraddirvi,
i miei
occhi non possono avervi detto che “il fiore che avevo scelto
di
cogliere era appassito”. Vedete, io non colgo i fiori: chi
vuole
ammirarli deve venire a vederli sulla pianta: non appassiti e morti
nei vasi. E, sulla vostra pianta, laddove vi ho erroneamente
abbandonato, voi non siete mai appassito: al contrario, la vostra
anima ha avuto modo di germogliare e farsi ancor più
squisita».
«Allora desideri ancora divorarmi, Claude?»
Alois fece per allentare il nodo della sciarpa per
adagiarsi più comodamente contro il tessuto vellutato della
giacca
di Claude.
«Ovviamente, padron Alois. Sino al nocciolo più
intimo del vostro spirito».
Il maggiordomo glielo impedì ed al contrario
strinse maggiormente la stoffa viola intorno al suo collo.
«Non è
proprio il caso che vi prendiate una qualche malattia, mio
signore»
lo redarguì con pacatezza.
Il giovane arricciò le labbra in una smorfia
infastidita, tuttavia nel replicare il suo tono era quello
controllato e solenne di un padrone con il proprio servo:
«Dovremo
modificare i termini del Contratto, allora: non voglio più
Ciel.
Voglio te. Rimani con me sino a che non morirò; dopo, potrai
fare
della mia anima ciò che preferisci».
E di nuovo indugiavano sulla punta della sua lingua,
le parole, come se avessero saputo da sempre che quel giorno sarebbe
arrivato e fossero semplicemente rimaste in attesa.
«Houhe o Taraluna, Ron de Rotarel».
Il demone piegò la testa nell’elegante accenno
d’un inchino e catturò i suoi occhi con i propri,
che si tinsero
di cremisi.
«Houhe o Taraluna, Ron de Rotarel. Yes, Your
Highness».
«E, questa notte,» riprese il conte, con una nota
di scaltrezza nella voce e nel sogghigno «poiché
è così freddo,
il tuo primo ordine come mio maggiordomo per la seconda volta
sarà
tenermi compagnia nel mio letto e fare in modo di scaldarmi».
Claude accostò il viso al suo e
l’inclinò di
lato, tanto che le loro bocche quasi si sfioravano.
«… Yes, Your Highness».
E vi fu il suo sapore, quella notte, ad indugiare
sulla punta della lingua di Alois.
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