Nuovo sole
Disclaimer
Matt Bellamy è mio, e anche tutti i Placebo. Questa
è una
cronaca veritiera dei fatti, e io sono diventata multimilionaria per
averla scritta.
Uhm, fa un bell'effetto. Solo, non credo sia troppo credibile.
NUOVO
SOLE
Brian
osservò la tazzina ormai vuota davanti a lui. Era il quarto
caffè della giornata, il terzo da quando si era seduto in
quel
bar quarantacinque minuti prima, secondo l’accordo con Matt.
Matt. Dove diavolo era Matt? Gli aveva dato appuntamento per le 17 in
punto – in punto, aveva precisato -, ma ancora non si era
fatto
vedere. Guardò l’orologio: 17.48. Perfetto, Matt
stava
stabilendo il record storico.
E
il silenzio di quel luogo iniziava a irritarlo seriamente. Si
voltò ad osservare la sala: vuota e desolata, fatta
eccezione
per la cameriera seduta su uno sgabello di fronte al bancone.
Focalizzò la sua attenzione su di lei: non più di
diciassette anni, tarchiata, capelli castani a ciocche rosa –
non si addicono al suo
viso
-, non troppo magra. Decisamente non bella. E chissà cosa
stava
scrivendo con tale foga sul cellulare che stritolava fra le mani. Si
interrompeva solo per guardare fuori dalla finestra – c’è un
vicolo sporco, fuori da quella finestra! -,
prima di rigettarsi interamente sul telefonino. Lo teneva
così
vicino al volto che Brian temette seriamente che avrebbe tentato di
entrarci, per lo meno con la faccia.
Stancato
anche da quella occupazione, prese a tamburellare sul tavolino con la
mano destra, dapprima piano, poi sempre più rapidamente,
attirandosi occhiate sgradevoli da parte della ragazza. Quando Brian
interruppe il suo passatempo quel tanto che bastava per spostare il
peso del corpo a destra e riprendere il ticchettio con
l’altra
mano, la giovane barista sbatté con violenza il cellulare
sul
bancone, afferrò il taccuino con altrettanta malagrazia e si
diresse a passò deciso verso di lui.
- Vuole un
caffè?
Sembrava
una minaccia più che una richiesta. Brian alzò un
sopracciglio.
-
Mi lancerei su un cappuccino, se non ti dispiace.
-
No.
Ottima scelta. Originale. – abbaiò di nuovo. Prese
la
tazzina vuota dal tavolino e scomparve dietro la macchina del
caffè. Brian si chiese da dove venissero certi soggetti.
Il
campanello suonò non appena la porta fu spinta, e Matthew
fece
il suo ingresso nel locale. Il volto arrossato dal freddo, nonostante
la sciarpa paurosamente tirata fin sotto gli occhi. Si fermò
un
momento, come esitando, poi parve decidere che quell’incontro
fosse inevitabile e di diresse al tavolo di Brian.
- Ciao,
Matt.
-
Ciao.
Matt
era in piedi di fronte a lui, e per qualche strano motivo non accennava
a sedersi. Brian lo guardò perplesso.
Era
come se qualcosa dovesse accadere…
- Vuoi
sederti? – lo invitò, continuando a fissarlo.
Matt
parve riscuotersi. – Ah, sì,
sì…grazie.
…qualcosa
di grande, che da tempo desiderava esplodere…
Matt
fissava il tavolo mentre tentava di aprirsi il cappotto, mancando un
bottone su due.
-
Matt, va tutto bene?
Brian
lo sapeva, lo sapeva che prima o poi quel momento sarebbe
arrivato…
Lo
capiva
dagli sguardi di Matt nelle ultime settimane, dal suo tono sempre
assente e distratto, dai suoi modi di fare così tesi.
Lo
vide raccogliere con stizza la sciarpa, scivolatagli a terra, prima che
trovasse finalmente il coraggio di guardarlo. Matt aveva gli occhi di
cristallo. Sempre. Brian glielo diceva sempre. Ma quel giorno erano
diversi. Quel giorno gli occhi di Matt urlavano e si dimenavano.
-
Matt, stai bene?
Ripeté
la domanda sperando in una risposta – una qualsiasi risposta di
circostanza, Matt. Una risposta normale.
Matt
sussultò debolmente, sforzandosi di mantenere la calma.
Distolse
lo sguardo e lo fissò da qualche parte alla destra di Brian,
dove il maggiore degli intrattenimenti era un acquerello stinto.
-
Brian, senti…
Eccolo, il supremo momento.
Brian era oltremodo calmo. Era sicuro di cosa avrebbe detto Matt. Lo sentiva.
Era come se avesse già vissuto tutto. Avrebbe potuto alzarsi
e
dire “Ok, non fa niente. Non importa!”, ma per
qualche
motivo non lo fece.
Dillo, Matt. Dillo.
-
Senti…dobbiamo finirla qui.
Improvvisamente,
pronunciate queste parole, trovò il coraggio di guardare
Brian.
Sembrava dire “Ecco, ho fatto la mia parte, ora tocca te. Io
sono
salvo, almeno il tempo della tua risposta.”
Brian
interrogò a fondo quegli occhi trasparenti. Erano
inerti, finti. Il cristallo si era rotto, e ciò che
rimaneva erano solo scaglie di vetro.
Brian lo
sapeva, lo sapeva che prima o poi quel momento sarebbe
arrivato…
Il
guaio è che, quando arriva, fa terribilmente male.
Dimmi,
Matt, dove ho sbagliato?
- Brian,
quel film faceva schifo!
-
È la settima volta che palesi la tua opinione, Matt. Ho
capito.
-
Sì, ma fa davvero schifo!
- Ottava.
Brian
rallentò, accostando sotto casa di Matt.
- Sua
signoria è arrivata. È pregata di scendere in
fretta, perché sono in doppia fila.
- Non ci
penso neanche.
- Matt, sei
scemo?
Si
ritrovò il volto di Matt a pochi centimetri dal suo.
- Ho detto
di no. – gli soffiò sulle labbra, mentre si
metteva goffamente a cavalcioni sopra di lui.
-
Matt, non sei un po’ vecchio per pomiciare in macchina?
Guarda
che un volante nella schiena a quest’età non
è
l’ideale.
-
La prossima volta porto le carte da briscola, ma oggi ti devi
accontentare… di questo…- biascicò,
stampandogli
una scia di baci sul collo.
- Sei
sgradevolmente spiritoso stasera.
- Lo so,
tesoro…
Brian
realizzò come il suo compagno non fosse affatto
dell’idea
di fermarsi. Lo spinse a fatica sul suo sedile, nonostante quello si
agitasse scompostamente.
-
Matt, la sobrietà ha effetti devastanti su di te. Ti prego,
d’ora in poi, di bere sempre qualcosa, prima di uscire con
me.
Secondo: esci dall’auto di tua spontanea volontà,
senza
costringermi a denunciarti alla polizia per tentato stupro.
Matt
mascherò malamente il suo sorriso sotto un broncio bizzarro.
- Come
sei…conformista! – articolò,
gesticolando con le mani.
-
Conformista?!? Sono le due di notte, Matt, e si dà il caso
che domani entrambi lavoriamo.
Senza contare che ho sonno e ho bisogno di dormire. Tradotto: ciao,
Matt.
- Amore, se
sei sempre così gentile rischio di innamorarmi di te...
- Matt,
smettila di fare le fusa e dileguati!
Matt,
ubbidiente, sorrise, gli diede un rapido bacio e scese dal veicolo.
- Brian?
-
Sì?
- Ci
vediamo domani?
- Non ti
viene mai il dubbio che io abbia qualcosa da fare nelle mie giornate?
- No. Alle
otto?
Brian
guardò quegli occhi brillanti, felici. Erano felici. Sorrise.
- Certo.
-
‘Notte, Brian.
-
Buonanotte.
L’auto
si mise in moto lentamente.
- Comunque,
Brian, il film faceva cagare!
Per fortuna
era ormai troppo lontano per rispondergli.
Nel
tragitto verso casa, Brian cercò di delineare il loro
rapporto.
“Stiamo bene” era la cosa più sensata
che gli venne
in mente. E stava bene davvero. Non sapeva che Matthew era terrorizzato
all’idea che lui, una di quelle sere, potesse stancarsi del
suo
carattere infantile. Brian, dal canto suo, sapeva che sarebbe arrivato
al punto di dover ammettere di essere innamorato di Matt, per non
perderlo, ed era certo che non ci sarebbe riuscito.
-
È finita.
Brian
metabolizzò ad alta voce quanto Matt gli aveva riferito.
- Non trovi assurdo, Matt, che dopo cinque mesi io e te riusciamo a
concordare solo sul fatto che fra noi è finita?
-
Brian, ti prego…
-
Lo sapevamo entrambi.
-
No, Brian! Non sapevamo proprio un bel niente! Io non lo sapevo! Io ci
credevo!
Matt
aveva gli occhi lucidi, oltre che la mano dolorante per il colpo che
aveva appena sferrato al tavolo.
La
cameriera parve riscuotersi, portò il cappuccino di Brian e
versò del caffè a Matthew nel gelo più
totale. È
incredibile come dei particolari così normali come una
barista
con tendenze dittatoriali ti tengano ancorato alla realtà,
quando rischi di dimenticarla.
-
È inutile che ti scaldi.
-
Io reagisco, Brian! Tu sei lì… fermo. Non ti
smuove niente. Potrei esser morto e per te sarebbe uguale.
-
Non fare l’idiota.
-
Sono serio, Brian. Tu sei fatto così, prendi quello che
viene, come viene. Io no.
Si
guardò intorno, come a cercare qualcosa che lo aiutasse a
chiarire quel semplice concetto che non riusciva a far comprendere a
Brian.
- Tu hai
un’altra. Tu hai Gaia. Sei tornato con Gaia.
Brian
espose il suo ragionamento per gradi, così come gli era
venuto
in mente, senza sforzarsi di arricchirlo con belle parole.
Guardò Matt: aveva l’aria distrutta, di chi
avrebbe
preferito essere in qualunque posto piuttosto che lì,
piuttosto
che far del male ad una persona che amava davvero.
- A questo
punto converrai con me sul fatto che non ci sia molto da dire, vero,
Matt?
-
Brian, ti supplico…- Il tono di Matt era implorante.
-
Ma che
cosa ti aspettavi che ti dicessi? Di non tornare con lei? Che stai
facendo un grosso errore? Che sono affranto perché penso che
tu
mi abbia usato solo per scopare?
Era
incredibile come i pensieri fluissero naturalmente dal suo cervello, e
con che tranquillità riuscisse a dar loro voce. Non era
arrabbiato, Brian, non lo era davvero.
-
Io non penso nessuna di queste cose, Matthew. Io penso che, se ci
lasciamo, è perché deve succedere. Qualcosa
–
chiamalo fato, chiamalo Dio, non importa – ci ha resi quelli
che
siamo, e ci ha fatto compiere le nostre scelte. Qui è dove
queste ci hanno portato, dove noi siamo arrivati. Se vuoi, ti dico che
fra voi non funzionerà, come non ha funzionato la prima
volta, e
che con me staresti molto meglio, ma non è questo il punto.
Il
punto è cosa vuoi, Matt. E tu vuoi lei. Ora. Non ieri, Matt.
Non
quando eri innamorato di me. Adesso. E conta solo adesso, Matt.
Matt si
coprì il volto con le mani, per sorreggere una
testa che gli sembrava sopraffatta da troppi pensieri.
-
Cristo, Brian, vorrei esserne così sicuro…
-
Tu ne sei sicuro.
Matt si
guardò in giro alla disperata ricerca di un appiglio per la
salvezza. Qualunque cosa.
-
Io… so solo che ho bisogno di credere in qualcosa. Qualcosa
di
eterno, di stabile, capisci? Ho bisogno di una certezza, anche una
sola, nella mia vita. E lei c’è sempre stata, era
riuscita
a dare un senso a… tutto.
Non
trovava le parole. Il suo era un procedere incessantemente titubante.
-
Io non
riesco a vivere alla giornata coma fai tu, Brian. Ho bisogno di credere
che ci sia qualcosa oltre quello che vedo, oltre quello che succede.
Devo sapere che esiste altro.
Era
esausto. Prese la mano di Brian e gliela strinse. “Non mi
chiedere altro”, urlava, “Non mi chiedere
altro”.
Brian rispose alla stretta.
-
Va bene così, Matt. Va bene così! Io non ho
rimpianti.
Quello che ho passato con te è stato solo tempo guadagnato.
Sono
stato bene, ho fatto tutto quello che volevo fare. Tu eri felice, ed io
pure. Perché stavo da dio quando facevi l’idiota e
poi mi
sorridevi! Noi non abbiamo mai vissuto alla giornata, Matt, noi
vivevamo la giornata.
Non
stavo ad aspettare la manna celeste. Sceglievo. Mi guardavo intorno,
con un piede ben piantato a terra, e decidevo di conseguenza. E per lo
stesso motivo è giusto che tu ora vada da lei.
Perché
l’ami, perché è una cosa bella che ti
è
capitata, perché fra i due hai scelto lei. Questa
è la
scelta da fare, Matt, non quella fra realtà e utopia. Il
fatto
che ora mi sembra di morire non è un problema tuo
né mio,
è una conseguenza di tutto questo. Siamo qui, è
giusto
così. In qualche modo è giusto così.
Gli
lasciò la mano con una leggera carezza, si alzò e
si
preparò ad abbandonare il locale. Andò al bancone
per
pagare il conto, costringendo la cameriera a interrompere la sua
conversazione telefonica.
-
Accetti i contanti o vuoi direttamente le ricariche per il cellulare?
-
Come, scusi?
-
Lascia stare, gioia. Dammi il conto in fretta, che ti è
già arrivato un nuovo messaggio.
Tornando
indietro, trovò Matthew nella stessa posizione in cui lo
aveva lasciato. Aveva le
mani scomposte sul tavolino. Sollevò lo sguardo verso Brian,
ma non trovò la forza di alzarsi.
-
Vado. Ciao, Matt.
- Non ha
senso che io ora ti dica che ti amo, vero?
-
No.
E non mi
dire che ti ho fatto male.
- Scusami,
Brian.
Brian
era già verso l’uscita, si voltò
e guardò Matt. Era sicuro che, più di
ogni cosa, gli
sarebbe mancata la sua sincerità, quella che così
costantemente lo faceva sembrare fuori luogo. Non poté fare
a
meno di sorridere.
- E di cosa.
Fece un
respiro profondo, si strinse la sciarpa al collo e uscì.
Ricordati
sempre una cosa, Matt…
- Sai che
ho scritto una canzone sul sole che sorge, anziché sulle
tenebre che calano?
- Uh.
Brian, facciamo più spesso l’amore, se poi mi fai
queste rivelazioni sconvolgenti.
-
Esilarante. Con un pezzo del genere non vendo neanche un disco.
Matt
assentì. – Sì, è molto poco
"Placebo" un sole che sorge.
-
Però è… è bella, cazzo!
Bella! È vera!
- E tu
cantala.
- Prego?
- Cantala.
– Matt scrollò le spalle. – La gente
capisce quando senti
una cosa, quando è tua, quando non è di plastica.
Se per
te è bella, devi cantarla. È giusta
così.
…
mi hai insegnato tu tutto quello che so.
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Vi interessa sapere che ho vergato questa storia a mano? E che ho usato
una penna blu? Ecco, lo sapevo.
Cose molto più interessanti da dirvi riguardo il racconto
non ne ho, a parte il fatto che la lotta me vs titolo
è stata estenuante, e che sono tornata alle fanfiction dopo un
anno e mezzo di trastulli di vario genere. Il che equivale a:
- Brian al bar: fritto
- Brian che ha un flash: rifritto
- Brian che ha un flash al bar: *si ritira in una grotta e conduce una
vita da eremita*
Cosa volete, per ora è tornata la scrittura, presto o tardi,
spero, si farà viva
anche l'originalità.
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