MidnightTrain Capitolo Primo.
Just a small towngirl Livin' in a lonely world She took the midnight train goin'anywhere
Just a city boy Born and raised in south London He took the midnight train goin' anywhere.
La stazione di King's Cross appariva
deserta agli occhi dei pochi viaggiatori che si aggiravano fra il
supermarket ed il tabellone degli orari in attesa del proprio treno.
Come in tutte le stazioni c'era una grande varietà di persone:
diverse origini etniche, diverse direzioni, diverse storie. C'era chi
correva in maniera frettolosa verso il treno per prendersi il posto
migliore, chi con aria stanca arrancava, chi attendeva l'arrivo di
una chiamata o di un messaggio continuando a fissare lo schermo
spento del proprio cellulare.
Il treno proveniente da Oxford si fermò
al binario numero nove per far scendere i passeggeri e farne salire
degli altri, per ripetere poi lo stesso tragitto. Una ragazza dai
lunghi capelli castani scese dal vagone e stringendo la borsa al
petto si diresse velocemente verso il grande tabellone luminoso che
indicava i prossimi treni in partenza: mancavano dieci minuti alla
mezzanotte, ovvero l'ora in cui sarebbe partito il prossimo treno per
Brighton. La giovane andò con passo spedito alla macchinetta che
stampava i biglietti e, dopo aver estratto nervosamente quindici
pound dal portafoglio, acquistò il biglietto e corse verso il
binario numero sette.
A mezzanotte in punto il treno diretto
a Brighton partì da Londra. La ragazza sedeva in un posto vicino al
finestrino e con lo sguardo spento osservava il paesaggio che si
mostrava ai suoi occhi. Man mano che ci si allontanava dal centro
della capitale britannica, la periferia si mostrava in tutta la sua
freddezza invernale e le luci diminuivano man mano.
Grazie alla posizione che aveva assunto
e alla scarsa illuminazione all'interno del vagone, fu facile per la
giovane scivolare in un dolce e caldo torpore che sarebbe
inevitabilmente continuato se non fosse stato per la rumorosa ed
esagerata suoneria che partì da un telefonino evidentemente lì
vicino. I pochi passeggeri che avevano scelto il vagone numero
dodici, alzarono spazientiti lo sguardo ed anche i grandi occhi blu
della castana scivolarono su un ragazzo seduto accanto al finestrino
opposto al suo. Aveva dei capelli neri leggermente scompigliati ed
era vestito in maniera decisamente impeccabile: sciarpa firmata,
cappotto costoso e jeans scuri. Si sarebbe potuto riconoscere a un
miglio incarnato in lui il tipico ragazzo di città e di buona
famiglia.
Daphne, questo era il nome della
ragazza, lo osservò attentamente, avendo finalmente trovato un
qualcosa di interessante su cui concentrarsi. Lui prese il
telefonino, spense la suoneria e continuò a fissare lo schermo che
si illuminava a intermittenza: evidentemente chiunque lo stesse
provando a contattare non aveva buttato la spugna facilmente. Sul suo
volto si dipinse una smorfia di insofferenza e si sistemò il
telefono nella tasca dei jeans. Per un solo istante girò la testa ed
il quel momento il suo sguardo incrociò quello di Daphne che
ringraziò mentalmente la mancanza di illuminazione che nascose il
rossore che colorò le sue goti.
Era incredibilmente affascinante e
misterioso, pensava Daphne mentre nascondeva con una mano metà del
suo viso. Aveva dei lineamenti molto lineari ed eleganti e portava
sul volto un'espressione che celava infiniti stati d'animo e che lo
rendeva così distante, così surreale. Era come se, seduto su quel
sedile, vivesse una vita inaccessibile a qualunque persona tentasse
di violare la sua privacy.
Quando il treno si fermò bruscamente,
Daphne tornò violentemente con i piedi per terra: fuori dal
finestrino c'era la stazione di una fermata intermedia. La ragazza
sospirò, voltandosi nella direzione dello sconosciuto e notando che
quella fermata non lo aveva minimamente turbato in quanto non si era
mosso di un singolo millimetro.
Una puzza di vino rosso e profumo
scadente invase il vagone non appena salirono dei nuovi passeggeri.
Daphne guardò sconcertata i due uomini che erano saliti, sperando di
non dare in nessun modo nell'occhio. Erano vestiti in maniera povera
e dal loro odore si intendeva perfettamente che avevano abusato sia
di alcolici che di sigarette.
-Io voglio sedermi vicino questa bella
ragazza, Jim.- Bofonchiò uno dei due, buttandosi poi sul sedile
vuoto proprio davanti a Daphne e cominciando a guardarla con malizia.
-Io invece voglio dormire proprio qui.-
Disse Jim, stendendosi su due sedili vuoti a pochi metri di lì.
-Sei di Londra allora, signorina?-
Daphne continuò a fissare fuori dal finestrino lottando contro i
battiti del proprio cuore che per la paura sembravano essere sul
punto di sfondarle la cassa toracica. -Perché non rispondi? Forse
non hai sentito la mia domanda?- La ragazza affondò i denti nel
labbro inferiore, imponendosi di non muoversi di un millimetro
malgrado fosse convinta di aver cominciato ormai a tremare. -Hai
sentito si o no?- Lo sconosciuto sembrava si stesse innervosendo ed
infatti avvicinò pericolosamente il suo viso a quello di Daphne. Il
suo alito puzzava talmente tanto di vodka che la giovane pensò di
essere sul punto di svenire.
Accadde tutto velocemente: l'ubriacone
afferrò Daphne per la sciarpa che teneva intorno al collo e la
avvicinò tanto al suo viso da far quasi sfiorare le loro labbra e,
proprio quando la ragazza aveva chiuso gli occhi aspettandosi il
peggio, qualcuno aveva allontanato vigorosamente l'uomo afferrandolo
alle spalle.
-Stalle lontano.- Una voce maschile
scandì lentamente quelle due parole e, malgrado Daphne avesse
compreso che il pericolo si era allontanato, non riusciva ancora ad
aprire gli occhi. Continuava a tremare con forza, maledicendo se
stessa e quella sua folle decisione di andare a Brighton. Perché
proprio a Brighton poi? Una miriade di stupide domande cominciò ad
affollarle prepotentemente la testa in una sorta di meccanismo di
autodifesa: perché aveva mangiato il croissant con la cioccolata se
odiava profondamente la cioccolata quella mattina? Perché proprio il
treno della mezzanotte e perché proprio quella cabina? Era il karma,
era inevitabilmente il kar...
-Ehi, stai bene?- La stessa voce
maschile che l'aveva salvata tornò a riempire con dolcezza le
orecchie di Daphne. Due mani grandi e calde sfiorarono il suo viso e
la ragazza si sentì incredibilmente protetta e al sicuro.
-Io... Si, sto bene.- Deglutì, aprendo
infine gli occhi ed incrociando nuovamente quelli del “ragazzo di
città” che aveva osservato prima della fermata intermedia. Così
da vicino era ancora più mozzafiato la sua vista: aveva degli occhi
del colore degli smeraldi ed un neo proprio sopra l'angolo destro
della sua bocca. Lui sorrise, sedendosi poi al posto libero accanto a
Daphne ed allontanando le mani dal viso della ragazza.
-Avrei dovuto capire immediatamente le
intenzioni di quel tipo,- cominciò a dire, lanciando di tanto in
tanto un'occhiata ai due ubriaconi che ora dormivano felicemente a
qualche schiera di sedili da loro. -ma ero completamente
sovrappensiero e non ci ho fatto assolutamente caso. Scusami.-
-Mi hai tirata fuori da una brutta
situazione. Non devi scusarti di nulla. Anzi, ti ringrazio.- Ogni
parola che usciva dalla bocca di Daphne sembrava costarle
incredibilmente tanto: era come se un macigno si alzasse ad ogni
sillaba che pronunciava. Si sentiva in imbarazzo ed assolutamente
inadeguata davanti ciò che le era successo così in fretta.
-Io sono Nathan.- Sorrise, guardandola
fisso negli occhi.
-Daphne.-
-Ti sembra una domanda indiscreta se ti
chiedo perché sei sul treno per Brighton della mezzanotte?- Domandò
curioso, perdendosi per qualche istante nell'intenso blu degli occhi
di Daphne. La ragazza sorrise, arricciando le labbra.
-Potrei farti la stessa domanda.-
Ribatté prontamente lei, ridacchiando poi con dolcezza.
-Mi annoiavo.- Rispose Nathan,
poggiando la schiena sullo schienale e socchiudendo gli occhi. -Mi
sono detto: Brighton, perché no?-
-Già: Brighton, perché no?- Ripeté
Daphne mentendo. Lei di certo non era partita da Reading per andare a
Brighton per semplice noia, anche perché quella bravata notturna le
sarebbe costata l'ira degli zii. Sospirò, tentando di scacciare via
il pensiero.
-Pensavo di essere l'unico folle e
invece...-
Si scambiarono un'occhiata prima di
scoppiare a ridere. Fu come se per un istante le loro anime si
fossero liberate dei pesi che li avevano condotti a spendere quei
quindici pound per un biglietto del treno per andare verso la costa.
Il resto del viaggio passò in silenzio
e cinquantadue minuti dopo aver lasciato la stazione londinese, il
treno arrivò a destinazione. I passeggeri scesero lentamente,
caricando ogni passo con la propria stanchezza, le proprie
preoccupazioni. Daphne e Nathan scesero silenziosamente, senza
rovinare quella atmosfera che si era creata con tanta naturalezza.
Dopo aver fatto una ventina di passi nella direzione dell'uscita
della stazione, fu Nathan a rompere il silenzio schiarendosi
inizialmente la voce.
-Tu avevi in mente una meta?- Domandò,
guardando con interesse la ragazza. Daphne scosse la testa, cercando
di non proferire parola. Infondo lei non era mai stata in posti che
non fossero Reading e Oxford, ovvero dove andava all'università. Era
stata a Londra solamente per una gita con la sua classe quando aveva
dieci anni. -Lasci l'ardua scelta a me, eh?- Ridacchiò,
soffermandosi poi a pensare. Daphne osservò l'espressione buffa e
pensierosa che si dipinse sul suo viso e si ripeté che non poteva
assolutamente svelare a quel ragazzo il perché del suo viaggio, il
fatto che fosse una ragazza di una piccola città e che si potesse
permettere l'università solo grazie alla borsa di studio. Per una
sera sarebbe stata per quel ricco ragazzo di città la ragazza che
sarebbe sempre voluta essere. -Andiamo sul lungomare? So che è
inverno e so che fa freddo, ma non sono mai stato a Brighton a
dicembre e di conseguenza non conosco nessun altro luo...-
-Va benissimo.- Daphne sorrise e
prontamente anche le labbra di Nathan si piegarono in un ampio
sorriso. Si incamminarono così per la lunga via principale che
portava alla costa. Era incredibilmente semplice parlare con Nathan:
il fatto che fosse un perfetto sconosciuto che probabilmente non
avrebbe mai più rivisto rendeva molto più naturale parlare, esporre
le proprie idee ed i propri interessi.
-Niente domande personali.- Decretò ad
un tratto Daphne, guardando Nathan senza riuscire a scacciare il
sorriso.
-Niente di niente?- Domandò,
aggrottando le sopracciglia.
-Niente di niente.- Ripeté, abbassando
per un attimo lo sguardo e tornando poi ad affrontare quel verde così
incantevole. -Abbiamo l'occasione di essere noi stessi per una notte,
non sprechiamola con stupide domande ordinarie che possiamo porci
ogni giorno.-
-Ti sbagli.- Daphne inarcò un
sopracciglio. Si sbagliava? Fece per aprire bocca ma Nathan scoppiò
a ridere. -Non abbiamo una notte
ma malapena quattro ore visto che alla cinque c'è il prossimo treno
per King's Cross. Devo infilarmi nel mio letto prima che mia madre
tiri giù tutto il palazzo con le sue urla... Diciamo che alla
vigilia di Natale non sarebbe decisamente l'ideale cominciare la
giornata in quel modo.-
La vigilia di Natale. Era
veramente il ventiquattro dicembre? Mancavano circa due settimane
all'inizio delle lezioni ad Oxford: due settimane e sarebbe potuta
tornare ai suoi alloggi, lontana dagli zii e dall'odio sviscerato che
correva reciprocamente.
-Allora sfruttiamo
come si deve queste quattro ore di naturalezza.- Si corresse,
allontanando con la squillante risata ogni cattivo pensiero.
Succede delle volte
che due vite si incrocino nella più completa inconsapevolezza.
Succede che il destino riesca a tessere con tanta perfezione la vita
di ciascuno da stupire anche il più scettico degli uomini. Succede
che due persone si incontrino e siano destinate e non slegarsi più.
Il lungomare di
Brighton era illuminato da molti lampioni ed era tristemente vuoto
rispetto le serate estive. Tuttavia passeggiavano ancora molti
gruppetti di ragazzi e, malgrado il freddo, sembrava che il lunapark
lavorasse a pieno ritmo come suo solito. Nathan si poggiò ad un
muretto, tirando fuori dalla tasca del cappotto un pacchetto di Lucky
Strike blu.
-Ne vuoi una?-
Disse, allungando la mano in cui stringeva il pacchetto di sigarette
nella direzione di Daphne. La ragazza annuì, prendendone una e
portandosela alle labbra. Nathan accesa prima quella ragazza e poi la
sua, sciogliendosi dopo la prima boccata in un sospiro quasi di
sollievo.
-Ti capita mai di
fuggire da te stessa?- Domandò ad un tratto Nathan, non lasciando
trasparire da nessuno dei suoi gesti quasi sentimento avesse mosso
quella domanda. Daphne lo osservò per qualche istante nel tentativo
di cogliere qualche suggerimento dalle sue azioni, ma si scontrò con
un muro quasi di indifferenza.
-Non
fuggo mai da me stessa. Fuggo
da ciò che spaccio essere me stessa.- Le parole scivolarono fuori
dalla sua bocca con una leggerezza inaudita, leggerezza che andò ad
alleviare velocemente anche il suo cuore. Nathan fissò un punto
indefinito a mezz'aria, voltandosi poi con una espressione rilassata
sul volto verso Daphne.
-Come se ciò che
gli altri pensano che tu sia non combaci con la realtà.- Constatò,
portando poi la sigaretta alle labbra.
-Come se non
riuscissi a far combaciare ciò che vorrei essere con quello che
sono.- Si guardarono nello stesso istante negli occhi e rimasero in
silenzio, come se ammutoliti da quel così improvviso ed
incredibilmente naturale contatto visivo.
Quelle quattro ore
passarono nella più completa normalità e semplicità. Per una volta
fu come se entrambi si fossero spogliati degli stereotipi, di tutte
le cose che si erano sentiti dire negli ultimi diciannove anni delle
loro vite. Si ritrovarono a ridere per cose piccole, apparentemente
insignificanti che quasi per magia si erano rivestite di significato,
di un valore precedentemente sconosciuto. Ammiccare, ridacchiare
sotto i baffi, darsi leggere spinte: fu come tornare ad uno stato
d'originarietà che aveva perso tempo prima per strada nel tentativo
di costruire le proprie vite.
-Un giorno mi
racconterai il perché di questo viaggio notturno?- Domandò Nathan
mentre passava un braccio intorno alle spalle di Daphne. Camminavano
sul lungomare, diretti agli scalini che portavano alla spiaggia.
-Un giorno sì,
forse.- Ridacchiò, stringendosi al petto di lui e godendo del calore
che le procurava. -Se mai ci sarà l'occasione.- Aggiunse, con una
nota di tristezza nella voce. Lui ricambiò il suo sguardo e Daphne
giurò di aver colto della malinconia anche in Nathan, ma lui non
rispose. Scesero silenziosamente in spiaggia e, dopo essersi tolti le
scarpe, si sedettero su una sdraio.
-Credi nel
destino?- Le domandò, fissando il mare.
-Penso che ci siano
le coincidenze.- Ribatté, passandosi una mano fra i capelli castani.
-Quindi pensi che
sia una pura coincidenza il fatto che ci siamo ritrovati sullo stesso
treno e nello stesso vagone?-
-Penso che sia
stata fortuna.- Si sorrisero, tornando poi a guardare l'acqua del
mare. Era tutto completamente buio a parte i lampioni ed il lunapark.
La luna brillava alta nel cielo assieme alle sue stelle.
-A Londra è
impossibile vedere le stelle con così tanta chiarezza.- Disse Nathan
con voce leggermente roca. Daphne dovette riflettere su cosa
rispondere mentre osservava curiosamente una stella che brillava più
forte delle altre.
-Già... Non le ho
mai viste così...- Mentì, concentrandosi su ciò che guardava per
non lasciare che qualche sua movenza la tradisse. In realtà nella
campagna dove viveva lei le stelle si vedevano sempre
perfettamente... Non c'erano edifici nel raggio di interi chilometri
e d'estate amava rifugiarsi in qualche posto sconosciuto ai suoi zii
ed osservare la volta stellata con la musica che suonava nelle
orecchie.
Il treno è giunto a Londra alla
stazione di King's Cross, preghiamo i passeggeri di scendere dai
vagoni senza dimenticare i propri effetti personali.
Quella voce
metallica sembrò quasi risvegliare Daphne da un sogno. Aveva quasi
il timore di aprire gli occhi e di scoprire che Nathan era stato
semplicemente frutto della sua immaginazione. Eppure fu proprio una
delicata e gentile carezza sui suoi capelli che le fece riacquistare
fiducia e quando sbatté le palpebre, si ritrovò poggiata sul petto
di Nathan. Si era evidentemente addormentata in quella posizione
quando erano partiti da Brighton con il treno delle cinque e dieci.
Sbatté un aio di volte le palpebre quasi a volersi accertare per
l'ennesima volta che fosse tutto reale e poi si stiracchiò, notando
che Nathan era già sveglio e la guardava con dolcezza, carezzandole
delicatamente i capelli.
-Hai dormito bene?-
Domandò, alzandosi poi e sistemandosi la giacca e la sciarpa. Daphne
annuì ricambiando il sorriso ed alzandosi a sua volta.
-Grazie per la
compagnia.- Disse con un tono basso ma convinto di essere udito dalla
persona interessata. Nathan lasciò che il suo sorriso si allargasse
ulteriormente, guardando Daphne negli occhi.
-Grazie a te. Hai
reso una serata pessima una delle migliori della mia vita.- Se non
fossero stati presi dal scendere dal treno, probabilmente Nathan
avrebbe notato il colore porpora che si era diffuso su tutto il volto
di Daphne. Inutile dire che non solo la presenza del ragazzo le
faceva un certo effetto, ma anche determinate frasi avevano il loro
ruolo.
A quell'ora la
stazione di King's Cross era decisamente molto più popolata. I due
arrivarono all'uscita dell'edificio e per qualche istante rimasero in
silenzio a fissare le porte scorrevoli che si aprivano e chiudevano
in continuazione.
-Posso almeno
domandarti se ci rivedremo?- Domandò ad un certo punto Nathan,
voltandosi con un leggero sorriso sulle labbra verso Daphne. Lei si
morse il labbro inferiore prima di aprirsi in un dolce e largo
sorriso.
-Magari ci
beccheremo su un altro treno.- Rispose, sistemandosi poi una ciocca
di capelli dietro l'orecchio. Lui ridacchiò, fissandosi per qualche
istante le punte delle scarpe.
-Come torni a casa?
Hai bisogno di un passaggio? Ho la macchina parcheggiata qui
fuori...- Agitò un mazzo di chiavi fra le dita.
-Non ti
preoccupare.- Daphne sperò vivamente di non essere arrossita. Non
poteva dirgli che non viveva a Londra e che era della periferia di
Reading. -Me la so cavare da sola.- Le balenò in mente l'esperienza
della sera precedente e per poco riuscì a soffocare una risata.
Evidentemente a Nathan era passato lo stesso pensiero per la mente
visto che sorrideva sornione.
-Okay, allora ci
vediamo...- Nel momento in cui pronunciò l'ultima sillaba posò le
sue labbra su quelle di Daphne e si beò delle scariche che
attraversarono il suo corpo.
Daphne inizalmente
rimase interdetta, poi però lasciò che le sue braccia andassero a
cingere il suo collo, stringendolo a sé. Era più alto di lei e nel
momento in cui si sollevò sulle punte i loro corpi aderirono alla
perfezione. Fu un bacio lungo, intenso, un bacio d'addio. Si
perché fondamentalmente quello era un addio. Quante possibilità
avevano di rincontrarsi su un treno? Partivano centinaia di treni da
Londra, molti per le stesse destinazioni a soli pochi minuti di
distanza. E se anche si fossero mai rincontrati... Daphne non sarebbe
mai stata in grado di integrarsi nel mondo di Nathan e probabilmente
quest'ultimo non avrebbe mai accettato il suo. Quando si
allontanarono le mani di Nathan rimasero a carezzare dolcemente la
schiena di Daphne; rimasero qualche istante a perdersi l'uno negli
occhi degli altri. Passarono secondi, minuti, ore forse mentre si
bearono di quel contatto fisico, di quelle sensazioni che scaturivano
da ogni piccolo gesto, prima che qualcuno interrompesse quella magia.
-Io devo andare.-
Mormorò Nathan sulle labbra di Daphne. Lei annuì, posando un'ultima
volta la propria bocca su quella del ragazzo in un soffice bacio a
fior di labbra.
-A presto.-
Mormorò, cercando di convincersi con le proprie parole.
-A presto, Daph.-
La baciò sulla fronte, posando entrambe le mani sulle sue guance
bollenti. Poi Nathan si allontanò, regalandole da lontano un ultimo
sorriso. Daphne restò in piedi immobile nello stesso identico punto
in cui lui la lasciò per circa cinque minuti, come se inebetita da
quei contatti, da quella vicinanza così estranea eppure così
incredibilmente essenziale e piacevole.
Dopo essersi
riscossa dal suo torpore ed aver preso il biglietto, salì sul treno
diretto ad Oxford. Controllò il cellulare e notò che, tanto per
cambiare, non aveva ricevuto nessuna chiamata: come se dalle dieci
della sera precedente lei non fosse scomparsa di casa. Poteva esserle
successa qualsiasi cosa eppure sembrava che a nessuno gliene
importasse. Sospirò, sedendosi poi sulla poltrona come sempre vicino
al finestrino. Lanciò distrattamente uno sguardo a chi sedeva al
lato opposto e rimase delusa quando al posto di Nathan vide un
signore anziano intento a leggere il “The Economist”.
Eccomiqui con il primo capitolo! Spero che io sia riuscita ad attirare unpo' la vostra attenzione e la vostra curiosità. Daphne e Nathansicuramente si incontreranno nuovamente... ma dove? In qualicircostanze? Saranno gli stessi di questa notte? Se vi è piaciuto ilcapitolo, se avete qualche critica da fare, lasciate le vostrerecensioni che vi assicuro che stimolano l'autore ad aggiornare anchemolto più in fretta! Un abbraccio a tutti! |