Fantascienza 1
Il dottore uscì dalla stanza dove suo marito
era ricoverato, con un'espressione scura e sconsolata. Evidentemente
non portava buone notizie.
"Sono desolato, Signora Walsh, ma
temo che per suo marito non ci sia più nulla da fare. Ha
riportato un trauma cranico, la rottura di otto costole, il
perforamento di entrambi i polmoni e lo spappolamento di fegato e
milza, senza contare i danni agli arti."
Il freddo modo di elencare i danni riportati da
Wilbur Walsh in seguito all'incidente stradale di cui era stato vittima
neanche mezz'ora prima da parte del primario dell'ospedale gettò
ancora più nella disperazione Sandra Walsh, le cui lacrime
avevano ora iniziato a sgorgare copiose nonostante il suo encomiabile
sforzo di trattenerle. Abbassò lo sguardo senza dire una parola,
ascoltò il consiglio del dottore di andare nella cappella
dell'ospedale a pregare per l'anima dell'ormai prossimo defunto marito
e lo seguì.
La Signora Walsh era da sola nella piccola cappella,
dove tante altre mogli, tanti altri mariti, tanti figli, madri, padri,
fratelli, sorelle avevano pregato chi per la salvezza fisica, chi per
quella spirituale dei propri cari in condizioni disperate. E fu proprio
ciò che Sandra fece: si inginocchiò e pregò. Ma,
in un modo del tutto irrazionale, iniziò a pregare per la
salvezza fisica e terrena di Wilbur. Nonostante le condizioni disperate
del consorte, la giovane donna non si era ancora rassegnata ad
accettare la sua prematura dipartita. Era talmente assorta nella
preghiera, che non sentì nemmeno la porta aprirsi e poi
chiudersi, e i passi dei due individui che andavano a sedersi nella
panca alle spalle di quella alla quale lei era prostrata.
"La Sig.ra Walsh?" chiese uno dei
due, esibendo un tono professionale e distaccato. Sandra si
girò, il volto rigato dalle lacrime.
"S-sì. Voi chi siete?" disse
l'ormai prossima vedova, la voce rotta dal dolore, mentre scrutava i
due individui con occhi scarlatti: l'uomo che le aveva rivolto la
parola vantava un aspetto più maturo del suo partner, mentre
entrambi potevano esibire un portamento elegante sottolineato dai
completi italiani che vestivano.
"Mi chiamo Arthur Dick, faccio
parte della Società Wilmott. Ho un'offerta che lei potrebbe
ritenere... opportuna." il tono di voce dell'uomo non tradiva alcuna
emozione.
"C-che tipo di offerta?" chiese
Sandra, che ora si era girata verso di loro, e che guardava l'uomo
finora silenzioso.
"Un'offerta che potrebbe salvare la
vita di suo marito." la donna rivolse la sua attenzione su Dick e su
ciò che aveva da dire, tramite uno sguardo quasi di supplica.
"Non posso rivelarle ciò di cui si tratta, perchè
è un processo ancora sperimentale ma le garantisco che, se ci
sbrighiamo, suo marito tornerà come nuovo."
A Sandra l'offerta sembrava troppo bella per essere vera. "Che t-tipo di pagamento volete?"
"Nessuno. Considereremo il suo caso
come un test per questo nuovo trattamento che la nostra Società
offre. In cambio del nostro aiuto, lei deve soltanto firmare alcuni
documenti." tirò fuori alcuni fogli dalla valigetta posata sulla
panca che Sandra, fino a quel momento, non aveva ancora notato. "In
questi documenti lei ci solleva dall'obbligo di rivelarle il metodo che
seguiremo nel curare suo marito."
La donna afferrò i fogli con avidità,
li lesse tutto d'un fiato, poi afferrò la penna che gli veniva
porta dal socio di Dick, - ecco a cosa serviva - firmò e poi
restituì i fogli all'uomo seduto alle sue spalle.
"Tornerà come nuovo?"
"Sarà come se non avesse mai
avuto alcun incidente, glielo garantisco. La avverto però
di un effetto collaterale del nostro trattamento."
"Quale?"
"Dopo l'intervento, suo marito
sarà sterile." gli occhi della donna si spalancarono. "E' il
prezzo da pagare per avere di nuovo il Sig. Walsh a casa sano e salvo."
"Io... va bene."
"Perfetto. Ecco i moduli da firmare."
l'uomo estrasse dalla valigetta altri documenti, che porse alla giovane
donna e che lei firmò senza neanche leggere.
"Quanto ci metterete a guarirlo?"
"I nostri uomini lo stanno già prelevando dalla sua stanza e portando
nel nostro centro specializzato. Non si preoccupi, signora, suo marito
è in buone mani."
Detto questo, i due uomini uscirono dalla piccola
cappella lasciando Sandra Walsh da sola, in preda ad un misto fra
dolore e speranza. Una speranza folle, pensò fra sè e
sè, "Fegato, milza, polmoni, trauma cranico, come possono fare a
rimetterlo in sesto?" alla luce di queste considerazioni, Sandra Walsh
proruppe in un altro pianto disperato, certa che, nonostante le
promesse e i moduli firmati, non ci fosse più nulla da fare.
Stava quasi per alzarsi, andare dai due uomini e dire loro di
considerare ogni accordo preso nullo, ma non lo fece. Si rivolse invece
di nuovo verso l'altare e si rimise a pregare. In fondo, "Mezzo
miracolo si è già avverato, ora preghiamo per fare in
modo che si avveri anche l'altro mezzo."
Quando Wilbur Walsh si risvegliò, vide una
donna. Una bella donna vestita di un camice celeste, con un berrettino
bianco. Un'infermiera. Stava in piedi a lato del letto in cui lui era
sdraiato, e lo stava osservando. Appena si avvide che i suoi occhi
erano aperti, si voltò e il paziente si accorse della presenza
di altre cinque persone all'interno della sua stanza.
"Ben svegliato, Sig. Walsh." gli
disse un uomo in camice bianco. "Non si preoccupi, presto potrà
tornare a parlare. Si riposi adesso, risponderò a tutte le sue
domande una volta che si sarà rimesso appieno." Wilbur in
effetti non riusciva a parlare, non riusciva proprio ricordare come si
facesse. La tranquillità del dottore di fronte a lui lo
contagiò, così non si fece prendere dal panico e
seguì il suo consiglio. Chiuse gli occhi e si addormentò.
Due settimane dopo, i coniugi Walsh erano
nell'ufficio di quello che Sandra aveva conosciuto come Arthur Dick, il
Dott. Arthur Dick, che suo marito non aveva più visto dal giorno
in cui per la prima volta si era risvegliato dopo l'intervento. L'uomo
era completamente rimesso a nuovo, come se non avesse mai avuto alcun
incidente.
"Come si sente, Wilbur?" chiese il medico.
"Perfettamente, dottore."
"Qual è l'ultima cosa che ricorda prima del suo risveglio qui?"
"Vediamo... ricordo un camion... che mi investì mentre attraversavo la strada."
"Perfetto. Ecco, ora dovrebbe
firmare questi documenti che ci autorizzano a dimetterla." gli pose dei
fogli che il Sig. Walsh firmò immediatamente. "Devo però
chiedervi di mantenere il più stretto riserbo su ciò che
avete visto qui." aggiunse il dottore.
"Certo, anche se di fatto noi non
abbiamo visto nulla. Non avete voluto rivelare il vostro trattamento,
quindi non capisco cosa potremmo rivelare..." disse la Sig.ra Walsh.
"Ha ragione, Signora, però
vi prego di minimizzare ciò che è accaduto a suo marito.
Dite che la prima diagnosi del primario dell'ospedale era fin troppo
catastrofista, e che è servito il ricovero in una clinica
specializzata per rimetterlo in piedi. Vedete, questo è un
trattamento ancora sperimentale, sul quale manterremo il silenzio
più totale fino a che non decideremo di renderlo pubblico."
spiegò lo scienziato.
"Non si preoccupi, dottore, non
diremo nulla. Ora mi scusi, ma ho una voglia matta di tornare a casa."
rispose Wilbur, entusiasta all'idea.
"Mi fa piacere sentirlo!" Dick
sottolineò la sua approvazione con un sorriso infinito.
I Walsh salutarono il Dott. Dick ed uscirono
dall'edificio. Una volta fuori, Wilbur abbracciò sua moglie e la
baciò. "Andiamo a casa" disse "Andiamo a fare l'amore." E fu
proprio quello che fecero.
Un mese dopo, la vita per i Walsh era tornata alla
più assoluta normalità, se si eccettua un'improvviso
ritorno sfrenato di passione di Wilbur verso sua moglie e viceversa. La
sola idea di essere vivo, di poterla abbracciare, baciare, toccare
ancora, lo riempiva di gioia ed eccitazione. E la stessa cosa accadeva
a lei. L'essere passata dal dolore per una dipartita ormai certa alla
gioia per una salvezza insperata fino all'ultimo scatenava in lei dosi
di adrenalina difficili da controllare. Sandra Walsh era un'insegnante
delle elementari, mentre Wilbur era un impiegato di banca.
Fu una mattina al lavoro che l'uomo ebbe i primi
problemi: ad un certo punto, senza alcun preavviso, iniziò a
sudare freddo e dovette andare in bagno per vomitare. Vi passò
una buona mezz'ora, ma il malessere non passò. Così
andò dal suo capo.
"Robert, è un problema se me ne vado a casa? Non sto per niente bene."
"Figurati, Will, vai pure... vedi
di rimetterti per bene, hai subìto un'operazione importante." si
premurò l'amico.
"Grazie, Rob. Comunque credo che
domani starò meglio, ora vado a casa e mi rintano nel letto."
"D'accordo. Ah, devi chiedere a
Gina di farti uscire. Abbiamo installato oggi il nuovo sistema di
sicurezza, e per ora è lei che ha il controllo di tutti gli
accessi della banca."
"Un vero mastino da guardia. Ci
vediamo, Rob." disse Walsh, che poi uscì dall'edificio.
Una volta fuori dalla banca, l'impiegato si
sentì immediatamente meglio. "Forse è l'aria, o il
calore." pensava, mentre si dirigeva verso casa con la propria auto.
Nonostante il malore fosse scomparso, voleva comunque andare a casa a
riposarsi per evitare di sentirsi allo stesso modo nei giorni
successivi. Arrivato a destinazione si infilò sotto le coperte e
si mise a dormire, ma c'era qualcosa che lo disturbava. Dapprima un
ronzìo, poi un rumore sempre più definito, che alla fine
divenne un suono inconfondibile: voci. Voci provenienti dalla TV.
Scocciato per questo inconveniente che non lo lasciava riposare, il
Sig. Walsh girò per casa alla ricerca del televisore acceso, ma
non lo trovò. Anzi, più si muoveva più si rendeva
conto che il tono e la direzione delle voci non cambiava. Erano dentro
la sua testa. Si rimise a letto, provò a ignorarle, ma
finì con l'alzarsi più sudato e agitato di quando era al
lavoro.
Dopo quasi due ore di supplizio, Wilbur uscì
di testa: iniziò a gridare e a prendersi a pugni. Questo
ebbe un effetto, perchè ogni colpo in testa che si auto
infliggeva desintonizzava per un attimo il canale della TV. Ad un certo
punto notò qualcosa in bocca. Usò la lingua per
portarselo alle labbra e poi lo prese con le dita: un piccolissimo
circuito, di un tipo che non aveva mai visto. Spaventato, Wilbur prese
il telefono.
Due ore dopo era nell'ufficio di Arthur Dick. "Cosa
mi avete fatto?" chiese, alterato dalle ore di tortura dovute alle voci.
"Sig. Walsh, sua moglie ha firmato un contratto..."
"Non me ne frega un cazzo di cosa
ha firmato mia moglie! Stamattina sono stato male a lavoro, poi sono
andato a casa ed ho iniziato a sentire la TV dentro la mia testa.
Infine mi sono ritrovato questo in bocca!" disse, mettendo sul tavolo
il piccolo microchip.
"Venga con me." disse il
Dott. Dick, che si alzò ed uscì dal proprio ufficio. Will
lo seguì fin dentro un ascensore, che iniziò a scendere.
"Come le ho già detto,
Sig. Walsh, il nostro trattamento è ancora sperimentale, e
quindi ci possono essere alcuni effetti collaterali ulteriori."
"Oltre all'impotenza?" chiese Wilbur, decisamente seccato per tutta quella situazione.
"Sì, oltre all'impotenza.
Lei è stato male questa mattina in banca. Mi dica, c'è
stato qualche cambiamento recente da voi? Qualche apparecchiatura nuova
o roba simile?"
"Hanno installato il nuovo sistema di sicurezza stamattina."
"E' collegato con la centrale di polizia?"
"Sì... sì,
perchè?" Will non capiva cosa potesse avere a che fare questo
con le sue condizioni.
"Lo vedrà." disse Dick.
Dopo qualche minuto l'ascensore arrivò al piano designato. Le
porte si aprirono e i due uscirono su un corridoio. Il dottore
precedeva Walsh di qualche passo, ed insieme entrarono in una stanza
che Wilbur riconobbe subito per quella che era: una camera mortuaria.
"Che significa?" chiese l'uomo,
mentre il dottore si diresse verso uno dei cassettoni metallici, che
riportava la scritta "W.W." in un angolo in alto a destra dell'anta di
chiusura. Dick la aprì e tirò fuori ciò che
conteneva: un cadavere. Un cadavere in tutto e per tutto identico
all'uomo che aveva di fronte, solo molto più malconcio.
"Lei non è Wilbur Walsh.
Wilbur Walsh è deceduto in seguito alle ferite riportate dopo
l'investimento da parte di un camion." disse freddamente lo scienziato.
"N-non è possibile..."
Will non aveva parole, non riusciva ad elaborare la cosa. "Allora io
cosa sono?"
"Lei è un androide. Badi, non un cyborg, perchè non ha nulla di umano,
detto nel senso classico del termine. Noi abbiamo registrato il
cervello di Walsh - non solo i suoi ricordi, ma anche la sua
personalità, il suo carattere, il suo subconscio, le sue
emozioni, i suoi affetti - e li abbiamo inseriti nel suo cervello
positronico. Lei, di fatto, è Wilbur. Ma, fisicamente, non lo
è. Non ha nulla di lui, se non il suo aspetto. Capisce cosa le
sto dicendo?"
"C-credo di sì... ma io ho
i ricordi di un'intera vita, ho le cose che so fare, ho..."
provò a obiettare l'"uomo".
"Nessuno di loro è
artificiale, ma le sono stati impiantati. E' più o meno come una
clonazione, ma solo a livello cerebrale. Se lui fosse ancora vivo,
entrambi avreste la coscienza di essere Walsh, ma quello vero sarebbe
lui, perchè lei è una macchina."
"Ma se sono un androide... come
pensavate di tenerlo nascosto? Una macchina non invecchia, ad
esempio..."
"Lei è il frutto delle
più avanzate ricerche nel campo della cibernetica e della
biomedicina. I suoi tessuti, i suoi organi, tutto il suo essere simula
alla perfezione il corpo umano. I suoi tessuti invecchiano esattamente
come quelli di chiunque altro, si alimenta come un qualsiasi essere
umano, ha ormoni, sangue, saliva, sistema nervoso. Nessun test sarebbe
in grado di dire che lei non è umano. Non è fatto di
metallo, e le radiografie mostrerebbero una situazione identica alla
mia, ad esempio. Anche in caso di ferimento o frattura, le conseguenze
sarebbero le stesse, anche la morte. Che un giorno arriverà,
compatibilmente con i tempi di vita umani. Lei è esattamente
come un
essere umano. Tranne che per una cosa."
"Lo sperma." disse l'androide "Non mi posso riprodurre."
"Esatto."
La rivelazione aveva sconvolto "Wilbur". Lui aveva
vissuto la sua vita normalmente, fino all'incidente. Poi era stato
curato ed era tornato tutto alla normalità, e adesso questo. Lui
non era più lui.
"Ce ne sono altri come me?" chiese infine.
"Lei è il dodicesimo.
Siete tutti prototipi, utili per scoprire eventuali problemi o falle
nel sistema. Come quella che l'ha fatta stare male stamattina."
L'androide iniziò a razionalizzare la cosa,
come il vero Walsh avrebbe fatto. "Io sono Wilbur Walsh. Però
non lo sono. Sono umano, però non lo sono. Voi avete fatto
credere a Sandra che io sono ancora vivo mentre in realtà..." il
panico aveva iniziato a prendere il sopravvento, così fece un
respiro profondo. "L'avete convinta che io sia suo marito, mentre in
realtà suo marito è morto. E' qui, di fronte a me,
però io in un certo senso sono lui." iniziava a fargli male la
testa "Cosa devo fare ora?" chiese infine.
"Può scegliere: può
essere distrutto qui, nei nostri laboratori. Non sentirà dolore
e simuleremo la sua morte. Ci occuperemo noi di tutto. Può
tornare a casa e raccontare tutto a Sandra, distruggendo così la
sua vita. Oppure può abituarsi all'idea, ignorarla e vivere la
sua vita come Wilbur Walsh. Non le manca nulla per farlo. Ora come ora,
lei è lui." rispose il dottore.
Will sapeva che Dick aveva ragione. Non poteva dire
a sua moglie la verità: tuo marito è morto ed è
stato sostituito da un robot. Sarebbe impazzita. Oppure non le avrebbe
creduto e lui non avrebbe potuto dimostrarlo. L'avrebbero preso per
pazzo. L'androide uscì dall'edificio e prese la macchina.
Tremava. La sua mente razionale aveva pienamente compreso il senso di
tale rivelazione, e ne era rimasta sconvolta. "Io sono o non sono?" era
questa la domanda che lo assillava. Come poteva asserire di essere una
persona con la quale non aveva nulla di fisico in comune? Wilbur Walsh,
da ragazzino, andava tutte le estati in vacanza ad Aspen con la
famiglia. Ma era Wilbur Walsh, un essere umano. Non un androide, non
lui. Fisicamente, nulla dell'individuo che stava guidando la macchina
in quel momento era mai andata ad Aspen da bambino con la famiglia.
Però i suoi ricordi non sono altro che ciò che il vero
sè stesso ha fatto fino al momento in cui non glieli hanno
estrapolati, poco prima che morisse. Fino a che punto, quindi, poteva
dire di essere Wilbur? "La mia mente è stata fotocopiata,
clonata, e poi è stata inserita nel cervello positronico di
un... un... surrogato umano." nelle sue riflessioni appariva tutto
l'astio verso gli scienziati che lo avevano "salvato" e verso
ciò che era. La coscienza gli diceva che ciò che stava
facendo a sua moglie - Dio, non è stato lui a sposarla! - era
mostruoso. Gli tornò il dubbio: "Che fare? Dirle la
verità o dirle che è stata solo una giornata pesante a
lavoro?"
Parcheggiò nel vialetto, come sempre.
Dopodichè scese dalla macchina e si diresse verso la porta
d'ingresso. Quando l'aprì e vide il viso sorridente di Sandra
che gli corse incontro ad abbracciarlo, il suo cuore saltò un
battito. Si abbracciarono, si baciarono.
"Tesoro, che hai?" chiese la
donna. Wilbur Walsh, anzi il surrogato che ne aveva preso il posto,
prese una decisione. La guardò negli occhi e iniziò a
parlare.
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