Menelvagor

di elenelessar
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1) La compagnia aveva lasciato Lorien ormai da un giorno, e lasciandosi trascinare dalla corrente lungo il fiume Anduin ne aveva già trascorso un lungo tratto. Stava calando la sera quando gli otto compagni decisero di accostare le tre barche elfiche alla riva e di cercare un punto riparato nel quale trascorrere la notte. I quattro hobbit, per niente abituati al viaggiare sull’acqua, furono ben felici di toccare terra e di poter riposare. Il viaggio era stato per tutto il giorno così monotono e cupo, che tutti accolsero volentieri l’idea, anche se questa sosta li rendeva più vulnerabili. La decisione su quale strada intraprendere e su cosa fare pesava sull’animo di tutti, ma nessuno voleva ancora pensarci. Quasi in completo silenzio, scaricarono i loro leggeri bagagli dalle barche e allestirono un piccolo campo improvvisato. Gimli era attanagliato dalla nostalgia per la dama di lorien, e per togliersi di dosso quella triste sensazione decise di andare a raccogliere un po’ di legna per accendere il fuoco. Merry e Pipino preparando il cibo avevano ripreso a chiacchierare scherzosamente, Sam ciondolava per il sonno, e Frodo fissava il fiume con l’aria di non pensare a nulla. Mentre Aragorn e Boromir sedevano un po’ in disparte parlando sommessamente, Legolas camminava lentamente lungo la riva, cantando sottovoce una nenia dal suono dolce e triste insieme, e sembrava quasi che non vedesse i compagni. Lasciando Lorien si era sentito come se, dopo essere stato a lungo cullato da un sogno, fosse stato svegliato a forza e buttato fuori al freddo. Poi, come se fosse stato colpito da qualcosa, girò di scatto la testa nella direzione verso la quale si era allontanato Gimli, e dopo essere rimasto in ascolto un istante, corse dentro al bosco che costeggiava il fiume. Conoscendo i sensi finissimi dell’elfo, Aragorn e Boromir capirono subito che aveva sentito qualcosa al di là degli alberi, e si lanciarono anch’essi nella stessa direzione, urlando ai quattro hobbit di restare nascosti e di aspettarli lì. Quando però riuscirono a raggiungere l’elfo, Legolas e Gimli erano impegnati in una violenta battaglia con un folto gruppo di orchetti, e già alcuni di essi giacevano a terra, colpiti da frecce o dalla terribile ascia del nano che, sorpreso mentre tagliava legna, sfogava ora tutta la sua rabbia… I due uomini si lanciarono nella battaglia, e in poco tempo ebbero la meglio. Quando ormai il fragore delle armi era cessato, Legolas si accorse che non vedeva già da qualche minuto Gimli, e cominciò a percorrere il campo coperto dai corpi degli orchi. Un sorriso gli sfuggì, quando vide il nano circondato dai nemici abbattuti a tal punto da non riuscire ad uscirne. Si avvicinò, e gli porse una mano, cercando di sollevarlo. Gimli accettò l’aiuto, anche se già sapeva che gli sarebbe costato qualche parola di scherno, poiché considerava ormai Legolas uno dei suoi amici più cari. Fu in quel momento che un orchetto, ferito ad un braccio, ma ancora vivo, si alzò da terra dove si era finto morto e si scagliò verso di loro. “Legolas, attento!” gridò Gimli. L’elfo era scoperto, e cercando di sollevare l’amico, si era messo in una posizione dalla quale non seppe girarsi in tempo. L’orchetto brandiva un pugnale, e Legolas fece appena in tempo a vederlo avvicinarsi, ma non a balzare indietro. Il pugnale affondò nel suo fianco, e l’orchetto l’avrebbe colpito ancora, se Gimli, colto da una furia improvvisa, non gli avesse staccato la testa di netto con un colpo d’ascia. L’elfo cadde in ginocchio. I suoi occhi ora vitrei si incrociarono con quelli del nano, che si lanciò in avanti per prenderlo tra le braccia. In un attimo vide farsi notte, e gli sembrò di non poter respirare. Gimli si trovò così, mentre davvero scendeva la sera, con l’amico tra le braccia, bloccato tra i corpi di decine di orchetti, e maledicendo la propria statura piangeva senza accorgersene…




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