La Ragazza Delle Macchinette- Capitolo 2 (new)
La
mia giornataccia non era ancora finita,
anzi
avevo
la sensazione che fosse appena cominciata.
Il Figlio Della
Prof- Capitolo 2
Capitolo 2: Adesso Mi Tocca Anche Ascoltare La
Ramanzina Di Una Mocciosa
Se c’era una cosa
che proprio non sopportavo
di quel deficiente di Marco era la sua perenne preoccupazione per la
sorella.
Tra Marco e Camilla
c’erano appena quattro
anni di differenza ma lui l’aveva sempre trattata come una
bambina, nonostante
lei fosse una ragazza piuttosto indipendente che riusciva sempre a
cavarsela da
sola. Anche per me era come la sorella che non avevo mai avuto ma, a
differenza
del mio amico, capivo che a volte aveva bisogno di avere più
spazio, come
qualsiasi quindicenne di questo mondo. Un concetto che Marco stentava a
capire,
un po’ perché aveva la mania di proteggerla e un
po’ perché fin da quando
Camilla era nata i loro genitori l’avevano affidata alle cure
di Marco,
facendogli promettere di non perderla mai di vista e di aiutarla nel
momento
del bisogno. Loro non stavano molto a casa per colpa della professione
che
esercitavano. La madre di Marco era un cardiochirurgo mentre suo padre
era un
avvocato, quindi Marco si era sempre preoccupato di sua sorella. Per
lei aveva
imparato a cucinare e a cantare la ninnananna. Camilla adorava suo
fratello ma
da quando la controllava in modo così opprimente stava
iniziando a pensare che
gli mancasse qualche rotella. Non potevo di certo
biasimarla…
C’erano
stati talmente tanti episodi di Marco che pedinava Camilla che ormai
avevo
perso completamente il conto. La cosa preoccupante era che
l’aveva sempre
pedinata, o comunque seguita, fin da quando la sorella aveva imparato a
camminare.
Da un paio d’anni
aveva cominciato anche ad
uscire con dei ragazzini. A quanto diceva lei, e io le credevo, erano
solo
amici, ma da allora Marco era diventato ancora più ossessivo
nel volerla
controllare. Così da quando Camilla aveva iniziato a
frequentare le superiori,
un anno prima, quasi ogni giorno Marco mi trascinava davanti al Liceo
Scientifico De Giorgi per controllare la sorella.
Quanto lo odiavo! Se avessi
potuto lo avrei
preso a pugni, forse avrebbe riacquistato un po’ di buon
senso con una dose
massima di violenza!
Dubitavo che al mondo
esistesse un’altra
persona che controllasse la sorella o il fratello quanto e come faceva
Marco.
Come ogni volta
parcheggiammo gli scooter
dietro l’edificio del De Giorgi e tornammo verso il cancello
principale
nascondendoci dietro ad un enorme albero da dove Camilla non avrebbe
potuto
vederci.
-Marco, se mi chiederai
un’altra volta di fare
una cosa del genere preparati la tomba perché ti
farò fuori-, sibilai
minaccioso.
-Ho capito, ho
capito…-, rispose lui distratto
mentre il suo sguardo era puntato verso il cancello.
Ormai
mancavano pochi secondi al suono della campanella.
Diversa gente, probabilmente
venuta a prendere
i propri figli, si fermava a fissarci come se fossimo dei molestatori.
Avrei voluto uccidere Marco
in quello stesso
istante ma suonò la campanella e i ragazzi cominciarono ad
uscire da scuola
creando una vera e propria marea umana.
-Eccola-,
bisbigliò Marco con voce decisa.
In effetti individuai subito
Camilla in mezzo
alla folla di ragazzi che stava uscendo dall’edificio. Era
una ragazza di
altezza media con capelli biondi lunghi fino alle spalle. Lei e Marco
si somigliavano
poco o niente, sia caratterialmente che fisicamente, ma i loro occhi
erano della
stessa identica tonalità azzurro cielo. Ereditati dalla
madre.
-Togliamoci di qui-,
mormorò Marco vedendo che
Camilla stava venendo nella nostra direzione.
Proprio mentre ci stavamo
spostando verso il
muretto in modo da andare dietro l’edificio, notai uno
scooter passare non
troppo lontano da noi. Non sapevo perché ma la ragazza che
era alla guida mi
aveva attirato. Aveva il casco e non mi sembrava di conoscerla ma avevo
sentito
il bisogno di guardarla.
-Sbrigati-,
m’intimò Marco tirandomi dietro al
muro.
Dimenticai quella ragazza
sullo scooter nel
momento stesso in cui l’avevo vista, ero troppo impegnato ad
odiare Marco per
poter pensare ad altro.
-Hai visto?- mi chiese lui
incrociando le
braccia mentre io salivo sul mio scooter.
Lo guardai confuso.
-Visto cosa?-
-Come cosa?! Quel moccioso
che camminava
affianco a Camilla, quello che aveva due chili di gel tra i capelli!-
Oh certo, come se ci fosse
stato un solo
moccioso pieno di gel che cammina accanto a Camilla. Almeno tre quarti
dei ragazzi
che erano usciti dal De Giorgi corrispondevano a quella descrizione, e
io non
avevo di certo notato proprio a quello che stava accanto a Camilla,
sempre se fosse
esistito questo fantomatico ragazzo.
-Marco, quando si esce in
ottocento da un
cancello non tanto grande può succedere che si cammini
praticamente
appiccicati. Questo non vuol dire che devi far fuori tutti quelli che
camminano
a meno di due metri di distanza da Camilla-, dissi infilandomi il
casco.
-Fidati, il moccioso che ho
visto io non le
stava semplicemente camminando accanto. La guardava in un modo che non
potrei
mai fraintendere. Se mi capita tra le mani lo prendo a pugni fino a
quando non
avrà compiuto diciott’anni.-
-Esagerato…-,
mormorai mettendo in moto.
-Andiamo a casa mia?- chiese
lui accendendo lo
scooter e infilandosi il casco.
Annuii. In genere nei giorni
in cui mia madre
doveva rimanere a scuola anche il pomeriggio mi autoinvitavo a casa di
Marco
per pranzo.
Stavamo per partire quando
lo scooter di Marco
emise uno strano rumore. Mi voltai a guardarlo e vidi del fumo scuro e
denso
uscire dal tubo di scappamento. Poi si sentì un rumore
piuttosto inquietante e
lo scooter si spense.
-Ma che
diavolo…?- si chiese Marco smontando
dallo scooter e cercando di rimetterlo in moto, senza avere alcun
successo.
Mi tolsi il casco e osservai
il mio amico
cercare in tutti i modi di rianimare il suo destriero ma non ci fu
proprio
verso. Non c’era neanche un piccolo borbottio che potesse
dare una qualche speranza
che si decidesse a rimettersi in moto.
-Secondo me è
andato-, dissi con tono di
comprensione.
-Non dire così-,
esclamò Marco provando ancora
una volta a farlo partire.
-Guarda che è
andato sul serio-, continuai
notando che era inutile provare ancora.
Marco tentò
ancora una volta e poi diede un
calcio alla ruota stizzito.
-Accidenti a questo
trabiccolo!-
In effetti non era la prima
volta che
succedeva una cosa del genere, quello scooter era famoso per i suoi
capricci.
-Possiamo portarlo al
meccanico qui vicino-,
proposi rimettendomi il casco. –Vado ad avvisarlo tu intanto
comincia ad
incamminarti, ti aspetto lì.-
-Okay-, rispose Marco
sbuffando. Odiava dover
stare senza scooter e non potevo di certo biasimarlo, dopotutto erano i
nostri
mezzi di trasporto.
Arrivato dal meccanico lo
avvisai dell’arrivo
del mio amico e quello si organizzò subito per accogliere il
suo nuovo
“paziente”.
-Non è la prima
volta che succede una cosa del
genere-, spiegai all’uomo magro, alto e sporco di olio per
motori che mi stava
davanti nella sua tuta blu scura.
-Quindi ha provato a
metterlo in moto e si è
spento?- chiese lui cercando di capire.
-Proprio così.-
-Be’ potrebbe
essere qualsiasi cosa ma vedrò
di capire meglio appena avrò lo scooter sotto mano.-
Dieci minuti dopo Marco
arrivò spingendo
stancamente il suo scooter.
L’uomo con la tuta
blu lo prese in consegna e
ci disse di ripassare il giorno dopo. Avrebbe dato una controllata e ci
avrebbe
fatto sapere.
Ringraziammo e ci dirigemmo
fuori
dall’officina. Marco sbuffava ad ogni passo, era davvero
seccato e non potevo
di certo biasimarlo.
-In compenso, tolto quel
cavolo di scooter,
oggi è stata una giornata davvero interessante-, disse con
un sorriso enorme
che avrebbe fatto impallidire Eddie Murphie.
-A cosa ti riferisci?-
chiesi montando sul mio
scooter e prendendo il casco.
-A lei
ovviamente… -, rispose lui con aria sognante.
-Lei…?- mormorai
stranito, poi all’improvviso
capii. –Marco, non dirmi che stai ancora pensando a quella
pazza isterica delle
macchinette?-
-Certo-, annuì
lui convinto. –Come si può dimenticare
una ragazza simile, vorrei proprio riuscire ad avere il suo numero.-
Scossi la testa incredulo.
-Smettila di sognare-, lo
rimproverai mettendo
in moto. –Quella non è alla tua portata,
rischieresti solo di fare la figura
dell’idiota.-
Lui mi guardò per
un istante poi un sorrisetto
gli si dipinse sulla faccia mentre il mio sopracciglio si
alzò istantaneamente
sorpreso da quella sua espressione.
-Magari non è
alla mia portata ma alla tua sì,
eh Massi-, disse ammiccando. –Ammettilo che quella ragazza ha
affascinato anche
te.-
Per un attimo, ma solo per
un istante, gli
occhi di quella ragazza mi tornarono in mente, prepotenti e nitidi come
se
l’avessi avuta davanti in quel preciso momento. Erano occhi
diversi, erano occhi
che sentivo di voler conoscere meglio, ma non per questo quella tizia
mi aveva
affascinato. Più che altro, lei e il suo caratteraccio, mi
avevano decisamente
fatto girare le scatole. Piccola impertinente!
-Non dire stupidaggini,
razza d’idiota. Solo a
te potrebbe piacere una fuori di testa come quella-, risposi con un
tono
piuttosto convincente.
Marco mi fissò
ancora per qualche istante e
alla fine si arrese.
-Se lo dici tu. Per me lei
è una ragazza
davvero fantastica, varrebbe anche la pena di fare lo sciopero della
fame se
questo servisse a convincerla ad accettare un mio invito-, disse
infilandosi il
casco e salendo dietro di me.
Più lui diceva
sciocchezze del genere e più io
continuavo a pensare che per una così non avrei sprecato
neanche un secondo
della mia vita. Non aveva proprio senso perdere tempo con lei, avevo
decine di
ragazze ad aspettarmi e di certo non avrei mollato tutto solo per
seguire una
che probabilmente mi odiava già a morte.
Troppi rischi e poche
certezze per i miei
gusti.
Meglio che fosse Marco
quello a darsi da fare
per nulla, io me ne sarei stato in un angolino a guardare mentre la
pazza
isterica gli dava una sonora batosta. Una di quelle che il mio amico
non
avrebbe dimenticato troppo facilmente. L’idea mi piaceva
parecchio, lo dovevo
ammettere.
Il traffico di Lecce a
quell’ora di punta mi
sfiancava. Auto, scooter, autobus… La gente si riversava
sulle strade con
qualsiasi mezzo per prendere i bambini che uscivano da scuola, per
tornare a casa
o semplicemente per mangiare da qualche parte durante la pausa pranzo
dall’ufficio.
Marco ed io vivevamo in una
zona residenziale,
e le nostre case non erano troppo lontane l’una
dall’altra.
Quando finalmente riuscii a
divincolarmi dalle
code e ad allontanarmi dal traffico mi sentii decisamente meglio, anche
se
avevo come una strana sensazione che m’impediva di essere del
tutto tranquillo.
Era davvero strana, come di qualcosa che avevo dimenticato e che
cercava in
ogni modo di tornarmi in mente senza che io glielo permettessi. Era una
sensazione
di attesa e di ricerca. In effetti, non capivo neanche io cosa fosse ma
sapevo
che prima o poi avrei trovato il modo per appagare quel senso di
aspettativa…
Senza neanche rendermene
conto ero arrivato
davanti a casa di Marco e proprio in quel momento stava arrivando anche
Camilla
che tornava a casa con l’autobus.
-Avete fatto tardi-, disse
lei una volta che
ci raggiunse. –Che fine ha fatto il tuo scooter?-
Marco scese dal mio scooter
e si tolse il
casco.
-Non lo immagini? La stessa
fine che fa una
volta a settimana da due mesi a questa parte…-, disse
parecchio irritato.
-Ti ha lasciato di nuovo a
piedi?- chiese lei
con l’ombra di un sorriso divertito sulle labbra, ma per
fortuna lo notai solo
io. Senza farmi vedere da Marco ricambiai in pieno quel sorrisetto. Cam
era
davvero una forte, molto più sveglia e disincantata del
fratello. Se non
l’avessi considerata una sorellina, o addirittura una
bambina, ci avrei anche
potuto fare un pensierino, ma ogni volta che la guardavo mi tornavano
in mente
i nostri momenti passati, quando lei aveva ancora pannolino e ciuccio e
allora
ogni fantasia su di lei si spegnava immediatamente. Lei era
Cam… Solo questo.
Anche se ero certo che una
volta, da bambina,
lei si fosse presa una cotta per me.
Più che una
certezza era stata una sensazione.
Marco ed io avevamo appena tredici anni e Camilla ne aveva solo nove.
Era San
Valentino e a scuola le avevano fatto scrivere un bigliettino da dare
al bambino
che le piaceva. Tutte le sue amiche lo avevano dato ai bambini della
loro
classe ma lei lo aveva conservato e quel pomeriggio lo aveva dato a me
presentandolo come un regalo che voleva dare al suo “secondo
fratello”.
Nonostante avessi avuto solo tredici anni avevo capito che quella
lettera con
su scritto “Ti voglio un mondo di bene” sia in
italiano che in inglese, non era
solo il regalo di una sorella. Lo sguardo di Cam mentre mi aveva dato
quel
piccolo pensierino era inequivocabile: le sue guance erano rosse
d’imbarazzo…
Imbarazzo? Camilla Iovine non era tipo da imbarazzarsi o da arrossire.
Camilla
Iovine era forte e determinata, niente avrebbe mai potuto farla
arrossire,
tranne una lettera di San Valentino donata al ragazzo che le
piaceva… In quel caso
ero io quel ragazzo, ero io la causa del suo imbarazzo.
Non occorre dire che anche
Marco aveva capito
il vero significato del gesto di Camilla e la cosa non gli era piaciuta
per
niente. Non tardò a farmelo notare ed io non esitai a
spiegargli la mia posizione
al riguardo. In genere Marco riusciva a capire sempre quando mentivo e
quella
volta colse al volo quanto le mie parole fossero sincere.
Neanche un anno dopo,
cominciai ad uscire
seriamente con delle ragazze e pian piano vidi che lo sguardo di
Camilla
tornava ad essere quello di sempre. Lo stesso sguardo che rivolgeva a
Marco,
quindi capii: la sua era stata solo una cotta passeggera di quelle
durante le
quali si scrive il nome del ragazzo in questione sul diario, se ne
parla un po’
con le amiche, si fantastica un po’ su di lui ma niente di
più… Niente di
abbastanza duraturo, fortunatamente. Finì tutto
lì per la mia serenità ma soprattutto
per quella di Marco, che di certo non avrebbe mai permesso che la sua
sorellina
uscisse con me. Pensandoci mi veniva seriamente da ridere come un
pazzo.
-Quel catorcio!-
imprecò Marco stizzito mentre
entravamo in casa. –Devo dirlo a mamma.-
-Cosa mi devi dire?- chiese
una voce femminile
proveniente dalla cucina.
Marco, io e Camilla ci
guardammo. Erano anni
che la madre di Marco non tornava a casa per l’ora di pranzo,
in genere per lei
era più comodo restare in ospedale.
-Mamma?- chiese Marco
esitante.
Ci dirigemmo con calma in
cucina ancora
piuttosto increduli e ci trovammo davanti ad una scena più
unica che rara:
Mariangela Buttazzo era in cucina- e questo già era
incredibile- intenta a
controllare qualcosa nel forno.
-Salve ragazzi-, disse
chiudendo il forno e
sorridendoci.
-Mamma-, cominciò
Camilla esitante. –Che ci
fai qui?-
Mariangela sorrise.
-Avevo un po’ di
tempo libero e ho pensato di
tornare a casa per prepararvi il pranzo. Sono anche passata in
cartoleria, è
finalmente arrivato il libro di inglese che ti mancava-, disse rivolta
a
Camilla.
-Era ora-,
esclamò Camilla togliendosi lo
zaino e andando a vedere il libro poggiato sul tavolo della sala da
pranzo. –La
professoressa non la finiva di fare storie per il fatto che fossi
l’unica a non
avere il libro, non ne potevo proprio più.-
-Mamma-, cominciò
Marco posando a terra zaino
e casco. –Lo scooter mi ha lasciato di nuovo per strada, mi
sa che è arrivato
il momento di cambiarlo.-
Sapevo che quella frase era
costata al mio
amico almeno una mezz’ora buona di yoga interiore per trovare
la forza di
pronunciarla. Nonostante i genitori di Marco guadagnassero il triplo
dei miei
avevano sempre cercato di non viziare i loro figli. Lo scooter di Massi
era di
seconda mano e per averlo, due anni prima, aveva dovuto mantenere una
media
piuttosto alta in tutte le materie. Per lui era stato davvero uno
sforzo enorme
ma alla fine ce l’aveva fatta. Adesso era di fronte a sua
madre chiedendole uno
scooter nuovo e sapendo perfettamente che per ottenerlo lei gli avrebbe
di
certo chiesto qualcosa in cambio, un qualcosa che a lui non sarebbe
andato a
genio.
-Sai tesoro, in cartoleria
ho trovato una cosa
molto interessante.-
Marco ed io ci lanciammo
un’occhiata veloce.
Conoscevamo sua madre e quello sguardo non poteva voler dire nulla di
buono.
Lei prese la borsa e ne
tirò fuori un
volantino.
Ripetizioni
di matematica, fisica, chimica e biologia. Si accettano allievi a
partire da
scuole medie inferiori fino a scuole medie superiori. Chiamare il
numero…
-Ripetizioni di
matematica?!- chiese Marco a
dir poco sconvolto.
Sua madre sorrise sbattendo
un paio di volte
le palpebre.
-Se vuoi uno scooter nuovo
dovrai frequentare
queste lezioni e passare da un sei ad un sette in matematica altrimenti
puoi
cominciare a riempire il modulo per l’abbonamento
dell’autobus.-
Marco fissò sua
madre con sguardo di sfida.
Non era la prima volta che assistevo a quella scena, succedeva
piuttosto spesso
ma il risultato era sempre lo stesso…
-E va bene…-,
mormorò Marco in tono di resa.
Mariangela Iovine non
perdeva mai, e Camilla
era la degna figlia di sua madre.
-Bene, chiamo subito
l’insegnante.-
Mariangela
afferrò il telefono e dopo aver
composto velocemente il numero stampato sul volantino si
portò il ricevitore
all’orecchio.
Dopo diversi secondi, in cui
sapevo che Marco
stava pregando perché il telefono continuasse a squillare a
vuoto, qualcuno
rispose, per la somma gioia di Mariangela.
In quel momento Marco si
voltò facendomi dei
gesti, implorandomi di aiutarlo in qualche modo. Ma io che potevo fare?
Non era
nelle mie possibilità riuscire a fermare sua madre.
Gli feci segno di smetterla
e tornai ad
ascoltare Mariangela ma la prima parte della conversazione mi era
sfuggita.
-Salve sono Mariangela
Buttazzo la chiamavo per
sapere se è lei che dà ripetizioni di matematica.-
Un’altra risposta
affermativa e io non vedevo
più alcuna via d’uscita per Marco.
-Oh, bene-, rispose
Mariangela sollevata.
–Volevo sapere se è possibile per lei dare
ripetizioni a mio figlio.-
Lanciai un veloce sguardo a
Marco e notai il
suo sopracciglio sollevarsi, la sua solita reazione quando si trovava
davanti ad
una situazione che non gli piaceva per nulla.
La ragazza
dall’altra parte doveva aver
chiesto a Mariangela che classe frequentasse Marco visto che lei
rispose: -Il
quinto superiore.-
Dall’altra parte
doveva esserci stata una
risposta non proprio positiva perché Mariangela si
lasciò andare ad
un’espressione piuttosto sconsolata. Notai subito il
sogghigno soddisfatto e
speranzoso che si stava facendo lentamente largo sul viso di Marco.
Camilla
stava assistendo a tutta la scena con volto impassibile, sfogliando
ogni tanto
il suo libro di inglese.
-Oh-, disse ad un certo
punto Mariangela
piuttosto rattristata. Poi il suo sguardo si riaccese, cosa che a Marco
non
sfuggì.
-Credo di sì-,
rispose lei con un sorriso.
A quel punto ero curioso
anch’io di capire
cosa stesse succedendo, e soprattutto volevo capire se per la prima
volta Marco
avrebbe battuto sua madre.
Il sorriso che pochi istanti
dopo troneggiò
sul volto di Mariangela mi fece capire che anche questa volta, come
ogni volta,
l’avrebbe spuntata lei. Anche Marco doveva averlo capito
perché si rabbuiò,
sbuffando come una locomotiva.
-Lo farebbe davvero
signorina? Sa, sto
impazzendo, mio figlio non riesce a capire niente di matematica. Ho
provato
anche dei professori universitari ma non funziona nulla. Siccome
quest’anno ha
gli esami non voglio rischiare che venga bocciato, anche se riesce a
raggiungere la sufficienza.-
Marco lanciò uno
sguardo di fuoco dritto negli
occhi di sua madre, ma lei alzò le spalle divertita e lo
ignorò.
-E’
esattamente quello che ho pensato io-, disse la signora felice.
–Le va bene se
mio figlio si fa trovare a casa sua per le quattro?-
Mi voltai subito verso Marco
e lo vidi
socchiudere gli occhi irritato. La situazione stava per precipitare,
sua madre
lo stava facendo nero: ormai quella donna aveva vinto su tutta la
linea.
Mariangela
continuò palesemente ad ignorare le
occhiatacce del figlio e guardò il volantino poggiato sul
tavolo della cucina
davanti a lei.
-Era scritto sul volantino
che ho trovato in
cartoleria-, continuò con il suo sorriso soddisfatto.
-La ringrazio ancora-,
chiuse la chiamata e
si voltò verso di noi.
Marco ed io non pronunciammo
una parola, ci
limitammo a guardare Mariangela e la sua espressione di puro godimento
genitoriale… Qualsiasi ragazzo o bambino odiava
quell’espressione di
superiorità che assumevano i genitori quando sapevano di
aver vinto. E noi
figli, che non potevamo fare nulla per contrastare il loro volere, ci
limitavamo a contraddirli fino alla morte. I ruoli e le reazioni erano
le
stesse da secoli e non sarebbe stato di certo Marco la prima eccezione.
-La signorina è
stata davvero molto
disponibile-, cominciò Mariangela tutta contenta mentre
riponeva il cordless
sulla sua base. –Mi ha spiegato che anche lei frequenta
l’ultimo anno delle superiori
quindi è possibile che non ti possa essere d’aiuto
perché magari fate un
programma troppo simile, ma è disposta a parlare con te per
vedere se può fare
qualcosa. Alle quattro devi essere da lei.-
Marco socchiuse di nuovo gli
occhi pieni
d’odio.
-Non fare quella faccia.
L’indirizzo è qui-,
prese il volantino e lo sventagliò davanti agli occhi di
Marco. –Non è molto
lontano da qui. Con il tuo scooter ci dovresti mettere al massimo venti
minuti…
Ops, dimenticavo che il tuo scooter è morto lasciandoti
senza mezzo di
locomozione.-
Ci mancò poco che
Marco non cominciasse a
sputare fiamme mentre sua madre se la rideva contenta e divertita.
-Be’ ti potrebbe
dare un passaggio Massi,
vero?-
Ma perché dovevo
essere messo in mezzo anch’io
in quella specie di faida madre-figlio? Io non volevo avere niente a
che fare
con le loro discussioni ma come al solito, in un modo o
nell’altro, quei due
riuscivano sempre a strascinarmi dentro al vortice dei loro litigi.
A quel punto lanciai uno
sguardo a Marco e uno
a sua madre. Avevo due scelte: dire tranquillamente di sì
dando la mia
disponibilità e rischiando che Marco mi facesse una testa
così, o inventarmi un
impegno urgente e togliermi da quella posizione spinosa una volta per
tutte.
Per fortuna fu lo stesso
Marco ad aiutarmi.
-Se non hai impegni potresti
accompagnarmi da
questa tizia?- mi chiese facendomi capire che era davvero inutile
insistere.
-Certo-, risposi tranquillo.
Probabilmente
anch’io al suo posto avrei fatto
la stessa cosa. I suoi non gli avrebbero comprato uno scooter nuovo se
la sua
media in matematica non si fosse alzata. Marco stava alla matematica
come un
gallo potrebbe stare agli abissi marini. Da solo non sarebbe stato in
grado di
migliorare i suoi voti quindi tanto valeva farsi aiutare dalla ragazza
delle
ripetizioni.
-Grazie mille, Massi-,
esordì Mariangela
sorridendomi contenta. –Andate a lavarvi tutti e tre le mani,
tra cinque minuti
si mangia.-
-E cosa hai cucinato?-
chiese Camilla aggrottando la fronte.
-Pollo al forno con patate-,
disse sua madre
con una nota d’orgoglio piuttosto evidente.
Marco, io e Camilla ci
guardammo per un attimo
infinito. La mamma di Marco era un ottimo cardiochirurgo, probabilmente
il
migliore di tutta la Puglia, ma le sue abilità in sala
operatoria non potevano
essere paragonate a quelle culinarie. L’ultima volta che
aveva preparato il
pollo al forno con le patate era stata una tragedia. Patate crude e
salate,
pollo dal sapore orribile- aveva scambiato il sale con lo zucchero- e
praticamente al sangue- e per fare un pollo arrosto “al
sangue” ce ne vuole
d’impegno. Con un solo boccone Marco era stato male per due
giorni mentre io e
Cam ce l’eravamo cavata con un paio d’ore trascorse
tra crampi e dolori allo
stomaco.
Perciò, in
genere, era la nonna di Marco che
cucinava dato che abitava proprio di fronte a loro.
-State tranquilli-,
intervenne Mariangela che
evidentemente aveva notato le nostre facce sconsolate, per non dire
disperate.
–Ho preso il pollo in rosticceria e le patate le aveva
preparate la nonna, io
ho dovuto solo unire il tutto e mettere a scaldare. Le vostre vite sono
salve.-
-Dio sia ringraziato!-
sospirò Camilla sollevata.
-Non fare la melodrammatica,
Cam. Non cucino
così male-, rispose Mariangela risentita.
-Mamma-, cominciò
Camilla. –Se invece di fare
il chirurgo tu avessi deciso di diventare una cuoca come minimo avresti
fatto
fuori mezza Lecce. Sei un pericolo pubblico se ti metti ai fornelli.-
Mariangela si
voltò verso me e Marco ma
nessuno dei due se la sentì di smentire le parole di
Camilla. Aveva detto la
verità, anzi io ero convinto che avrebbe fatto fuori
l’intera città con provincia
annessa.
-E’ bello vedere
che i miei figli si fidano
così tanto di me.-
-Non è che non ti
vogliamo bene-, disse
Camilla, -ma ci teniamo alle nostre vite.-
-Vostro padre non si
è mai lamentato della mia
cucina-, incrociò le braccia scocciata, come una bambina
capricciosa.
-Le uniche volte che hai
cucinato per papà sono
state secoli fa quando lui stava cercando di conquistarti. Anche se li
avessi
rifilato una bistecca cruda ti avrebbe detto che avevi delle doti
culinarie da
vera chef, quindi il suo giudizio non vale-, Camilla concluse
così la sua breve
arringa.
-Io avrei fame-, intervenni
per cercare di far
sbloccare quella situazione e per far slittare l’attenzione
su un argomento che
non comprendesse l’incapacità in cucina di
Mariangela.
-Hai ragione, Massi-, disse
lei con voce
premurosa, proprio come se si stesse rivolgendo ad uno dei suoi figli.
–Andate
a lavarvi le mani così possiamo mangiare.-
Pochi minuti dopo eravamo
seduti a tavola a gustarci
un ottimo pollo arrosto con patate. Non c’erano proprio dubbi
sul fatto che
neanche una molecola di quella pietanza fosse stata cucinata da
Mariangela.
Quando finimmo di pranzare
erano appena le tre
perciò Marco ed io decidemmo di fare una partita alla Play
prima di affrontare
lo scoglio di andare da quella
ragazza.
Eravamo nella sua camera e
come al solito gli
stavo facendo vedere i sorci verdi, quando ad un certo punto Camilla
entrò- la
porta era aperta- e si mise a fissarci con sguardo contrariato.
Marco inizialmente
cercò di ignorarla ma
quando la sua squadra prese un gol perché era distratto
bloccò il gioco e si
voltò verso la sorella.
-Ti serve qualcosa?- chiese
scocciato.
Lei lo fulminò
con lo sguardo e sapevo che
quella sua reazione non avrebbe portato a nulla di buono.
-Sì, mi serve che
mio fratello la smetta di
seguirmi ovunque io vada, ti basta come risposta pezzo
d’idiota?- incrociò le
braccia con fare calmo, il che voleva dire che era incavolata nera.
Cavolo! Ci aveva scoperto,
questa Marco me
l’avrebbe pagata cara. Stavo facendo la figura del deficiente
davanti a una ragazzina
e in più sentivo che stava anche per arrivare la
ramanzina… Me l’avrebbe pagata
eccome quel citrullo del mio migliore amico…
-Io seguire te? E
perché mai dovrei fare una
cosa del genere? Ho di meglio da fare che seguire quella stupida di mia
sorella-,
disse lui ignorandola e sbloccando il gioco tornando a fissare lo
schermo del televisore.
Cercai di fare buon viso a
cattivo gioco e
tornai anch’io a concentrarmi sulla partita.
A quel punto Camilla doveva
essersi
imbestialita sul serio perché si parò davanti
allo schermo e ci fulminò
entrambi con uno sguardo così simile a quello di sua madre
che per un attimo mi
lasciò letteralmente senza parole.
-Potresti toglierti dalle
scatole…?- cominciò
Marco provando a guardare lo schermo spostandosi a destra e a sinistra.
-Prima dai
un’occhiata a questo.-
Prese il cellulare e gli
mostrò un sms che
riuscii a vedere anch’io. Era di una certa Alessandra.
Oddio,
Cam… Non puoi capire! Ho visto tuo fratello davanti a
scuola. Era insieme a
quell’altro strafico di Massimiliano Draco. Sono riuscita
anche a fare una
foto…
Ci avevano proprio sgamati
alla grande.
Camilla ci mostrò l’mms con molta calma, ma sapevo
che stava cercando di
trattenersi con tutte le sue forze dal farci fuori. La foto ritraeva me
e Marco
proprio dietro l’albero mentre lui aveva gli occhi puntati in
direzione di sua
sorella. Non era stata scattata troppo lontana dal punto in cui eravamo
quindi
era una foto nitida che non poteva essere equivocata.
-E non è
finita…-, annunciò Camilla aprendo un
secondo sms.
Ma
mi
spieghi come fai a vivere con quello schianto di Marco senza provare a
saltargli addosso?! Io pagherei per poter vivere sotto il suo stesso
tetto, con
quell’altro figo di Massimiliano Draco che gira per casa. Tuo
fratello e il suo
amico sono troppo boni!
Marco si voltò a
guardarmi sapendo che anch’io
in quel momento avrei voluto ucciderlo. Il mio desiderio era molto
più intenso
rispetto a quello di Camilla.
-Tolto il fatto che odio
sentire le mie amiche
che parlano costantemente di voi due e dei vostri fondoschiena, lo sai
che la
devi smettere di seguirmi. Non sono più una bambina e ho
diritto ad avere
anch’io una vita che sia mia.
Quando
te lo metterai in quella testaccia di granito?!-
Era davvero arrabbiata e
sentivo che bastava
davvero poco prima che si mettesse definitivamente ad urlare. Quando mi
accorsi
che Marco stava per risponderle lo anticipai dandogli una gomitata nel
fianco e
parlando al suo posto.
-Perdonaci Camilla,
sta’ sicura che non
accadrà più. Controllerò io tuo
fratello, non ti seguirà mai più-, lo dissi con
voce talmente convincente che Camilla sembrò subito
rilassarsi un po’.
-Sarà meglio, non
ne posso più di ritrovarmi
sempre voi due tra i piedi.-
-Sta’ tranquilla-,
rincarai io mentre
avvertivo lo sguardo di Marco puntato su di me. Avrebbe fatto meglio a
non
replicare altrimenti lo avrei gonfiato di botte seduta stante.
-Lo voglio sentire anche da
lui-, continuò
Camilla fissando il fratello ed incrociando le braccia con un cipiglio
serio.
Marco guardò
prima me e il mio sguardo di
fuoco e poi Camilla e i suoi occhi fulminanti… Non aveva
molta scelta.
-Va bene, ti giuro che non
ti seguirò più-,
disse arrendendosi.
Camilla lo guardò
per qualche attimo ancora un
po’ sospettosa poi con un sorriso si diresse verso la porta.
-E’ sempre un
piacere fare affari con te, fratellone-,
ed uscì dalla stanza portandosi via anche l’ultima
traccia del buonumore- già
quasi inesistente- di Marco.
Tra la storia delle
ripetizioni e sua sorella
che lo aveva sgamato durante la sua attività di
“Bodyguard/spionaggio” Marco
era davvero depresso. Neanche la partita alla Play riuscì a
farlo sentire
meglio.
Prima che ce ne accorgessimo
eravamo già
davanti alla casa della ragazza delle ripetizioni.
Marco si tolse il casco e suonò
il campanello.
-Chi è?- disse
una voce metallica dal citofono.
-Sono qui per le
ripetizioni-, rispose Marco
con lo sguardo di un condannato a morte pronto per dirigersi verso il
patibolo
e di conseguenza verso un destino inevitabile.
-Sali.-
Quella voce era piuttosto
seria e categorica,
avevo come la sensazione di averla già sentita. Un brivido
mi percorse l’intera
schiena, all’idea di cosa avremmo trovato una volta di sopra.
Una ragazza di diciott’anni
che dava ripetizione di matematica e di tutte le materie scientifiche
esistenti…?
Come minimo doveva essere una cozza occhialuta, con tanto di
apparecchio e
brufoli annessi. Se poi avesse avuto anche capelli ricci costretti in
delle
assurde trecce sarebbe stata proprio l’apoteosi…
Un altro brivido mi attraversò
la schiena. Non potevo proprio pensarci. Bleah!
Marco cominciò a
salire le scale mentre io
parcheggiavo lo scooter di fronte alla casa. Non avrebbe dato fastidio
là
quindi mi tolsi il casco e anch’io varcai la soglia di quella
casa. Salii tranquillamente
la prima rampa di scale e appena mi voltai vidi la sagoma di Marco in
cima all’altra
rampa. Se ne stava fermo, immobile con un idiota… Era
proprio fuori.
Continuai a salire i gradini.
-Marco, ho parcheggiato lo
scooter qua di
fronte. Credi che…-
Alzai lo sguardo e fu come
se un fulmine mi
avesse colpito proprio al centro della fronte.
Sapevo di aver
già sentito quella voce
metallica, sapevo che il suono categorico della ragazza delle
ripetizioni non
mi era nuovo, sapevo che la sensazione provata poco prima nel sentirla
parlare
l’avevo già sperimentata. Ma mai avrei immaginato
di essermi sbagliato così
tanto sul corpo al quale apparteneva quella voce. E quel corpo adesso
era
proprio di fronte a me, nascosto alla mia vista solo da un sottile
asciugamano
rosa, mentre degli occhi castani, profondi e anche un po’
increduli mi
scrutavano con terrore e rabbia.
***L'Autrice***
Ed eccomi qui con il secondo capitolo, ve l'avevo detto che
non vi sareste liberate di me anche se Il Figlio
Della Prof è ormai concluso. Spero davvero che
vi sia piaciuto
perchè non è stato semplice da scrivere, forse
è
stato quello che mi ha creato più problemi in assoluto. Come
sapete non mi risulta semplice immedesimarmi in Massi (anche se ce la
sto mettendo tutta) e in questo capitolo non è stato per
niente
semplice riuscire a vederla come lui... Non ci posso fare
nulla, non
sono un ragazzo e non essendo un'esperta del genere maschile posso solo
immaginare come Massi si comporterebbe in una situazione come quella
che ho descritto nel capitolo.
Comunque questo è l'ultimo capitolo che avevo
già pubblicato, quindi da il prossimo in poi sarà
tutto indito... xD Chi ha scoperto le vicende di Massi e Vale in questa
mia seconda ondata di pubblicazioni non si sentirà
più in soggezione al pensiero che le altre sapevano
già tutto... xD
Volevo solo spendere qualche altra parola per tutte le
persone che hanno seguito Il Figlio
Della Prof e che adesso sono in attesa di Verso La
Maturità (che comincerò a pubblicare
dal 19 febbraio). Vi ringrazio sempre ma non credo che sia mai
abbastanza perciò lo farò in ogni occasione...
Grazie per avermi seguita e un grazie ancora più caloroso se
lo state facendo ancora, cercherò di non deludervi con
questo POV... *-*
Comunque
vi ricordo che potete trovare molto altro riguardo "Il Figlio Della
Prof" in questi siti:
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e anche mie sciocche "pillole di saggezza")
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