Delitto

di V a l y
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Le mani tremano, abbandonano la presa. A stento mantengono il piccolo coltello dal fodero rosa e pieno di chincaglierie, un'arma fittizia, che non era mai stata sfoderata prima d'ora.
Il pugnale cade da sé, e lei si porta la mano al volto sconvolto. Dita bianche macchiate di rosso disegnano scie di sangue sulla guancia, una macabra rappresentazione del suo stato d'animo.
Fuu perde le forze, si accascia in ginocchio con l'uomo ancora davanti a sé, ritto in piedi e con la mano sulla ferita a guardarla con una punta di sorpresa sugli occhi vitrei. Lo vede retrocedere barcollando di un passo, poi un altro, cadendo poco dopo.
Lo uccido per non farmi uccidere, ha pensato Fuu qualche secondo prima, pervasa dal proprio istinto di sopravvivenza alla vista della katana del nemico incomberle sulla gola. Un secondo di ritardo e sarebbe morta. Il suo istinto ha ragionato bene.
Ciononostante, l'unica cosa a cui adesso riesce a pensare è un lamento bisbigliato tra i denti.
“Ho ucciso un uomo...” dice, guardando scossa il suo compagno Mugen che ricambia con uno sguardo indecifrabile, composto e meditabondo. Lei è sempre stata all'oscuro di quel che volesse dire macchiarsi di un delitto. Ha sempre visto Mugen e Jin trafiggere nemici con l'occhio inconsapevole di una spettatrice estranea.
“Mugen... ho ucciso un uomo...” ripete, rendendosi conto solo adesso di cosa voglia significare. Mugen non dice niente. Lancia un'occhiata all'uomo ansimante riverso sul tatami, sguaina la katana e lo trapassa all'altezza del cuore.
“L'ho ucciso io,” le dice, e Fuu scoppia a piangere come una bambina, chiamandolo più volte, storpiando il suo nome tra un singhiozzo e l'altro. Il ragazzo si inginocchia e lei si aggrappa alla sua maglietta grigia, stropicciandogliela tutta.
Con movimenti decisi del pollice, Mugen le toglie il sangue sulla faccia senza farsi notare.




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