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Allora,
gente, prima di tutto lasciatemi fare qualche appunto: questo è un missing
moment di "Twenty-eight",
storia che sto portando avanti da qualche tempo. Nel capitolo V, mentre la
nostra Elisa parla con Francesco, troviamo una piccola allusione su un fatto
passato - vi riporto il passo:
“Ti vedo distrutta anche oggi, ma cosa fai in ufficio?” ridacchiò Francesco.
“Ti hanno messo a spaccare le pietre?”
“Magari…” sospirò Elisa, togliendosi il giacchetto di velluto e mettendolo
all’attaccapanni. “Forse spaccare pietre non mi ridurrebbe così. Pietro è un
bastardo! [...]” E alla fine non aveva resistito: sbottò gesticolando in
aria come una pazza, convinta che se l’avesse fatto in presenza di Pietro
Orlandi non si sarebbe accontentata di smanaccare, ma avrebbe iniziato con
il mettergli le mani intorno al collo e a stringere finché l’ultimo sibilo
di stronzaggine non fosse uscito dalla sua bocca. [...]
“E dire che ci sei anche andata a letto.” Sogghignò lui [...] prendendola
per mano e conducendola seduta sul divano affianco a lui, mentre le
massaggiava un braccio per farla calmare. Era incredibile come le sue mani
potessero avere un potere tanto grande su di lei. Ogni volta che la toccava,
Elisa si sentiva più leggera, più tranquilla. Le piaceva che Francesco si
occupasse ancora di lei.
“Così pare. Io non ricordo niente.” Si affrettò a rispondere. Di certo non
faceva figura trovarsi sul passato un uomo come lui: forse bello, forse
famoso, forse ricco, ma decisamente una testa di cazzo bell’e buona! “E
certamente se fossi stata in me, non l’avrei mai fatto.”
Bene, questo che vi propongo è dunque quello che
successe quella volta, un salto indietro di due anni, nel passato dei nostri
protagonisti che ancora una volta ne passeranno delle belle ;)
Buona lettura!
Twenty-six: avventura di una notte di mezza
Estate
“Davvero, France, io non voglio andarci da sola!”
“E
allora non andarci proprio, no?” fece spallucce lui, mentre sorseggiava una
tazza di tè, seduto sul divano affianco a lei.
“Ma non
posso! Ho già detto a Pietro che ci sarei stata.” Insistette lei, avvicinandosi
a lui e scuotendolo lentamente per una spalla, rischiando di fargli versare il
tè caldo addosso.
“Elisa,
ho detto che non ci voglio venire.” Sospirò lui, passando la tazza nell’altra
mano e posandola sul tavolino di vetro davanti a loro. “E voglio riuscire a
guardare il film.”
“Will
Smith può aspettare – tra l’altro è anche un dvd – ma scusa, c’è la cena pagata,
siamo in una casa elegantissima, si festeggia… Cosa vuoi di più?”
“No, il
punto è che non sopporto queste feste aristocratiche, lo capisci?” la guardò
negli occhi esasperato. “Io sono il tipo da pizza e birra, non da lumache e
gamberi!”
“Nemmeno
a me piacciono lumache e gamberi, però ci vado.”
“Vacci,
allora, non rompere le palle ulteriormente.”
“Ma non
posso andarci da sola!” lo scosse nuovamente per un braccio, questa volta più
prepotentemente, visto che comunque non aveva più la tazza di tè in mano.
“Chiara è con Roberto, ha detto che forse veniva più tardi, ma non lo sapeva. Io
non voglio rimanere da sola con Pietro!”
“E
allora non andarci!” sbottò lui, roteando gli occhi.
“E come
posso non andarci? È una festa che hanno messo su proprio per festeggiare noi, i
nuovi assunti! Non posso non presentarmi.” Borbottò lei.
“Di’ che
ti sei ammalata.”
“Mi
hanno vista tutti oggi in ufficio e stavo perfettamente.”
“Potresti essere caduta dalle scale, allora.” Propose lui, il solito ghigno
sulle labbra. Le stava davvero provando tutte per poter sfuggire a quell’invito,
molto probabilmente ci si sarebbe buttato lui dalle scale, come scusa finale e
definitiva.
“Non
gufare.” Lo fulminò lei con lo sguardo. “E poi non è credibile.”
“No, sei
abbastanza goffa per non far venire sospetti a nessuno, credimi.” Le sorrise
sfacciato, guadagnandosi un debole pugno all’altezza delle costole, che non lo
fece nemmeno tossire – non che fosse negli interessi di Elisa.
“Grazie,
la tua gentilezza mi elogia sempre di più.”
“Eh, lo
so.” Ridacchiò, per poi passare un braccio intorno alle spalle di Elisa e
portandosela vicino. Lei appoggiò la testa al suo petto e chiuse gli occhi,
mentre Will Smith continuava a dare la caccia a degli strani esseri che non
potevano farsi vedere alla luce del sole. Molto probabilmente la trama era
davvero buona – Francesco aveva sempre avuto un ottimo gusto in quanto a film –
ma lei non aveva seguito niente di tutto ciò, presa com’era a convincere
Francesco ad andare con lei alla festa organizzata dallo studio Orlandi.
Il
respiro costante di Francesco, inoltre, aveva la capacità di distrarla del tutto
dalle scene che man mano si susseguivano, sempre più avvincenti, probabilmente,
data la musica incalzante che sentiva di sottofondo. Ma più che il respiro, era
Francesco in sé. Era da tanto che entrambi non si concedevano un momento solo
per loro, dovuto al fatto che negli ultimi tempi Elisa era stata fin troppo
occupata a pensare all’esito dei vari colloqui che aveva fatto, dopo essere
passata a vari concorsi – come d’altronde un altro centinaio di persone – e
Francesco era stato spesso e volentieri in giro. Elisa l’aveva visto più volte
tornare a casa con odori di donna sempre diversi addosso. Dormivano insieme, era
impossibile non notarli. Tuttavia non gli aveva mai detto di saperlo. Qualche
volta si rattristiva all’idea che Francesco ancora continuasse a frequentare
così tante donne differenti, dopotutto aveva ventisei anni ora, e le donne di
quell’età era ovvio che iniziassero a cercare qualcuno con cui passare veramente
la vita. Per questo, da un po’ di tempo a quella parte, Francesco sembrava stare
in casa più spesso. Nonostante il suo fascino magnetico, la sua incredibile
arroganza che il più delle volte si era rivelata fonte di conquista, Elisa pensò
che anche a lui le cose stessero andando male.
Non
erano discorsi campati in aria. Per niente. Lei per prima li faceva, perché alla
sua età, con una bambina a carico, vedeva benissimo e sentiva in prima persona
quello che stava accadendo anche a lui: non c’era nessuno disposto a stare con
loro. Molto probabilmente per due motivi differenti – nessuno avrebbe mai voluto
iniziare una storia seria con una ragazza-madre; e tantomeno una donna avrebbe
mai voluto essere considerata una da una botta e via a ventisei anni – ma era
ovvio che tutti e due non stessero passando un bel periodo. Solo la certezza di
aver trovato lavoro a distanza di un anno dalla fine degli studi fu per Elisa
fonte di felicità, mentre Francesco ancora immaginava il lavoro dei sogni
insieme al suo gruppo di amici. L’ultima cosa che aveva sentito al riguardo, era
l’idea di voler mettere su dal niente uno studio solo loro quattro.
“Ehi,
stai dormendo?” le sussurrò all’orecchio Francesco.
Elisa
aprì gli occhi e dovette abbandonare i suoi pensieri, forse fortunatamente, e
scuotendo la testa tornò a rilassarsi seguendo il rilassato movimento del petto
di Francesco, che si alzava e si abbassava con un ritmo quasi cullante. In
effetti, non ci sarebbe voluto molto per addormentarsi.
“Vuoi
andare a letto?” le chiese, carezzandole dalla spalla fino al gomito, mentre lei
si rannicchiava più comodamente contro di lui. Sapeva che non doveva farlo,
Chiara gliel’aveva detto più volte, ma era più forte di lei: Francesco aveva
qualcosa di irresistibile a cui lei per prima non sapeva opporsi. E visto che
comunque sembrava che a tutti e due servisse il calore di qualcuno affianco a
sé, perché allora non riscaldarsi a vicenda?
Per un
attimo Elisa si vide proiettata in un’immagine di loro come una famiglia, con
Sofia che dormiva in braccio a lui e lei che le accarezzava la testa dolcemente.
Sì, forse non c’era niente di così troppo astratto in quell’immagine, più volte
era successo, ma l’idea di essere veramente legata a Francesco, di
costituire con lui una vera famiglia, ancora non l’abbandonava,
nonostante ciò che era successo in passato tra di loro e di quello che avevano
deciso insieme. Questo non voleva dire però che tra loro non potevano esserci
momenti intimi, no? E poi se, come diceva Chiara, Elisa avesse avuto di che
pentirsi, be’… Sarebbero stati affari suoi, allora.
***
“Elisa
De Angelis, eccoti qui! Mancavi solo tu!” Pietro Orlandi la imprigionò in una
morsa ferrea e le diede un bacio su ogni guancia. Aveva le guancie rosse, molto
probabilmente aveva iniziato a bere non appena aveva messo piede in
quell’appartamento all’ultimo grido, che sfoggiava maschere esotiche ad ogni
parete, intervallate da quadri di pittori famosi come Van Gogh, Picasso e Monet.
Il proprietario della casa – che altro non doveva essere che un amico molto
stretto degli Orlandi – doveva essere qualcuno a cui uscivano i soldi dal culo.
“Chiara Santucci ha detto che non poteva venire, lo sai, vero?”
“Sì,
l’ha detto pure a me.”
“Ottimo,
allora possiamo riprendere da dove avevamo lasciato!” Pietro la sciolse dalle
sue braccia muscolose e afferrò un bicchiere da un vassoio di un tavolo lì
vicino, per alzarlo in aria e urlare probabilmente l’ennesimo brindisi della
serata: “A Elisa De Angelis, la nostra ultima e nuova arrivata!”
“A
Elisa!” fu la risposta di tutti gli altri presenti, alcuni eccitati, altri
svogliati, altri nemmeno alzarono il bicchiere.
Elisa
non amava questo genere di feste: erano troppo sofisticate per una come lei, che
adorava invece vestirsi con molta più libertà, invece di essere costretta ad
indossare quel tailleur – che non le piaceva nemmeno, ma che le aveva regalato
la madre accompagnando il regalo con un: “finalmente fai qualcosa di buono” che
sapeva incredibilmente di sincerità per Anna. Prese anche lei il primo di una
lunga serie di bicchieri di vodka che le passavano sotto il naso e si mise
seduta su un divanetto, mentre osservava le persone più diverse fermarsi a
parlare con lei, presentandosi come se fosse una star di un film vincitore di
qualche premio Oscar. L’avrebbe preferito a quella serata.
“Allora,
Elisa,” le si sedette affianco un Pietro Orlandi con la camicia sbottonata e la
cravatta totalmente sfatta. Aveva i capelli biondi spettinati e il sorriso di
chi doveva essere saturo di alcool. “Che ne dici di questa festa?”
“Be’,”
farfugliò lei, accavallando le gambe in direzione opposta a lui, con
l’intenzione di allontanarsi pian piano. “Davvero molto elegante. È di classe.”
Sorseggiò dal calice che aveva in mano.
“Ma non
mi sembri entusiasta.” Le si avvicinò, la vecchissima mossa dello sbadiglio
accompagnato dalla distesa del braccio sullo schienale del divano. Prossima
meta: le sue spalle.
“No,
no.” Si affrettò a negare, chinandosi in avanti per sfuggire alla sua tattica di
adescamento. “È che non sono il tipo che solitamente frequenta feste di questo
livello.” Sorrise impacciata, mettendosi una ciocca di capelli rossicci dietro
l’orecchio.
“Tranquilla, ti ci abituerai.” Le sorrise posandole senza più tanti sotterfugi
una mano sulla spalla. Elisa non poté negare che Pietro Orlandi fosse un
bell’uomo, ma c’era qualcosa in lui che non poteva tollerare. Già al colloquio
con suo padre aveva avuto una strana sensazione, quando le si era avvicinato da
dietro e le aveva messo le mani sulle spalle dicendo: “Papà, per me è
abbastanza, non credi?”
“Ehm,
sì, infatti.” Molto probabilmente niente c’era più falso del suo sorriso in quel
momento, nemmeno i soldi del Monopoli. L’unica cosa su cui però poteva contare,
era che Pietro fosse così ubriaco, che nemmeno se lo sarebbe ricordato, quel
sorriso. “Comunque, ora io vado un attimo in bagno, d’accordo?” si alzò,
togliendosi le sue mani di dosso e girò a vuoto per la grande stanza, afferrando
bicchieri di tanto in tanto e bevendo alla goccia il loro contenuto, serrando
gli occhi a seconda di cosa ingoiava.
Quando
arrivò al punto di veder girare la stanza quasi a rallentatore, capì che aveva
seriamente bisogno del bagno, perché ad ogni passo sentiva che il sapore di
alcool poteva tornarle in bocca sempre più pericolosamente.
Tastando
il perimetro del muro con la mano, trovò l’interruttore per avere un minimo di
orientamento in quelle quattro mura ed una volta individuata la tazza del cesso,
vi corse incontro e vomitò.
***
Era una
scena vista e rivista, purtroppo, per lui. E come tutte le volte, le corse
incontro per aiutarla. Le tolse i capelli dal viso e le mise una mano sulla
schiena per farle sentire la sua presenza.
“Mi
spieghi come mai ti trovo sempre in atteggiamenti così sexy?”
“Fottiti.” Biascicò lei, tra i colpi di tosse. La sua voce echeggiava nella
tazza del water.
“Grazie,
e io che sono venuto per te.” Ghignò.
“Potevi
anche restartene dov’eri a guardarti quella stramaledetta partita di basket!”
“E
perdermi uno spettacolo così eccitante di te che vomiti pure l’anima?” schioccò
la lingua divertito, allontanandosi un attimo per afferrare un asciugamano.
“Tieni, pulisciti.”
Lei gli
rubò l’asciugamano dalle mani e senza guardarlo si pulì il viso, mentre lui
ancora le teneva i capelli dietro la testa.
“Cosa ci
fai qui?” gli chiese poi, la voce cupa e gli occhi rossi.
“Be’,
avevi detto tu che c’era questa festa, no?”
“E tu
avevi detto che non ci saresti mai venuto.”
“Ho
cambiato idea.”
“E
Sofia?”
“L’ho
portata da tua madre – che non si è risparmiata di borbottare che siamo entrambi
degli irresponsabili.”
“Potevi
evitare allora che mi riducessi così!”
“Guarda
che hai fatto tutto da sola, Eli.” Le sorrise, accompagnandola al lavandino e
aprendole i rubinetti, mentre lei, con gli ultimi colpi di tosse, lo seguiva e
continuava a tenere il viso basso.
“Ma se
tu fossi venuto con me dall’inizio, io non mi sarei dovuta sorbire le avances di
quell’imbecille di Pietro!” Iniziò a lavarsi il viso, per poi chiedergli
l’asciugamano. Francesco glielo diede e le sorrise, facendola voltare verso di
sé per poterla guardare. Erano passati due anni dacché vide per la prima volta
una scena simile e in questi due anni Elisa non era minimamente cambiata. Aveva
sempre la solita faccia imbronciata con il labbro inferiore sporgente e la
fronte aggrottata come se volesse incutere terrore, ma lei non sapeva che
l’unica cosa che gli induceva quell’espressione era una risata divertita.
“È il
tuo nuovo capo, mi fa piacere che già lo reputi un imbecille.”
Elisa lo
schizzò con le mani ancora gocciolanti, per poi asciugarsi e portarsi via
quell’ultimo residuo di trucco che aveva messo agli occhi. Molto meglio senza,
se l’alternativa era quella di vederla con degli occhi neri come un panda. Lui
gliel’aveva sempre detto che lei non aveva bisogno di truccarsi, soprattutto
perché non è che si sapesse truccare proprio bene. Sembrava impacciata, quando
lo faceva.
“Ti
senti meglio, ora?” le chiese, passandole una mano intorno alla vita. Elisa
accennò ad un assenso e si appoggiò a lui. Per un attimo sembrò non avere più
forze, essersi addormentata come un sasso, e mentre lui la stava per prendere in
braccio per portarla via, lei si riprese, per poi serrare gli occhi. “Uhm, a me
non sembra. Vuoi andare via? Ti riporto a casa.”
“No, non
posso farmi vedere in questo stato.”
“In
realtà penso che ormai tutti ti abbiano già visto,” le disse, canzonandola. “Ma
Pietro ti supera notevolmente: quando sono arrivato stava accennando ad uno
streap tease in piedi su un tavolo.” Sogghignò, se uno come quell’Orlandi era
riuscito a mandare avanti uno studio di architetti, lui e gli altri come
potevano non crearne uno loro? “Dai, vai a prendere la tua roba, ti porto a
casa.”
“No,
no,” negò lei, cercando di allontanarsi da lui. “Ho solo un po’ di mal di
testa.” Lui la lasciò fare, tenendola sott’occhio mentre si dirigeva verso una
camera poco più in là, lungo il corridoio. “Bisogna solo che mi riposi cinque
minuti.”
“Allora
stai qui,” disse lui, aprendole la porta. Era una camera da letto molto ampia,
ornata da dei mobili antichi che contrastavano molto con il moderno e l’esotico
che si poteva assaggiare nella zona giorno di quell’appartamento, però dava un
senso di tranquillità e calore molto più che del soggiorno. Prese Elisa per un
braccio e la fece sedere sul letto, per poi uscire e socchiudere la porta. “Vado
a prenderti la borsa e un bicchiere d’acqua.”
Fuori
dalla stanza, si sistemò il colletto della camicia che indossava – una camicia
che forse aveva usato soltanto altre tre volte in tutta la sua vita – e si tirò
su le maniche, per poi tornare nuovamente nella grande sala e cercare dei
bicchieri puliti. Dovette rinchiudersi in cucina e frugare tra i mobili per
trovarli, evitando tutta una serie di donne di mezza età che lo guardavano
languidamente e altre colleghe di Elisa che più volte erano riuscite a
catturarlo a ritmo della musica da discoteca che ora riempiva la casa. Ne prese
uno dalla credenza sopra l’acquaio e lo riempì con l’acqua del rubinetto, non
trovando nessuna bottiglia.
La
battaglia più impegnativa ora era trovare la borsa di Elisa. Sicuramente lei
aveva dietro qualche aspirina, o almeno qualche pasticca per il mal di testa e
non appena sarebbe stata un po’ meglio l’avrebbe portata a casa, anche di peso,
se lei avesse continuato a impuntarsi.
“Scusi,
sa per caso dove -”
“Oh,
dammi pure del tu, non sono mica così vecchia, sai!” gli rispose una donna dai
lunghi capelli ossigenati e delle labbra di un rosso così acceso da oscurare
totalmente il colore degli occhi. “Oh, ma io ti conosco! Sei il fidanzato della
De Angelis!”
“No, si
sbaglia, io volevo solo sapere se -”
“Del tu,
dammi del tu!” ripeté alzando la voce, credendo che fosse per la musica che lui
non avesse sentito, e non per il semplice disinteresse alla sua richiesta.
“Sì,
d’accordo!” ribatté lui. “Dove è il guardaroba?”
“In
fondo a sinistra.” Indicò il corridoio da cui erano entrati.
Francesco si dileguò senza nemmeno avere il tempo di ringraziarla, fuggendole da
sotto gli occhi e le mani, che se non fossero state impegnate a tenere un
bicchiere di liquore e un pasticcino, sicuramente avrebbero iniziato a toccarlo
senza ritegno. Rabbrividì all’idea.
“Oh,
Francesco Vanni!”
Che
palle… Si passò
una mano sul viso e si voltò esasperato. Pietro Orlandi, suo ex compagno di
corso all’università, stava abbracciato ad una ragazza dai capelli rossi che
indossava un misero pezzo di stoffa, giusto a coprirle il seno e –
“Non
mangiartela con gli occhi! Lei è mia!” rise Pietro, prendendolo per le spalle e
rischiando di fargli cadere di mano il bicchiere d’acqua. “Per una volta sono io
che ti batto in fatto di donne, eh, Vanni? Sei solo?”
“Veramente sono qui con Elisa.” Chiarì, tanto per non farsi mettere i piedi in
testa e mantenere la sua superiorità su di lui.
“Ah, è
ancora qui? Pensavo fosse andata via, non l’avevo più vista in giro.” La sua
mano toccava spudoratamente il seno destro della ragazza, che rideva con falso
imbarazzo.
“Si è
sentita male.” Spiegò. “Tra poco la porto a casa.”
“E dove
è, ora?”
“Pietro,
avevi detto che avevi una sorpresa!” li interruppe la ragazza, strusciandosi a
lui.
Francesco notò la gonna che le si alzava senza pudore oltre il limite consentito
e i suoi occhi vennero catturati da un piccolo particolare: non indossava nessun
tipo di mutandine. O le aveva già tolte, o non le aveva proprio messe.
“Certo,
Sabrina, certo, intanto vai tu, ti raggiungo.” E l’allontanò con una pacca sul
sedere, mentre lei arricciava il naso ridendo stridula.
“Ora chi
è il più popolare, Vanni?”
“Oh, coi
puttanoni sei sempre tu, non ti batte nessuno!” il ghigno beffardo di Francesco
vinse sull’espressione sbigottita di Pietro, che finse una risata, risultando
nervoso e sconfitto.
“E… E
tu,” riprese posizione l’altro. “Continui a svezzare le verginelle?”
“No, ho
smesso,” sospirò falsamente lui. “È tempo che metta la testa a posto anche io.
Sai, a me non escono soldi dal culo come a te.” E detto questo si girò per
entrare nel guardaroba, sentendo un ultimo tentativo di ribaltamento della
situazione da parte di Orlandi, che gli urlava di essere solo invidioso del
successo che lui non avrebbe mai avuto. Francesco chiuse la porta della stanza e
roteò gli occhi. Non era stato sufficiente averlo avuto per un anno intero nello
stesso corso? Anche a quella festa doveva sempre cercare il modo di sfidarlo in
campo sessuale? Era sempre stato così, come se Pietro Orlandi volesse dimostrare
a tutti quanto anche lui potesse piacere alle donne. E l’aveva presa come una
questione di orgoglio personale.
È
questione di crisi d’identità sessuale.
Francesco cercò di scacciare quei pessimi ricordi e tornò al presente con il suo
problema più grosso: in una stanza interamente sommersa di borse femminili,
cappotti, giacche, giacchetti, borsoni, e chissà quanta altra roba, quale era la
borsa di Elisa? Si grattò la testa rassegnato e tentò di ricordarsi come fosse
vestita quando era uscita di casa, peccato solo che Lebron James aveva proprio
in quel momento fatto un canestro pazzesco…
Poi si
illuminò notando una borsa più sobria delle altre, nera e bianca, a tracolla e
decorata con un fine ricamo grigio sulla parte inferiore. Era la borsa che lui
le aveva regalato – sotto consiglio di Chiara – dopo una delle loro tante liti.
Spostò qualche cappotto e prese la borsa tra le mani, aprendola. Prese il
portafoglio e non appena vide la foto che immortalava lui con sua figlia in
braccio, scattata da Elisa il Natale scorso, non ebbe dubbi. Prese la borsa e
corse fuori dal guardaroba, attraversando la sala mentre pregava di non essere
urtato per non rovesciare il bicchiere d’acqua e tornò nella camera dove aveva
lasciato Elisa. Ovviamente non c’è limite al peggio. Francesco pensava che una
volta tornato in quella stanza, tutto sarebbe potuto essere più tranquillo, ma
evidentemente si sbagliava: Elisa non c’era più. Ebbe una voglia quasi
irrefrenabile di battere la testa contro il muro, ma non si diede per vinto.
Posò la borsa sul letto e il bicchiere sul comodino, per poi uscire a cercarla.
Non sapeva che ore fossero, ma la gente stava pian piano diminuendo. Fermò una
coppia di ragazze, ma non seppero rispondergli. Solo la solita donna ossigenata
riuscì a dire qualcosa di più concreto e altrettanto disgustoso: “L’ho vista
uscire con il vestito sgualcito, seguita da Pietro.” Francesco inarcò le
sopracciglia incredulo. “Non te l’aspettavi, eh?”
“Ma ora
sa dov’è?”
“Si era
rinchiusa in bagno. Pietro ha provato a farla uscire, ma non c’è riuscito.”
Rispose. “E dammi del tu!”
Ma
Francesco era già andato via, non tanto perché fosse preoccupato per Elisa – se
lei si arrabbiava, doveva essere lui a preoccuparsi per se stesso – quanto
perché non ce la faceva più a rimanere in quella casa per un minuto di più, non
in quelle condizioni.
“Eli,”
bussò alla porta del bagno, stanco. “Voglio andare a casa, mi apri così si va
via?”
“Solo se
sei solo!”
“Sì,
sono solo.” Disse esasperato, appoggiandosi con la testa e gli occhi chiusi al
legno della porta. “Dai, Eli.”
La
chiave girò nella toppa e la porta si aprì, mentre Elisa faceva capolino fuori
con la sua solita faccia imbronciata. “Perché hai fatto entrare Pietro?”
“Che
dici? Non ho fatto niente.”
“Ha
detto che doveva farmi vedere una sorpresa ed è salito sul letto.”
“Ti avrà
scambiata per la sua Sabrina. È talmente ubriaco che non riconoscerebbe nemmeno
sua madre.”
“Sta di
fatto che gli ho mollato uno schiaffo.” Disse lei, immusonendosi ancora di più.
“Hai
fatto bene.” Rise Francesco, offrendole la mano. “Ti ho preso la borsa, andiamo
a casa, ora.”
“Sì,
d’accordo.” Accettò la mano e uscì mogia dal bagno, facendosi guidare verso il
guardaroba da lui, che la sosteneva con una mano sulla schiena. Mentre lei
cercava il cappotto, lui tornò a prenderle la borsa nella camera dove l’aveva
lasciata, per poi raggiungerla all’ingresso, aprendole la porta e respirando
aria di libertà. L’accompagnò alla macchina, visto che non era il caso di
tornare in moto – Elisa non sembrava tanto piena di energie per potersi tenere
saldamente a lui – e partirono, diretti verso casa.
Sospettava che la serata si concludesse così, ecco perché le aveva detto di non
volerci andare, ma non gli sembrò opportuno farglielo notare in quel momento,
anche perché Elisa si era clamorosamente addormentata con la bocca aperta e per
niente aggraziata. Ma dopotutto lei era fatta così, e lui ormai sapeva come
prenderla. E, detto sinceramente, non gli dispiaceva.
__________________________________
E arrivata alla fine di questo piccolo momento,
parlerò più schiettamente: non doveva concludersi così. Innanzitutto l'epilogo
di questa piccola storia doveva essere tutt'altro, ma alla fine mi sono dovuta
ricredere - più perché l'idea non mi piacesse, per il fatto che forse questa
conclusione è quella che più si addice alla situazione (non tanto ai
protagonisti!) - in secondo luogo mi piacerebbe tirare le somme di tutto ciò:
Pietro Orlandi, quella sera, era sì andato a letto con una rossa, ma la rossa in
questione non era per niente la nostra Elisa, che anzi l'ha pure schiaffeggiato
per essere lasciata in pace. La donna che invece aveva più volte placcato - o
braccato? - Francesco, aveva assistito alla fuga di Elisa da Pietro, e quindi
aveva costruito intorno a quei due secondi visti, la storia che loro due fossero
andati a letto insieme. Da qui la voce si è sparsa in un batter d'occhio, perché
come si fa a non dar credito ad un gossip così succulento che parla di una notte
di passione tra una neo-assunta e il proprio capo? ;)
Da quest'immagine che mi era venuta in mente
quando buttavo giù le idee per la storia, è nata quell'allusione che avete
letto, che porta Elisa a pensare di aver fatto sesso con Pietro, e Francesco che
si diverte a prenderla in giro a sua insaputa.
Ehh, che mondo!
Insomma, spero che questo piccolo strappo nel
passato dei due protagonisti vi sia piaciuto. Posso solo scusarmi per la
confusione che magari potreste aver incontrato tra i pensieri di Elisa nella
prima parte, quando parla della sua situazione sentimentale - e quella di
Francesco - ma è un argomento che mi piacerebbe riprendere successivamente nella
storia principale, quindi non mi ci sto a soffermare troppo. Ovviamente, per
qualunque incomprensione, non fatevi problemi a chiedere!
Ok, via, sarebbe anche l'ora di chiudere le note
finali, quindi vi saluto!
Lasciate magari un commento, eh? ;)
S.P.
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