Punto. Poi linea.
Di nuovo un punto.
Per quello che fu,
per ciò che sarà.
Antichi bagliori di
vite illustri ci perdono questa notte
Cercatemi urlando
il mio nome, fatelo e vi risponderanno le strade
Che mi hanno amato mentre voi eravate distanti.
Finita una vita si
vive la morte. Sarà sconfinata.
Come la notte che
stanca ti sei accasciata sulla mia spalla
Lui lontano, noi
stanchi, l’alba ancora distante, il collo sudato pulsava al ritmo del cuore.
La vita è pesante
come la morte che vive di notte in questa città.
L’inverno ci vede
tagliare il vento gelato, coperti e stracciati dal bagliore lunare.
La Luna non splende più. La Luna sei tu, mia dolce promessa.
Scava, le unghie ti
assisteranno.
La notte d’inverno,
ti svegli e sono passati vent’anni
Amore, da quando
dormivi e sognavi la vita senza respiro ed affanno.
A volte spariscono
e basta..
Cerca sotto ogni
pietra la serpe che quando eri bambino
Mangiava quel topo
nel rudere di una campagna che in fondo poteva anche bruciare.
E tu sotto le spoglie di vecchi fantasmi.
L’asma della storia
si paga a prezzo di giorni di vita,
e molti ricordi sacrificati al perverso
piacere della battaglia.
Rivedere,
risentire. Rivedersi, risentirsi.
Un
giorno che vivi la morte
Un
secolo d’uomo e sesso sfrenato nelle carceri di mezzo mondo.
Credici
o no, in silenzio ci
siamo arrivati, per perderci senza rimedio.
Due
anni che pensi alla vita
Ma il sogno svanisce, sale l’attesa, la vita
finisce.
Incalza
questa sconfitta, amore, incalza
senza timore.
Incalza con la
paura di alzarsi e trovare il sole più nero, la vita più scura,
la morte vicina, la Luna promessa in sposa un pianeta che no, non sei tu.
Due secoli e mezzo,
un amore e tre quarti
Ventimila leghe di
puttane infuocate, il mio crocifisso
Il palo scoperto e
temuto, la triste promessa svelata.
Sta rotto il
segreto.
A volte spariscono
e basta.
Le vittime
dell’ossessione di quella madre un po’ strana
Svilita da mille
rimorsi e rimpianti
Siamo noi, quei
figli dai volti tumefatti
L’abbiamo voluto.
L’abbiamo studiato, ci siamo studiati. L’abbiamo provata.
Ci siamo provati
nel fango del nostro sudario sbiadito.
Fango
mortale, fango assopito, fango senza rimorsi, perché il fango alla luce del
sole non può divenire prezioso.
Il fango alla luce
del sole si secca. Ma puzza.
Figli, amori,
secoli di vite lasciate a metà
Promesse all’amore,
alla felicità
Lasciate a tremare
non appena l’inverno si allarga nel cuore.
Inutile che salti
in piedi a quel modo, non posso più aprire
Ci posso provare ma
non temere, se tremo, non mi scaldare.
La vita si insinua nell’osso più cavo, rifugio tremulo dell’ultimo
scarto di morte che resta al vivente, già nato, paziente.
Ci siamo, piccole
scorie iniettate di sangue.
La storia vi
chiama, siete famosi, la partita si gioca nei letti del mondo.
Chi perde, chi
vince, chi muore accecato, nessuno esce illeso dal grande
confronto.
Ma tu non temere. Ti aiuterò.
Chi siamo, piccoli nostri pensieri?
Idoli della tribù,
della piazza, cosa ci fate nella mia testa?
Abite, pessimi
poeti, da dove il male portaste.
Io più non leggerò.
Quello
che non vedi più
Resta offuscato
nella mia testa.
Il bacio
ermeneutico del tuo bel cuore
Mi resta incollato,
come sangue d’estate
Sotto quel sole
Il
sasso che graffia
La lama che chiede.
Ancora.
E sia.