Disclaimer. Sherlock e i suoi personaggi sono creazioni
della premiata ditta Moffat/Gatiss. I diritti appartengono alla BBC e
la seguente fic non vuole lederli in alcun modo. L'autrice non guadagna
niente dalla pubblicazione della stessa.
Note dell'autore. Questa storia
è un adattamento in chiave moderna de "L'enigma di Reigate" mixato con
una rielaborazione del fantasma che in XXXHolic compare negli episodi
"Temptation" e "Choice". E, giusto per far vedere quanto sono brava a
plagiare, c'è pure un pizzico di Poe.
(Traduzione a cura di Madame Butterfly
- link al permesso di traduzione qui
- la storia originale la potete trovare a questo indirizzo.
E ricordatevi che l'originale è sempre la versione migliore quindi, se
sapete l'inglese, siete caldamente invitati a leggerla =D)
2.
"Dove sei stato?" Si affrettò a chiedergli John, quando fece nuovamente
il suo ingresso nella casa dei Cunningham, un'ora più tardi. "È
mezz'ora che ti chiamo."
"Ero nel parco a sbollire, come mi hai suggerito tu," replicò Sherlock.
"Ho visto la macchina nel viale. Suppongo che il giovane Mr. Cunningham
sia arrivato a casa. Dov'è?"
John lo ignorò. "Sei stato all'aperto per tutto questo tempo?" chiese,
inorridito. "Sherlock, si gela e tu sei malato! Non puoi startene
seduto fuori con questo tempo. Non hai un minimo di istinto di
conservazione?"
"Non sono malato," disse Sherlock, brusco, nonostante si fosse
improvvisamente accorto di sentirsi decisamente male.
"Oltretutto, c'è un caso di omicidio che ci aspetta, se volessi essere
così gentile da toglierti dalla porta." John non si mosse.
"Sei pallido," disse invece, scrutandolo con sospetto.
"Sono sempre pallido," replicò Sherlock.
"Be’, più pallido del solito," si corresse John. "Sei certo di star
bene?"
"Non immaginavo che quando ho accettato di essere il tuo coinquilino
avrei ottenuto una madre oltre alla tranquillità economica," disse
Sherlock con tono piatto, stringendo gli occhi per rendere chiaro a
John che quella linea di conversazione era chiusa. "Come ho potuto
essere così fortunato?"
John alzò gli occhi al cielo. "Okay, è chiaro che stai bene. Fammi
sapere se ci sono cambiamenti."
Era evidentemente un ordine più che una richiesta, un tocco del passato
militare di John che si manifestava, e Sherlock trattenne un sorriso.
Agitò una mano con noncuranza. "Hai la mia parola che sarai la prima
persona a cui lo riferirò. Ora potremmo tornare all'omicidio?"
John sospirò, rassegnato. "Lestrade ha appianato le cose insistendo che
il tuo carattere aspro è uno spiacevole ma necessario effetto
collaterale della tua genialità. Alec Cunningham ti sta aspettando
nella biblioteca per rispondere ad ogni domanda, ma cerca di mantenere
dei toni quantomeno civili, stavolta. Lestrade inizia a sembrare un
po'... logorato. Suppongo gli sia stato richiesto di fare
frequentemente rapporto sui progressi dell'investigazione ai suoi
superiori."
"Gli forgerà il carattere. Ora possiamo andare?"
John, nell'entrata, si inchinò con ironia. "Ai suoi ordini."
Sherlock fece un sorrisetto. "Appunto."
**
Alec Cunningham aveva poco più di vent'anni, anche se era chiaro dai
suoi abiti e dall'abitudine di appoggiarsi contro il caminetto in modo
languido che preferiva apparire più vecchio ed annoiato. Anche Sally si
trovava nella stanza, la sua postura aggressiva faceva ben capire la
sua intenzione di fare da chaperon a Sherlock.
Come sua nonna, il ragazzo ripeté ubbidientemente le informazioni che
aveva dato alla polizia durante il colloquio iniziale:
Lui e suo padre erano rimasti a lavorare fino a tardi nei loro uffici
la notte dell'omicidio e non erano tornati fino alle due di notte
circa, dopo aver ricevuto una chiamata da Edith. Quando erano arrivati,
la polizia era già sulla scena.
Sì, sono stati in ufficio e alla presenza l'uno dell'altro per l'intera
nottata.
No, non c'era nessuno che
potesse confermarlo visto che i dipendenti - non essendo gravati dalle
molte responsabilità della gestione - se n'erano andati al solito
orario, le sei del pomeriggio.
Il colloquio continuò su questo tono finché Sherlock non fece allusione
alle voci sull'imminente rovina finanziaria che aveva avuto dal
violinista.
Il viso di Alec si chiazzò di un rosso vivo. "Questo è ridicolo! La
Cunningham Shipping and Export non è mai stata così redditizia."
"Forse," disse Sherlock, serenamente, "ma redditività non vuol dire
solvenza finanziaria. Sono a conoscenza del fatto che la sua compagnia
ha di fronte vari creditori scontenti." Aveva cercato brevemente
notizie sulla compagnia mentre tornava dal parco. L'informazione non
era stata difficile da reperire, ma l'occhiata che Alec gli lanciò
aveva qualcosa di molto simile al panico.
"Quelle sono voci messe in circolo da individui senza scrupoli al soldo
della concorrenza. Sono offensive e senza fondamento," disse con
fermezza. Troppa fermezza, sembrò a Sherlock. Del sudore stava
iniziando a scendergli dalle tempie.
"Inoltre non sono pertinenti con l'investigazione in corso," disse
Sally, senza dubbio nel tentativo di minimizzare le possibilità di
ulteriori reclami a Lestrade riguardo la mancanza di tatto di Sherlock.
Al suo intervento, Alec si calmò immediatamente.
"Ci sono altre domande?" chiese, adottando ancora una volta il tono
stanco di chi è obbligato a fare qualcosa.
"Sì," intervenne John, a sorpresa. "In che stanza dormiva Miss Kirwan?"
Le sopracciglia del giovanotto si sollevarono, un po' sorpreso, ma non
rispose immediatamente. "Aveva una piccola stanza al quarto piano
nell'ala nordest della casa. Ora abbiamo finito?"
"Sì, è tutto," disse bruscamente Sherlock, ignorando l'occhiata
significativa che John gli stava rivolgendo. Si voltò verso la porta,
John lo seguì da vicino.
"Grazie per il suo tempo, signore," sentì Donovan che diceva, con
educazione, mentre porgeva ad Alec il suo biglietto da visita. "Se
ricorda qualcos'altro che potrebbe essere d'aiuto per le indagini, mi
contatti, la prego."
"Dove stai andando?" chiese John, suonando irritato mentre faticava a
tenere il passo rapido di Sherlock.
"Vado ad esplorare il terreno," rispose bruscamente, camminando ancora
più velocemente per prevenire le proteste che, ne era certo, sarebbero
giunte. Stava iniziando a sentirsi agitato e sulle spine, come
febbricitante, anche se la sua pelle rimaneva fresca al tatto e si
ritrovava a tremare spesso.
"E non un'altra parola sulla temperatura. Non sono un invalido, ed è
vitale per l'investigazione."
Sentì John mormorare un’imprecazione mentre si sbrigava a seguirlo.
**
Ci volle un'altra ora per eseguire un esame superficiale del terreno
intorno alla casa, cercando le orme dei ladri in fuga.
Non c'erano impronte da trovare, la qual cosa non sorprese affatto
Sherlock. Come spiegò a John mentre camminavano - la voce quasi
ansante, della quale fortunatamente John sembrò non accorgersi -
c'erano decisamente troppe intriganti ragioni per la disfunzionale
famiglia Cunningham per cancellarle come sospette, malgrado quello che
la polizia poteva preferire.
Mentre camminavano lungo il retro della casa, Sherlock vide John che
guardava in su verso l'ultimo piano dove, vicino al camino, c'era una
piccola finestra. Aveva l'aria frustrata.
"Dubito che il Diavolo viva in una stanzetta d'angolo nell'Hampstead,"
disse Sherlock in tono di conversazione.
John gli lanciò un'occhiata. "Non ho paura del Diavolo," disse. "Ma
rimane il fatto che una donna e sua figlia sono state assassinate in
quella stanza nel 1841 e che la polizia non ha mai trovato il
colpevole. Non hanno mai nemmeno scoperto come sia successo: la stanza
era chiusa dall'interno e non era possibile accedere dalla finestra per
via dell'altezza della casa."
All'occhiata maliziosa di Sherlock, arrossì leggermente ma non distolse
lo sguardo. "Non sei l'unico ad avere uno smartphone. Ho dato
un'occhiata all'archivio giornalistico," si difese. "Qualunque cosa sia
successa in quella casa potrebbe avere un collegamento con il nostro
caso."
Sherlock sbuffò. "Non voglio negare l'importanza delle ricerche
scrupolose, ma in questo caso stai sprecando il tuo tempo. Un duplice
omicidio vecchio di 150 anni non ha alcuna attinenza con
l'investigazione in corso."
"Entrambe le vittime erano delle domestiche donne sulla ventina."
"La maggior parte delle domestiche in questa zona sono donne e, per
quanto ne so, tutte le donne avranno o hanno avuto vent'anni, ad un
certo punto della loro vita."
"Entrambe le vittime sono morte per via di una brutale violenza fisica."
"La morte di Miss Kirwan è stata il risultato della caduta dalle scale,
che le ha spezzato il collo. Senza la caduta, difficilmente il colpo
alla testa l'avrebbe uccisa," gli rammentò Sherlock. "Anche se il
risultato finale si può definire brutale, la violenza fisica sulla sua
persona è stata minima."
John appariva pensieroso, ma non convinto. "Potrebbero lo stesso essere
collegati, Sherlock. Due omicidi irrisolti nella stessa casa, in una
zona non soggetta a crimini è qualcosa di più di una coincidenza."
"Allora come pensi siano collegati?"
"Io... non ne sono certo. Magari c'è un segreto che la famiglia
Cunningham mantiene da generazioni e che non vogliono sia rivelato. O
magari c'è un oggetto di valore che si dice sia nascosto da qualche
parte all'interno della casa. O forse esiste un passaggio segreto."
"Un passaggio segreto?" chiese Sherlock, divertito. "Stai di nuovo
leggendo romanzi gotici?"
John rifiutò di abboccare. "La porta della stanza dove la donna e sua
figlia furono uccise era chiusa dall'interno e non c'erano altre
chiavi. Come ti spieghi che l'assassino sia riuscito ad andare e venire
senza essere visto? A meno che tu non voglia appoggiare la tesi che sia
stato il Diavolo."
"Ovviamente l'assassino deve essere entrato dalla finestra."
"Al quarto piano?!"
"Magari è stata una scimmia," disse Sherlock, sbrigativo. "Il punto è
che al momento non importa come siano state assassinate, perché Billie
Kirwan è stata uccisa in un modo completamente diverso, in una stanza
completamente diversa e in un secolo completamente diverso. Cerca di
mantenere la mente sul problema in questione, se sei capace di
concentrarti."
"Bene," disse John, freddamente, camminando rigido verso l’ingresso
della casa, mentre completavano il giro.
Il sole aveva iniziato a tramontare e l'aria odorava di neve: quel
profumo aspro e frizzante con un sottofondo di ozono che, una volta
inalato, sembrava rubare tutto il calore corporeo. Sherlock guardò
rientrare il suo amico e sentì un nodo di freddo insediarsi con forza
nel petto. Tossì, il suono inghiottito dall'aria del crepuscolo.
**
Divisero un taxi per tornare all'appartamento, ma fu un viaggio
silenzioso, con Sherlock che rimuginava sul caso e John che osservava
il cielo notturno fuori dal finestrino.
Quando arrivarono a Baker Street, Sherlock si aspettò quasi che John lo
spingesse in cucina insistendo che mangiasse un boccone, invece disse
vagamente qualcosa a proposito del volersi godere l'aria notturna
(ovviamente una scusa) e sparì giù per le scale. Il piccolo grumo di
ghiaccio che si era insediato nel petto di Sherlock sembrò farsi più
pesante nel momento in cui John sparì dalla sua vista e d'improvviso si
sentì completamente esausto.
Trascinarsi su per le scale gli costò un tremendo sforzo e lui collassò
sul letto completamente vestito, cappotto e sciarpa avvolti
strettamente intorno a lui. Il freddo che pareva non dargli tregua lo
costrinse a calciar via le scarpe e seppellirsi sotto le coperte.
Dormì, il corpo che occasionalmente tremava ma senza svegliarlo.
I suoi sogni furono pieni di fiocchi di neve e della dolce voce di una
donna che cantava una ninna-nanna, anche se non riuscì a ricordarne la
parole una volta sveglio.
Il sole aveva appena iniziato ad illuminare il cielo quando si alzò. Si
cambiò la camicia (rapidamente, poi si riavvolse immediatamente
nel cappotto), si sciacquò il viso in un accenno di igiene e poi
corse su per le scale.
John stava chiaramente dormendo, la porta della sua stanza chiusa
mentre Sherlock si fermava ad appenderci una nota.
Vado alla tenuta dei Cunningham.
Raggiungimi appena puoi. SH
D'impulso aggiunse: Esaminerò la
stanza della vittima per possibili indizi sul movente e sui punti
d'accesso.
Se ne andò velocemente prima di cambiare idea.
**
I negozi stavano iniziando a sollevare le saracinesche, quando arrivò
ad Hampstead. Avrebbe potuto dirsi che i Cunningham erano certamente a
letto e che era quella la ragione per cui stava passando oltre la casa,
ma aveva promesso a se stesso di non mentirsi mai.
Lei era già seduta sulla panchina quando arrivò al parco.
Gli sorrise con calore quando si sedette accanto a lei, prima di
rivolgere nuovamente lo sguardo al parco giochi vuoto. Stavolta era
coperta in uno scialle bianco che le si avvolgeva protettivo intorno al
corpo, anche se dalla sua espressione non sembrava avesse freddo. Era
evidentemente un capo di valore: ben fatto e con le fibre tessute con
maestria.
Sedettero in silenzio per un po' prima che lei iniziasse a parlasse.
"Hai mai perso qualcuno, giovanotto?" chiese. Il suo sguardo era ancora
fisso sulle altalene abbandonate e - nonostante il viso fosse
tranquillo - Sherlock poté vedere che le sue mani erano strette
fortemente insieme sotto lo scialle.
"Chi ha perduto?" chiese direttamente, invece di rispondere alla
domanda. Si trattava di quel genere di domande inappropriate per cui
John avrebbe fatto una smorfia, ma la donna non ebbe altra reazione che
un'increspatura di dolore intorno agli occhi. Si prese un momento per
rispondere.
"Mio figlio," disse infine. Era la risposta che Sherlock si aspettava.
"È stato molto tempo fa. Immagino che avrebbe circa la tua età, se
avesse passato l'infanzia."
"Mi dispiace," disse Sherlock. Le parole suonarono vuote, come sempre
accadeva quando tentava di mostrare simpatia per le tragedie di persone
che gli erano del tutto estranee, ciò nonostante si sorprese a pensare
che diceva sul serio. Non era dispiaciuto per la morte di un bambino
che non aveva mai incontrato, ma per la cicatrice indelebile che aveva
lasciato sulla donna accanto a lui. C'era qualcosa in lei che
risvegliava la sua simpatia.
"La perdita è un'emozione crudele," continuò lei, gli occhi ancora
fissi sul parco giochi. "Non svanisce con il tempo, non importa quello
che loro vogliono farti credere." Non specificò a chi si riferisse quel
'loro' ma Sherlock poté immaginarlo.
Lei continuò. "Credo che non abbia importanza quanti anni passino, il
senso di perdita ferisce come il primo giorno. Come un coltello che si
affila con ogni memoria."
C'erano delle lacrime sulle sue ciglia, anche se nessuna era caduta
sulle guance, e Sherlock automaticamente distolse lo sguardo per un
momento, a disagio con il suo evidente, anche se non apertamente
manifestato, dolore.
Lei si voltò improvvisamente a guardarlo e lui fu colpito ancora una
volta dalla sensazione di familiarità.
"Averti qui con me, ad ascoltare i miei ricordi, lenisce il dolore." Il
suo sorriso era profondo e sincero, rischiarandole il viso per la prima
volta da quando Sherlock l'aveva incontrata. "Grazie."
Sherlock non rispose ma allungò una mano a toccare la sua. Il suo
scialle era incredibilmente soffice dove lo sfiorò con le dita e
talmente freddo che avvertì un brivido salirgli lungo il braccio dal
punto dove l'aveva toccato: una sensazione rapida e acuta, quasi di
dolore, che poi sfumò in un dolore sordo facilmente ignorabile. Come
punte di ghiaccio.
**
Quando arrivò alla tenuta dei Cunningham, John era già lì e - a
giudicare dal suo linguaggio del corpo - era molto agitato.
Si trovava fuori dal portone d'ingresso e abbassò il cellulare quando
vide Sherlock entrare dal cancello, sul viso un'espressione di intenso
sollievo.
"Razza di deficiente! Dov'eri?" disse John, con veemenza. Il calore che
Sherlock avvertì quando realizzò che era stato perdonato per il litigio
del giorno prima fu tanto inaspettato quanto squisito.
"Perché sorridi a quel modo? Ho pensato ti avessero rapito, razza di
bastardo ingrato." Sherlock si rese conto che aveva addosso un sorriso
che poteva essere definito, nel più generoso dei termini, 'stupido' e
si ricompose rapidamente.
"Stavo cercando un po' di quiete per rimuginare sul caso," disse
Sherlock, che era abbastanza furbo da evitare per il momento di
menzionare l’ulteriore ora trascorsa fuori dalla porta.
"Be', non sparirmi di nuovo," disse John. "La prossima volta che scappi
senza rispondere al cellulare, chiamo tuo fratello."
La bocca di Sherlock emise un suono disgustato. "Le minacce non ti si
addicono, John," disse entrando. Gli venne in mente che non gli era
stata notificata nessuna chiamata persa mentre era nel parco, ma per il
momento accantonò il pensiero per concentrarsi pienamente sulla
questione in gioco.
Qualunque fosse la replica di John andò perduta quando Delia, la
svampita moglie di Edgar, apparve all'improvviso di fronte a loro
nell'ingresso.
I suoi pallidi occhi azzurri erano rossi e spalancati mentre li fissava
dalla sua sorprendentemente scarsa altezza. Aveva i capelli spettinati
ed era avvolta in una vestaglia blu come le uova di un pettirosso
americano.
"Gli spettri," mormorò con urgenza. "Ci sono gli spettri nel camino.
Quando cade la notte, si mettono a bisbigliare."
"Signora, si sente bene?" chiese John, sollecito. "Ha bisogno che
chiamiamo qualcuno? Chiamiamo sua suocera?"
Lei scosse la testa violentemente, voltando la testa più che poteva, di
qua e di là, in un gesto esagerato. "No!
Lei è la loro confidente!"
"Vuol dire la confidente dello spettro?" chiese Sherlock, sarcastico.
John gli lanciò uno sguardo di disapprovazione prima di rivolgersi
nuovamente alla donna affranta.
"Mrs. Cunningham," iniziò, chiaramente con l'intenzione di calmarla,
prima che lei lo interrompesse bruscamente.
"Dovete andarvene da questa casa finché potete! Prima che moriate anche
voi! Vi uccideranno!"
"Mrs. Cunningham, sa qualcosa della notte in cui è morta Billie? chiese
Sherlock, il tono improvvisamente serio alla vista di un potenziale
testimone, mentalmente confuso o meno.
"È stato il fantasma!" disse lei, con voce strozzata e acuta. "Il
fantasma della domestica che è stata uccisa nel caminetto! Ha maledetto
questa famiglia che non ha potuto proteggere la sua bambina e ora è
venuta a prendere noi!"
"Capisco," disse Sherlock, perdendo interesse. Non avrebbe trovato
alcun testimone, lì. "Magari dovrebbe chiamare un prete. So che questa
è una cosa che rientra nelle loro competenze." Girandole le spalle,
iniziò a salire con decisione le scale. "È questa l'ala nord-est?"
disse, chiamando John.
John era occupato a cercare di calmare l'angosciata donna e non rispose
nulla a parte uno sbotto piuttosto irritato del nome di Sherlock.
**
La camera di Billie Kirwan era piccola, come sono solitamente le stanze
negli edifici storici, ma sorprendentemente confortevole. Aveva
decorato i muri con ritagli di varie riviste, rivelando un infatuazione
per diversi attori famosi.
Il letto era rifatto con precisione, con due gatti di peluche
appoggiati al centro. La vista rese Sherlock inspiegabilmente
malinconico, così si voltò per rivolgere la sua attenzione alla
finestra. Si aveva una bella vista sulla strada se ci si appiattiva
contro il muro, e considerò brevemente la teoria proposta da Mrs.
Cunningham che Billie Kirwan fosse stata in combutta con i ladri che
erano ritenuti i responsabili della sua morte.
Tirò fuori il cellulare per avere conferma delle condizioni
atmosferiche della notte in questione, scegliendo di ignorare il
rantolo nel suo petto quando respirava e che era presente sin da quando
si era svegliato quella mattina. Clinicamente prese nota che le sue
dita stavano tremando leggermente.
All'improvviso la sua mano fu coperta da un'altra: più grande e
abbronzata della sua, dita schiette e callose. John.
"Credo basti per ora," disse John lentamente. "Non dovresti sforzarti.
Peggiorerai le tue condizioni. Anche se," per un attimo il suo viso
sembrò perso e confuso, "non saresti dovuto peggiorare così tanto in
così poco tempo, anche considerando la tua passeggiata fuori. Non ha
senso."
Alla sua espressione, Sherlock non volle altro che stringerlo forte e
assicurarlo che sarebbe andato tutto bene e che non c'era ragione di
preoccuparsi. Ma si era posto come regola il non lasciarsi andare a
vuote banalità. Invece lo guardò torvo. "Nel caso tu non l'abbia
notato, c'è un'indagine su un omicidio. Non posso esattamente fermarmi
per un tè. A meno che tu non preferisca che l'omicidio di quella povera
ragazza rimanga irrisolto."
Era un evidente tentativo di manipolarlo, ma John non reagì. Il suo
sguardo su Sherlock era fermo e serio, e Sherlock sentì il proprio
cuore torcersi, forte, nel petto.
"Un compromesso, allora. Andrò avanti io con il caso e scriverò
qualunque messaggio o farò ogni ricerca mi chiederai di fare. E tu ti
fermerai per riposare e mangiare - e intendo più di tè e cerotti alla
nicotina - almeno due volte al giorno," disse John, calmo, togliendo
lentamente il telefono dalla presa di Sherlock, che era troppo preso
dalla piacevole cadenza della sua voce per fermarlo.
"Non riesco a capire in che modo si tratti di un compromesso," disse
dopo un momento, la bocca stranamente secca.
John sorrise di quel caldo sorriso che gli utilizzava l'intero viso.
"Io evito che ti ammazzi da solo e in cambio tu hai la possibilità di
sorprendere la polizia con la tua genialità in barba a tutti gli
ostacoli."
"Suppongo che Sally si possa considerare un ostacolo, già."
John lo ignorò, ma Sherlock poté notare la piega divertita sulla sua
bocca. "Allora, trovato qualcosa?" chiese, mentre esaminava la stanza,
seguendo più o meno lo stesso percorso che aveva seguito Sherlock.
"Niente di importante."
John si bloccò di fronte al caminetto, con la grata chiusa e ornata di
sciarpe dai colori vivaci, come se Miss Kirwan avesse chiaramente
optato per la piccola stufa elettrica vicino alla testiera del letto.
"Quando hanno investigato sull'omicidio del 1840, diversi investigatori
hanno riferito di aver sentito bisbigli e gemiti provenire dal
caminetto," disse John con tono apparentemente casuale. "È allora che
si è iniziato a parlare di apparizioni."
Sherlock non si lasciò ingannare dall'approccio disinvolto al soggetto,
ma non voleva litigare di nuovo su un omicidio vecchio di cent'anni.
"Perché sei così determinato a farmi seguire questa linea
d'investigazione? Non puoi credere davvero che un fantasma sia il
responsabile dell'omicidio di Miss Kirwan."
"No, naturalmente no," disse John. "Non è quello. È..." Poi si fermò,
mordendosi leggermente un labbro (Sherlock si disse con decisione che
non stava prestando alcuna attenzione al gesto se non per determinare i
processi mentali di John).
"È solo," continuò John, lentamente. "È solo che non voglio che tu ti
imbatta in qualcosa che non hai mai visto prima... che non hai preso in
considerazione, e venga colto di sorpresa."
Sherlock sbuffò. "Per favore. Mi capita raramente, se non mai, di
essere sorpreso. Ho l'abitudine di calcolare i probabili risultati
tutte le volte e in tutte le situazioni."
"Sono sicuro che lo fai, ma ci sono aspetti della vita, delle persone
che tu non capisci. No, no..." Alzò una mano a prevenire il diniego di
Sherlock. "Lo sai che è così. Ed è normale. Nessuno può conoscere ogni
cosa, malgrado proclami il contrario." Questa era chiaramente rivolta a
Sherlock, a giudicare dalla piega ironica della bocca di John.
"So quanto sei sicuro di te e onestamente penso sia necessario per il
lavoro che fai. Ma non conviene mai essere troppo sicuri di sé. Chi può
dire che non ci sia una forza o un'entità da qualche parte nel mondo e
che al momento riteniamo impossibile?"
"Ci sono molte cose sotto i cieli, intendi?" chiese Sherlock, ironico.
L'espressione di John non mutò e Sherlock sentì un leggero fremito di
disagio. Sembrava così... preoccupato.
"Semplicemente non voglio che tu ti faccia male," terminò John
debolmente, stringendosi nelle spalle.
"Sono più che capace di badare a me stesso," disse Sherlock, liquidando
l'argomento. "Ma apprezzo la tua preoccupazione."
"Prometto che starò attento," aggiunse in un tentativo di rimuovere
l'espressione ansiosa dal viso del suo amico.
"Dubito che tu conosca il significato del termine," sospirò John, il
viso quasi triste per un momento. Ma poi fece un sorriso furbo. "Magari
potrei chiedere a Lestrade di metterti addosso un trasmettitore. Almeno
sapremmo dove trovarti quando hai la testa tra le nuvole."
"Uno spreco di risorse," Sherlock disse immediatamente. "È vero che
sono alto, ma non così tanto da arrivare fino alle nuvole." [1]
Considerò la risata di John come una vittoria.
**
John si allontanò per procurarsi del cibo da asporto come concordato,
dopo aver detto a Sherlock senza mezzi termini che non avrebbe lasciato
la proprietà per nessun motivo senza che John fosse lì ad accertarsi
che non si facesse venire la febbre. Sherlock trovò l'intera
conversazione eccessivamente melodrammatica ma non poté evitare di
essere toccato dalla preoccupazione di John per la sua salute. Era
passato molto tempo da l'ultima volta che qualcuno aveva speso così
tante energie nel preoccuparsi per lui.
Sally lo intercettò prima che entrasse in biblioteca. Attraverso la
porta aperta poté vedere Edgar Cunningham che passeggiava avanti e
indietro di fronte al fuoco, il linguaggio del corpo rivelava il suo
nervosismo.
"Senti," disse Sally, aggressiva. "Sei già riuscito ad irritare o
terrorizzare tre dei quattro membri della famiglia Cunningham. Sono
sicura che saresti felice di fare piazza pulita, ma fammi un favore e
trattieniti questa volta. Ogni volta che riesci ad offendere qualcuno,
è a Lestrade che fanno un testa così, e tu gli devi più di questo."
Sherlock la guardò accigliato, il tentativo di dirigere le sue azioni
come al solito gli bruciava. "Ho un lavoro da fare, sergente. Lo
svolgerò nel modo che ritengo più opportuno. Mi dispiace che a Lestrade
causi imbarazzo, ma c'è un assassino da catturare e non ho intenzione
di sprecare il mio tempo coccolando un sospettato."
"Mr. Cunningham non è un sospettato. Nessuno
dei Cunningham è un sospetto. Questo è un caso di furto andato male,
non una delle tue grandi cospirazioni."
Sherlock la ignorò, si diresse a grandi falcate in biblioteca e subito
salutò con un cenno l'uomo che camminava avanti e indietro.
"Mr. Cunningham, aveva una relazione con Billie Kirwan?"
Dietro di lui, udì Sally emettere un gemito mentre Edgar Cunningham
diventava nero dalla rabbia.
"Cosa?!" esclamò. “Come si permette di chiedere una cosa del genere? È
oltraggioso!"
"Se non risponde, lo prenderò per un sì."
"Le assicuro che i miei rapporti con Miss Kirwan erano del tutto
professionali. Era una dipendente di questa casa. Tutto qui. Perché mi
ha rivolto una domanda così insolente?"
Sherlock non si degnò di rispondere. "Lei era in ufficio da solo con
suo figlio la notte dell'omicidio dalle sei del pomeriggio fino alle
due circa di notte, giusto?"
"Ho già risposto molto bene a questo!"
"Che stava facendo lì?"
"Affari."
"Su cosa stava lavorando nello specifico?"
"A lei cosa importa?"
"Le assicuro, Mr. Cunningham, che sto semplicemente tentando di
accertare i dettagli della notte in questione. In quali affari siete
stati occupati lei e suo figlio per otto ore in ufficio quella notte?"
Mr. Cunningham ebbe una piccola esitazione. "Alec e io stiamo spesso
fino a tardi in ufficio. Non è così insolito."
"Questo non risponde alla mia domanda."
"Stavamo compilando un resoconto delle spedizioni di cui la compagnia è
stata responsabile nell'ultimo trimestre. Si tratta di una periodica
revisione finanziaria."
"Capisco," disse Sherlock, blandamente. "E se rivolgessi ad Alec la
stessa domanda, devo supporre che la risposta sarebbe simile?"
Mr. Cunningham si infuriò, la faccia gli stava diventando ancora più
rossa, ma fu Sally a intervenire.
"Basta così! Fuori. Adesso."
Gli si scagliò contro nell'atrio. "Pensavo di aver chiarito che Mr.
Cunningham non è, ripeto, non è un sospettato. Sei completamente fuori
strada e questo influenza l'investigazione. Per l'ultima volta, è stato
un furto."
La frustrazione di Sherlock alla fine esplose. "Scartare delle
possibili teorie a favore della tua, nata da una sequenza di eventi non
ancora provata, dimostra un'investigazione più negligente del solito."
Questa colpì chiaramente un nervo scoperto e Sally divenne pallida
dalla rabbia.
"Qual è il problema, allora? Un furto che termina con un omicidio non è
abbastanza interessante per te? Il Dipartimento di Polizia
Metropolitana non è il tuo parco giochi personale, dannato psicopatico!"
"No, è il mio cliente abituale. Per colpa di poliziotti come te che si
servono di processi mentali sistematici e improduttivi per finire
bloccati in una singola teoria e non accorgersi di quello che hanno
diritto di fronte a loro."
"È stato un furto, Sherlock. I ladri hanno pensato che nessuno fosse in
casa e la ragazza li ha sorpresi. Sono andati nel panico, l'hanno
spinta giù per le scale e sono scappati. È triste e tragico ma succede."
"Non è stato rubato niente!"
"Perché non hanno avuto il tempo di prendere niente prima di imbattersi
in Billie."
"I rapporti dei primi interrogatori sulla scena del delitto affermano
che tutte le porte e le finestre erano sbarrate, e Mrs. Cunningham ha
dichiarato con una certa sicurezza che ha dovuto aprire il portone
d'ingresso chiuso a chiave quando è arrivata la polizia. Devo supporre
che i ladri abbiano richiuso la porta quando sono usciti? Dei criminali
davvero educati."
Sally fece una pausa per un momento, accigliata, ma poi scosse la testa.
"Non contraddice la teoria del furto. Mrs. Cunningham potrebbe essersi
sbagliata riguardo alla porta chiusa a chiave, è comprensibile visto
che è stata di certo una nottata sconvolgente per lei. La maggioranza
delle persone sarebbe turbata dopo aver rinvenuto il corpo di qualcuno
a cui tenevano."
"Non ci sono segni che qualcuno sia scappato attraverso il prato."
"Allora hanno usato il sentiero."
"La telecamera sulla strada principale li avrebbe ripresi. Per
evitarla, devono aver tagliato per il giardino e poi scavalcato la
staccionata, ma non ho trovato impronte."
"Allora non le hai viste."
"Non è così."
"Chiaramente è così, perché assolutamente nessuno avrebbe motivo di
assassinare questa ragazza: non aveva nemici, né segreti, né guai con
la polizia tranne una multa da saldare. È stata la vittima di
un'assurda tragedia e mi dispiace che non sia abbastanza interessante
per te, ma te ne puoi andare al diavolo. Tu scegli e ti prendi i casi
che si prestano ai tuoi 'poteri di deduzione', come se i normali
crimini e omicidi di tutti i giorni non meritassero di essere risolti.
Come se quelle vittime non contassero. Mi fai venire il voltastomaco."
"Non sono un ispettore di polizia, sergente Donovan," sibilò Sherlock.
Stava iniziando ad avere difficoltà a respirare. "Sono un consulente
investigativo. È il mio lavoro quello di..." La tensione nel suo petto
esplose in quel momento, risultando in un violento accesso di tosse. Si
piegò in due mentre un dolore acuto e improvviso gli si serrava intorno
allo sterno.
"Oh mio dio," udì vagamente la voce di Sally che diceva, mentre lui
cercava disperatamente di respirare. "Stai..."
"Sto bene," disse con voce raschiante, inciampando verso la porta. "Ho
solo bisogno d'aria. La polvere in questa casa è soffocante."
Non attese una risposta e sbatté la porta dietro di lui.
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[1] Nell’originale John
dice “Then at least we’d know where to find you when you get in over your head” riferendosi al
fatto che il suo amico, quando ha qualcosa per la testa, sparisce e non
risponde alle chiamate, e Sherlock risponde con un gioco di parole
dicendo testualmente “Considerata la mia altezza, poche cose sono
capaci di estendersi sopra la mia testa (over my head).” Insomma, non sapevo
come tradurre queste due battute mantenendo il gioco di parole di
Sherlock. Ho fatto meglio che potevo e il risultato lo avete letto
nella fic :\
Se qualcuno ha suggerimenti per migliorare la traduzione mi contatti
senza paura :) Dovrò in ogni caso riprendere per mano tutto quanto per
una bella revisione quindi i suggerimenti fanno comodo.
Un enorme grazie a Flan e a Ely che
hanno commentato! Al più presto tradurrò i vostri commenti e li
invierò all'autrice =D
Il prossimo - e ultimo - capitolo arriverà presto, non disperate! ;D
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