5- Grandine d'inverno
Grandine d'inverno
"Non ho paura di sporcarmi le mani. Sono pronta a tutto."
(Sailor Uranus, episodio 110)
Il vento aveva parlato chiaro: grandine era, e grandine sarebbe stata.
Haruka non vedeva l'ora di sapere che faccia avrebbe fatto Kafuu nel
rendersi conto che lei aveva ragione: può grandinare anche in inverno, se lo dice il vento.
Venne martedì ventinove gennaio: Haruka compì dodici anni
e due giorni, ma se ne andò tranquillamente a scuola. Rimase
piuttosto sorpresa quando non vide Kafuu all'entrata e nemmeno durante
l'intervallo: non le risultava che avesse una visita dal medico, e
comunque di norma le avrebbe almeno telefonato. Si ripromise di andarlo
a cercare a casa nel pomeriggio, dopo l'allenamento di atletica, ma
quando si presentò nello spogliatoio il suo allenatore le disse
di aspettare un momento a cambiarsi.
Haruka se ne chiese il motivo, ma obbedì, aspettando che lui
desse le prime direttive a tutti gli altri. Quando poi venne verso di
lei, aveva l'aria di uno che non sa da che parte cominciare, come se
avesse dovuto ingoiare una pietra.
- Ascoltami, Tennō... innanzitutto è meglio che mi scusi –
Haruka continuò a tacere, ma le sue sopracciglia si inarcarono
sorprese: da quando in qua un insegnante si scusava con un alunno? -
Non credo sia un comportamento consono a noi docenti, ma il
responsabile della tua classe ha detto di aspettare la fine delle
lezioni, per dirtelo. Sosteneva che altrimenti saresti come minimo
scappata da scuola, e il preside era d'accordo sul fatto che la
famiglia avesse bisogno di un po' di tempo per sé.
Le sopracciglia di Haruka tornarono al loro posto, aggrottandosi
progressivamente: dove voleva arrivare, con tutto quel discorso?
- Non esistono modi meno dolorosi per dirlo, quindi è inutile
che ci giri intorno – l'allenatore era un uomo grande e grosso,
ma in quel momento sembrava davvero in difficoltà – Uno
studente dell'altra sezione, Kafuu Tsukishiro, è morto stanotte.
Era malato di cuore, da quel che mi ha riferito il suo insegnante di
educazione fisica: la famiglia non ci ha comunicato i dettagli, ma
sembra ci siano state delle complicazioni. È una cosa che
può succedere, quando il cuore non è sa...
- Ma che sta dicendo? - mormorò Haruka.
- Tennō...
- L'ho visto l'altro giorno, stava benissimo.
- Lo comprendo, ma chi è nella sua situazione può avere una crisi in qualsiasi momento e...
- È assurdo. Se non è venuto, è perché si sarà preso un raffreddore. Col freddo che...
- Tennō – Haruka quasi sussultò quando l'uomo le mise una
mano su una spalla, posandole poi l'altra sulla testa, tra i capelli
arruffati – Mi dispiace. Nessuno vorrebbe che accadessero cose
del genere, ma... è così. Non ci si può fare
niente.
Le sembrò che il freddo fosse improvvisamente aumentato, anche
se lo spogliatoio era ben riscaldato per evitare che chi si cambiava
prendesse un colpo d'aria. Era come se il gelo fosse entrato
strisciando in ogni fenditura: da sotto la porta e tra le fessure della
piccola finestra sulla parete. La mano del suo allenatore sulla testa
era calda, invece, ma le sembrava lontana anni luce, come se non fosse
affatto posata sui suoi capelli.
Aveva freddo, un freddo insopportabile che le penetrava nelle ossa, lei che c'era nata dentro.
Le sembrò che in quell'aria ghiacciata i contorni delle panchine
addossate alle pareti, degli armadietti in ferro e degli attaccapanni
si stagliassero nitidi come se qualcuno li avesse messi a fuoco con una
lente d'ingrandimento; al contrario, i suoni provenienti dall'esterno e
le parole del suo allenatore arrivavano come attutiti. Vista e udito
sembravano aver preso vita propria, come se la sua percezione del mondo
avesse subito improvvisamente qualche distorsione.
Doveva andare a casa di Kafuu, a vedere come stava. Chissà che
diavolo aveva capito il preside al telefono, sordo com'era.
Si scostò dall'allenatore, borbottando un indistinto
"Arrivederci" che non sentì nemmeno lei, e si diresse a passo
svelto verso casa Tsukishiro. Aveva la cartella sulle spalle e la borsa
con i pantaloncini e la maglietta da ginnastica in mano; non corse,
perché non ce n'era motivo. Ma camminò in fretta,
cercando di scacciare quel maledetto freddo che le si stava insinuando
dappertutto.
And I really didn't want that push today
no, I really didn't want to end this way
but the things that seem to bind us
are the things we put behind us on this day
[E davvero non volevo quella spinta oggi
no, davvero non volevo finire in questo modo
ma le cose che sembrano legarci
sono le cose che abbiamo lasciato indietro in questo giorno]
Dodici anni, un mese e due giorni. O dodici anni e trentatré
giorni, era lo stesso. O... quanti mesi erano? Dodici per dodici...
centoquarantaquattro, più due giorni. Un dodici alla seconda;
una potenza.
E lei lo stava già raggiungendo, perché aveva colmato di un giorno la distanza che li separava.
Il cielo era nuvoloso già da un po'; il meteo aveva annunciato
neve, ma lei sapeva che non sarebbe stato così. Faceva ancora
più freddo, perfino la rete di protezione su cui appoggiava la
schiena era ghiacciata; di certo non aiutava il fatto che quel gelo
viscido dentro di lei non se ne fosse ancora andato, e chissà da
dove diavolo veniva.
Il vento iniziò a spirare più forte, e lei strinse le dita sul manico del sacchetto che teneva in mano.
Il cielo si fece più scuro; poi cominciò. Non cadde
nemmeno una goccia d'acqua: solo piccole schegge di ghiaccio che
cozzavano sul terreno e sul cemento del tetto con una violenza
inaudita, tanto da saltare non appena toccavano terra, come se qualcuno
avesse appena frantumato il vetro di un'enorme finestra.
- E cazzo, Kafuu... - mormorò Haruka, osservando il cemento
attorno a lei che si stava riempiendo di pezzetti di ghiaccio –
...hai visto che avevo ragione?
Si mise in testa un berretto da baseball che di solito indossava
d'estate, tanto per ripararsi un po' dalla caduta di quelle schegge
simili ai pallini di un fucile. Ma non aveva la minima intenzione di
spostarsi; rimase immobile per un po', allungando le gambe e ascoltando
il ticchettio provocato dalla caduta della grandine.
Aprì il sacchetto che si era portata dietro. La scuola era di
nuovo chiusa, per la festa del fondatore, ma stavolta per entrare aveva
semplicemente scavalcato il cancelletto di servizio. A lei non
servivano nemmeno le chiavi.
Quando si era presentata a casa Tsukishiro il giorno prima non pensava
sul serio che l'allenatore avesse ragione. Ma pensava anche che avesse
detto la verità, e si era sentita assurdamente confusa
finché il padre di Kafuu non aveva aperto la porta e lei l'aveva
visto in faccia.
Per un istante aveva pensato di scappare, e invece era rimasta
lì: impalata sulla porta, con quel gelo viscido dentro di
sé che ormai le aveva completamente bloccato le membra. Da quel
momento in poi i ricordi si facevano quasi sfocati, malgrado
risalissero a meno di ventiquattr'ore prima. Come in sogno, dove i
movimenti risultano rallentati e l'intera azione sembra svolgersi in
apnea.
Aprì il sacchetto, tirando fuori il carillon incompleto di
Kafuu: per quanto quella piccola giostra fosse graziosa e le ricordasse
perfettamente quella su cui erano saliti appena il mese prima, in
effetti non era altro che una scatola.
Alzò il tetto-coperchio, e dentro vi trovò un foglietto
con uno schizzo del meccanismo: vi erano disegnati un rullo con delle
puntine e poi delle piastrine di metallo, verso le quali correvano
alcune frecce che riportavano delle note musicali. Anche Haruka aveva
letto un po' quel libro sui carillon, e sapeva che le puntine avrebbero
dovuto andare a toccare le piastrine per farle suonare e comporre la
melodia; un po' come i martelletti di un pianoforte. Sapeva anche che
la difficoltà stava nel porre le puntine alla giusta distanza
sul piccolo rullo, e francamente le sembrava una cosa fin troppo
complicata per un ragazzino di sesta elementare.
Ma era Kafuu a volerlo fare, e non uno studente di sesta elementare;
come lei era fissata con la sua idea di diventare il vento stesso. Una
coppia di pazzi, a pensarci bene.
Kafuu aveva già improntato leggermente- di certo con l'aiuto di
suo padre- il meccanismo che permetteva al tetto di girare e alle
altalene di muoversi in tondo. Le osservò dondolare, toccandole
con la punta delle dita, ricordando perfettamente la sensazione di
totale libertà che aveva provato su quella giostra il ventisette
dicembre. Come se stesse volando davvero.
La grandine continuava a ticchettare, anche se meno violenta di pochi
minuti prima. Di certo i meteorologi sarebbero impazziti nel cercare di
capire che cosa era accaduto, e di sicuro i cosiddetti esperti
avrebbero parlato di "sconvolgimenti climatici".
Posò la giostra a terra, incurante del fatto che si sarebbe bagnata o rovinata per la grandine. Forse un vero amico l'avrebbe portata a termine comunque, per lui. Per il suo sogno.
Ma quel carillon incompleto somigliava fin troppo al suo creatore, per
poterci mettere le mani. Perfetto a vedersi dall'esterno, mancava
ancora del meccanismo interno che avrebbe dovuto farlo funzionare,
così come a quell'ora il corpo di Kafuu era di certo già
stato privato di polmoni, fegato... e degli altri organi di cui le
aveva parlato.
Probabilmente gli avevano lasciato solo il cuore, l'unico pezzo
malformato che aveva provocato il corto circuito di tutto il resto. Per
quel che Haruka ne sapeva, la cosa migliore che avrebbero potuto fare
sarebbe stato toglierlo dalla cassa toracica e metterlo lì, in
quella giostra ancora vuota, caldo e sanguinante com'era. Fosse stato
per lei, l'avrebbe fatto.
Non aveva idea del perché i genitori di Kafuu l'avessero data a
lei, il giorno prima. Dopo averle detto cos'era accaduto, nella
compostezza del dolore, le avevano consegnato il più grande
progetto del loro unico figlio, e lei non aveva osato fare domande.
Anche se al momento non gliene era venuta in mente nessuna.
Si rese conto che non aveva ancora pianto. Forse avrebbe dovuto, se
avesse saputo da che parte cominciare, ma sentiva soltanto quel freddo
terribile in ogni parte del corpo, mentre la grandine che cadeva- ormai
mista ad acqua ghiacciata- aveva iniziato a bagnarle i pantaloni.
L'idea del cuore sanguinolento di Kafuu all'interno della giostra,
però, l'aveva riscaldata un po'. Si chiese se i suoi genitori si
aspettassero che l'avrebbe terminata- come se lei avesse idea da che
parte cominciare- o pensassero magari che l'avrebbe tenuta così
com'era, in suo ricordo. Vuota e inutile.
'Cause you were amazing
and we did amazing things
and I wouldn't change it
'cause we were amazing things
[Perché tu eri straordinaria
e noi facevamo cose straordinarie
e non lo cambierei
perché eravamo esseri straordinari]
Era resistente, per essere fatta di listelli di legno incollati fra
loro. Ci vollero un paio di pugni ben piazzati a fracassare il tetto, e
più la giostra veniva distrutta, più sentiva la rabbia
montarle dentro.
Probabilmente era contento, adesso che era freddo e rigido come un
blocco di ghiaccio. L'avrebbero smembrato e messo i suoi pezzi in
qualche altro corpo, come il mostro di Frankenstein. Magari il tizio
che se ne sarebbe andato in giro con il suo fegato avrebbe ammazzato
della gente, o l'avrebbe distrutto a forza di bere. "Gran bel lavoro,
Kafuu, complimenti."
Mentre continuava a colpire sentì qualcosa di viscido e caldo
sulla mano- qualcosa di molto diverso dalla grandine ghiacciata o dalle
fredde gocce di pioggia che seguitavano a cadere- e quando
guardò vide il palmo coperto da qualcosa di rosso. Si rese conto
che le faceva anche un po' male, malgrado il dolore fosse quasi
anestetizzato dal freddo dentro di sé e dal gelo di quella
mattina d'inverno.
Lo assaggiò. Sangue, sangue caldo.
Guardò meglio e vide che delle schegge di legno le si erano
conficcate nella ferita; quando finalmente volse lo sguardo verso la
giostra e la vide davvero, si rese conto che non era rimasto altro che
una massa informe e colorata, distrutta dai suoi pugni e dalla
grandine. Le piccole altalene erano a terra, con le cordicelle flosce e
rese molli dalla pioggia.
Sentì gli occhi scottare e qualcosa di rovente scorrerle sulle
guance; toccò con la mano insanguinata e si rese conto che si
trattava di acqua calda e probabilmente salata. Finalmente stava
piangendo.
Si alzò in piedi, proprio mentre la grandine iniziava a calare e
le nuvole a diradarsi leggermente. Presto sarebbe tornato il sereno,
stava dicendo il vento, e con esso un freddo ancora peggiore.
Haruka respirò a fondo e saltò con tutto il suo peso sui
resti della giostra, pestandoli con le scarpe invernali che indossava e
distruggendo i pochi pezzi rimasti.
Niente sarebbe stato riutilizzato; anche la giostra era morta e lì sarebbe rimasta, come doveva essere.
Cadde di nuovo a terra, il sedere ormai completamente bagnato e il
cappotto sporco del sangue della mano, e pianse tutte le sue lacrime.
Con l'arrivo della primavera i coniugi Tsukishiro si trasferirono
più a sud, nel Kyūshū. (¹) Pochi giorni prima di andarsene
telefonarono ad Haruka, chiedendo di poterla vedere un'ultima volta.
In effetti, pensò lei quando li vide, anche loro dovevano aver
vissuto con lo spettro della morte del figlio, tanto da aver trovato
una qualche serenità nella rassegnazione e nella consapevolezza
di aver sempre fatto tutto il possibile. Haruka si chiese se sarebbe
stato più onesto confessare loro che il figlio avrebbe potuto
morire anche prima, su una giostra dove lei l'aveva trascinato, ma non lo fece.
Non credeva che la madre di Kafuu l'avrebbe odiata, anzi probabilmente
le avrebbe fatto piacere sapere che suo figlio era riuscito a godersi
anche una cosa che gli era proibita, prima di andarsene. Forse non lo
fece perché dopo la giostra le avrebbero chiesto del carillon, e
in fondo non voleva confessare di averlo distrutto, anche se si era
sentita molto meglio dopo averlo fatto.
O forse- ma questo non lo ammise neanche a se stessa- voleva che
rimanesse un segreto tra lei e Kafuu, una traccia del loro cameratismo
esclusivo.
Fatto sta che Haruka non parlò e loro non chiesero;
perciò la distruzione del carillon rimase un segreto tra lei e
la grandine.
Le parlarono invece della donazione degli organi di Kafuu, ormai trapiantati in chi era stato individuato di compatibile.
- I medici ci hanno detto che hanno usato quasi tutto – la
signora Tsukishiro tacque un momento, turbata dalla parola "usato" che
lei stessa aveva pronunciato, ma si riprese quasi subito –
Ovviamente non conosciamo i nomi di chi ha ricevuto gli organi, per via
della privacy, ma ci è stato riferito che tra loro c'era anche
una bambina diventata cieca dopo un incidente, che ha ricevuto la sua
cornea.
Anche lei come Kafuu, ricordò Haruka, sembrava felice che qualcuno fosse tornato a vedere grazie a suo figlio.
Alla fine venne a sapere che erano stati trapiantati i reni, il fegato,
i polmoni e la cornea. I reni erano andati a due persone diverse,
cosicché cinque persone erano tornate ad una vita normale grazie
alla morte di Kafuu. Haruka ancora non riusciva a capire che cosa ci
fosse da essere contenti, visto che lui
era morto, ma rispettò l'opinione dei signori Tsukishiro e il
fatto che avessero appoggiato fino in fondo la scelta del figlio. Lei
era solo una ragazzina di dodici anni estranea alla famiglia, e l'unica
cosa che era riuscita a fare era stata distruggere qualcosa,
sporcandosi le mani di sangue.
Quelle stesse mani che la madre di Kafuu prese fra le sue, allungando le braccia sul tavolo e sorridendole.
- Fra un paio di settimane inizierai le medie, non è vero
Haru-chan? - fu la prima volta che permise a qualcuno di chiamarla
così. Anzi, si sentì come se le fosse stato concesso un
grande onore – Buona fortuna, per tutto quanto. Spero che
entrerai nel club di atletica: Kafuu diceva che correvi come il vento.
Malgrado fosse ancora convinta di essere nel giusto, stava cominciando a vergognarsene.
* * *
Le cose non stavano decisamente andando per il verso giusto: il cuore
dell'umano attaccato da Kaorinite non si era rivelato un talismano,
Neptune era caduta giù da una cascata e lei era nascosta in una
grotta legata da un paio di stupide manette a quella piagnucolona che
si faceva chiamare Sailor Moon. Il mostro Daimon le stava cercando e
ben presto le avrebbe trovate; tra l'altro non esisteva al mondo che
lei rimanesse nascosta per non affrontare il nemico, ma doveva pensare
a cosa era meglio fare in una situazione simile. E quella mocciosa che
continuava a lamentarsi e a chiederle spiegazioni sulla sua missione
non la stava affatto aiutando.
Malgrado la sua identità fosse nascosta dalla trasformazione, si
vedeva benissimo che era più giovane di lei; e si intuiva anche
un carattere sincero e sognatore, assolutamente inadatto alla guerriera
che avrebbe dovuto essere. Delizioso forse in una ragazzina come quella
Usagi che aveva conosciuto da poco, ma non in colei che aveva il potere
di distruggere i mostri Daimon.
D'accordo, una certa sorpresa aveva accompagnato la scoperta che lei e
Neptune non erano le uniche guerriere Sailor: sembravano essercene
parecchie altre, ed era vero che a rigor di logica avrebbero forse
dovuto unire le forze contro il nemico. Ma se quella ragazzina
fastidiosa era il capo delle altre quattro, oltretutto spesso incapaci
di affrontare il nemico con quei miseri attacchi che si ritrovavano,
era meglio che ne stessero fuori. Per il bene loro e della missione.
- Ma perché? Che cosa sono questi talismani? - non la smetteva
di insistere. E dire che c'era un mostro dalle sembianze di una
motocicletta umanoide che le stava cercando.
- Il Silenzio si sta facendo sempre più vicino, e accadrà
qualcosa di terribile – finì per risponderle Sailor Uranus
– Per salvare il mondo abbiamo bisogno dei talismani.
Quella ragazzina troppo dolce e gentile per combattere la stava
ascoltando con gli occhi sbarrati, incredula nell'udire una profezia
tanto funesta.
- Nessuno vuole delle vittime – continuò Haruka, sincera
con lei e con se stessa – Ma se questo salvasse il resto del
mondo...
Una vita poteva anche essere sacrificata, se ciò serviva a
salvarne tante altre. L'aveva imparato molto tempo prima, e non
l'avrebbe mai dimenticato.
- … tu cosa faresti?
(¹) Una delle quattro isole principali del Giappone. Tōkyō si trova nello Honshū
Eccetera eccetera. Sappiamo tutti come va avanti.
Quest'ultima scena l'ho ripresa
dall'episodio 98 di “Sailor Moon”, ovviamente dalla terza
serie. Le ultime battute di Haruka, in special modo, sono prese dalla
versione originale giapponese.
Tornando al prompt del contest, a
cambiare la vita di Haruka è la morte del suo amico: cambia il
suo modo di pensare su una cosa che risulterà decisiva in
futuro, ossia se il sacrificio di una persona sia legittimo pur di
poterne salvare tante altre.
Athanate:
in effetti sì, questa storia aveva un finale necessariamente
triste, e spero si sia capito perché. Di fic nel fandom di
“Sailor Moon” ne ho pubblicate un altro paio, e ne ho
un'altra già pronta che metterò online prossimamente...
anche se al momento questa è l'unica su Haruka. Era un po' un
esperimento, dato che non mi sentivo molto sicura nel manovrare il
personaggio, ma se mi è riuscito magari scriverò
qualcos’altro su di lei, in futuro.
SerenityEndimion:
in realtà, scrivendo questa storia, avevo paura di andare a
toccare temi fin troppo importanti e di trattarli con
superficialità. Invece leggendo il tuo commento mi sono resa
conto di non esserci caduta, e ne sono davvero contenta.
Sei la prima che ha capito dove
andava a parare questa storia! Proprio così, l'intera fic
è costruita per dare un'ipotetica spiegazione della convinzione
di Haruka riguardo ad un sacrificio che possa salvare tante altre
persone. Lo ripete in modo così costante, durante la terza
serie, che mi sono chiesta se non potesse esserci qualcosa dietro, e ho
inventato questa storia.
Spero che l'ultimo capitolo non ti abbia deluso! ^^
ellephedre:
se sei arrivata fino a questa risposta forse avrai letto anche il resto
della storia, che spero ti sia piaciuta malgrado sia un po'...
particolare. ^^
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