eag
Con passo
strascicato e il capo abbassato, padre Maxi si incamminò con
estrema lentezza verso l’improvvisato altare: un semplice
gradino di legno ai piedi di una fossa.
Una fossa fresca,
scavata appena la notte prima e che non si aspettava di certo venisse
riempita proprio da una persona tanto giovane, sedici anni appena. Gli
parve di raggiungere la sua postazione dopo un tempo infinitamente
lungo. Salito sul gradino e alzata la testa, un senso di profondo
disagio lo colse non appena posò lo sguardo sui volti dei
suoi compaesani, riuniti in quel piccolo cimitero gomito a gomito gli
uni con gli altri.
Nelle file
più lontane riuscì a scorgere qualcuno
chiacchierare come se quella fosse una riunione del condominio,
probabilmente presenti lì quel giorno per pura
curiosità o, semplicemente, perché non avevano
altro da fare, considerando che indosso non avevano neppure un solo
indumento che fosse nero. Nonostante lui non fosse mai stato un esempio
di virtù e moralità, non poté fare a
meno di storcere la bocca sottile in una smorfia disgustata.
Non era quello il
comportamento da aversi ad un funerale.
Spostò gli
occhi sulle prime file, avvertendo una stretta allo stomaco quando
notò meglio le facce, il comportamento e
l’espressione di coloro che circondavano la tomba sospesa a
sei piedi(¹) dal fondo della fossa.
Distolse lo sguardo,
incapace di sopportare oltre quella vista terribile e sentendo, per la
prima volta in vita sua, lacrime fastidiose pizzicargli le palpebre.
Deglutì, tossicchiando un paio di volte e respirando
profondamente come a volersi dare forza, cercando la spinta necessaria
per poter aprire la bocca e parlare.
< Fratelli e
sorelle, siamo qui riuniti oggi p- > ma un urlo disperato lo
bloccò, facendolo sussultare e rabbrividire. Non mosse un
solo muscolo, incapace di guardare alla sua destra la persona che aveva
emesso quel grido acuto e penetrante, che aveva persino zittito i
perdigiorno delle ultime file. Si concesse qualche secondo per
riprendersi dallo spavento, poi andò avanti.
< P-per dare
l’estremo saluto a… a uno dei nostri giovani, un
nostro parrocchiano che il Signore ha deciso di portare via da questa
terra troppo presto. Diamo oggi l’addio a…
>.
+++++++++++++++
All
through the night he is lying awake
Wondering
how much more can he take
Watching
the walls where shadows dance
Drifting
away into a trance
Cambiò
nuovamente posizione, sperando così che il sonno lo
accogliesse finalmente tra le sue braccia.
Niente da fare,
proprio non riusciva a dormire.
Guardò di
nuovo la sveglia, lasciandosi sfuggire una bestemmia sussurrata a denti
stretti quando vide che erano ancora le quattro e mezzo del mattino.
Stupido aggeggio, sapeva suonare troppo presto solo quando doveva
alzarsi per andare a scuola! Calciò via le coperte, sentendo
improvvisamente un gran caldo. Stette immobile per qualche minuto in
posizione supina, cercando di calmare l’ansia, rigido come un
palo. Sentì passare un’automobile, probabilmente
qualche giovane di ritorno da qualche discoteca, con i fari tanto alti
che la luce aveva raggiunto la finestra della sua stanza e, per un paio
di secondi, aveva proiettato sul muro opposto ad essa
un’ombra che lo ipnotizzò. Non durò che
qualche decimo di secondo ma a lui sembrò che quella
proiezione, che sembrava allungare le estremità della sua
forma come fossero scuri tentacoli, fosse durata almeno
un’ora. Dopo che l’auto fu passata, rimase impressa
nella sua mente l’ultima immagine che quell’ombra,
prima di sparire completamente, aveva lasciato sul suo soffitto.
Gli
era sembrata un’aquila che, aprendo le grandi ali, era pronta
a spiccare il volo.
And his
eyes are blazing with fire
Evidentemente stava
impazzendo, la sua impazienza lo stava portando ad immaginare cose
inesistenti, ma la cosa non lo turbò affatto. Sorrise,
mettendosi a fissare nuovamente il soffitto, incantato come se fosse
caduto in uno stato di trance. Non seppe dire quanto tempo
passò in quella posizione, gli sembrò persino di
aver trattenuto il respiro per ore. A fargli compagnia, solo il battito
accelerato del suo cuore e la sensazione di qualche goccia sporadica di
sudore che gli colava lentamente giù per la fronte.
Dopo un po’,
però, ebbe la sensazione che nella sua stanza ci fosse
più luce. Era solo una leggerissima patina rosastra che,
però, rendeva gli oggetti più nitidi e le ombre
sempre meno definite. Scattò a sedere e guardò la
sveglia, che segnava finalmente le cinque e mezzo del mattino.
Balzò in piedi, esasperato da quell’attesa,
cercando di contenere la sua euforia per non fare alcun rumore.
Finalmente si era fatto giorno, finalmente avrebbe potuto…
Ma non perse ulteriore
tempo. In punta di piedi, silenzioso come un gatto, corse in bagno per
darsi una veloce rinfrescata, poi ritornò in camera a
vestirsi. Dieci minuti ed era già in garage, la sua adorata attrezzatura era
poggiata ad una parete. Era poco costosa, nulla di particolarmente
professionale per cominciare, eppure per lui era il tesoro
più grande del mondo.
Dopo mesi di corsi
specializzati, mandando giù ogni insulto
dell’istruttore per la sua impazienza, finalmente avrebbe
preso quel dannato brevetto(²).
Il signor Bennett,
l’istruttore, sarebbe però arrivato a South Park
solo quel pomeriggio per la loro ultima lezione insieme.
“Per essere sicuri che tu sia
pronto, poi potrai fare tutto da solo” gli aveva
detto.
Si fottesse se sperava
davvero che lui avrebbe aspettato altro tempo per la sua prima volta da
solo! No, l’impazienza lo stava davvero mangiando vivo, non
aveva più motivo per aspettare ancora. E poi ormai non era
bravo, era divino. Persino quel vecchio bacucco gli aveva detto di non
aver mai avuto un allievo promettente come lui e con la sua stessa
passione.
Prese la sua
attrezzatura, uscendo poi dalla porta del garage che, miracolosamente,
non cigolò. Inspirò a pieni polmoni
l’aria fredda e pulita del mattino, mentre il primo raggio di
sole faceva capolino tra le montagne, colpendolo in pieno viso. Non
distolse lo sguardo, e i suoi occhi s’accesero di un rosso
intenso come il fuoco e in essi vi balenò una fredda
determinazione. Sorrise.
Finalmente
avrebbe volato da solo.
Dreams
burnt to ashes so many times
Highest
of mountains, still he climbs
Ready
to fly cause he just can't stay
Flame
burning brighter with every day
+++++++++++++++
Kenny tirò
le cinghie del cappuccio del parka nero in modo tale che nessuno
potesse vederlo in volto. Non era abituato che qualcuno lo vedesse
piangere, né aveva tutta questa voglia di mettersi in
mostra. Sentì una mano gentile poggiarsi sulla sua spalla
sinistra e stringerla con estrema delicatezza, ma non si
voltò. Il proprietario della mano non lasciò la
presa, e mentre quei quattro bambocci dei chierichetti cantavano un
inno dalle parole incomprensibili, lo sentì avvicinarsi al
suo viso.
< Kenny
>.
Sentendo pronunciare
il suo nome, si voltò leggermente, alzando un poco la testa
per incontrare le iridi smeraldine di Kyle velate da una sottile patina
rossastra. Aveva pianto, e anche parecchio.
Chi
l’avrebbe mai detto.
< Sto bene
> sussurrò, sapendo perfettamente che
l’amico non avrebbe mai creduto ad una bugia tanto banale.
Perché no,
non stava affatto bene. Stava male, malissimo, si sentiva morire al
solo pensiero che dentro quella tomba ci fosse proprio lui.
Finalmente il
concertino finì e vide padre Maxi avvicinarsi, lento come un
bradipo, alla pedana di legno che aveva messo lì di fretta e
di furia qualche suo concittadino, evidentemente troppo stupido per
rendersi conto che un altare non serviva proprio a un bel nulla,
soprattutto se aveva la presunzione di essere tale ma in
realtà era molto più simile ad un palchetto.
Nemmeno dovesse andare qualcuno a fare un concerto, su quella cazzo di
pedana.
< Fratelli e
sorelle… >.
“Eh,
col cazzo!”
Kenny fissò
il prete con odio. Padre Maxi era sempre stato in prima fila quando si
trattava di insultare la persona di cui ora si apprestava a tesserne
fantastiche lodi. Tutti cliché da funerale senza un briciolo
di onestà.
Lei, invece, era
l’unica che, con tutta probabilità, sarebbe dovuta
essere lì quel giorno. Di sicuro, in quel momento,
doveva più vicina al dolore assoluto di chiunque altro
lì attorno.
E infatti la
sentì urlare pochi secondi dopo, interrompendo padre Maxi.
La guardò in volto, una maschera di pura, assoluta
disperazione. Ma era bella. Dio, quanto era bella! L’aveva
sempre pensato ma mai l’avrebbe confessato ad anima viva.
Mosse un passo nella sua direzione, quando un brivido gli percorse la
schiena. Le parole che il prete stava blaterando si stavano avvicinando
pericolosamente a trasformarsi nel suo nome.
< Diamo
l’addio a… >.
< IL MIO
BAMBINO! >.
Di nuovo Kenny
guardò l’uomo con odio, poi il suo sguardo
andò a lei.
Vide tutti i suoi compaesani fissarla con pietà, Sheila
Broflovsky e Sharon Marsh avvicinarsi con espressione contrita,
entrambe con un fazzoletto alla mano, ma lui fu più svelto.
Con una paio di grosse falcate la raggiunse, abbracciandola.
< Signora, la
prego… >.
< IL MIO
BAMBINO! > continuò, imperterrita. < Lo
rivoglio indietro! Ridatemelo! >.
< Signora
>.
Kenny insistette,
guardandola negli occhi. Ma lei lo scostò, andando invece ad
abbracciare quel freddo feretro di legno scuro. I suoi pianti, i suoi
lamenti, i suoi singhiozzi ferivano le orecchie e pungevano
l’animo, tanto che molti di coloro arrivati a curiosare si
allontanarono, non riuscendo a sopportarli. Sembravano aver finalmente
capito che, per quanto South Park potesse essere piccola e noiosa, il
dolore di una madre ferita non poteva diventare spettacolo.
Kenny la raggiunse di
nuovo, allontanandola con forza ma incontrando una fiera resistenza.
< Lasciami! Non
mi allontanare dal mio bambino! ERIC!
Eric, la mamma è qui con te! >.
< Signora!
> urlò stavolta, stringendola per le spalle e
piantando gli occhi cerulei in quelli castani di lei, mentre il
cappuccio del parka gli cadeva all’indietro.
< Signora
Cartman… Per favore, si calmi > le
sussurrò. < Per Eric, solo per lui… Si
faccia coraggio, la prego >.
Liane rimase
impietrita, persa in quegli occhi azzurri così seri. Nuove
lacrime cominciarono a rigarle il viso.
<
Kenneth… > mormorò, prima di chiudere gli
occhi e accasciarsi al suolo in ginocchio, come se non avesse
più nessuna energia nemmeno per poter stare in piedi.
Kenny cadde in
ginocchio con lei, cercando di sorreggerla come meglio poteva. Le
accarezzò il capo, coperto da un velo nero, allontanando con
lo sguardo gli adulti che si stavano avvicinando a loro e voltandosi,
invece, per cercare un aiuto dai suoi amici. Aiuto che, dopo aver visto
le loro condizioni, capì non sarebbe mai arrivato.
Kyle lo guardava
immobile, con la stessa espressione stupita di un bambino che sta per
mettersi a piangere. E infatti, dopo appena un paio di secondi, si
portò un braccio sul viso e scoppiò in lacrime.
Venne prontamente abbracciato dal povero Ike, che alla notizia della
morte di Eric non aveva proferito parola per mezza giornata. Povero
Kyle, doveva essere frustrante per lui non sapere cosa fare, non avere
nulla da dire, nessuna parola di conforto per coloro che amava per la
prima volta in vita sua.
Lo sguardo si
posò prontamente su Stan, che sembrava non aver assistito
affatto alla scena. Fissava solo la tomba con sguardo vuoto, come se
non la stesse guardando realmente. Vicino a lui la sua Wendy, che
cercava di fargli un po’ di coraggio e, incredibilmente,
piangeva un po’ anche lei.
Più lontano
dal resto del gruppo, rannicchiato sotto un grande cipresso, sedeva
Butters, la testa affondata nelle ginocchia strette al petto. Vide
Linda Stotch avvicinarsi al figlio per cercare di tirarlo su, ma lui la
strattonò e ritornò a singhiozzare,
rannicchiandosi ancora di più.
Kenny sapeva che
c’erano tutti i loro altri amici ma non riusciva a vederli.
Poco male, non avrebbe di certo chiesto aiuto a loro. Ciò
che lo fece deprimere ulteriormente fu che, quella volta, doveva essere
lui quello forte che sosteneva gli altri e, soprattutto, la madre del
suo migliore amico. Gli stava dannatamente stretta, quella parte. I
suoi pensieri vennero interrotti da un sussurro lieve che solo lui fu
un in grado di sentire, mentre tutti gli altri erano troppo occupati a
piangere o a far finta di ascoltare le parole di padre Maxi.
< Kenneth
>.
< Mi dica,
signora Cartman > rispose, senza smettere di abbracciare la
donna.
< S-sono
stata… una m-madre tanto orribile? >.
< Per niente.
Lei è la madre migliore del mondo >.
E lo pensava sul
serio. Sentì Liane piangere nuovamente, emettere gemiti
soffocati che lo fecero star tanto male da fargli venire voglia di
scappare via. Ma non poteva, non doveva
farlo.
< E al-allora
perché… Dio me l’ha portato via?
>.
Kenny alzò
gli occhi al cielo. Piangeva di nuovo anche lui ma stavolta non si
premurò di rimettersi il cappuccio del parka.
< Mi dispiace,
signora. Non la so, la risposta >.
+++++++++++++++
And his
eyes are blazing with fire
Longing
for the deepest desire
Eric chiuse gli occhi
e trasse un profondo respiro, sentendo che l’aria fredda e
pungente gli pizzicava le narici e gli andava a riempire i polmoni.
Inspirò nuovamente, concentrato e, al contempo, emozionato.
Ci aveva messo un po’ per montare il deltaplano, maggiore
tempo era occorso per riuscire ad allacciare l’imbracatura in
maniera corretta, ma finalmente era pronto. Si concesse un momento per
dare modo allo sguardo di spaziare libero, riempiendosi gli occhi con
le cime bianche delle montagne, i pesanti cumulonembi(³) che
sembrava volessero schiacciarle ma che, invece, riuscivano solo a
dissolversi in cerchi di fumo e a circondarle come fossero delle
titaniche aureole. Il sole, ormai quasi del tutto sorto, sparava una
luce intensa su tutto il paesaggio, rendendo netti i contorni di
alberi, rocce, montagne e nubi. Un paio di rapaci, che Eric non seppe
distinguere a che specie appartenessero, volteggiavano contro il grande
disco giallo, finendo poi per diventare null’altro se non due
ombre che volavano in lontananza. Quando si fu reputato soddisfatto e
pago della vista, Eric trasse un altro sospiro, rafforzò la
presa sulla barra orizzontale del deltaplano, fece due passi indietro e
poi…
“Via!”
Cominciò a
correre freneticamente lungo il lieve pendio, sentendo mano a mano
l’adrenalina che gli pizzicava il cervello, lo stimolava a
fargli battere il cuore più forte e ad accelerare il respiro.
Spiccò un
piccolo balzo e subito sentì l’amata sensazione di
vuoto allo stomaco, della terra che gli mancava sotto i piedi e della
distanza che, ne era sicuro, mano a mano stava acquistando dal suolo.
Si issò sulle mani, mettendosi in posizione orizzontale con
le gambe ben tese e poi proruppe in un urlo liberatorio.
Stava volando, stava
volando sul serio. Da solo, finalmente, e ci era anche riuscito al
primo colpo!
Heart of
an eagle
He
flies through the rainbow
Into
a new world and finds the sun
Spreading
his wings above all the sorrows
The
glory of Eagleheart
Il vento ora gli
sferzava il viso impietoso, il prato correva sotto di lui e, se non
fosse che poteva sterzare a piacimento, avrebbe anche potuto pensare
che fosse tutto un’illusione, che il suo deltaplano fosse
fermo e che quello che vedeva sotto di lui fosse nient’altro
se non una proiezione, un’immagine animata. Invece era tutto
vero. Non era la prima volta che volava, ma non si era mai goduto
appieno quella stupenda sensazione quand’era in compagnia
dell’istruttore. Ora che era da solo si sentiva il re del
mondo, un vero e proprio dio dei cieli sceso dalle nuvole per potersi
fare un giro sulla terra e ammirare le splendide valli verdi tra le
maestose montagne di South Park. Urlò di nuovo, scendendo
leggermente in picchiata e poi risalendo più volte, per poi
sterzare leggermente a sinistra per poter tornare un po’
indietro e trovare un buon punto per atterrare, deciso a ripetere il
giro quanto prima.
Fever is burning in his veins
Determined
with courage breaking the chains
Back
against the wall under blood red skies
Prepared
to fight…
Fu mentre osservava
con attenzione il pendio per poter cercare il punto migliore e
più sicuro per una dolce discesa che un’ombra nera
gli passò davanti agli occhi. Per un attimo credé
che si fosse trattato di un piccolo uccello, ma poi la rivide di nuovo
e si rese conto che non era affatto un uccello.
Ebbe paura. Una paura
irrazionale e fottuta.
Era
un pezzo di cinghia dell’imbracatura.
In un solo attimo
sentì sulle sue spalle il peso del senso di colpa, dovuto al
fatto che aveva controllato solo le ali del suo amato mezzo di volo e
non la barra, né tutte le cinghie. Se l’avesse
fatto si sarebbe accorto che una era in cattivo stato, magari
rosicchiata da qualche topo e a quel punto col cavolo che si sarebbe
lanciato! Era stato imprudente e, non appena si sentì
strattonare a sinistra come se qualcuno lo stesse tirando con violenza,
capì che la sua ingenuità gli sarebbe costata
molto cara. Troppo cara, considerando che stava perdendo quota ed era
ancora troppo in alto per poter avere la minima speranza di salvarsi.
“Sto
per morire, cazzo”.
Fu il suo primo
pensiero. La consapevolezza del suo destino imminente aveva soppiantato
la paura, ma solo per poco. Eccola ritornare, appena qualche decimo di
secondo dopo, ad attanagliargli le budella e a contorcergliele con
brutalità, ad afferrargli la nuca in maniera tanto stretta
che Eric ebbe la sensazione che qualcuno gli stesse strappando le
vertebre cervicali. Eccola che si impossessava dei suoi nervi,
rendendolo un unico fascio tremolante non appena sentì che
tutte le altre cinghie, sorelle di quella rotta e altrettanto
traditrici, si stavano slacciando e lo stavano abbandonando.
Decisamente un’orrenda sensazione. Sentì un vuoto
d’aria rivoltargli lo stomaco quando, libero da ogni
impiccio, si ritrovò a cadere liberamente verso il basso,
mentre i resti del suo amato deltaplano andavano a schiantarsi da
qualche altra parte. Pochi secondi prima dell’impatto, non
più di sei o sette, la sua mente riuscì a
formulare un oceano di pensieri.
Si sentì
dannatamente stupido. Sarebbe bastato aspettare solo qualche altra ora
l’arrivo dell’istruttore e le cose sarebbero di
certo andate in maniera diversa.
Perché
cazzo non aveva aspettato qualche altra, stupida ora?
Perché
cazzo doveva essere sempre così impaziente?
Di lì a
pochissimo sarebbe morto spiaccicato ed era molto probabile che i
brandelli del suo corpo che sarebbero rimasti se li sarebbero mangiati
gli orsi o qualche volpe, prima ancora che qualche soccorritore lo
avesse trovato. E allora, che cosa avrebbe pensato sua madre?
“Oddio,
mamma!”
Sarebbe morta di
dolore, ne era sicuro. E, cazzo, la cosa lo faceva sentire davvero
male. Le avrebbe arrecato il dispiacere più grande di tutti,
il peggiore nella lista di tutte le cose che aveva fatto e che avevano
fatto intristire sua madre.
“Sono
stato un figlio pessimo”.
Era quella la
verità. Strano come il suo smisurato orgoglio venisse meno
ora che era faccia a faccia con la morte. La cosa che lo infastidiva,
poi, era che non avrebbe avuto la possibilità di assistere
al proprio funerale. Beh, non l’avrebbe avuta comunque in
nessun caso, ma in quel momento si sentiva davvero piccato. Avrebbe
davvero voluto vedere come avrebbero reagito i suoi cosiddetti
“amici” alla sua scomparsa.
Per un attimo si
immaginò Kenny che ci provava con qualche ragazza
lì presente, usando magari la carta “Sono il miglior amico del morto,
oh, come sono affranto”.
Vide poi Stan, che di
certo se ne sarebbe uscito con qualche cazzata sul fatto che si
meritava di aver fatto quella fine, supportato da quella troia di Wendy.
Oh! Come aveva potuto
dimenticare Kyle? Era più che certo che, per la gioia della
sua morte, avrebbe organizzato un secondo bar mitzvah(⁴) a Casa Bonita
per festeggiare l’accaduto.
Forse solo Butters
avrebbe versato una lacrimuccia, per poi andarsene a giocare un secondo
dopo con Hello Kitty o a scoparsi il bambolotto di Ken e fare anche la
linguaccia a Barbie.
Era ancora
più probabile, però, che al suo funerale non ci
sarebbe stato nessuno.
Probabilmente quello
stronzo di Padre Maxi, pur di non essere costretto ad esserci, avrebbe
chiesto al becchino di celebrarlo al posto suo e a piangere sulla sua
tomba, alla fine, sarebbe rimasta solo sua madre. Non seppe
perché, ma l’immagine di sua madre che si
struggeva per la sua morte prematura non seppe proprio delinearla,
nella sua testa. In fondo era meglio così, sarebbe morto con
l’animo meno triste di quanto già non fosse. Ma
ecco, il terreno era a poche decine di metri da lui, forse poco
più di una cinquantina. Sarebbero bastati appena pochi
secondi e tutto sarebbe finito, ma si sentiva più rilassato.
La velocità di pensiero della sua mente gli aveva dato il
tempo per prepararsi un po’ alla fine, ma non per questo era
meno spaventato.
Si chiese dove sarebbe
finito, una volta superato il confine.
Aveva sempre creduto
di essere meritevole del Paradiso, ma in quel momento era
più che certo che sarebbe finito all’Inferno. Era
stato davvero troppo stupido, non credeva che San Pietro(⁵) accettasse
persone tanto stupide, a meno che lui stesso non fosse uno stupido
e… No, era una ragionamento troppo stupido, quello. Quando
si rese conto che allo schianto mancavano appena una trentina di metri,
si sentì rivoltare e finì per dare le spalle al
terreno. Meglio, non avrebbe visto l’impatto. Alzò
gli occhi verso il cielo, spalancando la bocca e meravigliandosi di
quanto si stava offrendo alla sua vista.
Le grosse nuvolone che
prima sembrava si stessero dissolvendo o allontanando dalle montagne,
trascinate dal vento, gli sembrava che stessero facendo tutte cerchio
attorno a lui, stagliate contro un cielo di un azzurro così
incredibilmente acceso da sembrare vivo. Chissà, forse erano
solo curiose di vedere un cretino che si sfracellava al suolo. Oppure,
ed Eric ne era sicuro, avevano deciso di circondarlo in uno slancio di
generosità, per fargli compagnia fino alla fine e non farlo
sentire troppo solo. Beh, considerando lo spettacolo che gli stavano
offrendo, come fine non era poi così orrenda.
Un attimo appena prima
dell’impatto al suolo Eric si sentì davvero in
pace con sé stesso, sentendosi quasi fortunato a morire a
quel modo, con quell’ultima immagine davanti agli occhi.
Riuscì anche a ringraziare le grasse amiche bianche per la
compagnia.
“Non
è poi tanto male, come ultimo sguardo”.
…until
he dies.
_____________________
Note
dell’autrice
(¹):
è la profondità a cui s’interra una
bara negli U.S.A., corrisponde a 1,83 metri
(²):
per poter guidare un deltaplano, è necessario seguire un
corso specializzato, alla fine del quale bisogna affrontare un esame
per poter avere il brevetto di volo
(³):
grosse e spettacolari nubi che si formano in condizioni di
instabilità atmosferica. Per capirci, sono quelle che
assomigliano a grossi ammassi di soffice panna montata *w*
(⁴):
termine che indica il momento in cui un bambino ebreo raggiunge la
maggiore età e gli viene concesso di partecipare alla vita
della comunità. Corrisponde a 13 anni e un giorno e viene
festeggiato con la lettura di un brano della Torah (primi cinque libri
del Pentateuco, il libro sacro della religione ebraica) e un successivo
rinfresco per amici, parenti e il resto della comunità
(⁵):
secondo la religione cristiana, San Pietro è il possessore
delle chiavi del Regno dei Cieli
Dunque,
qualche piccola nota.
Questo
è un piccolo esercizio di scrittura, nato dalla mia
volontà di fare un po’ più di pratica
con le introspezioni e di scrivere una song-fiction
(un’altra) con un pezzo degli Stratovarius.
La
canzone scelta è “Eagleheart”,
ovvero "Cuore d'aquila", una delle mie preferite, di cui consiglio
caldamente l’ascolto anche a chi non ama il genere power
metal (o non amasse questa storia XD).
Ovviamente
il fatto che Eric muoia è rilevante solo a fini di trama,
non certo per bashing.
Non
potrei mai visto che, come magari qualcuno ha già avuto modo
di capire, lo adoro dal più profondo del mio piccolo
cuoricino. Allo stesso modo, non mi sono di certo arrogata il diritto
di sapere come può sentirsi una madre che ha perso un
figlio, a maggior ragione una devota e amorevole verso la propria
creatura come Liane. L’argomento è importante e
delicato, ho cercato di affrontarlo con la maggiore
sensibilità possibile e spero di non aver peccato di
presunzione, né di superficialità.
Importante,
come forse si è intuito, è stata
l’ispirazione che mi hanno dato le puntate 8x13 “Cartman’s Incredibile
Gift” e la 10x12 “Go, God, Go”.
La
prima mi è servita da base per elaborare un po’
tutta la trama, la seconda per scrivere la scena di Eric che si
contorce nel letto e non riesce a dormire.
Per
chi non se le ricordasse, la prima è quella in cui Eric
cerca di volare saltando giù dal tetto di casa sua (e
finendo all’ospedale), mentre la seconda è quella
in cui lui è impaziente che esca la Nintendo Wii e si fa
congelare per potersi svegliare nel futuro e poterci giocare senza
aspettare (quanto è mitico, tutto ciò? Quanto??).
Per
quanto riguarda la scena finale, ci tengo a precisare, nel caso non si
capisse, che Eric non è affatto contento di morire. Solo,
è felice del fatto che, nella tragedia, gli è
stata concessa una vista stupenda come l’ultima della sua
vita, cosa che gli ha fatto anche calmare un po’ la paura
(che, tuttavia, non ho voluto far emergere troppo perché la
storia non è incentrata sulla paura di morire).
Credo
di aver detto tutto, quindi posso tornarmene a studiare XD
Un
grazie a chi ha commentato “202”,
l’ha letta senza commentare e messa tra i preferiti e,
ovviamente, a chi legge e commenterà quest’altra
mia ennesima follia.
Vi
lascio con la traduzione del testo della canzone (che non è
proprio perfetta, ma l'ho presa da Internet):
Durante
la notte lui giace sveglio
e
si chiede quanto può sopportare ancora,
guarda
il muro sul quale ballano le ombre,
cade
in uno stato di trance.
E
i suoi occhi si incendiano
I
sogni sono andati in fumo così tante volte.
Più
alto delle montagne, ancora sale
pronto
a volare perché non può stare,
fiamma
che brucia più luminosa ogni giorno
E
i suoi occhi si incendiano
cercando
il più profondo desiderio
Cuore
di un’aquila,
lui
vola attraverso l’arcobaleno
in
un nuovo mondo e trova il sole,
aprendo
le sue ali sopra tutti dispiaceri
La
gloria del cuore di aquila
La
febbre brucia nelle sue vene,
coraggiosamente
determinato a rompere le catene
contro
il muro sotto cieli rosso sangue,
preparato
a combattere sino alla morte
P.S.:
ho litigato con NVU. Perdonatemi, quindi, se i caratteri dovessero
uscire eccessivamente grandi o piccoli o troppo sballati.
Un
bacio.
WindGoddess
|