Quattro amori ed un amico di troppo
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L’estate era appena
cominciata, il sole era alto, caldo, e sorridente. Si prospettavano
delle vacanze splendide, all’insegna del divertimento assoluto con le
mie amiche e il mio amico Paolo, senza il terrore di verifiche,
interrogazioni o compagnia bella.
Il paradiso, insomma.
Oltre alle uscite di
mattina, pomeriggio e sera, avevo programmato le mie fasi di relax a
casa, e mi ero organizzata per bene con i compiti-che per altro non
erano nemmeno molti.
Mi stavo preparando per la
prima uscita dalla fine della scuola, e non vedevo l’ora di tirar fuori
il naso da casa. Indossai i pantaloncini corti, la cannottiera, e le
immancabili scarpe da ginnastica. Poi, recuperato il mio cellulare,
finalmente dopo tanto tempo, rimontai sulla mia fidata bicicletta.
Di solito, con le mie
amiche, mi trovavo vicino alla biblioteca. La raggiunsi in quattro
pedalate, e nonostante la mia velocità, loro mi guardavano con un’aria
tutt’altro che allegra.
«Sei in ritardo!» mi
accolse gentilmente Paolo, il nostro amico. Usciva da tempo
indeterminato con noi, ed eravamo inseparabili. Per quanto gli
volessimo bene, talvolta quel ragazzo sapeva essere un tantino..odioso.
Essendo l’unico ragazzo, molte volte si atteggiava da boss assoluto, e
questa cosa a noi ragazze non andava proprio giù. Uno che imponeva il
suo parere e non ti dava possibilità di scelta, delle persone normali
l’avrebbero già scaricato. Noi però gli volevamo troppo bene, e anche
davanti alle cagate per cui litigavamo- o meglio, per cui lui si
arrabbiava- sopportavamo.
La prima tappa del
pomeriggio, fu la nostra gelateria preferita. Comprammo i nostri
gelati, e ci sedemmo sulle panchine davanti al negozio.
«La liquirizia ha un colore
schifoso.» commentò Chiara. Alice, che l’aveva preso, e quel gelato lo
adorava, la incenerì con lo sguardo. Poi assunse un’aria altezzosa:
«Invece è buonissimo. E la nutella non è molto diverso»
Non è normale,
probabilmente, che delle ragazze di quindici anni si mettessero a
discutere sul colore del gelato. Eppure, noi eravamo capaci di farlo; e
questo era preoccupante.
Sentimmo delle risate
acute, che sfioravano lo stridulo, e accompagnate da esse, vedemmo
arrivare Rachele e Greta. Non erano il genere di ragazza ‘buone e
educate’, anzi, tutt’altro. Fino a poco tempo prima, uscivano con noi.
Ma un’amicizia non poteva essere vera, se si creava zizzania ogni
istante, e lei –Greta-lo faceva. Si era allontanata tutto d’un tratto.
Non c’era dispiaciuto molto, soprattutto a Paolo: c’era una sorta di
rivalità tra di loro, ma quando volevano sapevano essere pappa e
ciccia.
«Che troie..» il commento
di Paolo non era stato molto discreto, e molto probabilmente lo
sentirono. Non volevo sapere quello che dissero, mentre entravano nella
gelateria.
Quando ne uscirono,
comunque, si misero nella panchina vicina alla nostra. Parlavano di
alcuni ragazzi che avevano conosciuto in un posto che non avevo capito.
Sembravano abbastanza su di giri.
«Se si mettono insieme,
voglio vedere quanto dura.» sorrisi a Chiara, anche lei stava
ascoltando. Beh, eravamo due impiccione- e in assoluto, forse la più
ficcanaso ero io...
«Due settimane» fece Alice,
buttando nel cestino il fazzoletto.
«Ma sei matta?- esclamò con
un’aria esterrefatta Chiara -Massimo un’ora!»
Alzai gli occhi al cielo:
«Che esagerata!»
«Scommettiamo?» mi porse la
mano, e io l’afferrai, sorridendo. L’avrei vinta io, questa sfida,
Chiara era decisamente drammatica. «E’ andata!»
C’era un posto, accanto
alle scuole elementari della nostra cittadina, dove andavamo sempre.
Era all’ombra, e completamente deserto. Solitamente, nessuno ci andava,
e a noi stava più che bene. Le poche volte che eravamo usciti,
quest’inverno, c’eravamo messi qui. Beh, col freddo non era il massimo,
ma quando cercavi un po’ di fresco d’estate, era perfetto!
«Uff» sbuffò Paul «Domani
sera parto per il mare..»
Corrugai la fronte: «Dove?»
«Toscana..» borbottò lui.
«Non ne ho proprio voglia.» si lamentò.
«Ma no, dai! Ti rilassi un
po’, e poi torni, non è una tragedia, sai!» gli disse Chiara, accanto a
lui sulla panchina. «Già, ha ragione.»
Il pomeriggio passò
velocemente, e verso le 6.30, quando Paolo stava per staccarsi da noi,
lo abbracciammo forte, augurandogli di passare una bella vacanza.
Andrea abitava fuori paese,
e mi chiedevo spesso se non avesse paura a tornare a casa da sola.
Entrai nella mia
abitazione, e esclamai un sonoro ‘ciao’ a mia madre, che sbucò
immediatamente. Sorrideva raggiante, era così allegra e solare che
faceva impallidire la stella.
«Viola, vieni a vedere chi
è tornato qui!» La guardai perplessa. Chi poteva essere tornato qui,
che conoscevo e non ricordavo? Proseguii nella cucina, e guardai i due
ospiti seduti al mio tavolo.
Per poco non svenni. Avevo
un adone greco seduto al posto dove solitamente mi mettevo io, e mi
guardava sbigottito. Mi pareva di averlo già visto, eppure non avevo
idea di chi potesse essere..
«Ti ricordi di Matteo,
vero?»
Probabilmente ora sembravo
la gemella di un baccalà, la mia espressione non doveva essere tanto
differente.
Sì che mi ricordavo di
Matteo. Era l’unica persona a me conosciuta che aveva quel nome, ed era
un moccioso di cinque anni, con i capelli corti e le guance paffute. Il
ragazzo davanti a me, era una specie di...di modello da copertina, con
degli occhi magnifici color miele e dei capelli biondo cenere che gli
donavano particolarmente, e le guance non erano più rosse e pacioccose.
Non ero sicura fossero la stessa persona.
«Ehm..non ne sono sicura.»
balbettai con un filo di voce. Guardai la donna che rise insieme a mia
madre, e li non potevo avere dubbi; sua madre la ricordavo bene, ed era
uguale a qualche anno fa, solo il viso era più maturo.
Era lui davvero. Matteo. E
non era più il bambino che ritenevo il mio migliore amico dieci anni
prima. Deglutii. Proprio per niente.
Non c’eravamo visti per un
sacco di tempo, esattamente da quando si era trasferito non so dove, e
le nostre madri si erano perse di vista.
E ora risbucava per far
venire un infarto alla sottoscritta: ma che gentile.
«Come sei cresciuta!» la
madre di Matteo mi abbracciò, poi mi osservò sorridente «Sei proprio
una bella ragazza adesso!» Arrossii fino alle punte dei capelli per il
complimento, e balbettai uno strascicato grazie.
«Ma anche tuo figlio è
diventato proprio carino!» commentò mia madre, con un’aria
indecifrabile, poi si rivolse a lui: «Hai la morosa?» Fu il suo turno
di arrossire come un pomodoro troppo maturo, il che lo rese ancor più
bello. Tossicchiò qualcosa in risposta, e io guardai molto, molto male
mia mamma. Solo lei poteva fare queste domande invadenti! «Oh, puoi
anche dirmelo, ti conosco da quando eri piccolo così! – fece la
distanza di circa due centimentri tra il pollice e l’indice- Ti ho
cambiato anche i pannolini!»
Non sapevo chi fosse più
imbarazzato tra me e lui. Io stavo andando in auto-combustione, e sarei
esplosa a momenti.
«Eh..io andrei a farmi una
doccia..felice di avervi rivisti!» scappai nella mia stanza, passandomi
una mano sul viso. Com’ero stupida... Ricapitolando: avevo un bel – ed
era un eufemismo definirlo così- ragazzo di là, nella mia cucina, mia
madre lo stava facendo morire di vergogna, e io al posto che rimanere a
rifarmi gli occhi ero scappata via. La mia furbizia non aveva limiti,
sul serio.
Oh mamma: mi stupivo io
stessa dei miei pensieri..
*
«Questo è molto bello, no?»
Andrea ci mostrò un vestito. Noi annuimmo, infatti era carino. Però era
un po’ esagerato, dopotutto non dovevamo andare a un gran galà. Stavamo
parlando di una sagra vicino alla nostra città, dove avremmo passato la
serata insieme. Era un diversivo per divertirci in modo diverso dalle
solite uscite serali.
Girammo alcuni negozi, e
alla fine non comprammo nulla di che. In compenso, c’eravamo divertite
davvero. Impossibile, veramente, non star bene con quelle pazze delle
mie amiche, che per altro facevano figure di merda su figure di merda
come si muovevano o come aprivano bocca: erano risate assicurate.
«Beh, ragazze, ci vediamo
stasera..» dissi, pronta per tornare a casa.
«Puntuale, né!» m’apostrofò
Chiara, con un’aria saccente, «La mamma di Andy passa per le sette!»
«Sì, ho capito, non
tarderò» borbottai, «ciao!»
Le raccomandazioni delle
mie amiche, però, non erano servite granchè. Infatti ero in ritardo
rispetto alla tabella di marcia. Non era servito prepararmi con due ore
di anticipo, ero ancora in ciabatte, e dovevo preparare la borsetta con
tutto quello che mi sarebbe potuto servire.
Riuscii a far tutto nel
tempo record di tre minuti, e corsi fuori, dove la macchina della mamma
di Andrea mi aspettava. «Scusate!» esordii, mentre salivo. Chiara mi
guardava solo leggermente linciante: «Mica dovevi essere puntuale?»
«Ho già chiesto scusa..»
«Al tuo matrimonio
arriverai con due giorni di ritardo, come minimo..» sfottè, gentile la
mia amica.
«Tu non sei meglio di me.»
ribattei, piccata. Mi fece una linguaccia, per poi incrociare le
braccia al petto, facendo l’arrabbiata. Alzai gli occhi al cielo,
mentre l’auto partiva, con, di sottofondo, la risatina divertita della
mamma di Andy. Passammo a prendere Ali, e proseguimmo fino alla fiera.
Veniva organizzata tutti
gli anni, e anche l’anno scorso c’eravamo venute, con anche Paul.
Quest’anno però eravamo solo noi. La madre di Andy si raccomandò di
chiamarla appena finito tutto, poi ci avviammo in direzione della
musica e delle bandierine. Era ancora presto per accendere i lampioni,
ma sicuramente, appena il cielo si sarebbe scurito, l’atmosfera sarebbe
stata fantastica.
Scegliemmo il tavolo, e ci
mettemmo a chiacchierare tranquillamente. Verso le sette e mezza, ci
mettemmo in coda per la cena. Le bibite le ritirammo subito, mentre per
i panini con la salamella dovevamo aspettare un po’. C’era tanta gente,
e di conseguenza tante ordinazioni.
Tornammo al nostro tavolo,
che per altro era fin troppo grande per noi. Eravamo in quattro e ne
occupavamo uno da otto. Ma comunque non avevamo altra scelta, erano
tutti uguali, posto più posto meno.
Chiara stava aspirando a
vuoto la sua bibita fresca, e Andy cominciava ad innervosirsi.
«Dacci un taglio, Chiara.»
«Okay» dato che era
infantile, la nostra amica, continuò, facendo ancor più rumore. Di
conseguenza, Andrea s’incavolava ancor più, e cominciò a lanciare
fulmini e saette contro di lei. Io e Ali ridevamo, ovviamente.
«Scusate?» in quattro ci
voltammo all’unisono alla nostra destra, dove un gruppo di ragazzi ci
guardava sorridente. Analizzai faccia per faccia, finchè non sgranai
gli occhi trovando quella inconfondibile di Matteo. Anche lui mi
guardava, e accennò un sorriso. Oh Dio, mi sciolgo..
«Sì?» rispose Ali, la più
schietta e la meno impressionabile delle quattro. Io non sarei riuscita
ad articolar sillaba in questa circostanza, se non farfugliare cose
senza senso.
«Potremmo metterci qui con
voi? Tutti i tavoli sono occupati, e voi siete solo in quattro...»
Alice si strinse nelle spalle, come a dargli il permesso, e loro si
sedettero tranquillamente. Davanti a me, c’era niente popò di meno che
il mio ex-migliore amico. Sì, proprio l’adone greco che stava seduto al
mio posto in cucina qualche giorno fa.
Riuscii a distogliere lo
sguardo dal suo viso meraviglioso –sì, lo stavo pensando sul serio-
quando Andy mi chiamò. Stava dicendo qualcosa, ma non riuscivo a
seguirla. Però una cosa la notai. Il suo sguardo era vacuo, le guance
piuttosto colorite, e la sua voce –che sentivo, nonostante non capissi
il significato- tremolante. Nascondeva qualcosa, e non so perché, ma
scommettevo centrasse il ragazzo accanto a Matteo. Non ero una
veggente, semplicemente mi ero accorta che quel tipo continuava a
fissarla con un sorrisino furbo.
«Ehi, Viola, che avete
preso?» persi un battito. Era la prima volta che mi rivolgeva
direttamente la parola, e avevo appena scoperto a mio discapito che
aveva la voce più bella che avessi mai sentito. Sentii sei paia di
occhi fissarmi improvvisamente. «Salamelle, voi? Che numero siete?» ne
approfittai, e mi voltai per guardare il tabellone, dove il nostro
numerino si avvicinava.
«Pizza. Uhm, tocca a noi.»
Sì alzò, e mi sorrise, «Torniamo subito.»
Appena ri ragazzi si
spostarono, Chiara mi voltò con forza verso di lei:
«Come.Fai.A.Conoscerlo.Dimmelo. Ora.»
Cincischiai con un «Mi
sembri Paolo» ma mi ignorò, senza commentare ad una frecciatina che
solitamente la faceva andare in bestia. «E-era il mio migliore amico
quando eravamo piccoli, niente di che..»
«Niente di che?! Ma l’hai
visto? Hai visto il suo amico?» strepitò, come una di quelle ochette
che sfottevamo solitamente. «No, evidentemente...» commentò Ali.
«Possono essere belli
quanto vogliono, ma se hanno un carattere di merda..» convenne Andy,
d’accordo con me. Questa situazione sfiorava l’assurdo. E poi, come mai
Andrea aveva detto così?
«Perché questa
conclusione?» incalzò Chiara, saggiamente.
«Beh, è ovvio» disse Andy,
con un’aria sicura.
I ragazzi tornarono con la
loro pizza, e si riaccomodarono accanto a noi.
«Comunque» esordì quello
che fissava Andrea, «Io sono Jacopo. Mentre loro sono Christian, Matteo
e Diego»
Ali prese la parola, «Io
sono Alice, e loro, be’, la già citata Viola, poi c’è Chiara –fece un
cenno, per poi scoccarmi un’occhiata indecifrabile- e quella scorbutica
che ha una spanna di muso è Andrea. Ma preferisce farsi chiamare Andy.»
«Andy.» Jacopo ghignò. Io
sinceramente non ci trovavo nulla di divertente nel nome della mia
amica. Lei intanto sembrava stesse per esplodere per l’irritazione.
«L’ho saputo, alla fine» quello scambio di battute lo stavamo seguendo
solo io e Matteo, perché Alice, Diego, Chiara e quell’altro..Ah già,
Christian, avevano cominciato una conversazione tutta loro.
«Taci, mollusco.» sibilò la
mia amica, e per poco non mi cadde la mascella per lo stupore.
Lui ghignò ancora. «E
smettila di ridere, non c’è nulla di divertente, idiota..» ringhiò. Lui
scosse la testa, sempre con un sorrisino a increspargli le labbra –il
che doveva far innervosire la mia amica a dismisura.
«Sì che è divertente. Sei
spassosa quando arrossisci e fai la finta incazzata»
«Il punto è che non sto
fingendo di esserlo, scimmia decerebrata che non sei altro..» Matteo
soffocò una risatina, e la camuffò con un colpo di tosse. I suoi occhi
incrociarono i miei.
Con ogni probabilità, aveva
pensato di dare un po’ di spazio a quei due, perché smise di ascoltarli
e si rivolse a me col tono di voce più vellutato che avessi mai udito.
«Beh, certo che ne è
passato di tempo..»
«Solo una settimana, a dire
il vero, da quando ci siamo rivisti..» precisai, facendolo sorridere
divertito. Il mio cuore fece una capriola.
«Ma dall’ultima volta che
ci siamo parlati, qualche anno..» ribattè poco dopo, portando una fetta
di pizza alla bocca e mordendone un pezzetto.
«Ragazze, io vado a
prendere le nostre salamelle.» borbottò Andy, alzandosi e sgusciando
via verso la specie di bancone improvvisato dove ti consegnavano gli
ordini. Jacopo si alzò subito dopo, «Vado a darle una mano.» e la
seguì.
«Qualcosa mi dice che la
mia cena non tornerà..»
Matteo ridacchiò. «Lo credo
anche io. La tua amica penso ucciderà il mio a suon di salamelle.»
Sorrisi. Non sapevo nemmeno perché- forse per la sua frase, forse per
il mio cuore che batteva così forte da farmi il solletico.
«Ma..dove sei stato in
tutti questi anni?» chiesi, cercando di moderare la voce.
«Oh, non così lontano. A
Milano» la mia uscita fu un intelligentissimo ‘wow’, che lo fece
sorridere di nuovo. Era..adorabile, quando lo faceva. Sembrava tornare
quel bambino tenero che consideravo l’altra metà della mia anima, tanto
eravamo appiccicati. Si passò nervosamente una mano sui capelli,
sistemandoli. Incredibile. Quel tic l’aveva avuto da sempre, e non gli
era ancora passato.
«Il lupo perde il pelo ma
non il vizio..» commentai, e lui arrossì. «Già.»
Rimanemmo per qualche
istante in silenzio, poi ricominciò: «mh..te lo sei ricordato..»
«Già»
*
«Beh, è stata una bella
serata.» convenne Chiara,con un sorrisino. Potevo giocarci una mano, ma
rischiava di essere molto più grande, quel sorriso, se non l’avesse
trattenuto.
«Sì, davvero!» Christian le
diede immediatamente man forte, con una smorfia leggermente ebete. Beh,
in effetti aveva tanto l’aria da pesce lesso.
«Ja, ja!» Diego sorrise ad
Alice, che intanto era scoppiata a ridere per la sua stessa pessima
imitazione del ‘ja’ tedesco. Avevamo scoperto che il ragazzo, infatti,
lo era. Da quel che avevo seguito-difficile da ammettere, ma non ero
riuscita a staccare gli occhi di dosso da Matteo-, lui le aveva fatto
qualche lezione di lingua tedesca.
«Forza ragazze, mia mamma
sta per arrivare..» borbottò Andy. Quel Jacopo l’aveva seguita tutta la
sera, come la sua ombra. E la mia amica non aveva apprezzato, a quanto
pareva. Non so che impressione a lei avesse fatto, però, per quanto
vedevo, quel ragazzo oltre che carino, non sembrava male
caratterialmente. «Beh, ciao bocciolo di rose..» le disse lui. La mia
amica mise su l’espressione più scettica e impassibile che le avessi
mai fisto fare, e gli fece un galante dito medio. Mi trattenni dal
ridere, ma l’ilarita passò nell’istante in cui notai che Matteo mi si
stava avvicinando.
«Beh, ci vediamo in giro!»
esclamò. Era il ritratto della tranquillità, mentre il mio cuore
sembrava volesse uscirmi dal petto. Diamine, cosa poteva fare il
bell’aspetto...
Sentimmo suonare un
clacson, e appena ci voltammo, trovammo la mamma di Andy. Ci avviammo,
salutando con un cetto tutti e quattro. Chissà perché, Andrea non mi
sembrava poi così allegra. «Allora, com’è andata?» chiese sua madre,
mentre metteva in moto.
«Oh, benissimo» borbottò la
nostra amica, senza troppo entusiasmo.
«No, davvero, è stata una
bella serata.» m’intromisi. Perché, per quanto riguardava me, lo era
stata. E anche per le altre due al mio fianco. L’unica poco felice era
lei, ma solo perché Jacopo le era stato appiccicato come una cozza.
«E chi erano quei ragazzi
che erano con voi?» chiese ancora, con un tono piuttosto malizioso.
Andy s’irrigidì. «Dei ragazzi.» rispose secca.
«Li abbiamo incontrati lì»
spiegò Alice, pacata, «Non c’erano più posti liberi e dato che da noi
c’erano ancora quattro posti non occupati, c’hanno chiesto gentilmente
se potevano sedersi.» La madre di Andy annuì, credendo a Ali: anche
perché era successo così.
Quando entrai in casa, mia
mamma era ancora in piedi a leggere un libro sul divano. Appoggiai la
borsetta, e mi sedetti accanto a lei. «Sai chi c’era stasera?»
«Chi?» chiese, togliendo il
naso dal libro.
«Matteo» risposi, per poi
sbadigliare.
«Ah sì?»
«Era con i suoi amici...»
detto ciò, mi rialzai e andai in camera mia.
Sbadigliai, e dopo essermi
messa comoda, crollai tra le braccia di Morfeo, che mi accolsero
gentilmente.
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