10/01/1823 – Lettera alla mia amata
Parigi.
Io posso aspettare. Per sempre, forse, per un secondo, due o magari
anche tre, l'inseguire un filo rosso che imbroglia il nostro destino.
Ti scrivo che ora è sera, con macchie di luce come steli
allungati sulla pergamena, muovo le dita e il pennino scivola, con la
sua piuma, sono impigliati i nostri sogni. Oh, mia donna,
c'è sempre la paura che essi s'infrangano per la strada.
Ora, il crepitare del fuoco, ch'abile dolor frammisto alle note
più basse della tua mancanza, scalda queste lettere, forse
troppo acute, algide, vigliacche.
Ora, avrei voglia di tirarmi indietro.
Ma ahimè, questo pensier che mi strugge, questo filo rosso
che pian piano storno a me, e che un giorno all'altro,
finirà. E tu, magari, tra le mie braccia, mi dirai ti amo.
"E... m'ama? M'amerà". Pizzicheremo assieme petali di
margherita, per scoprirlo.
Tra poco, quest'arso crepuscolo, si laverà da solo,
tingendosi in un corteo abbagliante di stelle, che fioco bisbiglia alla
luna. E io, non son forse tra quelli? Non son forse, anch'io, a
bisbigliare il mio rorido amore a te luna, alla più bella?
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