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Welcome To PageBreeze
Un caloroso saluto a tuttiiiiii! xD Sono tornata e dopo
un’infinità di tempo, mi sono dedicatanuovamente a Kodocha.. *-*
Per tutte le precisazioni sulla storia, vi mando alla
fine del capitolo! xD
Breathless
“-Sai,
a volte mi succede ancora.
-Cosa?
-A volte capita che mi manca il
respiro…”
CAPITOLO UNO:
CAMBIAMENTI
Si guardò allo specchio ancora una volta e sorrise,
aggiustandosi meglio il fermaglio luminoso che le teneva legate alcune ciocche
dei lunghi capelli.
Non c’erano dubbi, era davvero bella come le dicevano
tutti.
Si stupì un istante per quel pensiero così poco modesto.
Un tempo, ne era certa, nella sua mente spensierata e leggera non ci sarebbe
stato spazio per tanta vanità.
Ma forse, si disse, il trascorrere degli anni riesce a
cambiare tutti. E alla fine aveva cambiato anche lei.
Se ne rese conto per la prima volta proprio quella sera,
quando nel riflesso del suo bel viso le sembrò di scorgere nei suoi occhi una
luce diversa. Così diversa che, per un attimo, quasi fece fatica a
riconoscersi.
Non c’erano più gli occhi allegri di una bambina, né
quelli curiosi e impazienti di un’adolescente.
Di fronte a lei c’erano gli occhi maturi e consapevoli di
una donna.
Aveva solo 24 anni, è vero. Ma erano stati 24 anni pieni
di tutto. Pieni di vita vera, di vita forte, di vita che a volte era stata anche
crudele. Che le aveva tolto molte cose, ma che gliene aveva regalate
altrettante.
Non c’era stato neppure un istante vuoto, niente. Ogni
attimo era stato pieno di qualcosa e qualcosa aveva raccontato.
Alla fine, quindi, si era sempre sentita molto fortunata
e aveva sempre pensato che la vita spesso le aveva donato anche molto più di
quanto meritasse.
Fu con questi pensieri felici che si passò una mano fra i
morbidi capelli ramati e diede un’occhiata veloce all’orologio appeso al muro
della sua stanza.
Aveva esattamente mezz’ora di ritardo.
Sorrise, immaginando l’espressione nervosa e preoccupata
sul volto del suo fidanzato che proprio in quel momento la stava aspettando nel
ristorante più bello di tutta New York.
Le sembrava quasi di poterlo vedere, mentre ticchettava
nervosamente con le dita sul tavolo e guardava di continuo l’ora sull’orologio
da polso che lei stessa gli aveva regalato il Natale precedente.
Sapeva che non era giusto farlo aspettare sempre così
tanto. Che era un comportamento scorretto e da prima donna. Ma sapeva anche che
non appena l’avrebbe vista, il nervosismo sarebbe sparito e avrebbe lasciato il
posto ad uno splendido sorriso.
Si sentì un po’ in colpa, perché spesso le era capitato
di pensare che forse non meritava tutto quell’amore. Che non era giusto che lui
la amasse così tanto. Che l’amasse oltre ogni limite conosciuto, oltre ogni
umana capacità d’amare.
Poi però il senso di colpa spariva non appena si
convinceva del fatto che, dopotutto, anche lei lo amava molto.
“Se mi ami almeno la metà di quanto ti amo io, allora mi
ami abbastanza” le aveva detto lui un giorno, guardandola dritta negli occhi,
nel tentativo di scacciare anche la minima ombra dal suo cuore.
Quella frase le era rimasta nella testa, le si era
appiccicata, e tornava prepotente ogni volta che, restando da sola, sentiva di
nuovo riaffiorare quello strano senso di inadeguatezza.
E si sentiva subito meglio.
Come previsto, quando arrivò nel ristorante lui la guardò
e le corse incontro sorridendo, salutandola con un bacio dolcissimo.
- Scusami per il ritardo… magari sei qui da
molto..
Lui scosse la testa deciso.
- Sono appena arrivato.
Le rispose con un sorriso.
Sapeva che non era vero, che lui lo diceva solo per non
farla sentire in colpa.
Sorrise anche lei e lo baciò, felice e innamorata,
perdendosi nel mare dei suoi occhi azzurri.
***
Aprì un poco gli occhi dorati e la prima cosa che avvertì
fu il dolore acuto che proveniva dalla sua fronte sudata. Vi portò
istintivamente una mano, premendola forte nel tentativo di farla smettere di
pulsare in quel modo così forsennato e insopportabile.
Ma il dolore non accennava a diminuire.
Dannazione a lui che non imparava mai la lezione. Che di
nuovo aveva passato la notte a ingurgitare tutto l’alcol che gli era passato tra
le mani, mandando a quel paese tutti i buoni propositi con i quali aveva
iniziato la settimana.
Era solo mercoledì – o giovedì, non avrebbe saputo dirlo
con certezza vista la confusione mentale- e già di quei buoni propositi non era
rimasta neppure l’ombra.
Ma non era affatto come si poteva pensare.
Akito Hayama non era di certo un ubriacone.
Non era per niente il tipo di persone che si lascia
divorare da vizi o dipendenze. Lui amava tenere il controllo di tutto, in
particolar modo della sua vita.
Quindi, il fatto che a volte passasse le notti in
compagnia dell’alcol era una sua libera, liberissima scelta.
Un modo per staccare, per allontanarsi da quella realtà
che a volte diventava soffocante.
Non gli era bastato comprare una casa tutta per sé o
affermarsi nel mondo del karate. Certe notti sentiva comunque quella maledetta
voglia di scappare.
E quando questo succedeva, Akito era solito scegliere tra
due opzioni.
La prima era, appunto, quella di mettere a tacere i
pensieri inondandoli di alcol.
La seconda era quella di farsi una sana scopata in
compagnia di un’emerita sconosciuta.
Quella notte, però, i suoi pensieri dovevano essere stati
abbastanza rumorosi perché, a giudicare dalla bionda che gli dormiva accanto
completamente nuda, aveva avuto bisogno di entrambe le opzioni.
***
Tsuyoshi Sasaki non era mai stato portato per quel genere
di cose. Era bravo a farne molte altre, di cose. Per esempio, era bravo a tenere
in ordine la casa. O a fare la spesa. O a parlare con le persone. Ma
soprattutto, era bravo ad amare la donna che, proprio in quel momento, lo
guardava con aria interrogativa.
- Dai a me.. faccio io.
Gli disse, scuotendo la testa rassegnata e stringendosi
nelle spalle esili. Lui la guardò con una luce liberatoria a brillare negli
occhi scuri.
- Ti ho mai detto quanto ti amo?
Le chiese con sguardo ruffiano, porgendole il foglio
bianco che da ormai più di due ore lo stava tormentando.
Aya Sugita sorrise del suo sorriso più dolce.
- Me lo ripeti in continuazione. E poi sai, il fatto che
tu voglia sposarmi è una prova abbastanza schiacciante.
Tsuyoshi scoppiò in una piccola risata, mentre con una
mano si aggiustava meglio gli occhiali enormi.
- Perspicace.
- Già. Comunque, amore, almeno potresti andare a fare la
spesa per domani? Credi di riuscire a farcela da solo o ti serve il mio
aiuto?
- Perspicace e anche spiritosa. Non c’è che dire. Ho
scelto la migliore.
Scherzò, avvicinandosi a lei e depositandole un tenero
bacio sulla fronte candida.
Diede un’occhiata da dietro la finestra al cielo che
diventava sempre più scuro e minaccioso e, per precauzione, si convinse che
sarebbe stato molto più prudente uscire con un ombrello.
- Ah, Aya…
Le disse, prima di richiudersi la porta alle
spalle.
- … Sarebbe inutile dirti che non devi sistemare quei due
allo stesso tavolo, vero?
Aya sbuffò, leggermente contrariata.
- Si si, lo so.. non preoccuparti. Sana e Akito
siederanno il più lontano possibile.
- Perspicace, spiritosa e ragionevole. Mi congratulo
sempre di più con me stesso.
Stavolta lei non sembrò aver apprezzato l’umorismo.
Magari per colpa di quello stupido senso di tristezza e malinconia che la
coglieva sempre se pensava a Sana e Akito. O meglio, se pensava al fatto che in
realtà, di Sana e Akito, o almeno di quella Sana e di quell’Akito che conosceva,
non era rimasto più nulla.
- Non essere triste per loro, Aya. Forse… è stato meglio
così.
Come già detto, se c’era una cosa in cui Tsuyoshi
eccelleva era proprio nell’amare e nel capire la sua fidanzata. Nel saper
leggere ogni espressione, ogni sfumatura di sentimento che le attraversava gli
occhi. Anche se durava solo un istante.
Lei lo guardò un attimo, facendo un cenno d’assenso con
il capo e poi tornò a concentrarsi sul foglio bianco che le stava di
fronte.
Decidere la suddivisione dei tavoli per gli invitati al
suo matrimonio sembrò risollevarla almeno un po’.
Per questo Tsuyoshi finalmente si decise ad uscire,
salutandola nuovamente con un bacio.
Appena varcò la soglia di casa alzò gli occhi verso il
cielo e si strinse meglio nel cappotto pesante.
Nell’aria fredda di quel pomeriggio di inizio dicembre
c’era un forte odore di pioggia.
***
Sbuffò sonoramente, mentre con una mano cercava
inutilmente di mettere in ordine i capelli scuri scomposti dalle forti raffiche
di vento. Magari era una sua sensazione, ma ogni volta che usciva di casa le
sembrava che persino il vento si divertisse a farle i dispetti.
Certo, come no. Ora secondo te anche il vento ha una
personalità?
Scosse la testa, dandosi mentalmente della
sciocca.
Ma che ci poteva fare se un giorno si era svegliata ed
era diventata la persona più pessimista del mondo?
Lei, proprio lei, che dell’ottimismo, quell’ottimismo a
volte anche immotivato e infantile, aveva sempre fatto il suo punto di
forza.
Magari è normale… crescendo un po’ di spensieratezza la
si perde per forza, no?
Perché tanto la realtà ti sbatte in faccia comunque,
prima o poi.
Ed era capitato che ad un certo punto di quell’ottimismo
non aveva più saputo che farne.
Meglio essere realisti, si era detta. Meglio smetterla di
pensare che la vita sia una favola rosa. Anche perché di “rosa” o di “favola”
nella sua vita non c’era rimasto poi molto.
Entrò in macchina e controllò i messaggi nella segreteria
del suo nuovo telefonino, regalo del suo ultimo compleanno.
La voce metallica e impersonale della segretaria
cantilenava “Hai un nuovo
messaggio”.
Premette il tasto “1” per ascoltarlo, anche se era
praticamente quasi certa che fosse di sua madre.
O, al più, del suo capo che, per inciso, odiava
mortalmente. Così come odiava il suo stupido lavoro di segretaria sottopagata di
uno studio legale. Lei, lei che era sempre stata la più brava in tutto,
specialmente nello studio, che voleva andare all’università, laurearsi a pieni
voti e diventare un medico o un avvocato. Proprio lei che di quella vita sognata
non aveva vissuto neppure un miseroistante.
“Fuka, amore…
Sua madre.
…
Quando passi a prendere Shin? Oggi è un po’ irrequieto. Credo voglia la sua
mamma.”
Il giorno in cui Fuka Matsui aveva perso il suo
meraviglioso ottimismo era stato quello in cui, completamente sola, aveva
scoperto di aspettare un bambino.
***
Chi l’ha detto che l’amore può vincere tutto?
Domanda strana, lo sapeva bene. Una domanda alla quale,
con molta probabilità, non avrebbe mai trovato una risposta. Perché forse una
risposta non c’era. O forse era molto più semplice di quanto potesse pensare.
Forse non c’era stato nessuno che aveva decretato che
l’amore è la forza più grande. Forse erano state le persone, quelle che davvero
l’avevano vissuto, l’amore - ma quello vero, quello che ti divora il cuore-a
riconoscergli un tale potere.
Comunque, c’era stato un tempo in cui Sana Kurata se
l’era fatta spesso, quella domanda. Specialmente quando le capitava di pensare a
quella sera che risaliva ormai a 4 anni prima. Quella sera in cui era bastato un
istante per distruggere quello che, almeno per lei, poteva essere, doveva essere, l’amore con la “A”
maiuscola. Quello che ti capita una sola volta nella vita o che addirittura a
volte non ti capita mai. Ma anche quello che richiede un incredibile impegno,
un’assoluta devozione. Perché l’amore dà, ma deve anche ricevere. Perché per
arrivarti nell’anima ha bisogno che tu gli indichi la strada, che gli liberi il
cuore. E se ci riesci il cuore te lo prende tutto e diventa la catena che ti
lega l’anima all’anima di un’altra persona.
C’era stato un tempo in cui si era sentita esattamente
così. Saldamente legata ad un’altra anima.
Forse era stato in quell’istante… quando in un pomeriggio
qualunque, passeggiando per le vie della sua Tokyo, Akito le aveva
involontariamente sfiorato una mano. Un gesto normale, ovvio per due
fidanzati.
Forse era stato il modo in cui poi si erano guardati e
avevano inconsciamente sorriso, come se si fossero davvero resi conto che
sfiorarsi, toccarsi, guardarsi e sorridersi erano la cosa più naturale del
mondo. E più facile. E più giusta.
Forse fu proprio in quel pomeriggio che Sana Kurata pensò
per la prima volta che la mano di Akito sarebbe stata quella che avrebbe stretto
per tutta la vita.
Poi c’era stato quel giorno, quando Akito era tornato a
casa, stanco e nervoso, dopo l’ennesima giornata di allenamenti e aveva trovato
Sana con quella strana espressione sul viso.
“Mi hanno offerto una parte importante in un altro film,
Akito.” Gli aveva detto leisenza
neppure guardarlo negli occhi.
Lui si era lasciato cadere sul divano e aveva incrociato
le braccia, non degnandola neppure di uno
sguardo.
“Mi fa piacere per te.”
“E’ in America. Dovrei trasferirmi lì per almeno un
anno.”
Akito aveva spalancato gli occhi dorati e si era alzato
di scatto, avvicinandosi alla sua fidanzata.
“Non capisco perché me ne parli, dal momento che sono
sicuro che non accetterai.”
Finalmente lei l’aveva guardato e, con gli occhi lucidi,
aveva scosso la testa, muovendo i suoi capelli lunghi. Solitamente, sarebbe
bastato l’odore meraviglioso che si sprigionava nell’aria ogni volta che
Sanafaceva quel gesto così
naturale per far sparire l’Akito stanco e nervoso e far apparire l’Akito
perdutamente innamorato.
Quella volta però l’unica cosa che avvertì nell’aria non
fu il profumo dei capelli appena lavati di Sana, ma quello amaro di un’
inevitabile separazione.
“I… io.. non posso rifiutare. È troppo importante per il
mio lavoro!”
“E
io allora? Io che fine faccio? NOI CHE FINE
FACCIAMO?”
“Io non voglio lasciarti, Akito! Non lo farei mai!
Possiamo.. possiamo farcela… puoi aspettarmi…
tu..”
“SMETTILA! Se sapessi con certezza che questa sarebbe
l’ultima volta che mi lasci per uno stupido lavoro, ti aspetterei! Ma sappiamo
entrambi benissimo che presto ci sarà un’altra offerta… io non ce la faccio più
ad andare avanti così, Sana…”
Aveva abbassato il viso, lasciando che il miele dei suoi
capelli gli ricoprisse la fronte.
“Devi scegliere, Sana… o il tuo lavoro… o
me.”
“Non chiedermi questo, Akito! Non costringermi a
rinunciare!”
“Scegli, Sana.. “
“NO AKITO! Non farmi scegliere…sai benissimo che senza il
mio lavoro sarei infelice!”
“Io non ti ho mai chiesto di rinunciare al tuo lavoro!
Vorrei solo che tu non andassi in ogni parte del mondo per girare un
FOTTUTISSIMO FILM DEL CAZZO!”
“FANCULO AKITO! SAI QUANTO AMO IL MIO LAVORO! LO
SAI!”
“No Sana… non so più niente. Anzi, una cosa la
so…”
Lei l’aveva guardato, preoccupata e
interrogativa.
“…
so che non stai scegliendo me…”
Era rimasta impietrita. Per la prima volta nella sua
vita, Sana Kurata non era riuscita a trovare le
parole.
Lui le aveva dato le spalle, mormorando un “Domani
manderò qualcuno a prendere le mie cose” e poi si era avviato verso la porta,
con le gambe che erano improvvisamente diventate pesanti come blocchi di
cemento.
Senza neppure sapere come, Sana gli si era letteralmente
avventata contro, stringendogli forte la vita con le braccia
esili.
“Ti prego Akito.. è come se io ti avessi chiesto di
scegliere tra me e il karate.”
Lui si era voltato, lasciando che lei scorgesse quella
piccola goccia salata che era nata in un angolo dei suoi occhi
dorati.
“Esempio sbagliato, Sana. Perché io avrei scelto
te.”
Si
era sentita trafiggere il cuore da mille pugnali e aveva mollato la
presa.
Era rimasta lì, immobile e silenziosa, e si era lasciata
cadere sulle ginocchia, mentre l’aveva guardato andare
via.
Aveva pianto tutta la notte, stringendo forte il cuscino
sul quale fino a poche ore prima aveva dormito Akito. Aveva pensato di chiamarlo
per dirgli che lo amava da impazzire e che per lui avrebbe rinunciato a
qualsiasi cosa. Che non esisteva vita se non poteva averlo accanto. Che senza di
lui si sarebbe sentita irrimediabilmente sola. E persa. E
vuota.
Già. Aveva pensato di
chiamarlo.
Ma
non l’aveva fatto.
E,
facendo prevalere la parte più smisurata del suo ego, la mattina dopo aveva
preparato le valigie ed era partita per New York. Poi, da lì, non era mai più
tornata.”
Chi l’ha detto che l’amore può vincere tutto?
Ancora oggi, quando rimaneva sola con i suoi pensieri,
Sana Kurata si poneva questa domanda.
E, da qualche tempo, era riuscita a darsi una risposta.
Sempre la stessa.
Non so chi è stato, ma di certo doveva essere un gran
sognatore. O semplicemente molto ubriaco.
/-/
Note
dell’autrice: Allora, parto subito col dirvi che il mio progetto iniziale su
questa fan fiction era quello di fare un unico capitolo. Però, man mano che
scrivevo, mi sono resa conto che sarebbe stato un capitolo eccessivamente
lungo.. xD Quindi alla fine ho deciso di postare questo che dovrebbe essere
un’introduzione per il resto della storia. Prendetelo come una “visione
d’insieme” sulla vita dei personaggi.
Comunque, visto che la storia sul mio PC è giunta quasi,
e dico “quasi”, al termine, gli aggiornamenti dovrebbero essere più o meno
puntuali. Almeno spero.. xD
Credo di aver detto tutto. A risentirci presto!
Ovviamente attendo di sapere il vostro parere.. ^-^