Ci
si stanca troppo in fretta della vita.
Pensò
con risolutezza la ragazza
appoggiata alla ringhiera del terrazzo.
Sotto
di lei, niente più che una
strada. Qualche palazzo. Qualche macchina. Qualche passante.
Sopra,
il vuoto.
Il
vuoto, e tanto vento. Tant’era
la violenza dell’aria a quell’altezza, che i
capelli le frustavano
ripetutamente le guance, gli occhi , la fronte; in
un’impetuosa danza
scoordinata.
Con
quale
diritto, poi.
Continuò
in risposta la voce nella sua testa.
Infatti.
Come se si avesse il diritto di sputare sulla propria vita.
Si
disse, e in quel momento una
folata di vento improbabilmente più forte delle precedenti,
fece strepitare il
pezzo di carta rovinato che teneva tra le dita.
Eppure
è ciò che si fa, spesso e volentieri.
Si
sputa sulla propria vita, e di conseguenza su quella di chi ti sta
intorno.
Senza
rendersi
realmente conto.
Senza
capire
cosa sia giusto e cosa no,
non
per qualche
assurda legge della natura;
ma
semplicemente
per egocentrismo.
Quando
si soffre si diventa, paradossalmente, egocentrici.
L’uomo
è una creatura innatamente egoista, nel suo piccolo.
Homo
mundus minor.
L’uomo
è un mondo in miniatura.
E
che mondo,
seppure in miniatura.
A
volte la testa gioca brutti
scherzi. Questo era ciò che pensava realmente la ragazza,
mentre con quegli
occhi scuri che un tempo erano più vivi, più
accesi, scorreva svogliatamente le
figure sottostanti.
Nel
silenzio di quel quartiere si
assentò nuovamente nei suoi pensieri, passando piano due
dita sulla superficie
sottile della carta quasi a volersi accertare che fosse ancora
lì. Al sicuro
nel suo pugno.
Per
quanto fosse stata
stropicciata, la carta era ancora ripiegata e al suo posto, in attesa
di
qualcosa. In attesa di qualcuno. È
dura..
E stavolta lo farfugliò quasi, con gli occhi castani
improvvisamente velati di
lacrime.
È
questa la cosa a tratti inquietante dei sentimenti..
È
che ti attanagliano, quando meno
te l’aspetti, giocano con la tua anima, se la girano e
rigirano come vogliono;
ti permettono di sentirti euforico, gioviale, allegro, spensierato un
secondo
prima.. e distrutto il secondo dopo.
Essere
preda dei
propri sentimenti è come sentirsi su una giostra che non si
ferma mai.
Ma
io voglio fermarmi.
Voglio
soltanto scendere.
Voglio
fermarmi.
Scendere.
Quella non sarebbe stata
una cattiva idea. Scendere e tornare alla propria vita, senza rimpianti.
Senza
rimorsi.
Senza
dolore.
Lasciare
tutto lì, su quella
terrazza, tra le ringhiere, e richiudere la porticina nera dietro di
se.
Lasciarsi tutto dietro.
Credo
che aver voglia di scappare da un posto già deserto di per
se,
significhi
soltanto voler scappare
da se stessi..
Esattamente
ciò
che stai facendo.
Scosse
la testa con violenza, gli
occhi serrati, i pugni anche. Perché sentirsi dire cose che
già sapeva?
Perché
ascoltare la propria testa?
A volte è molto più sano lasciarsi perdere.
È
molto più sano non ascoltarsi.
Ma
la propria coscienza, o vocina
interiore, o grillo parlante qual si voglia,
beh, non sono tanto facili da ignorare.
Una
volta ci aveva provato. In
realtà da piccola ci provava spesso. Si metteva a guardare
nel vuoto a
mezz’aria, e si impediva volontariamente di formulare un
qualsiasi pensiero
concreto. Eppure? La sua mente lavorava lo stesso in sottofondo,
fregandosene
spudoratamente della sua scelta. E lì aveva capito che non
esisteva il vuoto.
Non
esisteva l’assenza di pensiero.
E seppure una volta più grande, le era capitato di sentirsi
talmente male da rifiutare
di formulare qualsiasi cosa nella sua testa; ebbene ciò le
aveva creato
inquietudine, e non era servito ugualmente a nulla.
Era
impossibile.
Aveva
imparato quindi, che la propria
testa, volente o nolente… avrebbe sempre lavorato.
Anche
una volta perse le parole.
Quante
cose che avrei dovuto dirti.
Un
pensiero come un altro, le fece
sprofondare la testa tra le braccia incrociate.
Non
voleva piangere. Non più. Non
voleva più.
Strinse
i pugni da far male, poi si
voltò di scatto, ma solo per lasciarsi scivolare a sedere.
Portò
le ginocchia contro il petto
e posò il mento su di esse.
Per
l’ultima volta..
È
l’ultima volta.
Riaprì
il foglio che aveva chiuso
in quattro, con quella promessa nella testa.
Era
un colpo al cuore leggere certe
righe, ma doveva farlo. L’avrebbe fatto. Lo stava facendo.
Una
calligrafia sottile e un po’
disordinata le scorreva davanti agli occhi, trasmettendole il messaggio
della
lettera per mezzo di parole che solo una persona avrebbe saputo mettere
insieme. Trattenne le lacrime a stento, ma non si fermò.
Perdonami.
Sono le ultime cose che ti lascerò scritte.
|
Non
ti disturberò più. Tranquilla.
Non siamo fatti l'uno per l'altra.
La vita prosegue..ognuno con la propria..
Mi dispiace tanto però.
|
Sei
stata, sei..l'avventura e la scoperta più meravigliosa della
mia vita.
|
Il
tempo è volato, ed è stato tanto..
Ti
ricordi? Eravamo due bambini, alla fine..lo siamo ancora, praticamente.
Dio..non mi sembrava vero quel
........... cazzo..ci sto ripensando come non mai, mi ricordo tutto
|
Sei
una persona che vale la pena conoscere, se si ama il rischio.
Però hai qualcosa che io non posso accettare.
E io ho qualcosa che tu non puoi accettare.
Non possiamo proseguire
|
Mi
hai detto tante cattiverie, ti ho detto tante cattiverie. Ma non dire
mai più che non ti ho amato
Perchè è stata l'unica cosa concreta che ho fatto
in vita mia. L'unico obiettivo che ho mai avuto, amarti è
stato.
Ti lascio, per sempre, con un ricordo..è strano..
|
Era
una volta, in primavera scorsa, penso proprio il .................. che
ora compie un anno..
eravamo usciti prima perchè mancava ................, ed
eravamo al parchetto..non sò perchè ma ho il
ricordo di questa bella giornata, sole, con un po' di venticello, e noi
due a parlare là, alle altalene
|
Non
è un ricordo concreto, effettivamente..
E' solo una sensazione.
|
Io
con te ho sempre Sentito.
|
.........
mio dio..un anno.
Scusa il piccolo sfogo.
Mi hai fatto davvero star male oggi..e immagino io a te..ma tu non hai
idea.
..........
Non possiamo.
E io sono un tipo che o la và, o la spacca, come hai
affermato oggi ......
|
e
ora cazzo, non ce la faccio più, e quindi la spacca. E tu
hai detto la stessa cosa.
Quindi, grazie,
Perdona ancora il disturbo
|
Non
si era neanche firmato.
Una
lettera così carica di..
sentimenti, e lui non si era neanche firmato.
Lo
faceva sempre.
Ma
no.. no, non era questa la colpa
che lei gli faceva. Magari fosse stata questa.
Quanto
avrebbe voluto aver modo di
rispondergli, come sempre aveva fatto, a voce o con un’altra
lettera...
Quanto
avrebbe voluto dirgli che
non era solo una sensazione, quella che lui aveva menzionato; che
magari lui non
se lo ricordava bene, ma era successo davvero, e che lei se
n’era ricordata già
tempo fa, quando nel bel mezzo di una litigata come le altre si erano
divisi
davanti all’edificio scolastico.. e lei? Lei era andata in
quel parchetto... da
sola, e si era seduta su quell’altalena. E
quell’altalena l’aveva
impressionata, perché.. Perché era rimasta sola
anche lei.
Qualche
vandalo qualunque, aveva
staccato l’altalena dove si era seduto in precedenza
Lui…
E
lei si era sentita ancora più
sola.
Fosse
tutto soltanto finzione…
Apri
gli occhi,
non lo è.
Quella
persona che tanto l’aveva
amata, quanto criticata, ora non era più con lei.
Non
avrebbe più potuto passeggiare
con lei fuori scuola, nei loro quartieri, nel loro piccolo mondo
personale.
Come
si può pretendere di
cancellare un’intera esistenza in un giorno? In un attimo? In
un addio non
detto?
Non
si può.
Molto
spesso purtroppo, ciò che uno
non pensa possibile, prima o poi si avvera.
E
quando quel prima, o quel poi,
arriva.. è dura. È dura perché non te
l’aspetti. È dura perché ti colpisce in
faccia.
È
dura perché… perché è la
vita. E
la vita non è un complimento.
La
vita è così.
È
una giostra
che non si ferma mai.
Questo
l’hai già detto.
Però
era vero. Molto spesso nel
corso della sua vita si era sentita su una di quelle strutture in stile
luna
park… Che girano, e girano, e girano , e girano, e per
quanto tu urli non si
fermano finchè non lo decide l’omino dei comandi.
Solo
che qui, nella vita reale,
l’omino dei comandi non c’era.
E
molto spesso non riusciva a
fermarsi neanche lei.
Sono
sempre stata troppo debole.
Le
persone
deboli non sopravvivono.
Però
è così crudele.
Solo
perché ci si affida nelle mani di qualcuno..
Non
c’è niente
di male a mettersi nelle mani di qualcuno.
Il
male sta
nell’ignorare quel qualcuno, anche quando cerca di aiutarti.
Già.
Altra peculiarità tipica
dell’essere umano.
L’ingratitudine..
Verso
se stessi, e verso gli altri.
La
ragazza era semplicemente stufa.
Tutta l’energia che aveva provato a tirar fuori nel corso
degli anni, ora le
veniva a mancare. E stavolta non sapeva veramente da dove riprenderla.
Era
tutto così folle.
Un
tonfo leggero le fece alzare il
mento dalle ginocchia, e lo sguardo si puntò dritto davanti
a se.
Lassù
c’era ancora soltanto il
vuoto a farle compagnia; proprio come prima.
Eppure
sentiva che qualcosa stava
per cambiare. Continuò a fissare ostinatamente le mattonelle
a tratti contuse
della terrazza, in attesa. Era una terrazza vasta. La porticina nera
era
distante da lei. Ma quel rumore non se l’era immaginato.
Difatti,
dopo neanche qualche
minuto, apparve a colmare quel paesaggio vuoto una sagoma tanto
familiare per
la ragazza, da farle avere un tuffo al cuore. La presa si strinse sulla
carta e
sulle ginocchia che teneva strette al petto, per un breve lasso di
tempo che
apparve infinito. Rimase immobile, proprio come la figura ancora
indistinta
sebbene non troppo lontana da lei.
Come
mi ha trovata?
Probabilmente
non sta cercando te.
Perché
allora dovrebbe essere qui?
Magari
non aveva
niente di meglio da fare.
Perché
rimane lì?
Sicuramente
non
ti ha vista.
Oppure
ti sta
ignorando.
Al
diavolo!
E
scuotendo ancora la testa, nel
vano tentativo di scacciare qualsiasi cosa le frullasse per la mente,
si alzò
barcollando, per poi appoggiare la schiena alla ringhiera; in perpetua
attesa.
Stava
a Lui compiere il primo
passo. Se ne sarebbe andato, o sarebbe avanzato? La ragazza
assottigliò lo
sguardo, nel tentativo di indovinare i suoi pensieri. Ancora un attimo
d’interminabile attesa, ed ecco che la figura in lontananza
mosse il primo
passo. Verso di lei.
In
preda all’incertezza, la ragazza
rimase immobile, e quando un altrettanto giovane ragazzo fu abbastanza
vicino
da poter essere guardato in faccia, lei preferì abbassare lo
sguardo, dubbiosa.
Cosa avrebbe fatto adesso?
Come
avrebbe dovuto comportarsi?
Se
le aveva detto addio, perché ora
era di nuovo lì? Con lei?
Il
dubbio le attanagliava il cuore,
tanto da farle chinare il mento sul petto.
Un’altra
folata di vento fece
svolazzare vestiti e capelli qua e la. Che strano, il ragazzo non se ne
era
lamentato. Eppure lui odiava il vento. Si lamentava sempre. Incuriosita
dal
silenzio, la ragazza lo guardò timidamente di soppiatto,
constatando che ora il
giovane si era appoggiato alla medesima ringhiera dove poco prima si
era
appoggiata lei.
Ancora
non le rivolgeva la parola.
Probabilmente
era arrabbiato? E per
cosa ormai? La sua lettera era stata più che chiara.
Limpida.
E
lei non aveva fatto nulla per
intaccare ciò che lui le aveva scritto. Non voleva che si
arrabbiasse.
Non
voleva che stesse ancora male.
-
Perché
sei… -
provò a dire come primo approccio, ma le parole le vennero a
mancare.
Cosa
avrebbe potuto chiedergli?
Sembrava tutto così vano. E in più lui non le
parlava.
Ti
sta ignorando.
No..
non è vero.
È
solo assorto nei suoi pensieri.
E
così sembrava. Anzi, così sicuramente
era. Con quegli occhi grandi, a volte così castani e a volte
striati invece di
verde; con quell’espressione leggermente rigida, tipica del
suo volto
pensieroso, con quell’atteggiamento, il ragazzo fissava il
vuoto dritto davanti
a se. Il vento continuava a fargli sventolare capelli e camicia, ma
niente
pareva smuoverlo da quello stato raccolto.
Chissà
che cosa pensa.
-
A
che cosa stai
pensando? -
Era
una domanda frequente, quella,
eppure lei non si sarebbe mai stancata di ripeterla.
Che
la risposta fosse stata un “Niente
di importante” , un “A
cosa fare dopo”, o un “A
qualcosa di brutto”.
Questo
perché qualsiasi cosa egli
stesse pensando, a lei interessava realmente. Era sempre stato
fondamentale per
la ragazza capire, o almeno provare a capire ciò che gli
passasse per la testa.
D’altronde
era l’unico modo che
aveva per aiutarlo, così pensava.
Tuttavia
il giovane non mostrò il
minimo cenno di risposta, quasi come se non l’avesse
minimamente sentita e
anzi; rimase ostinatamente immobile. Immerso in chissà quale
considerazione, su
chissà quale cosa.. Come suo solito.
Fermare
una mente normale era già
impossibile di suo, ma fermare la mente di Lui…
Beh,
quello neanche il padre eterno
in persona avrebbe potuto farlo. Sempre ch’egli fosse
esistito realmente.
-
Perché
non mi
rispondi…?-
Non
lo vedi? Ti
sta ignorando.
Perché
mai dovrebbe farlo?
Non
gli ho fatto nulla di male.
-
Ascolta…
-, ma
le parole le morirono in gola, sia perché interrotte da una
ventata più forte
che le strappò inaspettatamente
via dalle mani
quel pezzo di carta, sia per ciò che si accingeva a fare il
ragazzo.
Questo
si era infatti sollevato
sulle proprie braccia, guardando di sotto, e aveva posizionato i piedi
sulla
parte inferiore della ringhiera, sporgendosi come un bambino
inconsapevole del
pericolo.
-
Guarda
che
caschi! – continuò imperterrita la ragazza,
cercando di valorizzare le sue
parole con i gesti così da
farsi
finalmente notare anche da
lui.
Ed
ecco che accadde il fatto
strano.
Il
fatto improbabile. Il fatto
assurdo.
La
mano di lei, con tanto di manica
del vestito, scivolò tranquillamente attraverso
la figura del ragazzo, lasciandola interdetta.
Ma
cosa.. diamine..
Temendo
di essere in preda alle
allucinazioni, e a maggior ragione poiché il ragazzo
insisteva a rimanere in
quella posizione azzardata, tentò nuovamente il gesto.
E
nuovamente in un modo del tutto
paradossale, impossibile, oltre qualsiasi comprensione umana, la sua
mano
scomparve attraverso il corpo di
lui,
solo per poi riapparire una volta che lei l’ebbe ritirata.
-
Non
è possibile.
Non
c’è niente
di razionale in tutto ciò.
Non
è reale. -
La
voce nella sua testa taceva.
Tutto
intorno a loro taceva.
Perfino
il vento, adesso, pareva
tacere.
Il
ragazzo chiamò inaspettatamente
il suo nome, facendola sussultare.
Che
si fosse accorto di lei,
finalmente?
No..
Non sta
parlando con te.
Ma
che cosa sta succedendo?
..È
un sogno?
L’angoscia
di questi pensieri
iniziava lentamente ad attanagliarla, proprio da sotto la bocca dello
stomaco.
Non
poteva essere nulla di reale,
di certo non era nulla di razionale; perciò doveva essere un
sogno. Eppure...
Provò
a chiamarlo a sua volta, ma
non ebbe risposta. Né tantomeno cenni da parte di lui.
Improvvisamente,
un pensiero la
folgorò.
Buio…
Sì,
c’era tanto
buio…
Hai
provato
dolore?
No..
Non subito, almeno..
Ma
è passato poco dopo.
E
dopo?
Cos’è
successo
dopo?
-
Non..
non mi
ricordo – farfugliò sgomenta ritrovandosi a
guardare le proprie mani, con un’enorme
senso di smarrimento dentro di sé. –
Cos’è
successo dopo…? Cosa è…-
Ma
un urlo la fece sussultare
nuovamente, era un urlo carico della stessa angoscia.
Perché..?
Eh?
Perché
urli?
Ti
prego…
Lo
chiamò ancora. E ancora.
E
ancora.
E
non smetteva, e provava a
scuoterlo, ma ogni volta si ripresentava lo stesso improbabile,
inverosimile,
incredibile, spaventoso evento… Ogni volta, era come se il
proprio corpo
passasse dentro quello di lui, provocandole una leggera scossa gelida
alla base
del collo. Ogni volta era tutto invano.
Potrebbe
essere..
No.
Non voleva, non poteva, non
voleva neanche prendere l’ipotesi in considerazione.
E
allora perché? Cos’era tutta
quella manfrina? Cos’era tutta quell’atmosfera
sovrannaturale?
È
un sogno.
È
soltanto un sogno.
Non
penso ci sia
un risveglio…
Cosa
vorresti dire?
Non
penso tu possa
risvegliarti.
Non
puoi e
basta.
Certo
che posso svegliarmi.
Semplicemente
non è ancora giunta l’ora.
Deve
solo farsi giorno.
A
volte è difficile svegliarsi dagli incubi.
Non
penso sia un
incubo.
Sì
che era un incubo. Non poter
toccare, non poter parlare, non poter… Essere invisibili
agli occhi della
persona amata, se non era un incubo quello, cosa lo sarebbe stato?
Doveva stare
calma. Si sarebbe risolto tutto.
-
Si
risolve
sempre tutto… Giusto? –
Le
diceva sempre così. Anche se in
quell’ultima lettera il messaggio era stato diverso, in
precedenza, il ragazzo
le aveva sempre detto così. Ogni volta che voleva consolarla
la chiamava per
nome, e le diceva “Vedrai che si
risolve
tutto”.
E
tutto si era sempre risolto.
La
lettera…
Perché
ho perso la lettera?
Un
maggiore senso di sconforto di
fece strada dentro di lei. Le venne voglia di accasciarsi a terra, ma
non lo
fece.
Puntò
gli occhi su di lui.
Perché
era lì? Perché ancora, non
le diceva niente? Perché aveva urlato in modo tanto
disperato?
Perché
stava male..?
Ho
sempre pensato che senza di me,
senza
i problemi causati dalla nostra relazione,
lui
sarebbe stato meglio.
Sarebbe
stato felice.
Perché
non lo era? C’era qualcosa
di strano, qualcosa di sbagliato, in tutta quella faccenda.
Non
importava quante volte aveva
letto quel pezzo di carta ormai andato perduto, le lettere, le parole
che aveva
in testa, stavano lentamente sbiadendo, e la ragazza faceva fatica a
riportarle
alla mente.
Perdonami…
Ultime
cose… lascerò scritte…
Perdona…
il disturbo…
Che
cosa diceva?
Che
cosa diceva in quella lettera?
Era
tremendo. Stava scomparendo
tutto. Sillaba dopo sillaba, parola dopo parola, sensazione dopo
sensazione.
Perché?
Perché aveva perduto la
lettera? Perché non era degna di ricordare qualcosa scritto
da lui?
Eppure
c’era di più.
Non
scarseggiavano solo
quelle parole. Non
mancavano solo quelle parole all’appello.
Perché
sono salita qui sopra?
Volevi
stare da
sola, penso.
Perché…
Come ci sono salita, qui sopra?
Come
puoi non
ricordartelo?
Tutto
ciò che aveva sentito, che
aveva provato, che si era accumulato, scritto, inciso dentro di lei,
stava
diventando illeggibile alla sua mente; sfuggente. L’ansia che
ciò le stava
causando era incredibilmente grande, tanto che pensava di poter morire
da un
momento all’altro.
Che
cos’è la
morte?
La
morte…
La
morte è un viaggio.
Un
viaggio? Per
dove?
È
una destinazione ignota…
Come
posso saperlo, io?
Ma
come, tu..
non sei morta?
Eh?
Perché mai dovrei essere…
Morta?
Rialzò
lo sguardo verso il ragazzo,
e tutto le fu chiaro come un fulmine a ciel sereno.
Tanti
piccoli pezzi di un mosaico
solo si ricomposero magicamente, e seppure lei non ne afferrava i
ricordi, ne
capiva il senso. Capiva soltanto ciò che volevan dire.
Ciò che quel puzzle
immaginario voleva dire.
Ed
ogni tassello era
inevitabilmente al suo posto, come se fosse la cosa più
normale del mondo.
Tutto combaciava. Tempo, spazio, sensazioni, propositi,
volontà.
Ed
erano legati insieme da un sesto
senso, quasi nostalgico.. ma deciso.
Ormai
era tutto già scritto, il destino,
o il caso, o chi per lui.. Per mezzo di una certa sequenza di gesti,
era stata
tracciata la sua storia, adesso la ragazza se n’era resa
conto.
E
probabilmente ora sarebbe stato
tracciato anche il seguito. Questo la ragazza non poteva saperlo.
Effettivamente
c’era ben poco che
poteva dire di sapere rispetto a prima, se non nulla.
Un
movimento improvviso al suo
fianco le fece riportare lo sguardo sul ragazzo, uno sguardo mesto,
seppure
speranzoso. Lui era ancora vivo. Lui aveva ancora tanto da fare.
Eppure
quel tanto non comprendeva… Ciò
che stava facendo ora.
Con
un nuovo moto d’agitazione nell’anima,
la ragazza spalancò gli occhi.
Il
ragazzo che fino a poco prima
era lì, appoggiato alla ringhiera, ora era con
già buona parte del proprio
corpo dalla parte opposta di essa. Tremava un poco e teneva lo sguardo
basso,
la presa serrata sul ferro.
Ecco,
adesso era completamente
dall’altra parte della ringhiera.
Ma
ancora si teneva forte, non
aveva il coraggio di guardarsi indietro.
Il
vento aveva ripreso a soffiare,
tanto da farlo sussultare appena, dato il suo stato di tensione
assoluta.
La
ragazza non capiva. Non voleva
capire. Ciò ch’egli stava facendo non aveva senso.
Perché? Perché sprecarsi?
Dapprima
atterrita, si riebbe
leggermente, quel tanto da provare ancora, sempre invano, ad afferrare
il
ragazzo.
-
- Stupido!
Cosa
pensi di fare? Vuoi farti male, ancora?! –
Come
se lui potesse sentirti..
Qualcosa
di non detto, dentro di
lei, accelerava l’ansia. Quella sensazione di poco prima,
quel vuoto interiore,
quel vuoto mentale, pareva si stesse espandendo a tutto il suo essere.
Era
come se un orologio invisibile risuonasse
nelle sua testa, scandendo i minuti dai i secondi, i secondi dagli
attimi.
Sarebbe
bastato un attimo, poiché
il ragazzo aveva trovato il coraggio di voltarsi a fronteggiare il
vuoto; pur
sempre tenendosi stretto dietro di sé.
Perché
fai così...
Perché
mai dovresti fare così..
Ti
prego!
In
un ultimo, disperato tentativo d’appello, la
ragazza si gettò contro di lui incurante della ringhiera,
con l’intento di
abbracciarlo all’altezza del petto.
–
Non farlo, ti prego… non farlo. – disse ad alta
voce, sebbene lui non potesse
udirla.
Ovviamente
il gesto di lei ebbe sempre il medesimo
effetto, perciò, esasperata, la ragazza allentò
la presa, in modo che seppure
non poteva toccarlo, poteva almeno mimare la stretta.
-
Ti
supplico… -
mormorò ancora, con tono stremato – Non farlo!
–
E
mentre quell’inquietante e al tempo stesso
rincuorante sensazione di vuoto, di calma interiore si impadroniva di
lei,
qualcosa di innaturale avvenne. Fu un tocco leggero, quello che la
ragazza
percepì, tanto
leggero che per un attimo
pensò di non averlo neanche sentito realmente. E invece,
mentre qualcosa di più
grande di lei la stava dolcemente portando via da quel luogo, pezzo per
pezzo,
realizzò la sensazione di bagnato sul proprio braccio; che
fino a poco prima
tentava di stringer lui.
Ancora
trascinata via da quella forza invisibile, si
sentì costretta a distaccarsi lentamente, seppure ebbe la
sensazione che lui
stesse piangendo. Provò così a formulare un
pensiero, ma le risultò
impossibile, come se anche quell’ultima capacità
che l’era rimasta stesse
svanendo con lei. Avrebbe tanto voluto dirgli di non piangere,
ripetergli di
non fare sciocchezze, di comportarsi bene; ma tutto ciò che
l’era rimasto poco
prima, già non lo sentiva più.
Non
sentiva più niente, vedeva solo. Spettatrice
esterna di quel gioco vitale.
Infine,
quando tutto pian piano si stava riempiendo
di luce nell’arco della sua visuale, la sagoma del ragazzo si
ricacciò
inaspettatamente indietro, a fatica; ma si ributtò
dall’altra parte del
terrazzo. E lì restando, accasciato contro la ringhiera,
mormorò qualcosa che
le diede l’impressione di essere destinato a lei, sebbene non
poté udirlo.
Così,
con quell’indecifrabile senso d’umido
ch’era
tornato dal nulla, al nulla si abbandonò.
|