gintokix...
Osservò i malati che giacevano nei futon intorno a
lui. La
sua non era una ferita gravissima, anzi, avrebbe preferito lasciare il
suo posto a qualcuno più bisognoso, che occuparlo a vuoto.
Si
sentiva inutile, seduto sul suo materasso, appoggiato al muro in legno,
dedito a guardare la gente che moriva. Spostò lo sguardo su
una
ragazza con un fazzoletto bagnato sulla fronte e rossa in volto:
sicuramente aveva la febbre. Gli fece pena.
La scrutò a lungo, senza un motivo; sembrava quasi gli
piacesse
guardarla in quello stato. La vide aprire di poco gli occhi, girarsi
lentamente verso di lui e sorridergli. Si sorprese di quel gesto
inaspettato, quasi sapesse di avere gli occhi del samurai puntati su di
lei. La osservò poi abbassare le palpebre e mettersi, non
senza una
smorfia di dolore, nella posizione che aveva poco prima.
- Gintoki Sakata,
si sentì chiamare dal medico. Alzò gli occhi
sull' uomo
in piedi davanti a lui. Aveva lo sguardo burbero, ma sembrava uno che
sapeva fare il suo lavoro.
- La sua ferita si sta rimarginando a quanto vedo, ma deve rimanere
qui ancora qualche giorno, prima di tornare a combattere insieme ai
suoi compagni.
Sbuffò, stufo di quella situazione. A lui piaceva la
battaglia
vivace, non la malinconia di uno pseudo-ospedale improvvisato in un
dojo. Guardò il medico con un espressione di sfida, pronto
ad
alzarsi e andarsene, ma fu bloccato proprio da quest' ultimo che, come
se avesse letto i suoi pensieri, lo fermò.
- Non provi minimamente ad alzarsi. Se torna sul campo e la ferita si
riapre mi aumenta il lavoro, lo sa? Resti qui almeno un altro giorno
prima di impugnare nuovamente la sua spada.
Di nuovo sbuffò. Se proprio doveva stare lì,
almeno voleva fare qualcosa.
- D'accordo, solo un altro giorno. Però sono stanco di
starmene
qui seduto; ci sarà qualcosa che uno come me, con conoscenze
di
medicina pari a zero, potrà pur fare, no?
Il medico si stupì, poi abbozzò un sorriso e si
fece pensieroso.
- Si, qualcosa ci sarebbe.
Portare medicine e antidolorifici ai malati non era proprio il massimo,
ma certo non si poteva improvvisare chirurgo. Fece bere la medicina a
un uomo, steso su uno dei tanti futon, con un braccio completamente
ustionato e una ferita profonda che partiva dalla spalla e arrivava
fino al
torace. Probabilmente si era preso in pieno uno di quegli strani raggi
che lanciavano i cannoni delle navi degli Amanto sospese in cielo. Dopo
avergli sistemato la coperta si alzò, cercando con lo
sguardo
quella ragazza moribonda che aveva visto qualche ora prima. Vide un
infermiera che si dirigeva verso di lei con in mano una boccetta e un
bicchiere. La raggiunse e la fermò.
- Mi scusi, posso pensarci io? E' una mia conoscente e magari una
faccia familiare potrebbe aiutarla a stare meglio.
La donna lo guardò stupita poi annuì, porgendogli
i medicinali.
- Forse ha ragione,
aggiunse con un sorriso malinconico.
- Posso sapere cos' ha?
- Niente di grave, aveva una ferita che si è infettata.
Siamo
riusciti a guarirla, ma ora ha la febbre alta da un po' di giorni.
- Capisco. Se non le dispiace ci penso io.
Vide l' infermiera girarsi e andare verso un altro paziente. Le aveva
raccontato una balla, ma se voleva avvicinarsi a quella ragazza senza
che nessuno lo disturbasse non avrebbe potuto fare altrimenti.
Quando si inginocchiò vicino a lei notò che
aveva ancora gli occhi chiusi e il respiro affannato. Le tolse
la
benda dalla fronte e la bagnò nel piccolo catino pieno
d'acqua
poggiato vicino al futon.
- Sei tu, vero? - gli disse con gli occhi ancora chiusi - Il
ragazzo che mi guardava poco fa.
Non si sorprese più di tanto; e forse un po' se lo aspettava.
- Si, sono io. Ti ho portato la medicina.
- Grazie,
mormorò con un leggero sorriso a incresparle le labbra.
Le poggiò la pezza bagnata sulla fronte e stappò
la
boccetta della medicina, versando il contenuto nel bicchiere. Si rese
subito conto che per farla bere l' avrebbe dovuta sorreggere e si
sentì un po' in imbarazzo, anche se non sapeva bene il
perchè. La
vide fare leva sulle braccia per tirarsi su e la fermò.
- Ti aiuto io, tu non ti sforzare.
- Grazie Shiroyasha.
Per poco non gli cadde il bicchiere dalle mani. Se la prima volta
lo aveva stupito, ora l' aveva letteralmente spiazzato. La prese tra le
braccia e le fece bere lentamente la medicina, poi le
sistemò la
benda sulle fronte e l' aiutò a sdraiarsi.
- Come conosci il mio soprannome?
- Sei piuttosto famoso.
- E come mi hai riconosciuto?
- I tuoi capelli... sono di un bell' argento...
cominciò a tossire. Altro che febbre, pensò il
ragazzo.
La prese di nuovo tra le braccia e le fece bere un po' d'acqua.
- Grazie,
mormorò ancora una volta la ragazza. Stava per farla
sdraiare sul futon quando nuovamente lo sorprese,
circondandolo
con le braccia e stringendolo forte. Non seppe bene il
perchè ma
Gintoki sentì di dover ricambiare; non sapeva chi
fosse
quella ragazza, era la prima volta che la vedeva e come se non bastasse
sembrava sapere tutto di lui. E lui di lei non sapeva niente.
- Come ti chiami?
le chiese mentre ancora la stringeva a se.
- Non ha importanza. Il mio nome in questa guerra non è di
nessuna importanza. Se te lo dico potresti distrarti dal tuo obiettivo,
dall' obiettivo che accomuna tutti in questa battaglia, scacciare gli
Amanto. E distrarsi significa perdere la strada e smarrirsi, rischiando
la vita. Appena uscirai da qui, dimenticati di me; ma concedimi questo
abbraccio, prima della fine.
La strinse ancora di più, afferrando il messaggio nascosto
dietro quelle parole. E come poteva dimenticarsi di lei?
- Io sono Sakata Gintoki. Pensa a me come a Gin e non come a Shiroyasha,
le mormorò all' orecchio. Poi sciolse l' abbraccio e la fece
distendere.
- Te lo prometto,
gli rispose la ragazza prima di addormentarsi.
Quando tornò sul campo di battaglia la debole luce del sole
lo
accecò. Le navi degli Amanto volavano lente sopra la sua
testa.
Dopo aver ucciso l' ennesimo nemico si era fermato un attimo a guardare
il cielo grigio, abbassando poi lo sguardo e vedendo in lontananza i
suoi compagni combattere. Tatsuma, fortunatamente, rideva. Beato lui,
pensò.
Sentì un rumore alla spalle e veloce si girò
affondando la spada nel corpo dell' avversario.
Riprese la sua battaglia, abbattendo veloce tutti gli invasori che si
paravano davanti a lui. Shiroyasha, dopo qualche giorno di pausa, era
tornato. Ed era più forte di prima. Non pensò
nemmeno per
un attimo a quella ragazza; in quel momento il suo obiettivo, e quello
dei suoi compagni, era scacciare gli alieni invasori.
Qualche giorno dopo si diresse verso quello pseudo-ospedale
improvvisato. Da quando ne era uscito aveva pensato solo a combattere,
come lei gli aveva chiesto, ma ora il suo ricordo gli invadeva la mente
e sentiva la necessità di rivederla e di sapere come stava.
Quando entrò l' odore nauseante di medicine e sudore gli
penetrò nelle narici, già inebriate da quello del
sangue.
La cercò con lo sguardo, ma non la trovò e
brividi di paura cominciarono a salire lungo la sua schiena.
Bloccò un
infermiera e con voce tremolante chiese della ragazza.
- E' stata dimessa qualche giorno fa. Subito dopo che lei è
andato via ha cominciato a riprendersi in maniera incredibilmente
veloce. Sembrava rinata.
- Quindi stava bene,
affermò tirando un sospiro di sollievo.
- Direi proprio di si.
- Mi può dire il suo nome? Intendo quello della ragazza.
- Vorrei poterla aiutare, ma purtroppo non lo so. Non l' ha mai detto a
nessuno, nemmeno a noi medici. Quando se ne è andata
però
ha lasciato alcuni semi di Bucaneve. Ha detto di darli a un certo Gin.
- Sono io.
Quando la ragazza tornò con in mano il sacchetto contenente
i bulbi, il ragazzò non potè che sorridere.
Vita e speranza, eh? Mi sarebbe piaciuto conoscerti meglio.
Voilà. Mi chiedo se questa fanfiction abbia un senso. Alla
fine, per quanto in questi giorni la tristezza e la depressione mi
aleggino intorno, non ho potuto resistere e ho concluso con un leggero
happy ending. Inizialmente volevo far morire la ragazza (scusate la
brutalità), ma dopo averci pensato un po' mi sono detta che
sarebbe stata una cosa veramente troppo scontata (nonostante
anche questo finale sia scontatissimo) e che non ce l' avrei fatta a
descrivere la scena, perchè probabilmente sarei scoppiata a
piangere anche io.
Per quanto riguarda il fiore, il Bucaneve,
spero di non aver scritto una stupidaggine: facendo
ricerche qua e là ho scoperto che simboleggia la vita e la
speranza (e ringrazio vivamente una mia amica che mi ha aiutato, anzi
direi che mi ha illuminato lei sul significato).
L' ambientazione è durante la guerra dei combattenti Joi:
non so se esistesse un ospedale del genere, ma ho pensato che non
sarebbe stato tanto fuori luogo; per quanto riguarda Gin ferito,
stentavo a crederlo anche io. La ragazza non è
nessuno in particolare, quindi lascio libera immaginazione. Credo di
aver detto tutto.
Spero di non aver rattristato nessuno, almeno non più di
tanto e di essere riuscita a fare un lavoro discretamente decente.
Vi ringrazio per aver letto e ringrazio anche chi, provando
pietà per la sottoscritta, vorrà recensire. xD
Alla prossima.
Saku
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