CAPITOLO
1:
Le
prime questioni legali dei coniugi Tsukino
I primi anni di vita coniugale, che aveva preceduto di
qualche tempo la cerimonia di incoronazione ufficiosa e quella d’insediamento,
Mamoru e Usagi li avevano trascorsi nel vecchio appartamento di lui che era più
che sufficiente ad ospitare tra le sue stanze una giovane coppia piena di
promesse.
Promesse matrimoniali, cioè.
La cerimonia si era deciso di farla non appena raggiunta la
maggiore età di lei: in Chiesa, all’occidentale, perché l’abito bianco tutto
veli e svolazzi e campane che suonavano a festa al loro passaggio un sogno che
lei si portava dietro fin da bimba e a Mamoru non è che importasse granché il
dove e il come. Amava Usagi Tsukino e voleva farne la sua sposa, per cui gli
premeva solo che fosse redatto un atto matrimoniale valido, per il resto la sua
sposa aveva totale carta bianca per fare tutto ciò che la rendesse felice in
quello che definiva nella maniera ottimistica e romantica che la
contraddistingueva: “il primo giorno della nostra vita insieme”.
Avevano scritto i loro voti.
Usagi l’aveva visto in un film e la cosa l’aveva affascinata
Li avevano letti ad alta voce in chiesa, davanti a tutti i
loro amici e parenti. Lui avrebbe avuto intenzione di attingere a romanzi e
opere a lui particolarmente care ma dubitava che la sua sposa l’avrebbe capito e
avrebbe odiato l’idea di aprire il suo cuore per ritrovarsi davanti uno sguardo
vacuo. Era sicuro che Usako avrebbe bevuto ogni parola che gli uscisse dalle
labbra con immenso trasporto, che le guance le si sarebbero colorate di
imbarazzo, che gli occhi le sarebbero brillati di gioia e che il cuore le
sarebbe scoppiato nel petto ma questo non gli bastava: voleva che capisse
realmente, che avesse una chiara percezione di quello che avrebbe voluto dirle,
che capisse la forza dei suoi sentimenti e come le fosse grato di averlo salvato
da se stesso e da una vita monotona. Ci mise settimane perché la sua intenzione
era quella di risultare a dir poco perfetto: si gettò con impegno sui film e sui
manga preferiti di lei anche se non erano proprio il suo genere e questo ottenne
l’effetto sperato. Usagi si era commossa, e anche se aveva provocato qualche
risatina da parte degli inviati non gli era importato.
Quando era stato il turno di lei la cerimonia si era
trasformata in un varietà.
Mamoru aveva incominciato a avvertire qualcosa di strano
quando aveva notato, dando una rapida occhiata di sottecchi ai foglietti tutti
accartocciati che aveva nascosti dietro il bouquet, la presenza di kanji
sporadici: ora, chiunque conoscesse un minimo la sposa sapeva che i voti di
Usagi in giapponese erano sempre stati troppo scarsi per permetterle di
esprimersi al meglio in qualcosa che non fosse alfabeto sillabico e che, anche
se l’occasione avrebbe reso necessario l’uso dei kanji lei sarebbe stata troppo
pigra per andarli a cercare sul dizionario. Lei stessa nel notare quei simboli
complicati aveva sgranato gli occhi, sollevando le sopracciglia per un secondo
in un moto di stupore e panico che non era passato certo inosservato al suo
futuro marito.
Ma non si era persa d’animo.
Aveva preso i fogli in mano con lentezza e grande attenzione
Gli aveva sorriso gentile anche se il suo viso era sbiancato
di almeno due toni.
Poi aveva cominciato a leggere le sue promesse, con qualche
incertezza: il sospetto che non fosse farina del suo sacco era cominciato già ai
primi accenni di scuse al suo futuro marito per la sua pigrizia, alla sua
lentaggine e a alle sue grandi mancanze come fidanzata prima e come moglie da
quel momento innanzi. La certezza sull’identità del misterioso autore giunse
quando nel leggere la parte in cui Usagi Tsukino dichiarava che se suo marito
non fosse rimasto soddisfatto da lei non avrebbe dovuto far altro che guardarsi
intorno in cerca di fanciulle più belle, più intelligenti e più maritabili il
punto di ebollizione aveva raggiunto il suo massimo e la timida sposina, livida
dalla rabbia, aveva sollevato il pugno in direzione delle panche strillando:
- Questa me la paghi, Rei-chan!
La risposta dell’amica fu soffocata sul nascere dal pronto
intervento all’unisono di Minako e Makoto mentre Ami, che per l’imbarazzo era
diventata rossa fino alla punta dei capelli, guardò tutto il tempo verso terra
fingendo di accarezzare una Luna più basita del normale.
Era così tipico di Usagi che dopo un primo momento di
smarrimento Mamoru non poté far altro che riderne di gusto. E così, in quel modo
un po’ strano, agli occhi di dio divennero i coniugi Tsukino.
*
La questione del cognome era sorta quasi per caso.
La sera in cui Mamoru era stato presentato ufficiosamente a
casa Tsukino come fidanzato di Usagi, e solo a seguito di ripetute visite
informali in presenza di mamma-Ikuko e della raccolta di una considerevole dose
di coraggio da parte del giovane, papà-Kenji aveva insistito affinché egli
rimanesse a cena. Era stato un invito non particolarmente gentile quanto
piuttosto intimidatorio da parte sua, una richiesta che aveva più il sapore
della sfida, e Mamoru si era visto obbligato ad accettare ma presa da parte la
fidanzata l’aveva supplicata di farlo sedere in corrispondenza della più vicina
uscita di sicurezza nel caso in cui le cose si fossero fatte violente.
- Non preoccuparti, Mamoru – si era intromesso Shingo
assestandogli una pacca sulla spalla con fare cameratesco. – Quando era
fotografo di guerra papà non ha mai imparato le tecniche di combattimento a mani
nude. Se non mette mano alla pistola o ai coltelli da sushi che sono in cucina
sei salvo. – E con quello si era guadagnato una pacca stizzita sulla nuca dalla
sorella, che comunque non aveva detto nulla che bollassero quelle parole come
idiozie.
La cena aveva finito per somigliare a un terzo grado.
Kenji aveva sentito il bisogno di affogare nell’alcool il
dispiacere per l’imminente perdita della sua bambina: a nulla valsero le
ripetute proteste di Ikuko e Usagi, che con rassegnazione tentarono di
riportarlo alla ragione rammentandogli che non c’era ancora nessun matrimonio in
vista e che tra l’altro Usagi andava ancora al liceo. Aveva passato la serata a
svuotare fiaschette su fiaschette di sakè assieme al suo futuro genero, che di
bicchiere in bicchiere era riuscito a sopportare tutto con incredibile sangue
freddo e rassegnazione mentre l’altro si lasciava andare a canzoni popolari
nostalgiche sulla fine dell’estate o a storie imbarazzanti su Usagi che in età
prescolare aveva giurato che non avrebbe mai sposato nessuno tranne il suo papà.
Il tutto intervallato da:
- Non sono ancora pronto a diventare nonno!
Nulla, nemmeno le raccomandazioni di Ikuko l’avevano
preparato a tutto questo.
Un po’ incalzato dal padre di Usagi e un po’ perché l’alcool
finiva col rendere più tollerabile e un po’ meno strana l’intera situazione,
Mamoru aveva finito col bere un po’ troppo e quando era arrivato il momento di
tornare a casa si era ritrovato a non reggersi molto fermamente sulle gambe. Non
era troppo tardi e si era insistito per lasciarlo riposare qualche ora sul
divano, cassando con vigore l’idea di Usagi che aveva optato per lasciargli
usare il suo letto.
Era piuttosto tardi quando si era sentito di nuovo abbastanza
in sé. Doveva essersi in qualche modo appisolato senza accorgersene perché gli
pareva di aver chiuso gli occhi solo per alcuni istanti ma le luci erano spente:
dovevano essere andati tutti a dormire da un pezzo e lui non si era accorto di
niente. Quando aveva provato a sollevarsi un peso sul petto lo aveva fatto
ripiombare sui cuscini. Usagi, che gli si era appisolata addosso, si era
svegliata con un mugugno roco. Si era sollevata a sedere passandosi pigramente i
palmi sulle palpebre per strofinarsi via il sonno come i bambini. Mamoru le
aveva sorriso intenerito, era stata lì tutto il tempo?
- Ti senti meglio, Mamo-chan?
- Adesso sì. Credo di aver bevuto un po’ troppo.
- E’ che non sei abituato. Tutta colpa di papà, domani gli
darò una bella strigliata!
- Non arrabbiarti troppo con lui, ha solo paura di perderti.
- Mamoru aveva ridacchiato sommessamente immaginando la scena che si sarebbe
prospettata all’indomani e provò pena per Kenji. Tirandosi su a sedere le aveva
passato una mano sul viso e lei si era abbandonata con tenerezza al suo calore.
– Io lo capisco, sai?
Lei lo aveva fissato seria come non mai.
Sì, anche lei lo capiva, il dolore di perdere qualcuno che
ami.
- Tu non mi perderai, Mamo-chan, e neanche papà. Non andrò da
nessuna parte.
E quando lo abbracciò, premendosi contro di lui e cingendogli
la schiena con le mani non fu solo un gesto d’amore e tenerezza ma un modo di
fargli sentire la sua presenza anche lì, nella fitta penombra fumosa di una
notte di luna calante. La strinse forte di rimando, avvertendo la determinazione
di lei, la sua forza. Mamoru le premette il mento sulla nuca inspirando l’odore
dei suoi capelli. Avere accanto Usagi lo faceva sentire così sicuro.
Di se stesso, di loro come coppia.
Del fatto che le cose sarebbero finite sempre al meglio.
Era stata la sua famiglia così unita e allegra a trasmetterle
tutto questo?
- Usako, credi che quando ci sposeremo dovrei essere io a
entrare nella tua famiglia?
Lei aveva ridacchiato piano, vibrandogli piacevolmente contro
il petto: - E’ il sakè che parla, Mamo-chan?
- No, io… Ci pensavo da un po’. – aveva detto anche se non
era del tutto vero. L’idea gli era venuta istintivamente in quel momento ma
dall’istante in cui gli era uscita dalle labbra era stato come se l’avesse
sempre avuta inconsciamente lì, pronta a saltar fuori a tradimento. Forse era
davvero l’alcool a parlare. La passeggiata di mezz’ora abbondante che
l’attendeva da lì al suo appartamento gli avrebbe fatto passare la sbornia. –
Sai, il mio passato… Il fatto che non ricordi nulla… Non ho mai recuperato
totalmente la memoria e a volte ho ancora l’impressione che Mamoru Chiba non sia
neppure il mio vero nome. Come posso chiederti di appartenere a un qualcosa di
così inconsistente?
- Io voglio appartenere solo a te, del resto non m’importa,
per cui decidi tu solo in piena libertà e io ti seguirò. – aveva sentenziato lei
con sicurezza. – In più quando saremo re e regina il nostro cognome non avrà più
molta importanza, no?
Su questo aveva tristemente ragione.
*
Serenity aveva accolto con gioia l’arrivo di schiere di
domestici e cuochi nel Palazzo di Cristallo a seguito della loro incoronazione,
ma soprattutto il suo conseguente esilio a vita dalla cucina e dall’armadio
degli spazzoloni.
Endymion un po’ meno.
Nei primi tempi del loro matrimonio Usagi ci aveva tenuto
molto a tenere fede a quei voti nuziali pur vistosamente non farina del suo
sacco e si era impegnata anima e corpo per lasciarsi alle spalle quasi 2 decenni
di inettitudine e diventare il prototipo di moglie di cui il signor Tsukino si
sarebbe vantato con gli amici. Una sfida che Mamoru sapeva essere persa in
partenza. Lo accettava quietamente come il fatto che il cielo non è giallo e la
neve non cade ad agosto.
Poi dopo un po’ aveva finito col trovarlo addirittura bello.
Era l’incognita, il mistero a divertirlo. Il varcare ogni
sera la porta di casa dal ritorno dal lavoro e non sapere cosa avrebbe trovato
al di là della soglia. Forse un giorno non avrebbe trovato neppure la casa.
Divenne un gioco mettersi a tavola e scommettere su quale di quelle cibarie
tutte ugualmente carbonizzate all’esterno (anche quelle che di fatto non
richiedevano di essere messe su fiamma) e dall’aspetto improponibile fossero
sorprendentemente buone e quali gli avrebbero fatto passare la notte tra il
gabinetto e il divano. Era il trovare sempre Usagi ad accoglierlo con un
sorriso, anche con i capelli impiastricciati di pastella e schizzi di cioccolato
a colargli dalla fronte, che si impegnasse tanto per loro, a fargli venire
sempre una gran voglia di baciarla appena attraversata la soglia, tra le flebili
proteste di lei sul fatto che si sarebbe sporcato tutto e lei non era brava col
bucato.
- Non importa – le rispondeva zittendola tra i baci. – Lo
farò io.
- No, non devi. – protestava lei. – Imparerò.
- Mi fa piacere aiutarti.
- Sei tanto caro, Mamo-chan…
In realtà spesso e volentieri finiva per fare un po’ tutto
lui in casa per rimediare ai pasticci di Usagi ma questo non gli pesava per
nulla. Era sempre stato abituato a cavarsela da solo fin dalla più tenera età e,
tipo ordinato e preciso per natura, non aveva difficoltà ad occuparsi del caos
di una o due persone anche di ritorno dal lavoro. Il fatto è che Usagi non
capiva. Non essendo una donna con la vocazione della casalinga non poteva
certamente capire lo stato d’animo di un uomo costretto a fare quello che
avrebbe dovuto essere il suo lavoro. Una legione di domestici con cui farcire il
suo palazzo era stata la sua prima richiesta ufficiosa da regina, e l’aveva
fatto solo per sgravare il marito dalle fatiche improbe a cui sentiva di averlo
costretto per anni.
Ma non era così.
Lui a tratti lo trovava anche rilassante.
Da sovrano non poteva certo prendere la scopa e darsi da
fare, non avrebbe fatto in tempo a formulare il desiderio di pulire le stalle
che almeno 4 persone si sarebbero gettate addosso famelicamente all’unica
ramazza disponibile per tirare l’ambiente a lucido. Non faceva in tempo a
voltarsi lasciando un libro aperto sulla scrivania dello studio che subito
veniva teletrasportato al suo scaffale. E che non gli venisse in mente di
mettere piede in cucina, le cuoche sapevano essere molto cattive.
*
C’era con Artemis un rapporto di amichevole cameratismo.
Era cominciato come un’istintiva simpatia in gioventù,
essendo loro gli unici due rappresentanti di sesso maschile del gruppo, per poi
svilupparsi in maniera più profonda in periodo di pace, dopo il matrimonio. Al
tempo non c’era stato nemmeno di che discutere. Mamoru sapeva, era scontato al
punto che l’argomento non venne neppure introdotto per sbaglio da nessuno dei
due, che Luna sarebbe andata ad abitare con loro a seguito del matrimonio nel
suo doppio ruolo di guardiana e di animale domestico di Usagi, cosa che aveva
messo fin da principio il neo marito in posizione di minoranza. Le frequenti
visite di Artemis in qualche modo avevano rappresentato un piacevole diversivo.
Passavano le serate sul balcone a chiacchierare e quando tornava in camera
trovava Usagi in un marasma caotico di coperte e lenzuola arrotolate in
prossimità del viso. Poco avvezza alle coperte leggere dei letti
all’occidentale, quando non aveva Mamoru da abbracciare tra le coltri tendeva
sempre ad agitarsi e a scoprirsi la pancia, e toccava a lui ripristinare un
ordine per non ritrovarsi all’addiaccio.
Adesso non accadeva più.
Andare a letto insieme e risvegliarsi insieme faceva parte
delle loro piccole routine regali, e se capitava che uno dei due si attardasse
rispetto all’altro, avevano stanze apposite per non disturbare il sonno del
coniuge cui però il re preferiva non ricorrere.
Quella sera però la frustrazione aveva raggiunto gli argini
e, nonostante fosse l’ora di andare a dormire e la regina non era mai stato tipo
da ore piccole aveva deciso di incamminarsi in solitudine attraverso i giardini
di sud est, in un piccolo gazebo isolato poco frequentato dagli abitanti del
palazzo. Lì si era acceso una sigaretta e lunghi istanti silenziosi erano
passati a contemplare i pigri ghirigori di fumo grigiastro ravvoltolarsi verso
le stelle. La voce familiare di Artemis non l’aveva nemmeno sorpreso a dispetto
del fatto che come al solito il vecchio amico non avesse prodotto il benché
minimo rumore.
- Davvero un brutto vizio che credevo si fosse lasciato alle
spalle. – disse il felino storcendo il muso in una smorfia. – Ho sentito l’odore
dalle mie stanze.
Il re aveva sorriso.
- Credevo che anche tu non riuscissi a dormire.
Con un agile balzo l’altro era saltato sulla balaustra
accanto al sovrano.
- Qualcosa la preoccupa?
- Questioni patrimoniali.
Alle parole del sovrano Artemis aveva chinato la testa di
lato in un moto di muta curiosità. Chiaramente non aveva capito ma Endymion non
fece niente per rendergli più chiare le sue parole: continuava a fissare
ipnotizzato il cielo con la sigaretta accesa che si consumava lentamente
bruciando di un vivo vermiglio al vento leggero della notte: dava solo
sporadiche boccate ogni tanto, ma sembrava che non aspirasse nemmeno.
Non aveva mai fumato per davvero.
Artemis aveva ragione, era davvero un brutto vizio.
Se la regina ne fosse venuta a conoscenza si sarebbe
scatenato l’inferno.
In uno sbuffo grigiastro aveva continuato, quasi rivolto a se
stesso in elucubrazioni solitarie: - In via ipotetica, Artemis; se un re
divorzia dalla moglie i beni vengono divisi in un modo particolare? – aveva
chiesto. – Insomma, il regno ereditato a seguito delle nostre nozze è un bene
matrimoniale e nel caso visto il mio apporto minimo alle questioni di regno mi
toccherebbero, non so, la Papuasia, l’Antartide e l’Isola di Pasqua o potrei
rivendicare dei diritti su qualcosa di dignitoso come gli stati dell’America
settentrionale e dell’Oceania?
- In via ipotetica?
- In via ipotetica – gli aveva fatto eco il re.
- Beh, in via ipotetica… - E Artemis aveva scandito piano e
con attenzione quelle parole, soppesandole molto attentamente perché al sovrano
non sfuggisse la loro importanza. – E’ più probabile che la Terra appartenga
alla vostra stirpe, che rappresenti quindi un’eredità personale che in caso di
divorzio passerebbe interamente a voi.
Endymion aveva incavato il mento tra le spalle in un placido
segno d’assenso e la risposta era stato un sospiro indecifrabile: era uno strano
miscuglio tra rassegnazione e sollievo che non sarebbe stato in grado di
interpretare neppure il diretto interessato.
- Capisco… – aveva replicato, e non aveva aggiunto altro.
Tra i due era calato un silenzio teso e poco piacevole,
scandito dal pigro oscillare del fumo a cui faceva eco quello della coda candida
del felino, che aveva assottigliato gli occhi azzurri scrutando il profilo
assorto del suo sovrano.
No, si era corretto, del suo amico.
- Re Endymion, se posso chiedere cosa…
- No, non puoi. – l’aveva interrotto bruscamente lui
schiacciando ciò che restava della cicca contro il cornicione e guatando con
occhi impassibili quella brutta ditata nera sulla pietra azzurrina. Ascoltare il
proprio tono di voce arrochito dal sonno e dal freddo, così duro e autoritario,
l’aveva come risvegliato da un sogno. Si era rivolto verso l’altro, lo sguardo
gentile di sempre e un sorriso gentile a incurvargli appena le labbra. - Non
preoccuparti Artemis, davvero. – L’aveva rassicurato il sovrano invitandolo a
salire sulla propria spalla per tornare dentro. Cominciava a farsi davvero
troppo tardi per stare fuori. - Stavo solo riflettendo di questioni senza
importanza. E’ che ho un mucchio di tempo per farlo ultimamente.
*
Era rimasto per qualche tempo davanti alle porte delle loro
stanze, indeciso sul da farsi. Era accorso al primo soffocato mugugno che si era
fatto strada a fatica attraverso l’uscio massiccio: lo spettacolo era di quelli
che risultano improbabili anche dopo averli visti per tanti anni. La regina
Serenity, la somma sovrana della terra, modello di grazia virtù e potenza,
ravvoltolata scompostamente in un ammasso improbabile di preziose coltri di
seta, con la pancia scoperta dal fine tessuto della sua veste da notte e la
bocca scoperchiata in un sonoro russare.
Quella notte si addormentò ridacchiando, abbracciato a lei.
*
Tsukino Fusai no Jingi Naki
Tatakai
Fine Capitolo 1
*
L’angolino di
Sophie: Non devo
farmi perdonare di mostruosi ritardi stavolta, non devo mettere note strane, non
devo buttarmi giù o dire quanto mi faccia schifo questo capitolo per cui
saltiamo allegramente l’angolo di Calcifer, lui apprezza, non è mai stato un
gran faticatore, più riposa meglio sta. Un capitolo che è venuto liscio liscio
come l’olio a parte l’ultima parte che è stata un piccolo parto ma niente di
particolarmente osceno come certi paragrafi di Sakura che veramente, gli darei
fuoco. Magari è scappato qualche errore di battitura ma ricontrollerò con calma
un po’ più in là. Ho risposto alle lettrici nel luogo apposito quindi non devo
dilungarmi a parte ringraziamenti generici e bacini di amore e devozione. Non
sono scesa in tecnicismi legali ma dovevo dare un senso al titolo del capitolo.
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